mercoledì 13 giugno 2012

Trattativa Stato-mafia: indagato Conso. “False informazioni al magistrato”. - Giuseppe Piptone

giovanni conso interna nuova


L'ex Guardasigilli, ora novantenne, nel 1993 non rinnovò oltre 300 provvedimenti di 41-bis. Ma per concludere l'inchiesta su di lui si dovrà aspettare il primo grado del processo sul presunto accordo tra istituzioni e Cosa nostra, la cui indagine è vicina alla fine.

Il novantenne Giovanni Conso, importante giurista e ministro di Grazia e Giustizia fino al 10 maggio del 1994, è iscritto nel registro degli indagati nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa Stato-Mafia. L’ex Guardasigilli è sospettato di aver fornito false informazioni ai pm della procura di Palermo, titolari dell’indagine sul patto sotterraneo che portò pezzi delle istituzioni a sedersi allo stesso tavolo di Cosa Nostra nel 1992.
Conso, autore dei più importanti manuali di procedura penale, nel novembre del 1993 non rinnovò oltre trecento provvedimenti di 41 bis, il carcere duro per detenuti mafiosi. “Ho preso quella decisione in totale autonomia per fermare la minaccia di altre stragi e non ci fu nessuna trattativa” ha detto l’ex Guardasigilli davanti la commissione parlamentare antimafia l’11 novembre del 2010. Per gli inquirenti palermitani invece proprio la mancata proroga del 41 bis costituirebbe uno degli oggetti principali della trattativa.
È per questo che i magistrati vogliono vederci chiaro anche sulla nomina del giudice Francesco Di Maggio come vice capo del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Di Maggio venne chiamato ai vertici dell’amministrazione penitenziaria proprio da Conso, e siccome in origine non aveva i titoli richiesti dalla legge, l’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro lo nominò consigliere di Stato. Quando nei mesi scorsi, i pm palermitani avevano chiesto a Conso le motivazioni che lo avevano indotto a scegliere proprio Di Maggio, l’ex ministro si è limitato a dire che il giudice deceduto nel 1996 “era una persona che andava un po’ in televisione, diciamo così, quindi era combattivo, era un esternatore e mi era parso molto efficace”. Una giustificazione che non è stata ritenuta credibile dagli inquirenti palermitani.
La decisione di iscrivere Conso nel registro degli indagati arriva proprio quando l’inchiesta sulla trattativa è al primo importante giro di boa. Nelle prossime ore i magistrati siciliani invieranno infatti l’avviso di conclusione delle indagini ai principali indagati dell’inchiesta che sta cercando di mettere a nudo le connivenze più inconfessabili tra la mafia e pezzi dello Stato nel periodo delle stragi. Tra i destinatari dell’avviso di conclusione non ci sarà però Conso, che non riceverà per il momento neanche l’avviso di garanzia. Per il reato di false informazioni ai pm, il codice prevede infatti che la posizione dell’indagato resti sospesa fino a quando il procedimento principale non arrivi alla sentenza del primo grado di giudizio. Nel caso di Conso quindi bisognerà aspettare il primo grado del processo sulla trattativa.
Dopo due anni di interrogatori con boss mafiosi e testimoni eccellenti, smemorate audizioni di importanti figure istituzionali e complesse analisi di documenti inediti, i magistrati coordinati dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia si sono barricati nei giorni scorsi in riunione permanente. Nell’avviso di conclusione delle indagini infatti devono essere indicate le imputazioni con le quali s’intende mandare a giudizio gli indagati. Il carnet delle possibilità è molto vario: si va infatti dalla violenza o minaccia a corpo politico dello Stato (il reato principale della trattativa), al favoreggiamento aggravato, fino alla falsa testimonianza contestata nei giorni scorsi all’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino.
Un elenco d’ipotesi di reato fin troppo ampio, che ha diviso la procura. L’avviso di conclusione delle indagini infatti non sarà firmato da Paolo Guido, uno dei sostituti procuratori che – insieme ai colleghi Lia Sava e Antonino Di Matteo – ha affiancato Ingroia fino ad ora. Per evitare che l’iter dell’indagine si blocchi Guido si è “spogliato” dell’inchiesta, ed è stato sostituito dal dottorFrancesco Del Bene, già titolare di una costola dell’inchiesta sulla trattativa, cioè l’indagine sul delitto di Salvo Lima. Alla base della divergenza di opinioni ci sarebbe proprio un disaccordo di Guido in merito ai reati da contestare agl’indagati. Il nodo è rappresentato soprattutto dalle accuse mosse agli indagati eccellenti – come gli ex ministri Nicola Mancino e Calogero Mannino o il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri – giudicate deboli e quindi difficili da dimostrare in dibattimento.
All’avviso di conclusione delle indagini preliminari potrebbe alla fine mancare anche la firma del capo della procura di Palermo, Francesco Messineo, nei giorni scorsi proposto dal Csm come nuovo procuratore generale. La firma del procuratore capo in realtà non è richiesta per l’avviso di conclusione delle indagini, non essendo Messineo titolare formale del fascicolo. Sull’argomento però il palazzo di giustizia si è stretto in un inviolabile silenzio stampa.

Monti: via alla vendita del patrimonio pubblico "Non servirà una altra manovra finanziaria"



Vertice con il ministro delle finanze tedesco a Berlino.


23:26 - "Non occorrerà una seconda manovra quest'anno, ma l'azione di disciplina sui conti pubblici va continuata". Lo ha detto il presidente del Consiglio, Mario Monti, sottolineando che "il sistema italiano non è fragile, ha aspetti che sono più fragili di altri, in particolare il debito pubblico, ma altri più solidi". "Stiamo preparando la vendita del patrimonio pubblico".
Il premier che apre alla cessione di quote del patrimonio pubblico ("Le stiamo preparando", dice) chiede equilibrio, coesione, responsabilita'. Dopo il vertice di ieri a palazzo Chigi con i partiti pronti a sottoscrivere una mozione comune sull'Europa ma anche divisi sugli altri argomenti sul tavolo (su temi come la Rai, la corruzione e le riforme restano i distinguo e dietro le quinte permane anche un atteggiamento di insofferenza nei confronti del governo) il presidente del Consiglio anche questa mattina ha chiesto uno scatto sulle riforme. E' uno scatto che pretende pure Bruxelles.

L'Unione europea, infatti, si appresta - secondo quanto si e' appreso - a 'richiamare' il nostro Paese, I tecnici della Commissione Ue prevedono che la settimana prossima possa esplodere la speculazione contro l'Italia qualora non arriveranno passi concreti, come per esempio sul mercato del lavoro (ci si aspetta misure maggiormente incisive sulla flessibilita' in uscita), sui tagli alla spesa pubblica e su provvedimenti che combattano la burocrazia. Monti vuole un'accelerazione sulla riforma del lavoro ("In italia - osserva - abbiamo un mercato del lavoro troppo protetto per gli occupati e non protetto e impenetrabile per i giovani") ma la sua esigenza e' portare avanti soprattutto la partita sullo sviluppo.

Schaeuble: in Italia ripresa nel 2013
L'Italia potra' avere la ripresa economica nel 2013. Lo ha detto il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble a Berlino, in un passaggio del suo intervento per la premiazione di Mario Monti, nella sede della European School of Management and Technology. Schaeuble ha sottolineato che la condizione e' che Roma non faccia deviazioni dal percorso delle riforme e del rigore.

DDL ANTICORRUZIONE/ Articolo 13, cancellata la concussione per induzione. E spunta il “salva Penati”. - Antonio Acerbis


Approvati, con l’ennesimo voto di fiducia, le modifiche al codice penale. Ancora una volta Pd e Ucd si ergono a sbandieratori dei meriti del ddl e dell’operato del governo. Ma, nonostante alcuni provvedimenti encomiabili (introduzione di alcuni nuovi reati previsti già in Europa), anche per l’articolo in questione – il 13 del disegno di legge – non mancano spaventosemacchie nereCancellato il reato di concussione per induzione (per intenderci il reato madre di Tangentopoli). E spunta la norma “salva-Penati”: taglio dei tempi di prescrizione per la corruzione.
Combattere la corruzione. Questo sarebbe (il condizionale è d’obbligo) il fine a cui mira il ddl. Ma, a vedere quanto sta accadendo, oggi nell’Aula con i tre voti di fiducia su altrettanti articoli (i tre più discussi), qualche punto di domanda resta. Eccome.
Dopo aver analizzato le bufale della non candidabilità dei condannati in via definitiva che si celano dietro l’articolo 10 (deroga di un anno, incandidabilità soltanto temporanea, codice etico dell’antimafia rimasto lettera morta), si è appena concluso il voto di fiducia su un altro articolo fulcro del provvedimento anticorruzione. Stiamo parlando dell’articolo 13 che reca in titolo “Modifiche al codice penale”. Come al solito, nessuna sorpresa: Pd e Udc, oramai stabili alleati, confermano in massa l’appoggio all’esecutivo e, dunque, la fiducia. Stesso dicasi del Pdl, nonostante l’intervento veemente dell’Onorevole Manlio Clemente (su cui torneremo: esilarante!). Alla fine i numeri non ammettono replica: 431 sì, 71 no, 38 astenuti.
Ma andando a leggere nel dettaglio l’articolo in questione ancora una volta non mancano le sorprese. A cominciare dall’abrogazione del reato di concussione per induzione (art. cod.pen. 317), uno dei reati madre della stagione di Tangentopoli. E non solo di Tangentopoli: gran parte dei reati contro la pubblica amministrazione sono di questo tipo. Cerchiamo di chiarire di cosa stiamo parlando: il concussore può agire in due diversi modi: attraverso la costrizione o, appunto, l’induzione. Nel primo caso il concussore dice alla vittima che se non seguirà le sue richieste potrà subire un male di qualche tipo; nel secondo caso invece, la sopraffazione è più sottile e mira a creare uno stato di soggezione: non ti dico le cose esplicitamente, ma faccio allusioni e uso altri sistemi per farti capire che se non asseconderai le mie richieste avrai degli svantaggi.
È evidente, dunque, come sia proprio questo secondo tipo di concussione ad essere ben più esteso rispetto al primo. Soprattutto negli scandali che riguardano pubblica amministrazione, politica e imprenditoria. Non solo. Come hanno sottolineato Idv e Lega nei loro interventi, la questione è ben peggiore di quanto si possa pensare. “Voi dite che non eliminerete alcunchè – ha dichiarato Antonio Di Pietro nel suo intervento – col cavolo! Aggiungete qualcosa di ancora più deplorevole”. In effetti, l’articolo prevede che non ci sia più alcuna distinzione tra corrotto e corruttore (in termini giuridici, viene meno l’elemento soggettivo). In altre parole, il “concusso” da vittima diventa “concorrente nel reato”, quindi punibile. Questo vuol dire che i due saranno messi sulla stessa bilancia, sia chi dà sia chi riceve. Il punto, però, riprendendo l’abrogazione di cui abbiamo parlato prima, è che in questo modo verrà garantita l’omertà processale.
Capiamo il perché tramite un esempio. Un imprenditore, vivendo in un determinato quadro ambientale, sarà indotto (appunto la concussione per induzione) a pagare per ottenere un appalto da un amministratore, senza che questi lo minacci nel concreto (come avveniva durante Tangentopoli). Fino ad oggi il suddetto imprenditore, poiché appunto indotto, non aveva responsabilità: nei fatti si è trovato costretto. Oggi non sarà più così. “Si troverà – ha insistito Di Pietro – ad essere cornuto e mazziato”. Proprio perché risponderà dello stesso reato del suo corruttore. Con il risultato scontato, dunque, che nessun imprenditore indotto denuncerà più alcunché.
Insomma, il rischio è che la corruzione diventi ancora più dilagante di quanto già oggi non sia, perché non solo verrà cancellato un reato madre come la concussione per induzione, ma si sono poste le condizioni affinchè nessuno più denunci quanto capitato.
Ma, attenzione, non finisce qui. Nell’intervento di Donatella Ferranti (Pd), la maggioranza si è fatta vanto di aver inasprito le pene per corruzione e concussione. Vero. Ma anche qui il trucco. Alcuni commi (contenuti sia in questo articolo, che nell’articolo 7 di cui si discuterà domani) prevedono un taglio importante ai termini di prescrizione: ben cinque anni in meno. E, tra i possibili beneficiari, proprio il Pd Filippo Penati, indagato per concussione per la vicenda Falck-Serravalle. L’allarme era già stato dato domenica scorsa da Federico Palomba (Idv): Penati cadrebbe immediatamente in prescrizione dato che la vicenda risale al 2002 e la prescrizione cadrebbe proprio nel 2012. Quest’anno.
Chiara, sulla questione, è stata Donatella Ferranti che nel suo intervento ha precisato: “non è vero nulla. La colpa è di come oggi è concepita la prescrizione, che dovrebbe essere riformulata in toto”. La responsabilità, dunque, nel caso in cui Penati venga prescritto è da ascrivere alla prescrizione in quanto tale. Non a chi la accorcia.
Ancora più esilarante l’intervento di Manlio Clemente: “avete aiutato Penati e punito Berlusconi” solo “per una storia di lenzuola”. Questa è una legge “contra personam”. Si salvi chi può.

SCHEDA: Corruzione, condannati fuori dalle Camere dal 2018



Preclusi anche incarichi di governo, ma solo con condanne definitive.


ROMA - Nessun condannato in via definitiva potrà entrare in Parlamento o avere incarichi di governo, ma a partire dal 2018, stabilisce la delega contenuta nel ddl anti-corruzione. Anche se il ministro Filippo Patroni Griffi in una nota precisa: "Con il testo approvato oggi, il Governo è in grado di esercitare la delega a partire dal giorno successivo all'approvazione della legge e in questo modo i nuovi divieti sarebbero di immediata applicazione. Il termine della delega è un termine massimo".
Se l'articolo 10 del ddl Anticorruzione, su cui oggi è stata votata la fiducia al governo, diventerà legge, le persone condannate con sentenza passata in giudicato a più di due anni per i reati gravi (come mafia e terrorismo) e per quelli contro la Pubblica Amministrazione o coloro che hanno subito condanne sempre in via definitiva per tutti gli altri reati per i quali sono previste pene superiori nel massimo a tre anni, non potranno essere elette né al Parlamento nazionale, né a quello europeo, né potranno ricoprire incarichi di governo. Tali limiti però varranno solo dopo il 2013. Cioé a partire dalla legislatura del 2018.
Nel testo licenziato dalle commissioni Affari Costituzionali e Giustizia della Camera, e sul quale il governo ha chiesto e ottenuto la fiducia, si dà infatti un anno di tempo al governo per fare un decreto legislativo sulla materia delle incandidabilità. A dire il vero, nell'originario testo Alfano, il divieto di candidare persone condannate in via definitiva era stato scritto per diventare immediatamente legge. La scelta di affidare al governo la delega a legiferare sul tema, cosa che ne allunga inevitabilmente i tempi per l'entrata in vigore, venne inserito al Senato con un emendamento di Lucio Malan (Pdl). Secondo la norma appena votata, non potranno essere candidati anche coloro che avranno deciso di patteggiare la propria pena.
Secondo il Pd "l'incandidabilità in conseguenza di sentenze definitive di condanna può essere applicata già alle prossime elezioni politiche del 2013 se il governo eserciterà, come è sicuramente possibile, la delega in tempo utile". Lo dichiarano i deputati democrat Oriano Giovanelli e Donatella Ferranti. "In coerenza con un nostro emendamento e con quanto affermato nella nostra dichiarazione di voto - spiegano - abbiamo presentato un ordine del giorno, che ci auguriamo sarà approvato domani, nel quale è contenuto l'impegno per il governo 'ad esercitare la delega in tempo utile affinche' le norme in questione si applichino alle prossime elezioni'".

Evoluzione del lavoro.


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Acea, oggi si vota ma a porte chiuse. - Ernesto Menicucci


Polemica sui provvedimenti dopo la rissa di lunedì. Scontro sulla validità della sospensiva. Sanzioni, si salvano «Tarzan» e Lucarelli. Alemanno: denuncerò Pd per manifesti.

Un momento della rissa (Foto Jpeg)Un momento della rissa (Foto Jpeg)
ROMA - Niente cartellini «gialli», figuriamoci rossi. Dopo l'aula Giulio Cesare trasformata in un ring, con schiaffi, spinte, pugni, la nuova polemica è sulle decisioni dell'ufficio di presidenza riunitosi martedì per esaminare le sanzioni da infliggere ai protagonisti della rissa. I «richiami» sono appena cinque, quattro del centrosinistra e uno del centrodestra: i consiglieri del Pd Umberto Marroni (ferito ad una mano e contuso ad un braccio), Daniele Ozzimo ed Athos De Luca, quello della «Lista Civica Rutelli» Gianluca Quadrana, il pidiellino Federico Mollicone, che ha strattonato Marroni. Tutti gli altri la passano liscia: tra questi Fabrizio Santori e Federico Guidi, entrambi Pdl, tra i più attivi nei litigi con gli attivisti dei movimenti. In un video, in particolare, si vede Santori colpire un manifestante da dietro. E mercoledì mattina Alemano promette: «Denuncerò Pd per manifesti».
I manifesti del Pd contro Alemanno (Jpeg)I manifesti del Pd contro Alemanno (Jpeg)
E si «salva», per ora, anche Andrea Alzetta, detto «Tarzan», autore di un suo personalissimo match di pugilato: pugni contro lo stesso Santori, poi contro i pidiellini Luca Gramazio e Antonio Gazzellone, entrambi a vuoto. Alzetta sarà convocato in una riunione ad hoc che esaminerà il suo caso. L'ufficio di presidenza, guidato dall'ex Fi Marco Pomarici, ha inflitto anche undici «Daspo» ai rappresentanti dei movimenti. Ma non ha preso provvedimenti sul caposegreteria di Alemanno, Antonio Lucarelli, che nelle immagini si vede sgambettare una ragazza che - scavalcate le divisioni del pubblico - ha invaso l'aula del consiglio. Le opposizioni protestano: «Non punire Lucarelli, Santori e Mollicone è da pavidi», dice il segretario romano del Pd Marco Miccoli. Si arrabbia anche Francesco Storace (La Destra): «Che vergogna. A Rossin (il capogruppo del suo partito, che giovedì scorso aveva rovesciato una scrivania in aula, ndr ) tre giornate. Ai teppisti scatenati di lunedì qualche buffetto». L'unica decisione di peso è quella di far svolgere il prossimo consiglio senza pubblico: il centrodestra aveva chiesto un mese, poi due giornate. Gazzellone è contrario: «L'Assemblea non merita le porte chiuse».
(Foto Jpeg)(Foto Jpeg)
E il voto sulla sospensiva agli ordini del giorno? Secondo i consiglieri di centrosinistra quella votazione è «illegittima»: «Anche perché - raccontano - nel momento del voto almeno tre del Pdl, Gramazio, Gazzellone e Mollicone, erano ai banchi della presidenza». Ma si ripeterà la votazione? Gianfranco Zambelli (Pd) ha avanzato la richiesta nell'ufficio di presidenza. Pomarici gli ha risposto che «è oggetto della capigruppo, non di questo ufficio». Il presidente dell'Assemblea, poi, è più netto: «Non si è stabilito di procedere alla ripetizione, perché la votazione è valida e legittima a tutti gli effetti». Il Pd ha inviato due lettere: una al Capo dello Stato Giorgio Napolitano, l'altra al prefetto Giuseppe Pecoraro e al ministro degli Interni Anna Maria Cancellieri, nella quale si parla di «indebite pressioni» sul segretario generale che «ha formulato un parere pilatesco e inaccettabile». E anche l'Udc sta lavorando ad un documento di critica sul ruolo del Segretario generale. Alemanno attacca l'opposizione: «Roma non deve chiedere il permesso a Tarzan per andare avanti». La battaglia su Acea prosegue.


La rissa: http://www.rainews24.rai.it/it/canale-tv.php?id=28399

Lombardo: come Cuffaro? Estraneo ma se responsabile pago.


Il presidente della Regione: "Mi affido alla magistratura, non commento la decisione del giudice, la subisco".


PALERMO. "Non faccio scongiuri, ci mancherebbe altro. Se sarò ritenuto responsabile dovrò pagare. Guai se non fosse così, come tutti gli altri cittadini. Mi affido alla magistratura, non commento la decisione del giudice, la subisco". 
Così il governatore della Sicilia, Raffaele Lombardo, ospite di '24 Mattino' su Radio 24, ha risposto alla domanda se non abbia timori di finire come il suo predecessore Totò Cuffaro in carcere, parlando della sua imputazione coatta per concorso esterno alla mafia. 
"Sono molto più che consapevole della mia assoluta estraneità a questa storia - ha detto - e lo dimostrerò nelle aule di giustizia che ora frequento perché credo che il migliore difensore di se stesso sia l'imputato. Comunque ho sempre detto, anche prima dell'imputazione coatta, che mi sarei dimesso perché il rinvio a giudizio o addirittura un'eventuale condanna non dovrà toccare il presidente della Regione bensì il cittadino Raffaele Lombardo".
"Confermo - ha aggiunto - che non mi ricandido a nulla. Ho espresso questa volontà ferma. Che farò? Sono appassionato di agricoltura, ho un agrumeto, è complicato governarlo e cercare di pareggiare i conti entro la fine dell'anno. Mi inventerò un lavoro, sono ancora capace di intendere e volere. Non è detto che non dia una mano alla causa politica nella quale credo ma non mi candido".