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sabato 12 settembre 2020

Va bene il diritto di cronaca, non quello di maleducazione. - Massimo Fini

Nei giorni scorsi, Beppe Grillo è stato coprotagonista di uno scontro con un giornalista della trasmissione Diritto e Rovescio, Rete4, Francesco Selvi. Le cose sono andate così. Grillo se ne stava spaparanzato sulla spiaggia di Marina di Bibbona dove ha una delle sue due normalissime case (l’altra è a Sant’Ilario sopra Genova), non le “tante ville” di cui parla Alessandro Sallusti, quelle ce le ha Berlusconi che solo in Sardegna ne possiede sette impestando quella che una volta era la splendida Gallura.

Dunque Selvi si avvicina a Grillo e gli chiede un’intervista. Fin qui tutto lecito. Solo che Selvi contemporaneamente accende il cellulare. Da questo momento l’intervista è già cominciata e qualsiasi cosa dica o faccia Grillo fa da già parte di un’intervista non autorizzata. Grillo reagisce alla Grillo, cerca di strappare il cellulare allo scorretto intervistatore, lo spinge e lo manda a ruzzolar giù per le terre. Certo avrebbe potuto comportarsi diversamente, come Enrico Cuccia, già ottantenne, che tampinato da un rompiscatole delle Iene per tutto il percorso che andava dalla sua abitazione agli uffici di Mediobanca, un chilometro circa, proseguì dritto, non accelerando né diminuendo la sua camminata, senza degnare l’importuno di una parola e nemmeno di uno sguardo. O come Indro Montanelli che, settantenne, assillato da un giornalista di questo genere, gli disse paro paro: “Non mi rompa i coglioni!”.

Io rimpiango i tempi in cui per incontrare una persona bisognava fargli avere prima il proprio biglietto da visita, come fece Nietzsche con Wagner e dando così inizio alla più feconda amicizia che il solitario filosofo tedesco abbia avuto. Del resto allora funzionava così. Per tutti. I giornalisti devono capire che, a parte situazioni limite, guerre, scontri di strada e simili, non hanno acquisito un particolare diritto alla maleducazione. E credo che la prima, vera, urgente e forse unica riforma da fare in Italia sia quella del ritorno alla buona educazione. Anche sul gossip politico e giudiziario cui si è ridotto il nostro giornalismo, ammesso che possa definirsi ancora tale, ci sarebbe poi molto da dire. L’insinuazione politico-giornalistica è diventata l’arma preferita da usare contro gli avversari. Nell’editoriale dedicato da Alessandro Sallusti all’episodio Grillo (Il Giornale, 9.9), che gira tutto intorno al fatto che il giornalista di Rete4 non è stato difeso dalla Federazione Nazionale della Stampa perché presunto di destra (il che non è nemmeno vero, la Fnsi si è dichiarata “indignata”) mentre se la stessa cosa fosse capitata a un giornalista cosiddetto di sinistra ci sarebbe stata un’insurrezione mediatica (ma non ti sei ancora accorto, Sandro, che Destra e Sinistra non esistono più, esistono semmai fazioni contrapposte?). Lo stesso direttore del Giornale si lamenta come sia “possibile che a oltre un anno dai fatti ancora la magistratura non abbia deciso se suo figlio (di Grillo, ndr) ha violentato o no una giovane ragazza finita nel suo letto?”. Sallusti deve essere diventato bipolare. Dov’è finito l’ipergarantista a 24 carati che non considera definitiva nemmeno una sentenza di condanna della Cassazione, naturalmente se riguarda Berlusconi, e vorrebbe già al gabbio il figlio di Grillo per il quale non si è ancora arrivati nemmeno a una decisione del Gip? Del resto è il concetto espresso da Madama Santanchè, un’altra del giro, per certi reati e soprattutto per certi presunti autori di questi reati: “In galera subito e buttare via la chiave”. Il processo? In questi casi è un optional. Sallusti, senza rendersene conto, è finito nella filiera iperforcaiola del “siamo tutti colpevoli fino a prova contraria” attribuita a Piercamillo Davigo. Non credo tu possa essere contento di questa comunanza, anche se molto presunta. Alessandro so che scrivi ciò che non pensi, ma pensa almeno a ciò che scrivi.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/12/va-bene-il-diritto-di-cronaca-non-quello-di-maleducazione/5929046/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=commenti&utm_term=2020-09-12

lunedì 24 agosto 2020

Ma mi faccia il piacere. - Marco Travaglio


Il Verano Illustrato. “La grande rimozione. La pandemia negata. I morti dimenticati… L’emergenza sociale, i rischi per l’ordine pubblico, il caos sul ritorno a scuola. Le istituzioni sotto assedio”. “Prima che si apra la voragine. L’emergenza economico-sociale, i cittadini nell’incertezza, i partiti in disarmo. E il voto del 20 settembre: una breccia che può portare le istituzioni nel baratro… Una crisi di sistema”. “Rientro da paura. Arriva la resa dei conti. E crescono i timori per l’ordine pubblico… malcontento e tensione”. “Una minaccia chiamata Recovery”. “Fase tre: si muore in fabbrica”. “Sparatorie a New York: +72 per cento”. “La morte di Sarah Scazzi è ancora una giungla di verità” (titoli dall’ultimo numero de l’Espresso, 23.8). Allegria: quando c’è la salute, c’è tutto.
Testa o croce. “In Toscana la sinistra si gioca la testa” (Susanna Ceccardi, Lega, candidata a presidente della Toscana, Verità, 17.8). Lei per fortuna non ha di questi problemi.
Polifonia. “Referendum truffa a cui dire No” (Marco Damilano, direttore Espresso, 28.6). “Non c’é una riforma sistemica, complessiva, nessuna idea per adeguare ai tempi il funzionamento della macchina legislativa” (Mattia Feltri, direttore Huffington Post, 8.8). “Votare No al referendum” (Maurizio Molinari, direttore Repubblica, 20.8). “Il referendum e la deriva confusionaria.”, “Saremo costretti a scrivere un altro ‘no’…” (Massimo Giannini, direttore La Stampa, 23.8). Tutto si può dire del gruppo Fca-Elkann, tranne che al suo interno manchi un ampio e articolato dibattito.
Fiat Dux. “Il Meeting di Rimini nel segno di Draghi: ‘Può indicarci la via’” (Repubblica, 18.8). Duce, tu sei la luce.
Congiuntivite. “Non possiamo tollerare che arrivano dei migranti positivi e vadino in giro liberamente” (Giuseppe Conte, presidente del Consiglio, 9.8). Fantocci, batti lei!
Fate con comodo. “Mai con Raggi. Il Pd avrà un suo candidato, ma senza fretta” (Giulio Pelonzi, capogruppo Pd in consiglio comunale a Roma, Foglio, 19.8). Diciamo, per le comunali del 2025.
Fermate le rotative. “Treu (Cnel): ‘Sto con Draghi’” (Messaggero, 21.8). Mo’ me lo segno.
Chi può e chi non può. “Zingaretti a Raggi: ‘Sei il problema principale della città’” (Repubblica, 21.8). Io invece di tutta la regione, tiè!
L’elogio funebre. “Lo dice la sinistra: ‘Il meglio a destra è Berlusconi’” (Giornale, 21.8). Pensa gli altri.
Fantacronache. “La magistratura accusa Romiti di aver truccato i bilanci per creare fondi neri e finanziare la politica. Romiti viene condannato in via definitiva in Cassazione nel 2000. La sentenza verrà modificata tre anni dopo perché nel frattempo la legge era cambiata e le somme che il manager era stato accusato di non aver messo a bilancio erano troppo basse per configurare il reato” (Paolo Griseri, neo-vicedirettore La Stampa, 19.8). Mamma mia quanta vaselina. Romiti fu condannato per falso in bilancio e finanziamento illecito ai partiti, poi B. depenalizzò i falsi in bilancio, compresi quelli di Romiti. Per ulteriori informazioni, lo smemorato autore può consultare il libro Il processo (Editori Riuniti, 1997) di Paolo Griseri, Massimo Novelli e Marco Travaglio.
Esercitazioni. “La domanda è partita per errore. Ho un’attività, la mia fidanzata è una consulente fiscale. Da sempre si occupa lei della mia contabilità e in quei giorni ha utilizzato sia la mia partita Iva sia la sua per esercitarsi nella richiesta di rimborsi” (Diego Sarno, consigliere regionale Pd in Piemonte, Repubblica, 12.8). Suvvia, chi non ha una fidanzata che si esercita?
Delitto di cronaca. “Dal popolo dei fax ai 25mila del Fatto che gridano ‘fuori i nomi’. Storia di una marea nera che ha distrutto diritto e politica” (Maurizio Crippa, Foglio, 13.8). Incredibile: 28 anni dopo, c’è ancora gente che vuol sapere la verità.
Magari. “Terremoto bonus, clima da monetine… Vincono loro, i ragazzi di Travaglio. E’ peggio del ’93, l’anno delle monetine a Craxi” (Piero Sansonetti, Riformista, 12.8). Lo prendiamo come un augurio, benchè troppo ottimistico: questi le monetine si chinerebbero subito a raccoglierle.
Giorgio Covid. “Il sindaco di Bergamo Giorgio Gori si rivolge al suo partito: ‘Ma al Pd interessa il Nord? Siamo attestati solo sulla difesa di pensionati e dipendenti pubblici invece di rappresentare i ceti produttivi’” (Foglio, 13.8). Quelli che “Bergamo non si ferma” e “Bergamo is running”. Praticamente, le pompe funebri.
Vittorio virgola Feltri. “Travaglio mi dà dell’ignorante perchè ho scritto questa frase; chi di spada ferisce, di spada perisce. Che è esatta. Ma lui non lo sa al punto che segnala: la virgola tra il soggetto e il verbo non ci va. Ma chi ce l’ha messa la virgola tra il soggetto e il verbo? Lui pensa che ferisce non sia un verbo” (Vittorio Feltri, Libero, 18.8). No, stellina: il soggetto di “perisce” è “chi di spada ferisce”, dunque la virgola non ci va. Punto.
Il titolo della settimana. “Se i guai di Grillo ce l’avesse Berlusconi, sai quanti titoli…” (Riformista, 18.8).
Uahahahahahahahah.

sabato 14 febbraio 2015

Giornalista, perché le bevi (quasi) tutte? - Marcello Foa


La notizia è di qualche giorno fa: la Troika ha piegato la Grecia anche grazie alle sottili pressioni di Sarkozy, il quale, avendo avuto accesso alla lista dei clienti Hsbc trafugata a Ginevra da Falciani, sapeva che la madre dell’allora premier per di più socialista Papandreu possedeva un conto non dichiarato da 500 milioni di euro. 
Diciamola tutta: fu un complotto, di cui naturalmente nessuno  era a conoscenza.

L’ex ministro del Tesoro americano Geithner ha ammesso che nel 2011 Berlusconi fu disarcionato in seguito a un complotto. 
In Ucraina un anno fa la verità sulla cosiddetta rivolta di Piazza Maidan è stata ampiamente aggiustata a fini mediatici oltre che ovviamente politici, presentando quello che di fatto era un golpe sotto le sembianze molto più confortevoli della commovente e pacifica rivoluzione di piazza e tacendo sul pesante, decisivo coinvolgimento di forze paramilitari neonaziste.

La vicenda di Charlie Hebdo presenta ancora oggi numerosi aspetti non chiariti e alcuni sono davvero imbarazzanti per la stampa mondiale. Uno su tutti: quando i leader mondiali si sono ritrovati per capeggiare l’immensa marcia popolare in difesa della libertà di stampa; peccato, però, che i leader non abbiano mai guidato il corteo ma si siano fatti filmare in una strada chiusa al pubblico. Dietro di loro, come vedete nella foto sopra, non marciava nessuno. Ma naturalmente né i tg né i giornali lo hanno detto al pubblico, preferendo enfatizzare la verità formale.

Persino le rivelazioni sulla già citata Lista Falciani, non possono essere certo considerate giornalismo di inchiesta, sebbene siano state presentate come tali. Qualcuno – non è difficile immaginare chi – ha semplicemente recapitato a un pool di testate internazionali gli elenchi, di cui peraltro non si sa nemmeno se autentici. E i giornali hanno sparato i nomi in prima pagina, senza nemmeno chiedersi se loro fossero strumentalizzati e a chi convenisse la pubblica gogna.

Potrei continuare con molti esempi sia recenti sia lontani ma mi fermo qui.

Chi segue questo blog conosce la mia posizione, piuttosto critica nei confronti del modo in cui oggi viene fatta informazione, per la sconcertante facilità con cui gli spin doctor riescono ad orientare e sovente a manipolare i media. Ne ho parlato recentemente in un’intervista a Enzo Pennetta per Critica scientifica e in un intervento organizzato un paio di settimane fa a Firenze dal consigliere regionale Gabriele Chiurli, con la partecipazione di Raymond McGovern, che per anni è stato capo del National Intelligence Estimates, uno dei massimi organismi Cia, e ora è uno dei più arcigni difensori delle libertà civili e implacabile critico delle politiche della Casa Bianca, sia di George W. Bush sia di Barack Obama.

Condivido al 100% la sua analisi: oggi la stampa non svolge il proprio ruolo di cane da guardia della democrazia, semmai è vero il contrario: troppo compiacente, troppo schierata, troppo pavida nei momenti in cui bisognerebbe essere coraggiosi. Si beve tutte le bufale degli spin doctor. 

Il suo giudizio riguarda la stampa americana – che noi continuiamo a torto a mitizzare, come se fosse ancora quella dei tempi del Watergate – ma è estendibile a quella europea.
E McGovern non è certo un complottista, tutt’altro: adotta un approccio pragmatico e saggio. Non insegue le proprie fantasie e i propri sospetti, per quanto suggestivi, ma si basa  sull’analisi dei fatti, sull’individuazione delle incongruenze, sulla formulazione insistita e pertinente di domande sugli aspetti poco chiari di una vicenda, sulla capacità di individuare connessioni non evidenti a prima vista e di costruire il proprio giudizio su prove o comunque su riscontri oggettivi. Insomma, ricostruisce con il dovuto scetticismo.

Ed è paradossale che debba essere un ex analista della Cia animato da un’ardente passione civica a ricordare ai giornalisti quella che dovrebbe essere una caratteristica innata di chi fa il mio mestiere.

Non è l’unico, peraltro.

L’ex consulente politica Naomi Wolf, diventata una scrittrice famosa in particolare grazie al romanzo The end of America in cui denuncia i rischi di un’involuzione totalitaria negli Stati Uniti, in una recente conferenza ha toccato gli stessi argomenti, giungendo a conclusioni analoghe, forse ancor più coraggiose.
“Siamo entrati in un’era in cui non è assurdo per un giornalista chiedersi sistematicamente se gli eventi a cui assiste sono veri o falsi. E più un evento è spettacolare, più alto è il rischio che sia stato inventato ad arte ovvero che si tratti di notizie false, create da governi e  da servizi segreti“, dichiara la Wolf.

Dubitare è l’unica forma di autodifesa. Per se stessi e per servire davvero il lettore.


mercoledì 11 dicembre 2013

Travaglio. Il Merlo martire!

           

Siccome non se n’era accorto nessuno, Francesco Merlo tiene a precisare sulla prima pagina di Repubblica che tra le vittime della “gogna di Grillo” c’è anche lui. 
Mo’ me lo segno, direbbe Troisi. 
Naturalmente quella che lui chiama gogna è un mini-post molto asciutto e asettico in cui Grillo, anziché insultarlo come sciaguratamente fece con Maria Novella Oppo, gli rende forse il servizio peggiore: lo cita. Riporta alcuni passi deliranti del suo commento al caso Oppo, paragonava il leader di 5 Stelle ai “terroristi, camorristi, mafiosi” che assassinarono rispettivamente Tobagi, Siani e Fava. Cioè usava frasi infinitamente più violente di quelle mai usate da Grillo, che pure non scherza. 
Ora però Merlo ha scoperto, con notevole prontezza di riflessi, il lato oscuro del web: cioè quell’esercito di insultatori di professione che approfittano dell’anonimato dei nickname e usano la rete come la parete dei cessi pubblici, per sfogare le prime frustrazioni offendendo e minacciando a destra e a manca. 
Sono cose che purtroppo capitano a tutti coloro che abbiano un minimo di notorietà e almeno un piede nei social network. 
Come dimostra il caso tragicomico dell’on. Giachetti, che ieri ha scritto a Grillo per denunciare il commento di uno squilibrato che chiedeva l’eliminazione fisica dei deputati nominati dal premio di maggioranza incostituzionale del Porcellum, salvo poi scoprire che l’autore è un fervente renziano proprio come Giachetti. 
Se il Merlo volesse sentirsi meno solo, potrei regalargli un’antologia di insulti e minacce che ricevo da anni sul blog (il mio) e sulla pagina facebook (la mia). 
Il picco massimo di violenza lo registrai dopo il maggio 2008, quando il giornale di Merlo, che per qualche anno fu anche il mio, inaugurò la macchina del fango riportando la voce che mi ero fatto pagare le ferie in Sicilia da un mafioso: la notizia era naturalmente falsa, come provvidi subito a documentare con le ricevute dei miei pagamenti, ma il linciaggio proseguì e prosegue tuttora, anche perché le scuse non sono mai arrivate. 
Ma Merlo è convinto che gli insulti che gli arrivano in rete abbiano un mandante. Che, tenetevi forte, non è neppure Grillo: sono io. 
“Tutto quel diluvio di scaracchi” – scrive nel suo dolce stil novo il maestrino di bon ton – è “figlio di una sola nuvola: l’editoriale di Marco Travaglio sul Fatto quotidiano che è purtroppo la casa nobile di cotanta indecenza”. Perché, “in simbiosi con i picciotti dell’odio, che sono ammaestrati pavlonianamente (si direbbe pavlovianamente, ma lasciamo andare, ndr), Travaglio possiede la tecnica di innesco”. Qualcuno potrebbe pensare che io abbia istigato le masse dei miei picciotti a odiare il Merlo e a minacciarlo di morte. 
Gli piacerebbe che qualcuno lo ritenesse così decisivo da meritare odio. In realtà stiamo parlando di un peso piuma del cicisbeismo specializzato nell’attaccare le opposizioni, anche se ama presentarsi come molto scomodo, dunque degno di odio. 
Si tranquillizzi: nel paese che pensa di far viaggiare il pm Nino Di Matteo su un Lince, manco fossimo l’Afghanistan, quelli in pericolo sono altri, anche se lui evita di parlarne. Ma il guaio più grosso del Rushdie de noantri è di giudicare gli altri come se fossero lui. 
Siccome nel mio articolo criticavo Grillo e solidarizzavo con la Oppo, ha pensato che lo facessi per “finta”. E siccome mi riferivo agli “house organ del Pd”, per esempio l ’ Unità, vi si è subito identificato, come se nella vita uno non avesse di meglio che pensare a lui. Che nel-l’articolo era citato di sguincio in una domanda retorica: “chissà dove cinguettava Merlo un mese fa, quando il neostatista Alfano chiese al padron Silvio la cacciata di Sallusti dal Giornale”. 
Lo sanno tutti dove cinguettava: altrove, come sempre. Ma, per il Linosotis catanese, quella domandina maliziosa sarebbe nientemeno che uno “spruzzo di lordume” con cui “Travaglio ha indicato alla truppa dei grillini l’obiettivo da colpire e ha fornito loro anche il lessico”. Insomma “Travaglio ha dato il la a tutto quello che poi sarebbe stato spurgato sul blog”, perché a colpi di “fuoco e lerciume” “crede di vendere qualche copia in più o di far crescere l’audience”. Per fortuna “tutti i padri nobili del giornalismo italiano di ieri e di oggi, da Montanelli a Scalfari, inorridiscono”. 
Scalfari, passi. Ma Montanelli è scomparso nel 2001: chissà, forse gli è apparso in sogno; poi però Merlo s’è svegliato troppo presto e non ha fatto in tempo ad apprendere che Montanelli assunse il sottoscritto per ben due volte in entrambi i giornali da lui fondati, trascurando colpevolmente il Merlo. 
Il bello è che pensa davvero che abbiamo atteso l’avvento di Grillo per inquadrare lui e tutta la voliera dei terzisti furbastri. 
Ma si sottovaluta. 
Quando stava al Corriere ai tempi della Bicamerale, il protomartire scriveva da perfetto cerchiobottista ton sur ton. Il 20 dicembre 1997, per esempio, alle facili critiche a Previti faceva seguire le seguenti amenità: “È anche vero quel che dice Berlusconi. Hanno cominciato a indagare quando è partita l’avventura politica di Forza Italia (falso, avevano cominciato negli anni 80 e ricominciato nel ‘ 92, ndr)… L’azione penale è stata anche accanimento politico, risentimento. La giustizia che viene dal risentimento è qualcosa di arcaico, è una soluzione predemocratica, una pratica asiatica. 
La frase che pronunciò Di Pietro… (“Io quello lì lo sfascio”) è orribilmente significante, e tradisce… una concezione mesopotamica del giustizialismo che deve inquietare tutti, tanto i colpevoli quanto gli innocenti”. Nel 2003, quando il Merlo aveva già trasferito il cerchio e la botte a Repubblica, e si divertiva a mettere sullo stesso piano coi suoi paradossi barocchi gli epurati dall’editto bulgaro e l’epuratore, mi chiamò inorridito Cesare Garboli, per chiedermi un mini-saggio per la sua rivista su Merlo e il merlismo. 
Giuliano Ferrara aveva appena insultato il direttore dell ’ Unità Furio Colombo e Antonio Tabucchi come “mandanti linguistici del mio prossimo assassinio”. Un po ’ come fa ora, mutatis mutandis, il Politkovskayo della mutua col sottoscritto. 
IL 10 OTTOBRE Merlo provvide subito a ribaltare la frittata, parlando della “polemica di Tabucchi con Ferrara”. Poi s’infilò nei consueti paradossi paraculi: “Tabucchi è berlusconiano e Ferrara è comunista… Tabucchi è berlusconiano nella maniera più sostanziale… infatti ha dato corpo alle sue ossessioni. Il regime, l’Italia imbavagliata, la fine della democrazia raccontati da Tabucchi sono come i comunisti di Berlusconi e i suoi giudici matti… Alla maniera di Berlusconi, anche Tabucchi vive e crede solo nel virtuale, in un mondo inesistente e tuttavia verosimile” (un mondo talmente inesistente che da un anno Biagi, Santoro e Luttazzi erano spariti dal video per ordine del premier). Non contento, il Merlo si fece beffe della “sindrome dell’esule” di Tabucchi, del suo “giocare a fare il Gramsci e a cingersi la testa con l’aureola del-l’eroismo civile”. E pazienza se Tabucchi, uno degli scrittori italiani più noti e tradotto nel mondo, scriveva sull ’ Unità e su Le Monde perché i giornaloni italiani respingevano i suoi articoli troppo critici con Berlusconi, con la finta opposizione e col presidente Ciampi. Per il Merlo, chi denunciava le minacce alla democrazia era affetto da “ossessione apocalittica” e “girotondina”, “spaccia l’astio per pensiero critico”, è “petulante e noioso”, ma soprattutto “ideologico”, insomma “farnetica”, insegue “fantasmi”, combatte “mulini a vento”. Invece Ferrara è “la storia vitale della sinistra”, rappresenta “una generazione che è vissuta negli ideali”, è insieme “fazione, intelligenza e fegatosità… ha creduto in Craxi e ora consiglia Berlusconi, sempre per passione e mai per calcolo”. E poi – garantiva il Merlo – Giuliano è “intelligente, vitale, sanguigno, goliardico”: uno spirito libero che “ogni giorno fatica a restare con Berlusconi”. Una fatica che dura da vent’anni. Roba da fiaccare un bufalo. Non un Merlo. 

Marco Travaglio FQ 11 dicembre 2013

https://www.facebook.com/notes/gabriele-stornellatore-lanzi/travaglio-il-merlo-martire/10152076596254629

martedì 6 agosto 2013

Se il palco è abusivo. - Rita Pani




A questo punto dovremmo appendere delle lenzuola bianche ai nostri balconi, in segno di resa. Esigere  una tregua, giacché non siamo riusciti a pretendere la decenza del silenzio. Inutile dire che dovremmo contarci per organizzarci perché lo sappiamo che a parole saremo milioni, ma pronti a fare una decina.

A questo punto dovremmo chiedere ai giornali di avere pietà di noi: “Per favore basta! Scriveteci del meraviglioso miracolo del pancione della diva, della cellulite che non risparmia le famose chiappe della modella, dell’amore nato e morto tra questa e quello. Ma basta. Smettete di insultare le poche intelligenze, risparmiate chi ormai è vicino a perdere l’ultimo neurone.”

Abbiate pietà di voi, giornalisti. Ricordatevi cos’è la vostra professione, ricordate i sacrifici che avete fatto per sedere a quella scrivania, fosse anche quello di aver dovuto aprire le gambe, rovesciate su un divano, per un adiposo pieno di bava, che magari puzzava e sudava. Riprendetevi la dignità.

Perché davvero non può essere accettabile, che oggi per tutti voi spruzzatori di inchiostro a caso, il problema sia che il palco di Roma fosse illegale. Non può essere il problema, che i cartelli stradali siano stati divelti per far spazio alla folla oceanica che si attendeva. Il problema non è quel che è restato dopo il passaggio dello tsunami berlusconoide, con le carte dei panini, e le bottigliette delle bibite o le bucce di banana, così come ormai crede la maggioranza dei rivoluzionari italiani del clic, mi piace, condividi.

Il problema è quel che da quel palco è stato detto, l’immagine deteriorata dell’Italia che fa ridere tutto il mondo, e vergognare i milioni di italiani che da questo PAESE DI MERDA son dovuti scappare, per sopravvivere dignitosamente, per ritrovare l’orgoglio di sentirsi attivi, vivi e partecipi alla vita.

Non può essere l’abusività di un palco il problema del giorno dopo, ma l’evidenza di una nazione in ostaggio di un manipolo di criminali dall’indiscussa mafiosità. Il problema reale del paese è che non riesce a dire basta alla malavita organizzata, succube, schiavo, complice.

Arrendiamoci, perché hanno vinto e vincono ogni giorno, svuotando le nostre povere vite – ogni giorno di più. È inutile pensare che un giorno ci riprenderemo, che un giorno saremo nuovamente capaci di organizzarci, di ripensare al nostro domani, di riavere una progettualità che non riusciamo più nemmeno a sognare.
Vien male scrivere persino che l’Italia non è un paese normale, perché sembra idiota scrivere una siffatta banalità. 

Eppure normale non lo è per nulla, se ancora oggi tutte le istituzioni sono impegnate a trovare il mondo per garantire la libertà di un delinquente, se a quel delinquente è ancora dato parlare del futuro di tutti noi, o se addirittura già si preannuncia la probabile abdicazione del trono in favore della figlia … il trono di un impero mafioso e finanziario che nulla ha a che fare con una Repubblica libera e democratica, o che almeno nulla avrebbe a che fare.

Vuole andare in galera, dice. E lo fa come se fosse una minaccia. 
Riprendete a scrivere minchiate il giorno che se lo dimenticheranno a Badu ‘e carros, o il giorno che farà la fine del povero Stefano Cucchi. 
Io quel giorno, dopo la festa, riprenderò a leggere i giornali.

martedì 30 luglio 2013

La stampa tedesca dal 2008 a oggi: “Italia = Berlusconi = caos = debiti”. - Alessandro Madron

Berlusconi e Merkel


Il pregiudizio non muore, come testimonia lo studio sull’immagine della Penisola nei media tedeschi, dell’Europaische Akademie Berlin, ente indipendente che collabora con il ministero degli Affari Esteri tedesco, che analizza titoli e servizi pubblicati da Die Zeit, Frankfurter Allgemenine e Bild Zeitung.

Inaffidabili e traditori, cialtroni e scansafatiche. L’Europaische Akademie Berlin, ente indipendente che collabora con il ministero degli Affari Esteri tedesco, ha effettuato uno studio sull’immagine dell’Italia nei media tedeschi, analizzando titoli e servizi dal 2008 ad oggi pubblicati da Die ZeitFrankfurter Allgemeninee Bild Zeitung. Tre giornali differenti, che si rivolgono ad un pubblico diverso, da cui emerge con prepotenza un giudizio pesante sull’Italia.
Il pregiudizio tedesco sul conto del popolo italiano, del resto, è vecchio di cent’anni ed è stato rafforzato nel tempo. Il peccato originale risale alla prima guerra mondiale, poi confermato con l’epilogo della seconda. Il giudizio storico è stato poi alimentato dal mito costruito negli anni della dolce vita, di un Paese popolato da maschi veraci, votati più al piacere che alla fatica. Oggi quell’impronta rimane e il pregiudizio torna a riproporsi, pescando da quell’immaginario.
Negli articoli presi in esame dall’analisi si parla principalmente dei protagonisti del sistema politico, delle elezioni e della crisi del sistema, oltre che di economia e di crisi finanziaria. L’equazione che ne emerge è particolarmente pesante: “Italia = Berlusconi = caos = debiti”. Ad esporre i risultati dello studio il professor Eckart Stratenschulte (direttore dell’ente), in occasione di un seminario dedicato alla Germania, organizzato da Villa Vigoni, centro Italo-Tedesco per l’eccellenza europea.
“A farla da padrone, tra i politici italiani raccontati dai giornali tedeschi, è stata la figura di Silvio Berlusconi– ha spiegato Stratenschulte -. Sono famose le copertine e le prime pagine che gli sono state riservate, spesso irriverenti. Ancora oggi in Germania domina l’incomprensione su come gli italiani possano continuare a votare Berlusconi, sia come imprenditore dei media, sia per gli scandali che lo hanno travolto, per le leggi ad personam, ma soprattutto per quello che è successo sul caso Ruby, in particolare per la bugia sulla parentela con Mubarak, che all’epoca era ancora un importante Capo di Stato, una cosa incomprensibile e inconcepibile per un tedesco”.
Accanto ad un giudizio pesante su una certa classe politica c’è però anche il tentativo di spiegare il caso italiano è diverso da quello greco: “Per noi la Grecia è stato un vero incubo e lo è tutt’ora. Soprattutto la Frankfurter e Zeit, in questi anni hanno spiegato che l’Italia non è la Grecia. Certo c’è preoccupazione per la situazione di crisi in Italia, perché l’Italia è una grande forza economica e un tracollo avrebbe conseguenze disastrose per tutta l’eurozona, ma sono stati fatti notare gli sforzo compiuti, prima con il governo Monti e adesso con il governo Letta. I tedeschi capiscono e apprezzano lo sforzo di dare un governo al Paese che vada oltre le spaccature”.
Interessante, per comprendere il giudizio tedesco sull’Italia, un sondaggio pubblicato recentemente nel quale è stato chiesto chi fosse il partner più affidabile per la Germania: “L’82% per cento ha messo al primo posto la Francia, poi a scendere ci sono altri paesi come Usa, Polonia e solo il 32% ha risposto Italia”. Quando invece si è trattato di rispondere alla domanda su quale paese dovesse uscire dall’Europa il risultato è stato differente: “Il 74 % degli intervistati ha detto che l’Italia deve rimanere dentro l’eurozona e solo il 20% ritiene che debba uscire. Un risultato migliore di Spagna, Portogallo e ovviamente della Grecia”.
Stratenschulte ha spiegato che non ci sono solo stereotipi negativi sul conto degli italiani: “Siete caotici ma charmant. Venite visti comunque come il Paese della moda, della cultura, della gastronomia, del buon vivere, dell’architettura e del design. Io non sarei preoccupato per l’immagine italiana. Per chiudere con una battuta possiamo dire che forse alla base c’è un po’ di invidia, perché i tedeschi lavorano per entrare in paradiso mentre gli italiani lavorano meno perché sono già in paradiso”.
Prova a metterci una buona parola anche Michael Georg Link, viceministro degli Affari Esteri tedesco, con delega alle politiche comunitarie: “Io sono del Baden Württemberg, abbiamo relazioni molto strette con il Nord Italia ormai da 40 anni. C’è molto rispetto a livello tecnico e industriale. La nostra immagine dell’Italia è che ci sono molte italie differenti. Sappiamo che l’Italia è uno dei migliori alleati quando si tratta di portare avanti l’idea europea. Oggi siamo molto lieti della collaborazione tra Guido Westerwelle ed Emma Bonino, che a Mallorca hanno appena firmato una dichiarazione di intenti per continuare nel processo di integrazione europea. Gli anni del governo Berlusconi, in Germania, sono stati percepiti come anni perduti per l’Europa. Durante quel periodo è mancata una voce forte italiana a Bruxelles, oggi stiamo riflettendo su come approfondire la collaborazione perché crediamo molto nella forza di questo governo Letta”.