giovedì 11 dicembre 2014

Trattativa, pm chiede condanna a 9 anni per Mannino. - Giuseppe Pipitone



È la prima richiesta di condanna in un procedimento sul Patto tra pezzi delle Istituzioni e Cosa Nostra. L’ex ministro democristiano ha scelto di essere processato con il rito abbreviato: e dopo tre udienze i pm Vittorio Teresi e Roberto Tartaglia hanno concluso l’esposizione della requisitoria, formulando la richiesta di pena davanti al gup Marina Petruzzella.


Nove anni di carcere: è questa la richiesta di pena formulata dall’accusa per Calogero Mannino. L’ex ministro democristiano, imputato per la Trattativa Stato mafia. Mannino ha scelto di essere processato con il rito abbreviato: e dopo tre udienze i pm Vittorio Teresi e Roberto Tartaglia hanno concluso l’esposizione della requisitoria, formulando la richiesta di pena davanti al gup Marina Petruzzella. È la prima richiesta di condanna dei pm di Palermo in un procedimento per il Patto tra pezzi delle Istituzioni e Cosa Nostra. Per l’accusa Mannino è l’uomo del prequel della Trattativa: finito nella black list di Totò Riina, che voleva punire i politici che non avevano mantenuto le promesse fatte ai boss, l’ex ministro prova ad aprire un contatto con Cosa Nostra per salvarsi la vita. Nella requisitoria i pm hanno ripercorso le varie fasi del quadro probatorio a carico di Mannino: dai contatti del Ros con Vito Ciancimino, alle dichiarazioni di Luciano Violante arrivate con vent’anni di ritardo, fino ai documenti prodotti da Ciancimino Junior.
Per i pm, le varie fasi dei contatti tra il Ros di Mario Mori e Giuseppe De Donno con Vito Ciancimino, “rappresentano in pieno il contributo morale e fattuale di Calogero Mannino“. I Ros avrebbero “agganciato” l’ex sindaco mafioso di Palermo su input di Mannino, terrorizzato per la condanna a morte emessa da Riina. È per questo che inizia la Trattativa: non per fermare le stragi ma per salvare la vita ad alcuni politici” aveva esordito Tartaglia.
“Oggi – continuava i pm nelle udienze precedenti il generale Mori e il colonnello De Donno parlano di raffinata operazione di polizia giudiziaria a proposito dei colloqui con l’ex sindaco Vito Ciancimino, nel 1992. Fino a ieri pomeriggio, l’ha ribadito in un’intervista il capitano Ultimo. Ma nel 1998 dicevano ben altro i carabinieri davanti ai giudici di Firenze, parlando esplicitamente di Trattativa”. Il riferimento è per l’udienza del 27 gennaio del 1998, davanti la corte d’assise di Firenze, quando Mori raccontò per la prima volta quei contatti con l’ex sindaco mafioso di Palermo. “Andammo da Ciancimino – disse Mori – e prendemmo il discorso: ormai c’è muro contro muro, ma non si può parlare con questa gente? Lui dice di si, si potrebbe, ci dice che è  in condizioni di poterlo fare. Certo io non potevo dire signor Ciancimino mi faccia arrestare Riina e Provenzano. Gli dissi lei non si preoccupi, e lui capì volevamo sviluppare questa trattativa”.
Ad aggravare i rapporti tra il Ros è Ciancimino, è il fascicolo sull’ex sindaco trovato nell’archivio dell’Arma. “Lì non c’è un solo appunto, neanche criptato, sui colloqui fra i carabinieri e Ciancimino. Dall’aprile del 1992 a dicembre non c’è nulla. Poi, all’improvviso, il 18 dicembre, il giorno dell’arresto dell’ex sindaco compaiono degli articoli dei giornali” ha detto Tartaglia.
Importantissime, per il pm “le testimonianze che ad un certo punto importanti esponenti istituzionali hanno ritenuto di consegnare all’autorità giudiziaria, vent’anni dopo i fatti: una sorta di operazione di recupero della memoria“. Primo anello della catena, l’onorevole Luciano Violante, che “poco dopo le dichiarazioni di Massimo Ciancimino, e dopo tanti anni dai fatti accaduti, parla con la procura, raccontando di essere stato avvicinato da Mario Mori nell’autunno del 1992″. In tutti questi incontri, Mori chiede a Violante, se per caso l’allora presidente della commissione antimafia fosse interessato a “incontrare Vito Ciancimino“. Un racconto, ha sottolineato il pm, che arriva solo 20 anni dopo. “Il dato importante – ha spiegato il pm – è che Mori non comunica quella volontà all’autorità giudiziaria, segno che la sua è un’attività politica non giudiziaria”. Mandante dei carabinieri sarebbe stato proprio Mannino, che nel maggio del 1992 veniva monitorato da Giovanni Brusca. “Feci dei sopralluoghi sia a Palermo che a Sciacca (città d’origine del politico)” ha raccontato il collaboratore di giustizia. Poi Mori e De Donno iniziano a incontrare Ciancimino, a discutere di papello: e la condanna a morte per Mannino viene annullata.
A chiedere la condanna di Mannino, anche l’avvocatura dello Stato, il Partito Rifondazione Comunista e il comune di Palermo, che si sono costituiti parte civile. L’avvocato Giovanni Airò Farulla, che rappresenta il comune palermitano, ha chiesto un milione di euro come risarcimento danni all’ex ministro.

Piccoli geni | William James Sidis, il più intelligente di sempre.

Piccoli geni | William James Sidis, il più intelligente di sempre.  

Nato nel 1898 a New York, Sidis è tuttora considerato la persona più intelligente mai esistita. Laureatosi con lode a 16 anni, insegnò tre materie scientifiche per poi ritirarsi nell'anonimato dopo l'arresto e l'internamento psichiatrico voluto dal padre.

William James Sidis, nato a New York il 1º aprile 1898, è considerato ancora oggi il più intelligente di sempre. Il sui QI, infatti, è risultato essere il più alto, avendo totalizzato 254 /300 punti. Fin dai primi mesi della sua vita, Sidis mostrò uno sviluppo intellettivo incredibilmente precoce. A sei mesi il piccolo William già cominciò a parlare, a un anno parlava perfettamente, a 18 mesi leggeva il quotidiano, a quattro anni parlava latino, a otto anni aveva già scritto quattro libri, tra cui uno di anatomia e uno di geometria. Il percorso di Sidis diventava sempre più accidentato. Il giovane bruciava le tappe, tanto che ad 8 anni aveva capacità matematiche superiori a quelle del padre, a sua volta considerato un genio. Sempre a questa età superò i test di ammissione per l’Università di Harvard, a cui fu costretto a rinunciare perché troppo piccolo. Due anni dopo, invece, viene ammesso e il 18 giugno 1914 ottiene la laurea con lode in lettere. Nonostante la laurea in lettere, Sidis cominciò ad insegnare tre materie scientifiche: geometria euclidea (per la quale scrisse una dispensa in greco), geometria non-euclidea e trigonometria.
La situazione familiare precipitò: i rapporti con il padre si fecero sempre più tesi, ma il punto di rottura, probabilmente, venne raggiunto nel momento in cui, partecipando ad una manifestazione operaia del primo maggio 1919, venne arrestato dopo degli scontri. La notizia ebbe ampia risonanza, William si dichiarò socialista e non credente, mentre l’accusa lo indicò come responsabile dei disordini, chiese 18 mesi di reclusione e riuscì ad imporre una cauzione di 5000 dollari (pagati dall’amico Leverett Saltonstall. Grazie all’intervento del padre che trovò un accordo con il giudice, il caso venne archiviato. Dopo l’evento i genitori – il padre era uno stimato psichiatra – lo fecero internare di forza in una clinica psichiatrica di loro proprietà. I rapporti tra William e il padre si ruppero definitivamente e portarono il giovane genio ad allontanarsi, a condurre una vita “normale” come impiegato.
Morì per emorragia cerebrale all’età di 46 anni nel 1944. Si racconta che parlasse correttamente 40 lingue e che fosse capace di impararne una in tre giorni. Mentre svolgeva la sua vita ordinaria, Sidis continuava a scrivere: furono ritrovati libri di fantascienza, scientifici e romanzi in casa sua e in quella di amici, mentre scrisse sotto pseudonimo sul Boston ben 89 articoli. Nel libro “Mondo animato e mondo inanimato” (1920) anticipa il concetto di “buco nero”. Il gran numero di frontespizi ritrovati fa pensare ragionevolmente che i libri venuti alla luce non siano che una piccola parte di tutta la produzione di Sidis.
http://scienze.fanpage.it/piccoli-geni-william-james-sidis-il-piu-intelligente-di-sempre/

Galatolo, vertice tra procure sul ruolo di “Faccia da mostro”. - Giuseppe Pipitone e Sandra Rizza



Alla riunione, convocata martedì pomeriggio dalla Dna, i magistrati di Palermo, Caltanissetta, Catania e Reggio Calabria per uno scambio di informazioni sulle rivelazioni del neo-pentito dell’Acquasanta. Sul tavolo, anche le indagini sul killer dal volto sfigurato che avrebbe partecipato ad alcuni tra i più efferati delitti di Cosa nostra.

Un vertice investigativo tra i magistrati della procura di Palermo, Catania, Caltanissetta e Reggio Calabria per discutere delle ultime rivelazioni del pentito Vito Galatolo, il picciotto dell’Acquasanta che ha svelato il piano di morte per Nino Di Matteo. All’incontro, convocato martedì pomeriggio dalla Procura nazionale antimafia, erano presenti per la prima volta i magistrati della Dda reggina competente sul tratto di mare in fondo al quale giace il mercantile ‘’Laura Cosulich’’, affondato durante la seconda guerra mondiale al largo delle Saline Joniche: una parte del tritolo che doveva essere utilizzato a Palermo per eliminare Di Matteo potrebbe, infatti, provenire dalle stive del relitto, dal quale già nel maggio scorso i sommozzatori della polizia recuperarono 24 chili di esplosivo.
Sul tavolo del vertice organizzato per il periodico scambio di informazioni tra gli organi inquirenti, c’erano anche le rivelazioni che Galatolo avrebbe reso ai pm di Palermo e Caltanissetta su ‘’Faccia da Mostro’’, il killer dal volto sfigurato, con in tasca la tessera da 007, che avrebbe partecipato ad alcuni dei delitti più eclatanti di Cosa nostra, tra gli anni Ottanta e Novanta. L’uomo è stato identificato in Giovanni Aiello, dirigente della polizia in servizio a Palermo negli anni Settanta, attualmente in pensione e residente nel comune di Montauro, in provincia di Catanzaro, per mesi indagato da tutte e quattro e procure.
‘’E’ lui. E’ l’uomo che veniva utilizzato come sicario in affari che dovevano restare ‘’riservati’’ – ha detto nel giugno scorso Giovanna Galatolo, la sorella di Vito, pentita da circa un anno, riconoscendo l’ex poliziotto in un confronto all’americana- tutti i miei parenti lo chiamavano lo sfregiato, sapevo che viaggiava sempre tra Palermo e Milano, si incontrava sempre in vicolo Pipitone, con mio padre, con mio cugino Angelo e con Francesco e Nino Madonia’’.
Una testimonianza, quella della donna, che in un primo momento era stata accolta con prudenza dagli inquirenti ma che ora, dopo le nuove rivelazioni del fratello, potrebbe trovare un ulteriore riscontro. Secondo alcune indiscrezioni, infatti, Vito (figlio del boss dell’Acquasanta Vincenzo Galatolo) avrebbe raccontato nei giorni scorsi ai pm siciliani alcuni particolari sulle attività di ‘’Faccia da Mostro’’, appresi dal padre. Tra queste, il ruolo che il killer avrebbe avuto nel fallito attentato all’Addaura, sulla scogliera davanti alla villetta di Giovanni Falcone, nel giugno dell’89, e nell’omicidio del poliziotto Nino Agostino, ucciso a Palermo il 5 agosto dello stesso anno. Tra l’altro, il padre dell’agente assassinato, Vincenzo Agostino, durante una puntata della trasmissione ‘’Servizio Pubblico’’, riconobbe in Aiello il sicario a cavallo tra Stato e mafia che si era recato in casa sua due giorni prima dell’agguato, a chiedere informazioni sulla vittima.
A tirare in ballo ‘’Faccia da Mostro’’, non sono soltanto i Galatolo, ma anche un boss come Nino Lo Giudice, detto il ‘’Nano’’, capo di una cosca calabrese ritenuta da sempre in contatto con i servizi, che prima di ritrattare quanto aveva raccontato agli inquirenti da collaboratore di giustizia, aveva indicato Aiello come un killer spesso in azione al fianco di una donna, una certa Antonella, chiamata ‘’la segretaria’’. ‘’Tutti e due – aveva detto Lo Giudice – facevano parte dei servizi deviati dello Stato e la donna era stata ad Alghero in una base militare dove la fecero addestrare per commettere attentati e omicidi’’. Versione confermata da Giuseppe Maria Di Giacomo, esperto killer del clan catanese dei Laudani, collaboratore di giustizia il cui nome figura nell’elenco degli otto mafiosi detenuti contenuto nell’appunto denominato ‘’Farfalla’’Di Giacomo, insieme a boss di prima grandezza come lo stragista Fifetto Cannella, sarebbe stato il destinatario di un’offerta di denaro in cambio di informazioni riservate, nell’ambito del patto stilato nel 2003 tra il Sisde di Mario Mori e il Dap di Gianni Tinebra, oggetto del processo sulla Trattativa Stato-mafia.

Anche Luigi Ilardo, il boss mafioso che il colonnello Michele Riccio aveva infiltrato tra i fedelissimi di Bernardo Provenzano, prima di finire ucciso il 10 maggio 1996, aveva fatto cenno ad uno 007 col volto sfigurato: ‘’Noi – aveva detto- sapevamo che c’era un agente a Palermo che faceva cose strane e si trovava sempre in posti strani. Aveva la faccia da mostro, siamo venuti a sapere che era anche nei pressi di Villagrazia quando uccisero il poliziotto Agostino’’.

La scorta di Napolitano.



Il corteo presidenziale sfila per le vie di Roma in occasione del 2 Giugno 2014, Festa della Repubblica.

La dice lunga sugli scrupoli di coscienza che lo attanagliano, se avesse la coscienza pulita camminerebbe a piedi tra i cittadini che lui dovrebbe rappresentare.  

mercoledì 10 dicembre 2014

Di Battista (M5S): Ballarò "Renzi è la faccia nuova di un sistema marcio"



Semplice, comprensibile, lineare, eccezionale!

SE LA GOLDMAN SACHS SCRIVE I COMUNICATI STAMPA DELLA FED .... - FONTE: ZEROHEDGE.COM

la mano del burattinaio

Riportiamo da ZeroHedge una STORIA AMERICANA di Banche che controllano la politica e di contribuenti ignari che leggono sui giornali certi titoli incomprensibili che raccontano confusamente cose drammatiche. 
Chi legge sa di  non capire certe cose e non approfondisce, ma il governo è colluso e la forma è salva, quindi "i giochi possono cominciare". 
All'uomo della strada, al contribuente, all'elettore non resta altro che aspettare che arrivi il conto... Ma forse questa storia ci suona famigliare.

Nota della redazione di comedonchisciotte.org

MA COSI' ABBIAMO PERSO TUTTO

Da  FT:
 
Mentre imperversava la crisi finanziaria di settembre 2008Goldman Sachs e Morgan Stanley cercavano la protezione dalla Federal Reserve.

Gli ultimi due grandi broker indipendenti furono autorizzati a trasformarsi in Bank-holding Company, in modo da avere accesso alla liquidità del governo per poter restare (sempre) a galla.

Fu la stessa Goldman a decidere la sua nuova denominazionecitando Lloyd Blankfein, Chief Executiveche disse"Crediamo che la Goldman Sachssotto la supervisione della Federal Reserve, potrà diventare una istituzione ancora più sicura"
 
Secondo quello che racconta gente che conosce bene questa materia, poi la Goldman si scrisse da sola una bozza di comunicato e la mandò alla New York Fed. Proprio quella bozza doveva essere usata come testo della dichiarazione rilasciata dalla Central Bank.
E mentre il FT fu  tanto gentile da bersi tutto quel pezzo di informazioni scioccanti e da raccontarle al resto degli "stupidi elettori", la conclusione è semplicela Federal Reserve della Goldman Sachs (sia a New York chaltrove), è una banca che non solo decide gli alti e bassi del mercato e si scrive le regolema scrive anche le parole sul gobbo della Fed (come quello che usa Obama nei suoi discorsi, anche la Goldman si preoccupa della forma).

Fonte: http://www.zerohedge.com
Link: http://www.zerohedge.com/news/2014-12-06/when-goldman-writes-new-york-feds-press-releases-then-all-lost
6.12.2014

Autore della traduzione Bosque Primario.

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=14334

Mafia Capitale, Buzzi a Carminati: “Grillo ha distrutto il Pd, noi non ci stiamo più”. - Antonio Massari

Mafia Capitale, Buzzi a Carminati: “Grillo ha distrutto il Pd, noi non ci stiamo più”

Nell'aprile 2013 il capo delle cooperative rosse di Roma confidava all'ex Nar la propria preoccupazione per il cambio di clima politico nella Capitale e il 7 novembre era alla cena di finanziamento del Partito Democratico organizzata dal premier Matteo Renzi: per un tavolo ha speso 10mila euro.


L’affare non era soltanto gestire i campi rom. Il sistema doveva funzionare. Ovunque. E quindi era importante avere gli uomini giusti nei posti giusti. Ed è proprio parlando di uomini giusti nei posti giusto che Salvatore Buzzi, patron delle cooperative rosse che a Roma s’aggiudicavano appalti su appalti, si lascia andare a uno sfogo imbarazzante per il Partito Democratico. Uno sfogo tanto più significativo se pensiamo che lo rivolge al boss della Mafia Capitale, suo compare in affari, il “cecato” Massimo Carminati: “Il problema è che non ci stiamo più noi … una cosa incredibile… Grillo è riuscito a distruggere il Pd“.
È l’aprile 2013 e gli uomini di Mafia Capitale rivelano d’avere un problema: l’ascesa del Movimento 5 stelle. Lo ammettono parlando dell’ultima nomina andata in porto, quella di Giovanni Friscon, alla municipalizzata romana Ama spa. Buzzi, intercettato dal Ros dei Carabinieri, lo definisce un “uomo nostro” e il 17 aprile esulta al telefono con il suo collaboratore Carlo Maria Guarany, anch’egli arrestato nella retata di Mafia Capitale: “La prima è che venerdì il nostro Fiscon farà il direttore generaledi Ama al posto di Commini, nuovo A.D. (…) quindi sarà lui il numero uno … e vai!!!“, esulta il numero uno della “29 giugno”. Ma è parlando con Carminati il 22 aprile che la soddisfazione per la nomina e l’interesse della banda ad avere un uomo gradito in Ama emergono ancora più eloquente: “Venerdi stavi da Alemanno …”, domanda Carminati a Buzzi, che gli risponde: “Stavo da Berlusconi, venerdì”. “Da Berlusconi il cantante….”, scherza Carminati. E aggiunge: “Sei contento de Fiscon, sì?”. “Sì, ammazza”, risponde Buzzi. “È perfetto“, conclude Carminati.
Ma avere Fiscon a curare i loro affari all’Ama a Carminati e soci non basta. E’ il clima che sta nascendo a non lasciarli tranquilli: alle elezioni politiche di febbraio il M5S aveva scardinato il sostanziale bipolarismo tra centrodestra e centrosinistra conquistando il 25,5% e a maggio i romani sarebbero tornati alle urne per eleggere il loro nuovo sindaco. I vertici della Mafia Capitale avvertono come anche a Roma l’aria stia cambiando. “Er problema è un altro – conclude Buzzi – er problema è che non ce stamo più noi, semo … (inc). .. una cosa incredibile. Grillo è riuscito a distruggere il Pd“. E il Pd, per il sistema criminoso ipotizzato dagli inquirenti, è fondamentale. Non è un caso che Salvatore Buzzi, il 7 novembre scorso, abbia partecipato alla cena di finanziamento del Pd organizzata da Matteo Renzi, investendo 10mila euro per ottenere un tavolo. “A Buzzi – sostiene il suo braccio destro nella cooperativa 29 giugno, che non risulta indagato – Renzi è sempre piaciuto per il suo piglio decisionista”.
Finora, secondo quanto emerge dalle carte, l’unico punto di contatto tra il movimento e l’organizzazione è rappresentato da Matteo Calvio, che figura tra gli arrestati. “Da ieri sono diventato un membro dei Movimento 5 stelle. Stiamo aprendo presso le zone Infernetto, Acilia, Ostia uno studio dove daremo vita a questo movimento di Beppe Grillo. Chiunque fosse interessato ci contatti su Fb”, scriveva su Facebook il 9 giugno 2012 Calvi, che secondo gli investigatori è uno dei picchiatori preferiti da Carminati per l’attività di recupero crediti. “Calvio è totalmente estraneo alla mia persona e a tutto il gruppo municipale Cinque stelle”, smentiva il 5 dicembre Paolo Ferrara, portavoce del Movimento del X Municipio di Roma. Poco dopo, in seguito ad una verifica sugli elenchi ufficiali, arrivava la posizione dei vertici: “Matteo Calvio non risulta iscritto, né hai mai ricoperto alcun incarico all’interno del M5s”.
L’equazione tra la distruzione del Pd e il “non ci stiamo più noi”, per gli interessi degli uomini di Mafia Capitale, proprio mentre discutono delle nomine nelle aziende municipalizzate, non è importante soltanto dal punto di vista investigativo: risulta imbarazzante sotto l’aspetto politico. Eppure, nonostante le promesse di un mese fa, quando Renzi annunciava che i partecipanti alle cene di finanziamento del partito sarebbero stati resi pubblici, non v’è ancora traccia dell’elenco dei commensali. Di certo sappiamo che Buzzi c’era, giusto qualche settimana prima d’essere arrestato, e che a quel tavolo sedeva anche un altro socio della cooperativa, Carlo Maria Guarany.