venerdì 12 ottobre 2012

Campania, indagine su 38 assunti all’Astir “a loro insaputa”. - Vincenzo Iurillo


'Sono stato assunto a mia insaputa' Napoli, inchiesta su lavoro e politica

L’inchiesta della Procura di Napoli sulle assunzioni compiute dalla spa pubblica che si occupa di bonifiche due giorni prima delle elezioni regionali del 2010. Contratti biennali, rescissi in anticipo dalla giunta Caldoro. Dai verbali storie di colloqui mai avvenuti. Indagato ex assessore della giunta Bassolino.

Assunti a loro insaputa. Senza aver sostenuto un colloquio. Senza ricordare di aver presentato domanda. Un paio di indagati hanno farfugliato risposte di questo tenore alle domande degli inquirenti. Il posto di lavoro come la vincita di una lotteria senza nemmeno procurarsi il biglietto. Inverosimile? E’ agli atti di un’inchiesta sulle assunzioni a chiamata diretta in un carrozzone nato con la giunta di Antonio Bassolino, l’Astir spa, società a capitale interamente pubblico della Regione Campania che si occupa di bonifiche ambientali. La segue il pm di Napoli Giancarlo Novelli, il magistrato che sta facendo le pulci alle spese senza rendiconto del consiglio regionale della Campania.
Le indagini si focalizzano su 38 contratti a tempo determinato biennale (la giunta Caldoro li interromperà nel luglio 2011, con un anno di anticipo). Contratti deliberati violando il patto di stabilità della Regione e avviati due giorni prima delle elezioni del 2010. Circostanza che non appare una coincidenza, se associata al fatto che l’assessore regionale che coprì politicamente l’operazione, Corrado Gabriele, è risultato tra i primi eletti in consiglio nel Pd, partito in cui era appena confluito dopo una decennale militanza in Rifondazione Comunista. Non sono formalizzate accuse di voto di scambio, ma Gabriele è indagato per abuso d’ufficio insieme ai beneficiari delle assunzioni e all’ex amministratore unico della spa, Domenico Semplice, per cinque anni sindaco Ds di Caivano (Napoli), per una vicenda che è uno spaccato illuminante di come si dispensano posti di lavoro nelle aziende controllate dalla politica e foraggiate coi soldi nostri.
Appunto. Come si arrivava a lavorare per l’Astir? Concorso? Procedura ad evidenza pubblica? Nulla di tutto questo, secondo le indagini della Procura che ha contestato un reato grave, la violazione del principio costituzionale di imparzialità e trasparenza dell’attività della Pubblica amministrazione. Indovinare il momento in cui l’Astir aveva bisogno di personale era un segreto accessibile – pare – solo agli smanettoni del computer o a qualche fortunato di cui parleremo in seguito. Convocati nel settembre 2011 davanti a un ufficiale dei carabinieri per spiegare in che modo avevano appreso che l’azienda pubblica assumeva, gli assunti dell’infornata pre-elettorale hanno detto quasi tutti la stessa cosa: avrebbero letto un annuncio sul sito Internet dell’Astir (cosa ben diversa da un bando pubblico) e inviato un curriculum. Poi hanno ricevuto il telegramma di convocazione, hanno fatto un corso di formazione in un palazzone del quartiere di Poggioreale, e alla fine si sono infilati una tuta blu e sono andati in giro per cantieri e strade statali per effettuare lavori di ripulitura e di bonifica. Qualcuno ha fatto un colloquio, qualcun altro no. Sono persone dalle storie più disparate: operai edili, cuochi, idraulici, un geometra che ha appena chiuso lo studio “perché le cose non andavano bene”, bidelli, segretari di scuole private in difficoltà. Quasi tutti senza competenze specifiche nel settore ambientale, ma che hanno bisogno di uno stipendio e si industriano per ottenere un posto qualsiasi per arrivare a fine mese. Uno di loro dice di aver saputo che l’Astir cercava personale perché glielo avevano detto alcuni dipendenti che si erano fermati a bere un caffè al bar che frequentava. Un altro ha sul groppone una condanna di quattro mesi: faceva parte di una lista di disoccupati organizzati che per protesta aveva occupato gli uffici dell’assessore Gabriele, titolare della delega al Lavoro. Viene assunto anche lui nonostante l’Astir richiedesse tra la documentazione necessaria il certificato penale e dei carichi pendenti.
La musica cambia negli interrogatori dell’ottobre successivo. Per i quali si fanno vivi i pm titolari di alcune inchieste parallele confluite poi nel fascicolo di Novelli. Viene sentito il figlio di un ex consigliere provinciale. Dice di non ricordarsi in che modo ha saputo che l’Astir assumeva. Ha dimenticato di aver sottoscritto la scheda-colloquio, rinvenuta dagli inquirenti in una precedente perquisizione degli uffici della società, che dovrebbe essere l’unica traccia di una presunta ‘selezione’. In sostanza l’uomo non sa spiegare il percorso tramite il quale si è ritrovato a lavorare con una busta paga di circa 1500 euro al mese. Una canzone simile a quella cantata dal cugino di un importante sindacalista. Tutto il contrario dell’intraprendenza rivelata a verbale da una signora abbastanza famosa negli ambienti politici napoletani per avere sconfitto in una tornata elettorale interna al Pd Bassolino in persona.
La signora dice subito di essere una militante democratica e di aver chiesto in giro ad amici e compagni di partito di segnalarle opportunità di impiego. Quando ha saputo che l’Astir stava avviando procedure di stabilizzazione degli ex lsu, si è fatta avanti: “In questi casi c’è bisogno anche di personale amministrativo, ho pensato”. Ma mette le mani avanti, giura che nessuno l’ha raccomandata, e che anzi Semplice, pur conoscendola da anni e presenziando al colloquio, l’aveva invitata a cercare un posto altrove. In ogni caso, viene assunta anche lei. Per modo di dire, perché i contratti dovevano durare due anni e invece verranno interrotti a metà per iniziativa del Governatore Caldoro, preoccupato per lo sforamento dei conti, stroncando sul nascere le speranze dei 38 dipendenti che speravano di entrare nel circuito dei rinnovi che è il preludio della stabilizzazione a tempo indeterminato.
Era accaduto in passato e poteva accadere in futuro. La delibera di Caldoro fu accompagnata da numerose polemiche e spaccò il Pd tra favorevoli e contrari. Il capogruppo Peppe Russo, schierato coi primi, ha denunciato di aver ricevuto minacce. E’ stato sentito come testimone nell’ambito dell’inchiesta di Novelli. Nel fascicolo c’è una sua intervista a Il Mattino in cui reputa giusti i tagli. C’è pure un comunicato del maggio 2010 di un assessore regionale del nuovo corso, Marcello Taglialatela. L’esponente del Pdl parla espressamente di “clientele”: “Tali assunzioni, perfezionate nei giorni immediatamente successivi alle elezioni regionali alle quali concorreva lo stesso assessore Gabriele, ma il cui iter era stato certamente avviato in data antecedente alla tornata elettorale, appaiono potenzialmente ispirate dalla volontà dello stesso assessore di conseguire un vantaggio in termini elettorali”. Gabriele lo ha querelato. Ma sotto inchiesta è finito lui.

Culture in Decline | Episodio #1 (Doppiato in italiano)



In questo primo episodio della serie "Culture in decline" si affronta il tema della percezione della democrazia nel mondo d'oggi, in occasione delle elezioni presidenziali 2012 negli Stati Uniti.


Versione italiana realizzata dal Movimento Zeitgeist Italia.
Traduzione: Nino Aloi

‘Ndrangheta a Reggio Calabria, Alfano: “Sbagliato sciogliere il Comune”


‘Ndrangheta a Reggio Calabria, Alfano: “Sbagliato sciogliere il Comune”


Mentre il sindaco Arena difende in conferenza stampa il suo operato, scoppia la polemica tra Pdl, Pd e governo sullo scioglimento del capoluogo calabro.Gasparri e La Russa: "Decisione penalizzante". Garavini: "Sconcertanti affermazioni". Napolitano intanto firma il decreto.

Mentre a Reggio Calabria il sindaco Demetrio Arenacommissariato dal ministro Anna Maria Cancellieri due giorni fa, difendeva le ragioni della sua amministrazione in una fluviale conferenza stampa di quasi tre ore, sul caso Reggio è scoppiata una polemica a livello nazionale tra Pdl, governo e Pd.
Ad aprire le danze è il segretario del Pdl Angelino Alfano che senza mezzi termini parla dello scioglimento come di un atto che “penalizza e condanna un’intera comunità e non rafforza la presenza dello Stato”. Concetti ripresi dal presidente dei senatori Pdl, Maurizio Gasparri, che dice di “non condividere le decisioni del governo” e dal coordinatore del Pdl Ignazio La Russa che condivide “totalmente la dichiarazione di Alfano”.
La risposta del Pd è affidata al capogruppo in commissione Antimafia, Laura Garavini, secondo la quale “lo scioglimento farà ripartire la città, anzi ne è condizione fondamentale”, ed al responsabile Giustizia Andrea Orlando che si dice sconcertato da Alfano perché il Cdm “interviene solo quando sono emersi elementi fondati e riscontrabili”.
Mentre a Roma prende corpo la polemica, a Reggio Arena si presenta ai giornalisti per dire che lui non è la genesi della ‘ndrangheta e che lo scioglimento del Comune non è il percorso adatto per combattere la criminalità. Proprio non vuole, Arena, vedersi cucita addosso l’etichetta di guida di un’amministrazione collusa con le cosche. E per spiegare i suoi perché convoca la stampa in una delle sale del Consiglio regionale, lontano da palazzo San Giorgio, dove lunedì arriveranno i tre commissari inviati dalla Cancellieri. In realtà più che una conferenza stampa è un convegno. La sala “Nicolas Green” è gremita, ma non solo di telecamere e giornalisti. Ci sono tantissimi politici, con in testa il governatore Giuseppe Scopelliti, che di Reggio è stato sindaco sino a due anni fa, semplici cittadini ed amministratori regionali e comunali. Tra i politici cittadini presenti c’è anche l’assessore ai lavori pubblici Morisani in cui nome figura nelle carte della commissione d’accesso che hanno portato allo scioglimento.
Per ora Arena sembra anche escludere il ricorso al Tar: “Non mi appassiona l’idea di fare ricorso”. Quindi il saluto, l’applauso dei suoi e l’abbraccio con Scopelliti che prima di andarsene dice che “è stato perfetto ciò che ha detto il sindaco”.
Intanto in serata si è appreso che il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha firmato il decreto di scioglimento del Comune. Il provvedimento sarà notificato nei prossimi giorni ai commissari prefettizi e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale.

Studenti, proteste davanti al Pirellone Fumogeni e lancio di uova a Torino.


La proteste “Bastoni e carote” a Torino

Studenti e professori in piazza in 90 città per “difendere il proprio futuro”. A Roma blitz contro la sede dell’Unione Europea.


ROMA
Gli studenti italiani in piazza in 90 città italiane per “difendere il proprio futuro”. La giornata di mobilitazione nazionale del 12 ottobre, precisa un comunicato della rete della Conoscenza “è stata lanciata dall’Unione degli studenti quest’estate, per manifestare contro la svendita della scuola pubblica e la distruzione dell’università, ha avuto una grande diffusione e preannuncia l’apertura di un autunno di mobilitazione intenso”.  

Torino gli studenti hanno lanciato carote contro la sede del Miur e lungo il percorso. Il gesto è simbolico: «il ministro Profumo - spiegano - ha detto che con gli studenti si devono usare il bastone e la carota. L’ultima volta con noi è stato usato il bastone, oggi noi rispondiamo con le carote». Il riferimento è ai tafferugli con la polizia di una settimana fa. Gli studenti torinesi hanno poi raggiunto la sede della provincia, dove hanno srotolato nastro da cantiere tra le colonne dell’edificio. Alcuni studenti hanno poi acceso due lacrimogeni e hanno lanciato uova contro Palazzo Cisterna.  

Milano un gruppo di una trentina di studenti si è staccato dal corteo e ha raggiunto Palazzo Lombardia, sede della Giunta regionale, per protestare: sono state strappate le bandiere della regione esposte e sono stati lanciati fumogeni. In seguito, anche il resto del corteo ha raggiunto il Pirellone. Tra i ragazzi si è levato il grido di «dimissioni», rivolto al governatore Roberto Formigoni e all’assessore lombardo all’Istruzione Valentina Aprea. 

Nonostante la pioggia battente, a Roma gli studenti si sono radunati di fronte alla sede locale del Parlamento Europeo. Durante il successivo corteo, gli studenti hanno strappato le bandiere dell’Unione. Il corteo romano è partito da piazza della Repubblica per raggiungere piazza dell’Esquilino, dove ad attenderli i docenti della Cgil scuola. Al loro ingresso nella piazza sono stati accolti da un lungo applauso dei professori. Secondo gli organizzatori, gli studenti che hanno aderito al corteo sono almeno 10mila. 

Bari il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, insieme all’assessore allo Studio Alba Sasso, sta ricevendo una delegazione di studenti medi e universitari in rappresentanza del corteo conclusosi proprio nei pressi della presidenza della giunta regionale. Nella piattaforma rivendicativa verso la Regione ci sono i finanziamenti alla Legge Regionale per il diritto allo studio delle scuole superiori e la copertura totale delle borse di studio  

In centro a Genova i cortei in corso sono due. Insegnanti e personale amministrativo marciano verso largo Pertini, dove è prevista la manifestazione conclusiva. Il corteo degli studenti è invece stazionato per una ventina di minuti davanti alla fiera, dove si svolge il salone nautico. A Firenze invece studenti e personale docente hanno sfilato insieme. Circa 2mila manifestanti hanno organizzato un cordone umano che da piazza della Signoria si è snodato fino a via Martelli, concentrandosi davanti al liceo Galileo dove nei giorni scorsi è crollato un controsoffitto. 

Sono state organizzati cortei in 90 città italiane, lungo tutto lo stivale. Gli studenti contestano soprattutto il Pdl 953 che elimina le rappresentanze studentesche dai consigli d’istituto. Luca Spadon portavoce nazionale di Link Coordinamento universitario , ha dichiarato: «Sul nostro striscione questa mattina c’è scritto “Una scuola di qualità ce la chiede l’Europa”, finora governo e politici hanno tirato fuori la bandiera del “ce lo chiede l’Europa” solo quando si tratta di sacrifici economici, in modo strumentale e volendo negare un’altra idea di Europa: la nostra! L’Europa ci chiede anche di ridurre gli abbandoni scolastici del 10%, di aumentare il numero dei laureati, di raggiungere il traguardo dell’85% dei 22enni diplomati, l’Europa ci chiede una sistema d’Istruzione di qualità!». “Oggi in piazza sono presenti anche molti studenti universitari - precisa Spadon - per dimostrare a questo governo che gli studenti non sono disponibili a fare dei passi indietro sui temi della conoscenza e per ribadire con forza la nostra contrarietà all’aumento delle tasse per i fuori corso voluta dal ministro Profumo e alla diminuzione dei fondi sul diritto allo studio, provvedimenti drammatici questi che non permetteranno a tanti giovani di iscriversi all’università”. 

Nobel Ue, un assurdo premio per i "gatti grassi". - Mario Giordano



Chissà che ne pensano i disoccupati greci, o giovani precari italiani?

 

Dare il premio Nobel per la pace all’Unione europea è un po’ come dare il premio Oscar per la miglior interpretazione a un carciofo bollito. Di tante assurdità cui la giuria di Oslo ci aveva abituato nel tempo, questa è la più incredibile: sono mesi che diciamo che l’Europa non esiste e che i guai che ci sommergono sono provocati proprio da un continente burocratico e cavilloso, che strapaga i suoi dirigenti per occuparsi delle curvature delle banane, mentre lascia i cittadini a morire di fame. E mai come in questi mesi l’inefficienza disastrosa di Bruxelles ha minacciato la pace nel continente, portando la gente in strada da Atene a Madrid, esasperando gli animi, provocando incidenti e scontri.
Chi glielo dice, adesso, ai disoccupati della Grecia che l’Ue ha vinto il Nobel per la pace? Chi glielo dice ai giovani italiani che non trovano più un lavoro nemmeno a pagarlo? Chi glielo dice agli imprenditori spagnoli che falliscono a catena? La mancanza di una politica comune, cioè la mancanza di una vera Unione Europea, è la causa di tutti questi guai. Come si fa a dare un premio a tutto ciò? Dicono: è un segnale d’incoraggiamento. Ma ciò poteva valere per Obama, premiato ancor prima di essere eletto, senza che avesse combinato nulla né nel bene né nel male. Non per l’Unione europea, che di bene ha combinato poco. E di male, invece, un sacco.
Diciamocela tutta: questa è una struttura elefantiaca che non è mai stata in grado di garantire nulla per i suoi cittadini, ma solo per i suoi burocrati. I 44mila dipendenti di Bruxelles sono stati ribattezzati, da una celebre inchiesta di una tv inglese, i “gatti grassi”: mentre le famiglie europee tagliavano i loro bilanci, loro scendevano in piazza per difendere i loro stipendi d’oro (un usciere guadagna tra i 4 e i 6 mila euro netti al mese, un archivista arriva a 9mila euro, un dirigente supera come niente i 16mila).

Solo per gli ex dipendenti nel 2013 spenderemo 1.473 milioni di euro cioè il 34 per cento in più rispetto al 2008. Nel 2010 nel pieno della crisi economica ebbero il coraggio di stanziare un aumento (1500 euro in più al mese) per i portaborse dei deputati. E nello stesso anno furono spesi 2,6 milioni per un nuovo centro visitatori e 2 milioni per una nuova palestra degli eurodeputati, con tanto di fitness e sala per fisioterapia (motto: coccolatevi un po’, come se non lo facessero abbastanza).
Ora questo continente di gatti grassi, di spese folli, di sale fitness e palazzi d’oro, di norme inutili sulla dimensione dei piselli (ortaggi) e sulla gibbosità delle melanzane, questo coacervo di direttive sciocche che pochi giorni fa discuteva sulla necessità di introdurre l’obbligo di catene da neve anche a Lampedusa e Pantelleria, ebbene, questo continente vince il nobel della pace. E a noi, chissà perché, viene una gran voglia di dichiarargli guerra.

giovedì 11 ottobre 2012

Facebook non paga le tasse: è l'antisocial network. L'Independent gli fa le pulci.

Il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg

ROMA - «Antisocial network». Il titolo scelto dall'Independent per denunciare la gestione fiscale del padre di tutti i social network non lascia adito a dubbi. Facebook, stando ai dati pubblicati dal quotidiano britannico, avrebbe infatti pagato solo 238mila sterline di tasse per le sue attività nel Regno Unito a fronte d'introiti pari a 175 milioni. 

Il trucchetto utilizzato è del tutto legale ed è per altro prassi comune per i colossi dell'era 2.0 come Apple, Google e Amazon: esportare i profitti in Irlanda, dove si trova il quartier generale di Facebook per l'Europa (Amazon, dal canto suo, ha scelto invece il Lussemburgo). La cifra di 175 milioni di sterline è stata fornita dalla società di analisi indipendente Enders Analysis mentre i dati fiscali del gigante da 1 miliardo di utenti sono stati reperiti attraverso visure camerali. «È immorale che queste società di successo non paghino le tasse nei paesi in cui sono basate e fanno profitti», ha detto all'Independent John Mann, deputato laburista e membro della commissione parlamentare del Tesoro. «Traggono immensi benefici dall'infrastruttura internet del nostro Paese ma non fanno nulla per contribuire». 

Facebook non ha voluto commentare sulla stima degli affari condotti nel Regno Unito e attraverso un portavoce ha commentato: «Come è normale che sia per un'azienda presente in decine di nazioni sparse per il mondo, compiliamo report sulle nostre attività locali; queste informazioni però non rispecchiano necessariamente le performance globali quindi sarebbe un errore tirare delle conclusioni sulla base di questi report».


http://www.ilmessaggero.it/tecnologia/hitech/facebook_evade_tasse_independent_antisocial_zuckerberg/notizie/224911.shtml

Formigoni rilancia: giunta nuova e molto ridotta nei numeri.


formigoni salvini


Il presidente della Lombardia fronteggia i malumori leghisti e ribatte minacciando di far cadere le altre tre regioni del Nord, legate allo stesso patto elettorale. Poi annuncia forti riduzioni e nomi nuovi, ma intanto viene condannato per diffamazione contro i Radicali.

Formigoni non ci sta e non è disposto ad accettare diktat dalla Lega Nord. Alla minaccia dei leghisti di abbandonare il governo lombardo, messa in campo con le dimissioni presentate dagli assessori del partito del Carroccio, il presidente della regione risponde contrattaccando, minacciando di far cadere tutto il castello di governi regionali del Nord Italia messi in piedi nell’ultima tornata elettrorale. E nel pomeriggio ha dichiarato: «Indipendentemente da tutti, siccome il presidente eletto sono io e voglio dare risposte ai cittadini lombardi, ci sarà una forte discontinuità che metterò in atto nei prossimi giorni: una riduzione molto forte della giunta che sarà rinnovata nella composizione».

«Se cade la Lombardia – ha voluto precisare –, i leghisti sappiano che cadranno anche il Veneto e il Piemonte, che fanno parte dello stesso accordo elettorale che mi ha portato a essere nuovamente il presidente della Regione». Niente scherzi, dice dunque Formigoni a Maroni e compagni, se fate lo sgambetto a me, qui in Lombardia, il Pdl saprà come reagire nelle due realtà dove al momento governa la Lega, il Veneto con Zaia e il Piemonte con Cota. «Spetta a loro decidere se far cadere le tre giunte», ha concluso sibillinamente.

Una posizione forte, quella di Formigoni, testimoniata anche dal fatto che appena saputo delle dimissioni degli esponenti leghisti ha provveduto a togliere loro le deleghe destituendoli dall’incarico di assessore e cominciando già a pensare a chi affidare importanti poltrone come quella di assessore alla Sanità.

Dopo avere risposto alla Lega, Formigoni ha voluto sottolineare la sua opinione riguardo la questione che ha coinvolto l’assessore Domenico Zambetti, accusato di avere comprato voti dalla ‘ndrangheta. «Ha tradito il suo presidente e il suo partito», ha detto senza mezzi termini il presidente regionale, aggiungendo che la vicenda è di «una gravità assoluta ed è del tutto inaccettabile».

Ora la palla passa dunque alla Lega, che nelle intenzioni avrebbe invece sperato che la decisione finale fosse presa dal loro alleato. L’unica cosa certa, a questo punto è che le alternative sono due: il rimpasto, suggerito anche dal segretario del Pdl Angelino Alfano, che ha chiesto a Formigoni di «azzerare tutto e ricominciare da capo» o le elezioni anticipate, chieste a gran voce dall’opposizione, che ha minacciato le dimissioni di massa ma che per ora sembra restare alla finestra in attesa degli eventi.

CONDANNATO PER DIFFAMAZIONE
Intanto il giudice della IV sezione penale di Milano lo ha condannato per diffamazione a 900 euro di multa mentre il pm Mauro Clerici aveva chiesto per lui una condanna a un anno di reclusione e 500 euro di multa. In più dovrà risarcire la somma complessiva di 110.000 euro ai Radicali. Secondo l'accusa, il governatore lombardo aveva accusato con una serie di dichiarazioni alla stampa il partito dei Radicali di ''avere ordito un complotto'' contro di lui, incolpandoli di avere manipolato le firme a sostegno della sua lista.