Contaminazioni ben oltre i limiti di legge e sostanze chimiche pericolose che inquinano l’ambiente e non fanno altro che nuocere agli essere umani: nei sedimenti (ma anche nelle cozze!) che vivono in prossimità di piattaforme offshore presenti in Adriatico si trova questo e molto altro.
A rivelarlo è il rapporto “Trivelle fuorilegge” pubblicato da Greenpeace in cui vengono resi pubblici per la prima volta i dati ministeriali relativi all’inquinamento generato da oltre 30 trivelle operanti nei nostri mari.
I dati elaborati da Greenpeace mostrano una contaminazione che supera i limiti previsti dalla legge per almeno una sostanza chimica pericolosa nei tre quarti dei sedimenti marini vicini alle piattaforme (76% nel 2012, 73,5% nel 2013 e 79% nel 2014). E non solo: i parametri ambientali sono oltre i limiti per almeno due sostanze nel 67% dei campioni analizzati nel 2012, nel 71% nel 2013 e nel 67% nel 2014. Anche nelle cozze la presenza di sostanze inquinanti ha mostrato evidenti criticità.
“Il quadro che emerge è di una contaminazione grave e diffusa – afferma Giuseppe Ungherese, responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace –. Laddove esistono dei limiti fissati dalla legge, le trivelle assai spesso non li rispettano. Ci sono contaminazioni preoccupanti da idrocarburi policiclici aromatici e metalli pesanti, molte di queste sostanze sono in grado di risalire la catena alimentare fino a raggiungere gli esseri umani. Nei pressi delle piattaforme monitorate si trovano abitualmente sostanze associate a numerose patologie gravi, tra cui il cancro. La situazione si ripete di anno in anno ma ciò nonostante non risulta che siano state ritirate licenze, revocate concessioni o che il Ministero abbia preso altre iniziative per tutelare i nostri mari”.
Lo scorso luglio Greenpeace aveva chiesto al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, tramite istanza pubblica di accesso agli atti, di ottenere i dati di monitoraggio delle piattaforme presenti nei mari italiani.
Il Ministero fornì allora solo i dati di monitoraggio di 34 impianti, relativi agli anni 2012-2014, dislocati davanti alle coste di Emilia Romagna, Marche e Abruzzo. Delle altre 100 e più piattaforme operanti nei nostri mari, Greenpeace non ha ricevuto alcun dato: o il Ministero non dispone di informazioni in merito (e dunque questi impianti operano senza piani di monitoraggio), oppure lo stesso Ministero ha creduto bene di non consegnare a Greenpeace tutta la documentazione in suo possesso.
Alla scarsa trasparenza del Ministero e al quadro ambientale critico si aggiunge il fatto non proprio confortante che i monitoraggi sono stati eseguiti da ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale che è sottoposto alla vigilanza del Ministero dell’Ambiente, su committenza di ENI, proprietaria delle piattaforme oggetto di indagine.
“Con questo rapporto dimostriamo chiaramente che chi estrae idrocarburi nei nostri mari inquina, e lo fa oltre i limiti imposti dalla legge senza apparentemente incorrere in sanzioni o in divieti – dichiara Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace. Quel che a nessun cittadino sarebbe concesso, è concesso invece ai petrolieri, il cui operato è fuori controllo, nascosto all’opinione pubblica e gestito in maniera opaca. Sono motivi più che sufficienti per spingere gli italiani a partecipare al prossimo referendum sulle trivelle del 17 aprile, e a votare Sì per fermare chi svende e deturpa l’Italia”.
Ecco, allora, un motivo in più perché il 17 aprile prossimo andremo a votare SI, per cancellare la norma che consente alle società petrolifere di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di tempo.
Certo è, e torna a sottolinearlo Legambiente, la decisione del governo di fissare il referendum il 17 aprile, e di non averlo voluto accorpare alle elezioni amministrative che si terranno più avanti, limiterà molto le possibilità di coinvolgimento e quindi di partecipazione degli italiani a una consultazione che interessa tutto il Paese.
Secondo la legge, la propaganda elettorale inizia infatti dal 30° giorno antecedente la votazione; in questo caso il 18 marzo. “Sarebbe stato necessario avere più tempo a disposizione per spiegare che tutto il petrolio presente sotto il mare italiano basterebbe al nostro Paese per sole 7 settimane – spiega Rossella Muroni, presidente di Legambiente – mentre già oggi produciamo più del 40% di energia da fonti rinnovabili. E che se si vuole mettere definitivamente al riparo i nostri mari dalle attività petrolifere occorre votare Sì, perché così le attività petrolifere in mare entro le 12 miglia andranno progressivamente a cessare, secondo la scadenza “naturale” fissata al momento del rilascio delle concessioni”.
Insomma, i margini di informazione su questa consultazione popolare sono davvero ristretti, ma noi ce la metteremo tutta affinché sempre più persone prendano consapevolezza dell’importanza di partecipare a questo referendum e dire SI!