- Senza l’uso delle green energy, dal 2005 al 2012 il consumo di combustibili fossili nella UE sarebbe stato superiore di circa il 7%.
- (Rinnovabili.it) – Senza l’impiego delle energie rinnovabili, dal 2005 al 2012 in Europa le emissioni di gas a effetto serra sarebbero cresciute di oltre il 7%, rispetto ai valori effettivi. A rivelare il percorso di decarbonizzazione avviato dall’energia pulita è oggi l’Agenzia Europea dell’Ambiente nel rapporto “Renewable energy in Europe – approximated recent growth and knock-on effect”. Il documento, come riporta il titolo stesso affronta gli effetti a catena innescato dalla crescita delle fonti alternative e spiega come le tecnologie verdi in questi anni abbiano aumentato la sicurezza energetica, ridotto le emissioni e posizionato l’Unione in una posizione di leadership sul fronte ambientale. Nel dettaglio gli autori del documento spiegano che senza l’uso delle energie rinnovabili, nei sette anni in questione, il consumo di combustibili fossili nella UE sarebbe stato superiore di circa il 7%. Fotovoltaico, eolico ed idroelettrico hanno fatto le veci soprattutto del carbone, rimpiazzandone il 13% del consumo, mentre in loro assenza l’uso del gas naturale sarebbe stato superiore del 7%. “L’energia rinnovabile – ha dichiarato Hans Bruyninckx, direttore esecutivo dell’AEA – sta rapidamente diventando una delle grandi storie di successo europee, ma possiamo andare ancora oltre: se sosteniamo l’innovazione in questo settore, le rinnovabili potrebbero diventare un importante motore dell’economia europea, abbattendo le emissioni e creando posti di lavoro.L’energia rinnovabile non è stato però l’unico fattore di riduzione delle emissioni di gas serra in Europa. Hanno contribuito anche le politiche e le misure volte a ridurre la CO2 e migliorare l’efficienza energetica. In base alle stime pubblicate dall’Agenzia, il consumo finale di energia da fonti rinnovabili è aumentato in tutti gli Stati membri nel 2013. A livello comunitario, la quota di green energy è arrivata a quasi il 15%, di due punti percentuali sopra al target fissato dalla direttiva sulle energie rinnovabili. In Svezia, Lettonia, Finlandia e Austria le fonti alternative hanno rappresentato più di un terzo del consumo energetico finale nel 2013, prime di una classifica che vede invece agli ultimi posti: Malta, Lussemburgo, Paesi Bassi e Regno Unito (tutti inferiori al 5%).
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
giovedì 19 febbraio 2015
mercoledì 18 febbraio 2015
Libia, l’Italia fa affari su export armi. Ma il Parlamento non ne parla da 8 anni. Thomas Mackinson
L'ultima Relazione al Parlamento certifica il record dell'export di sistemi d'arma in Medio Oriente e Nord Africa. Così, indirettamente, l'Italia alimenta la guerra e anche i ribelli dell'Is che conquistano posizioni e arsenali. Poco o nulla ne sanno i politici chiamati a deliberare un eventuale intervento: il documento (1672 pagine l'ultimo) che viene trasmesso alle Camere non viene discusso dal 2008.
Gheddafi non era ancora morto quando l’inviato del Corriere della Sera metteva piede nel suo bunker e scriveva: “Nelle stanze adibite ad arsenali militari ci sono le scatole intatte e i foderi di migliaia tra pistole calibro 9 e fucili mitragliatori, tutti rigorosamente marca Beretta. A lato, letteralmente montagne di casse di munizioni italiane”. Non è più un segreto per nessuno: l’Italia che oggi si interroga in chiave anti Is sull’opzione militare in Libia ha armato fino ai denti il regime e probabilmente le fazioni di ribelli che l’hanno fatto cadere. Indirettamente ha rifornito pure gli jihadisti, che ora quelle armi se le prendono a forza mentre avanzano dalla Cirenaica alla Tripolitania. Ma in Parlamento quasi nessuno lo sa. I politici italiani poco o nulla discutono e sanno di sistemi d’arma e di forniture militari, e tuttavia sono gli stessi che presto potrebbero essere chiamati a prendere una decisione su un eventuale intervento delle Forze armate, con tutte le conseguenze del caso per gli italiani e la sicurezza nazionale.
A denunciarlo è la Rete Italiana per il Disarmo che domani, presso la sala stampa della Camera dei Deputati, insieme ad altre associazioni pacifiste lancerà un appello contro la soluzione militare e contro la politica che sempre asseconda il grande business dell’industria bellica nazionale. Com’è noto, il governo deve produrre annualmente una Relazione sulle esportazioni di sistemi militari e inviarla alle camere. L’ultima, quella relativa al 2013, è stata inviata a giugno dell’anno scorso ed è un malloppo di 1672 pagine (leggi). E’ un documento di non facile lettura e infatti nessuno, a quanto pare, lo legge. “Le informazioni che riporta – spiega Giorgio Beretta – sono così generiche, incomplete o aggregate che non si riesce a capire a chi in definitiva finiscano le nostre armi, verso quali paesi il governo abbia autorizzato le aziende all’esportazione, di quali specifici sistemi militari, per quale quantità e valore. Viene indicato il numero di elicotteri esportati, ma non specificato se si tratta di mezzi per il soccorso venduti alla Guardia Marina o un Mangusta d’attacco. Così le navi, non puoi sapere se è un mezzo per lo sminamento o una nave anfibio d’attacco come quella che abbiamo venduto all’Algeria”. I parlamentari potrebbero però chiedere delucidazioni a chi redige il documento, ai ministeri degli Esteri, della Difesa e del Tesoro. Ma raramente lo fanno, e la ragione è “disarmante”.
Quella documentazione infatti non viene neppure discussa nelle competenti commissioni di Camera e Senato (Affari costituzionali, Esteri, Industria, Difesa e Finanze), nonostante la legge preveda che ciò avvenga entro 30 giorni dalla trasmissione del testo. “Sono otto anni, dal 2008 a oggi, che le Commissioni parlamentari non prendono neppure in esame queste Relazioni. Solo ora, dietro nostre insistite sollecitazioni, si comincia forse a discuterne”, spiega Beretta. “E’ un fatto preoccupante: il Parlamento deve tornare a esercitare un adeguato controllo sulle attività dell’esecutivo in una materia che tocca direttamente la politica estera e la sicurezza nazionale. Deve verificare se queste esportazioni corrispondono alla politica estera e di difesa del nostro Paese o se, invece, non siano soprattutto dettate dall’esigenza di incrementare gli ordinativi a favore delle industrie militari, in particolare di quelle a controllo statale come Finmeccanica”.
E che cosa dice l’ultima relazione sull’export di armi? Che il conflitto, finché non bussa alle porte, fa bene all’Italia. Per quanto opaco e approssimativo, il documento certifica che nel 2013 non c’è stato alcun crollo nelle esportazioni di sistemi militari italiani come sovente sostenuto dalle imprese e da ambienti della Difesa: sono stati infatti spediti nel mondo armamenti made in Italy per oltre 2,7 miliardi di euro (€2.751.006.957), cioè solo poco meno della cifra-record realizzata nel 2012 (€2.979.152.816): un calo quindi (del 7,7%) ma non certo un “crollo”. E dunque l’Italia che vuole imporre la pace nel mondo continua ad armarlo alla guerra. C’è di più: nel 2013 si è registrato un record di autorizzazioni e di esportazioni di sistemi militari proprio nella zone di maggior tensione del mondo. Su un totale di 2,1 miliardi di euro di esportazioni autorizzate, oltre un terzo (709 milioni) sono state rilasciate ai paesi del Medio Oriente e del Nord Africa. Anche il 29,4% dei sistemi d’armamento, per una cifra pari a 810 milionidi euro, sono stati effettivamente esportati verso questi paesi e nelle zone più calde e conflittuali. Un record ventennale, si diceva, che la Relazione omette però accuratamente di segnalare ai Parlamentari. Casomai, è inteso, la leggessero.
martedì 17 febbraio 2015
Sonda Rosetta fotografa base aliena, le FOTO SHOCK. -
La foto inedite, pubblicate dal Washington Post.
Secondo le ultime notizie pubblicate dal Washington Post, la Sonda Rosetta, lanciata nel 2004 per studiare la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, sembra abbia fotografato sulla stessa quella che sembra una vera e propria base aliena.
La notizia ci arriva dal sito ufficiale statunitense del Washington Post, e la foto, pubblicata sempre dallo stesso giornale, è stata rubata alla NASA da Anonymous, che l’ha fornita al giornale per divulgare la notizia.
Questa foto sembra darci prova certa che la vita extraterrestre ha lasciato la sua traccia anche sulla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, prima dell’arrivo della Sonda Rosetta.
Purtroppo il luogo fotografato sembra non essere più abitato e frequentato da alcuna vita aliena, sembra infatti che, se dovesse esserci stata una qualunque forma di vita, essa abbia abbandonato quel luogo poco dopo il lancio della Sonda, nel lontano 2006, secondo altre fonti si tratta invece di una base aliena utilizzata più di mille anni fa dalle creature extraterrestri. Che sia un’altra colonizzazione da parte del pianeta QUINTUMNIA?
Aspettiamo altre indiscrezioni dalla NASA, che non sembra ancora voler rilasciare dichiarazioni.
http://rebubblica.altervista.org/sonda-rosetta-fotografa-base-aliena/
Cern: a breve riparte acceleratore Lhc L’obiettivo è la materia oscura. - Alessandra Arachi
Rappresenta il 90% della materia presente nell’universo, ma non sappiamo ancora da cosa è composta.
Il Large Hadron Collider (Lhc) è un po’ una sua creatura. E adesso che al Cern di Ginevra stanno scaldando i motori per farlo ripartire quell’acceleratore di particelle, il più grande e il più potente del mondo, Luciano Maiani si sente un po’ come Cristoforo Colombo in viaggio negli oceani. Lui, il papà dell’Lhc, insieme con tutta la comunità dei suoi colleghi fisici, dice: «Dopo la scoperta del bosone di Higgs, che proprio l’Lhc ha permesso di rilevare, si è generato un po’ di panico». Spiega infatti Maiani con una metafora: «Sappiamo che la Terra è rotonda, ma dove sta l’America e quanto tempo ci vuole per raggiungerla non ne abbiamo idea».
Il prossimo traguardo: la materia oscura
L’America, in questo caso altro non è che la natura della materia oscura, ovvero la nuova frontiera di quel portento chiamato Lhc. Maiani lo ha annunciato il 13 febbraio in una conferenza all’Accademia dei Lincei, in platea tra i suoi colleghi accademici pure non fisici. Ed è per loro che l’ex direttore del Cern (e anche dell’Infn-Istituto nazionale di fisica nucleare) ha preparato un seminario dei suoi, brillanti e semplici, partendo da Enrico Fermi e arrivando a Fabiola Giannotti, passando per Carlo Rubbia.
Ripartono i motori
Ha spiegato Maiani: «La materia oscura rappresenta il 90 per cento della materia presente nell’universo. È stata ipotizzata per spiegare le anomalie del Modello Standard, cioè il modello che spiega l’origine dell’universo. Ed è la scoperta della natura della materia oscura il fronte più attivo sul quale punta l’Lhc». Ripartono i motori dell’Lhc, spenti dopo la scoperta del bosone di Higgs, il 4 luglio 2012. «Ma questa volta non sarà sufficiente riaccenderli», dice ancora Maiani. E spiega: «Con l’Lhc potremo scoprire soltanto la ‘coda’ di quel dinosauro chiamato materia oscura. Ovvero: qualche indizio. Il prossimo passo sarà una sfida planetaria, indispensabile così come alla fine degli anni Quaranta fu indispensabile pensare alla creazione del Cern, organismo europeo».
La NASA ha scoperto un’ ALTRA TERRA, LE FOTO MERAVIGLIOSE.
Il “Kepler Space Telescope” della NASA ha recentemente scoperto un pianeta simile alla Terra che orbita intorno a una stella all’interno di una zona della nostra galassia. Kepler-186F a circa 500 anni luce dalla Terra, nella costellazione del Cigno.
Gli studi hanno portato alla scoperta di un’altra zona abitabile della nostra galassia, conosciuta anche come la zona Goldilocks, la regione ruota attorno a una stella e sembra che i pianeti abbiano una pressione atmosferica sufficiente da contenere grandi quantità di acqua. E’ stato stimato che ci sono almeno 40 miliardi di pianeti delle dimensioni della Terra che orbitano nella nostra Via Lattea, ma questo in particolare è stato etichettato come il primo pianeta delle dimensioni della Terra, abitabile e che ruota attorno ad una stella.
Oltre a Kepler-186F, ci sono quattro altri pianeti che orbitano attorno alla stella vicina all’interno del sistema Kepler-186 f. Ciò significa che questa stella è simile al nostro Sole,e che le probabilità di vita su questo pianeta aumentano in modo esponenziale.
“Conosciamo solo pianeta in cui esiste la vita – la Terra. Quando si cerca la vita al di fuori del nostro sistema solare ci concentriamo sulla ricerca di pianeti con caratteristiche che imitano quello della Terra “, ha detto Elisa Quintana, ricercatore presso l’Istituto SETI a Ames Research Center della NASA a Moffett Field, in California “Trovare un pianeta abitabile paragonabile alla Terra per dimensioni è un importante passo in avanti.”
La stella vicina a Kepler-186F ha la metà della massa e dimensioni del nostro sole, e riceve solo un terzo dell’energia che noi riceviamo dal nostro, inoltre Kepler-186 f orbita intorno alla sua stella una volta ogni 130 giorni.
“Sono musulmano, abbracciami”: l’esperimento contro l’odio.
Esperimenti sociali di questo tipo, come tutto ciò che la rete rende virale, ormai sono diventati una moda, ma questa volta c’è qualcosa di diverso, qualcosa che va al di là del puro intrattenimento.
“The Blind Trust Project”, nato dalla collaborazione della youtuber AsoOmii Jay con la Time Vision Production, ha un duplice obiettivo: contrastare l’islamofobia tra i non musulmani, influenzati dagli stereotipi diffusi dai media, e parlare a quei musulmani integralisti che erroneamente utilizzano la religione come strumento di odio e di guerra. E’ con queste intenzioni che il protagonista del video, occhi bendati e braccia spalancate, si è piazziato a Dundas Square nel centro di Toronto. Al suo fianco due cartelli: “Sono musulmano, sono etichettato come terrorista. Io mi fido di te. Tu ti fidi di me? Abbracciami”.
La reazione dei canadesi, colpiti proprio pochi mesi fa da un attentato di matrice islamista (il 23 ottobre un commando di tre persone ha assaltato il Monumento ai Caduti del Parliament Hill di Ottawa, causando due vittime: un soldato italo-canadese e uno degli assalitori, il trentaduenne Michael Zehaf-Bibeau), è sorprendente nella sua naturalezza. Alle braccia aperte di quel ragazzo hanno risposto con decine di abbracci donne e uomini, giovani e anziani e c’è chi ha persino lasciato la macchina al centro della strada, incurante del traffico, pur di correre a stringere quel ragazzo.
AsoOmii Jay, soddisfatta dell’attenzione mediatica che i suoi “esperimenti” stanno ottenendo, ha scritto sul suo profilo Facebook che: “I radicali, a cui è stato fatto il lavaggio del cervello, devono ricordare che l’Islam è un mezzo di pace e per questo è contrario a qualsiasi forma di violenza e terrorismo”.
sabato 14 febbraio 2015
Giornalista, perché le bevi (quasi) tutte? - Marcello Foa
La notizia è di qualche giorno fa: la Troika ha piegato la Grecia anche grazie alle sottili pressioni di Sarkozy, il quale, avendo avuto accesso alla lista dei clienti Hsbc trafugata a Ginevra da Falciani, sapeva che la madre dell’allora premier per di più socialista Papandreu possedeva un conto non dichiarato da 500 milioni di euro.
Diciamola tutta: fu un complotto, di cui naturalmente nessuno era a conoscenza.
L’ex ministro del Tesoro americano Geithner ha ammesso che nel 2011 Berlusconi fu disarcionato in seguito a un complotto.
In Ucraina un anno fa la verità sulla cosiddetta rivolta di Piazza Maidan è stata ampiamente aggiustata a fini mediatici oltre che ovviamente politici, presentando quello che di fatto era un golpe sotto le sembianze molto più confortevoli della commovente e pacifica rivoluzione di piazza e tacendo sul pesante, decisivo coinvolgimento di forze paramilitari neonaziste.
La vicenda di Charlie Hebdo presenta ancora oggi numerosi aspetti non chiariti e alcuni sono davvero imbarazzanti per la stampa mondiale. Uno su tutti: quando i leader mondiali si sono ritrovati per capeggiare l’immensa marcia popolare in difesa della libertà di stampa; peccato, però, che i leader non abbiano mai guidato il corteo ma si siano fatti filmare in una strada chiusa al pubblico. Dietro di loro, come vedete nella foto sopra, non marciava nessuno. Ma naturalmente né i tg né i giornali lo hanno detto al pubblico, preferendo enfatizzare la verità formale.
Persino le rivelazioni sulla già citata Lista Falciani, non possono essere certo considerate giornalismo di inchiesta, sebbene siano state presentate come tali. Qualcuno – non è difficile immaginare chi – ha semplicemente recapitato a un pool di testate internazionali gli elenchi, di cui peraltro non si sa nemmeno se autentici. E i giornali hanno sparato i nomi in prima pagina, senza nemmeno chiedersi se loro fossero strumentalizzati e a chi convenisse la pubblica gogna.
Potrei continuare con molti esempi sia recenti sia lontani ma mi fermo qui.
Chi segue questo blog conosce la mia posizione, piuttosto critica nei confronti del modo in cui oggi viene fatta informazione, per la sconcertante facilità con cui gli spin doctor riescono ad orientare e sovente a manipolare i media. Ne ho parlato recentemente in un’intervista a Enzo Pennetta per Critica scientifica e in un intervento organizzato un paio di settimane fa a Firenze dal consigliere regionale Gabriele Chiurli, con la partecipazione di Raymond McGovern, che per anni è stato capo del National Intelligence Estimates, uno dei massimi organismi Cia, e ora è uno dei più arcigni difensori delle libertà civili e implacabile critico delle politiche della Casa Bianca, sia di George W. Bush sia di Barack Obama.
Condivido al 100% la sua analisi: oggi la stampa non svolge il proprio ruolo di cane da guardia della democrazia, semmai è vero il contrario: troppo compiacente, troppo schierata, troppo pavida nei momenti in cui bisognerebbe essere coraggiosi. Si beve tutte le bufale degli spin doctor.
Il suo giudizio riguarda la stampa americana – che noi continuiamo a torto a mitizzare, come se fosse ancora quella dei tempi del Watergate – ma è estendibile a quella europea.
E McGovern non è certo un complottista, tutt’altro: adotta un approccio pragmatico e saggio. Non insegue le proprie fantasie e i propri sospetti, per quanto suggestivi, ma si basa sull’analisi dei fatti, sull’individuazione delle incongruenze, sulla formulazione insistita e pertinente di domande sugli aspetti poco chiari di una vicenda, sulla capacità di individuare connessioni non evidenti a prima vista e di costruire il proprio giudizio su prove o comunque su riscontri oggettivi. Insomma, ricostruisce con il dovuto scetticismo.
Ed è paradossale che debba essere un ex analista della Cia animato da un’ardente passione civica a ricordare ai giornalisti quella che dovrebbe essere una caratteristica innata di chi fa il mio mestiere.
Non è l’unico, peraltro.
L’ex consulente politica Naomi Wolf, diventata una scrittrice famosa in particolare grazie al romanzo The end of America in cui denuncia i rischi di un’involuzione totalitaria negli Stati Uniti, in una recente conferenza ha toccato gli stessi argomenti, giungendo a conclusioni analoghe, forse ancor più coraggiose.
“Siamo entrati in un’era in cui non è assurdo per un giornalista chiedersi sistematicamente se gli eventi a cui assiste sono veri o falsi. E più un evento è spettacolare, più alto è il rischio che sia stato inventato ad arte ovvero che si tratti di notizie false, create da governi e da servizi segreti“, dichiara la Wolf.
Dubitare è l’unica forma di autodifesa. Per se stessi e per servire davvero il lettore.
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