giovedì 7 luglio 2016

Angelino Alfano, il problema del ministro Ncd è il fratello Alessandro: dalle indagini sulla laurea all’assunzione alle Poste. - Giuseppe Pipitone

Angelino Alfano, il problema del ministro Ncd è il fratello Alessandro: dalle indagini sulla laurea all’assunzione alle Poste

Negli ultimi anni Alessandro Alfano ha provocato più di un momento di apprensione al ministro dell'Interno: dalle indagini sul titolo di studio, al concorso vinto alla Camera di commercio di Trapani fino alle interrogazioni parlamentari sul curriculum.


Il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha un problema e non è la percentuale da prefisso telefonico raccolta dal suo partito alle ultime elezioni amministrative. Non è neanche (non del tutto) Antonio Marotta, il deputato finito indagato nell’inchiesta anticorruzione della procura di Roma. La vera preoccupazione di Alfano, invece, ha una natura molto più intima. È un cruccio rappresentato da un ragazzotto classe 1975 che con il ministro dell’Interno condivide il cognome, i genitori, persino una leggera somiglianza fisica: si chiama Alessandro Alfano, ed è suo fratello minore.
L’indagine sulla laurea - E non solo perché è l’uomo che Raffaele Pizza sostiene di aver fatto assumere alle Poste per fare un favore al leader del Ncd (poi costretto al commento “sull’uso politico di materiale scartato dai magistrati”). Alessandro Alfano, infatti, negli ultimi anni ha provocato più di un momento di apprensione al potente fratello ministro. Nato – come il leader di Ncd – ad Agrigento da Angelo Alfano e Calogera Sciumé, una coppia originaria di Sant’Angelo Muxaro (piccolo comune della provincia), Alfano Junior (nella foto tratta dal suo profilo facebook) inizia a creare imbarazzo in famiglia già al momento di laurearsi: è il 2009 quando consegue – a 34 anni – la laurea triennale in Economia e CommercioSolo che quell’esame di laurea finisce al centro di un’inchiesta della procura di Palermo che iscrive trenta studenti nel registro degli indagati. Il motivo? Erano tutti sospettati di avere pagato un’impiegata della segreteria che in cambio inseriva nel database informatico dell’università esami mai sostenuti. La posizione di Alfano il minore verrà in seguito archiviata, ma quell’indagine crea più di un grattacapo al potente fratello, che in quel momento si è appena dimesso da ministro della Giustizia per installarsi alla segreteria del Pdl, poltrona dalla quale avrebbe dovuto poi raccogliere il testimone da Silvio Berlusconi.
“Quel concorso lo vincerà Alfano junior” - Quell’inchiesta sulle lauree false, infatti, apre una crepa nel curriculum di Alfano Junior che nel 2006, quando ancora non aveva conseguito il titolo di dottore in Economia e Commercio, era stato nominato segretario generale di Unioncamere Sicilia. Quattro anni dopo, a laurea acquisita, ecco che Alessandro Alfano vince il concorso da segretario generale della Camera di Commercio di Trapani: solo che ben prima che si tenesse quella selezione pubblica, un esposto anonimo aveva incredibilmente predetto la vittoria del fratello dell’ex ministro della Giustizia. E in quell’esposto, una mano anonima aveva anche fatto riferimento al fatto che Alfano junior non avesse alle spalle cinque anni di esperienza dirigenziale, requisito fondamentale per partecipare alla concorso di segretario generale della Camera di Commercio trapanese. È per questo motivo che nel dicembre del 2011  gli uomini della squadra mobile di Palermo piombano negli uffici della Camera di commercio di Trapani, sequestrando il fascicolo del concorso vinto da Alfano junior. Il clima tra Palermo e Roma si fa incandescente, Berlusconi si è appena dovuto dimettere da presidente del Consiglio e Angelino Alfano gioca un ruolo di primo piano nella larga maggioranza che sostiene il governo di Mario Monti: Alessandro è costretto dunque a fare un passo indietro, dimettendosi da segretario generale.
“Il fratello del ministro ha mentito nel curriculum” - Le polemiche su quel concorso e sui titoli vantanti da Alfano il minore, però, non si spengono: anzi, finiscono addirittura in Parlamento. “Alcune delle dichiarazioni contenute nella suddetta domanda (quella presentata per partecipare alla selezione della Camera di commercio ndr) peccano anche sotto il profilo della veridicità della ricostruzione curriculare da parte dell’interessato. Il dottor Alfano ha autocertificato, relativamente al ruolo di direttore regionale di Confcommercio Sicilia, in un periodo antecedente alla sua nomina a segretario generale di Unioncamere Sicilia, avvenuta a fine 2006. Risulta, infatti, che in realtà egli sia stato semplicemente distaccato presso la sede di Confcommercio regionale, in veste di semplice direttore provinciale di Agrigento, e che in tale Confederazione non ha mai rivestito il ruolo di Direttore regionale, visto che da tempo vi era un altro soggetto che rivestiva tale funzione, l’avvocato Marino Julo Cosentino”, scrive nell’estate del 2013 il parlamentare di Sel Erasmo Palazzotto, in un’interrogazione indirizzata a Flavio Zanonato, l’allora ministro dello Sviluppo Economico. Tradotto: per vincere il concorso alla Camera di Commercio il fratello del ministro dell’Interno avrebbe inserito nel suo curriculum un incarico al vertice della Confcommercio siciliana. Problema: quell’incarico, secondo Palazzotto,  era già ricoperto da un’altra persona, mentre Alfano Junior era all’epoca  direttore della sezione provincia di Agrigento. Un bel problema, anche per Alfano senior, che nel frattempo è diventato vice del premier Enrico Letta. A quell’interrogazione depositata nell’agosto del 2013, tra l’altro, non è mai seguita una risposta del ministero.
La scalata alle Poste - Nel frattempo, però, Alfano il minore ha già trovato un’altra sistemazione: nel settembre del 2013 viene nominato direttore della divisione Business Development di Postecom spa: solo il primo gradino di una fulminante carriera tutta interna al gruppo Poste italiane. Due anni dopo, infatti, viene promosso direttore del settore Offerta e Post Vendita di Poste tributi, nel maggio scorso, invece, approda direttamente alla società principale come dirigente.  Incarico che avrebbe ottenuto –stando alle intercettazioni della Guardia di Finanza – grazie all’interessamento del faccendiere Raffaele Pizza, arrestato nell’operazione anticorruzione di ieri, a sua volta fratello di Giuseppe, ex sottosegretario del governo Berlusconi, famoso soprattutto per aver rivendicato l’uso esclusivo del storico simbolo della Dc. Quello dei fratelli che provocano qualche imbarazzo, insomma, non è un problema comune solo in casa di Alfano. È probabile, però, che in queste ore al ministro dell’Interno sia tornato in mente un vecchio proverbio noto nella sua Sicilia: i parenti te li dà Dio, gli amici te li cerchi tu. Vista la lunga lista d’indagati del Nuovo centrodestra, si può dire che il responsabile del Viminale abbia avuto scarsa fortuna in entrambi i campi.

A Pavia la macchina che cura i tumori al 90% . Ecco i contatti e il telefono




Il CNAO (Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica) è una struttura innovativa e tecnologicamente avanzata, voluta dal Ministero della Salute con Legge n° 388 del 23.12.2000, per il trattamento di tumori radio resistenti o non operabili, mediante l’uso di ioni carbonio e protoni. Nella sala sperimentale, nelle aree dedicate e nei laboratori si effettuano anche attività di ricerca clinica, radiobiologica e traslazionale.

Sincrotrone: l’invenzione che cura il tumore resistente ai raggi x 
Nonostante la struttura che ospita il Sincrotrone sia stata finanziata, in parte, dallo Stato, nessuno conosce il centro CNAO che attraverso l’adroterapia ha una percentuale elevatissima di guarigione dei tumori.
La puntata di “Report” di pochi mesi fa ha trattato un argomento molto importante e poco conosciuto per quanto riguarda la cura dei tumori.
A Pavia un gruppo di fisici e ingegneri hanno messo a punto una macchina per la cura dei tumori che esiste solo in altri tre luoghi nel mondo: Giappone, Cina e Germania.
Si tratta del Sincrotrone e cura i tumori radio resistenti.

Nella visita a Pavia il Sottosegretario Dott.Vito De Filippo (ex Governatore della Regione Basilicata) esplora le stanze in cui questo enorme macchinario viene utilizzato e attraverso il quale le particelle vengono accelerate:
 si tratta di struttura in cui viene iniettato un gas ricco di idrogeno o carbonio che crea un fascio di protoni o di ioni carbonio che percorrono questa circonferenza un milione di volte in mezzo secondo. Ad ogni giro le particelle aumento l’energia. Il carbonio richiede grandi macchine per venire accelerato ma quando arriva a colpire la cellula tumorale è tre volte più efficace dei raggi x.

Roberto Orecchia, direttore scientifico fondazione CNAO, spiega: 
“Il carbonio è più pesante e lascia una traccia all’interno della cellula. Nel suo percorso ad elevata intensità lascia una traccia tale che tutto quello che incontra, anche in questo caso del DNA, lo rompe. Questo è un tipo di danno non riparabile dalla cellula“.
Per tanto anche un tumore radioresistente può essere eliminato con gli ioni carbonio. Tutto questo sistema è stato messo insieme dall’eccellenza italiana nella fisica.

Sandro Rossi, Direttore Generale CNAO, spiega: 
il funzionamento del sincrotrone: ” Questo anello che ha una circonferenza di circa 80 metri, quando le particelle entrano in quell’anello cominciano ad accelerare e incominciano ad arrivare a circa 60/70% della velocità della luce. Quindi i fisici, gli ingegneri, selezionano l’energia giusta per arrivare dove esattamente il medico dice che bisogna fermare il fascio per trattare quel tumore“.
Con questa tecnica che si chiama Adroterapia stanno curando anche i sarcomi. “I sarcomi sono universalmente conosciuti come essere tumori radio resistenti – dichiara Roberto Orecchi – La probabilità di controllo locale con la Radioterapia generalmente non supera il 50/60%”.
Con la tecnica dell’Adroterapia, invece i dati sono più incoraggianti e arrivano all’80/85% di successo sulla malattia, in pratica significa di fatto la guarigione del paziente. Stanno emergendo anche altre indicazioni come il tumore del pancreas, che normalmente si riesce a curare nel 20% dei casi. Con l’adroterapia sono state registrate percentuali di sopravvivenza a due anni libera da malattie del 45%. Di solito tumori resistenti ai raggi x sono quelli della base cranica, tumori delle ghiandole salivari, tumori del retto, melanoma dell’occhio, e la prospettiva è quello di applicarlo anche per i tumori che colpiscono i bambini.
Oltre 600 sono i pazienti curati nel centro CNAO costruito per 150 milioni di euro di cui 95 messi a disposizione dallo Stato in base alla legge istituita dalla fondazione Veronesi del 2000. Nonostante sia sconosciuto l’invenzione del Sincrotone è orgoglio tutto italiano realizzato con l’Istituto di fisica nucleare Politecnico di Milano e l’Università di Pavia. Al progetto hanno partecipato 600 ditte di cui 500 italiane.
Come funziona Il lettino motorizzato in cui si stende il paziente come se fosse una tac è dotato di un laser con un puntamento ad altissima precisione colpisce il tumore in tante fette, come dichiara il direttore della fondazione; tali fette si scindono in un millimetro ciascuno e fetta per fetta colpisce il tumore.
Il trattamento varia dai 2 ai 15 minuti ed è perfettamente indolore.
Si curano anche pazienti che non avrebbero alternative. Purtroppo questa struttura, anche se finanziata dallo Stato, non tutti la conoscono perché non figura tra i centri di cura nazionale per il tumore. Il trattamento completo costa 24mila euro e finora solo le regioni Lombardia ed Emilia Romagna rimborsano l’intero costo della cura.
Altre regioni in Italia richiedono prima un’autorizzazione visto che molte Asl ignorano ancora il trattamento dell’Adroterapia. Purtroppo per far si che il CNAO venga elencato tra i centri riconosciuti per la cura del tumore si dovrà aspettare l’aggiornamento della legge di stabilità con l’elenco di malattie che potranno essere curate con l’adroterapia e completamente rimborsabili. Un aggiornamento che dovrebbe avvenire nell’immediato futuro visto che le persone in Italia malate di sarcomi sono oltre 4500, tutti tumori resistenti alla tradizionale radioterapia.
Il CNAO è stato istituito per volontà del Ministero della Salute e la Fondazione CNAO, incaricata della sua realizzazione, costruzione e funzionamento, è stata insediata a Milano il 21 novembre 2001, sotto la guida del prof. Ugo Amaldi. Il Centro si trova a Pavia e la sua inaugurazione è avvenuta il 15 febbraio del 2010. Nell’ottobre 2011 sono iniziati i trattamenti su pazienti volontari e selezionati dal ministero della salute. Il CNAO si prefigge lo scopo di curare i pazienti affetti da tumori solidi mediante l’uso di fasci di protoni e ioni carbonio: si tratta di particelle denominate adroni, da cui il nome di adroterapia. Nello stesso tempo effettuerà ricerca scientifica per individuare strumenti sempre più efficaci nella lotta contro il cancro.
In altri termini, il CNAO opererà a due livelli: presterà assistenza medica diretta ai malati di cancro e farà ricerca clinica e radiobiologica. Il centro funzionerà con prestazioni di carattere ambulatoriale; non sono previsti servizi di assistenza in regime di ricovero ordinario. A livello tecnologico il CNAO si avvale di un sincrotrone di 25 m di diametro, in grado di accelerare sia protoni, sia ioni di carbonio. Protoni e ioni saranno prodotti in due sorgenti, pre-accelerati da un acceleratore lineare, seguito da una linea di iniezione per il trasferimento delle particelle nell’anello del sincrotrone dove verranno ulteriormente accelerate ed estratte ad energie sino a 250 MeV per i protoni e 480 MeV/u per gli ioni carbonio. Il CNAO ha tre sale di terapia, una delle quali dotata di un sistema di trattamento con fascio sia orizzontale che verticale. In funzione del tipo di particelle utilizzate (protoni o ioni carbonio) e della loro energia, potranno essere irradiati tumori a profondità variabili da 1 a 27 cm.
PER CONTATTARE IL CENTRO:  http://fondazionecnao.it/it/   IL TELEFONO DEL CENTRO E’ 0382-078.963

mercoledì 6 luglio 2016

Mafia: undici arresti a Milano, "Favoriti clan per Expo".

Expo: padiglione Francia © ANSA
Expo: padiglione FranciaRIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA/ANSA

Reati tributari, riciclaggi e associazione per delinquere.

Undici persone, tra cui un avvocato, sono state arrestate nell'ambito di un'inchiesta della Dda di Milano con al centro reati tributari, riciclaggio e associazione per delinquere con l'aggravante della finalità mafiosa. 
Al centro dell'inchiesta c'è il consorzio di cooperative Dominus Scarl specializzato nell'allestimento di stand, il quale ha lavorato per la Fiera di Milano dalla quale ha ricevuto in subappalto l'incarico di realizzare alcuni padiglioni per Expo tra cui quello della Francia e della Guinea equatoriale.
Secondo le indagini coordinate dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini e dai pm Paolo Storari e Sara Ombra, le società del consorzio erano intestate a prestanomi di Giuseppe Nastasi il principale indagato, arrestato con il suo collaboratore Liborio Pace e l'avvocato del Foro di Caltanissetta, Danilo Tipo, ex presidente della Camera penale della città siciliana.
Le società coinvolte ricorrevano a un sistema di fatture false per creare fondi neriIl denaro era poi riciclato in Sicilia dove gli indagati avevano legami con la famiglia di Cosa Nostra dei Pietraperzia. Il Gico della Guardia di Finanza sta effettuando un sequestro preventivo per circa cinque milioni di euro.
Agli undici arrestati sono contestate a vario titolo le accuse di associazione per delinquere finalizzata a fatture false, a reati tributari, riciclaggio appropriazione indebita e ad alcuni degli indagati, tra cui Nastasi e Pace, l'aggravante di aver favorito Cosa Nostra.
 L'indagine "è importante" in quanto questa volta "segnala" in Lombardia non "le infiltrazioni di 'ndrangheta, ma di Cosa Nostra". Lo ha detto in conferenza stampa il procuratore aggiunto e coordinatore della Dda milanese, Ilda Boccassini, che ha voluto evidenziare come in particolare Giuseppe Nastasi, titolare del consorzio di cooperative al centro dell'inchiesta, avesse "legami con cosche importanti come gli esponenti della famiglia Accardo". "Garantiremo agli indagati un processo rapido e quindi si procederà con la richiesta di rito immediato e alla trascrizione in tempi brevi di tutte le intercettazioni" che sono alla base dell'indagine, ha detto Ilda Boccassini. "Non sono individuate responsabilità penali in capo a Ente Fiera o a Expo", ha precisato il procuratore aggiunto.
Commissariata Nolostand spa
La Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano, presieduta da Fabio Roia ha disposto l'amministrazione giudiziaria della Nolostand spa, società del gruppo Fiera Milano. La decisione è stata presa perché alcuni indagati nell'inchiesta che stamani ha portato a unici arresti a Milano per reati di stampo mafioso hanno contatti con dirigenti e vertici della società. 
Mafia: pm, tema non è mancato controllo Expo
'Non è inchiesta su Fiera, indagine svolta in tempi rapidi'
"Qua non c'è il tema che Expo non ha controllato, è Nolostand (società del gruppo Fiera Milano, ndr) che non ha controllato e questa non è un'indagine su Fiera Milano ma sul consorzio di Nastasi che si è infiltrato in Fiera, con la Fiera, che poi ha lavorato per Expo". Così il pm di Milano Paolo Storari nella conferenza stampa sul blitz di stamani ha risposto ad una serie di domande. E a chi le chiedeva se le indagini non potessero avere tempi più rapidi, Boccassini ha risposto: "i tempi della Dda sono sempre rapidi". 
Expo Mafia: Sala, battaglia legalità non si fermi mai
'Sosteniamo ogni azione degli organi dello Stato'
"La battaglia per la legalità non deve fermarsi mai, a tutela dei cittadini e delle istituzioni e sosteniamo ogni azione degli organi dello Stato in tal senso". Lo ha dichiarato il sindaco di Milano Giuseppe Sala, ex commissario di Expo. "Abbiamo lavorato e stiamo lavorando - ha aggiunto Sala - per proteggere Milano dalle infiltrazioni malavitose e dai rischi di corruzione. Risultati importanti sono stati ottenuti, ma la forza delle organizzazioni criminali non può essere sottovalutata nemmeno per un momento".

L'Iva sulle bollette? E' illegittima e va rimborsata.

L'Iva sulle bollette? E' illegittima e va rimborsata

Basta dare un'occhiata alla bolletta del gas o della luce per accorgersi che l'Iva viene spesso calcolata prendendo come base anche addizionali e accise. Tuttavia, questo rincaro sembrerebbe illecito, poiché non esiste alcuna legge che lo prevede. Come ricorda 'Studio Cataldi', i cittadini sarebbero legittimati a chiedere la restituzione delle somme indebitamente corrisposte, nella fattispecie solo della quota calcolata in eccesso.
Già nel 1997, la Cassazione aveva chiarito che un tributo non può gravare su un altro tributo simile, a meno che non sia la legge a prevederlo. Qualora la parte dell'Iva applicata sulle bollette fosse dichiarata illegittima per l'Erario potrebbero presentarsi delle conseguenze: se il rimborso per il singolo cittadino non è elevato, l'ammontare dei rimborsi complessivo potrebbe sfiorare cifre significative.
Tuttavia, sebbene con una recente sentenza la Cassazione abbia dichiarato illegittima l'applicazione dell'imposta sul valore aggiunto della tariffa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (Tia) stante la sua natura tributaria, sull'argomento bisogna ancora fare chiarezza.

Invasione in Iraq, rapporto Chilcot: "Guerra non era necessaria". Blair: "Io in buona fede".

Invasione in Iraq, rapporto Chilcot: Guerra non era necessaria. Blair: Io in buona fede

Il Regno Unito non esaurì tutte le possibili opzioni pacifiche prima di decidere di unirsi nel 2003 agli Stati Uniti nell'invasione dell'Iraq di Saddam Hussein. Queste le attese conclusioni di Sir John Chilcot, a capo della commissione di inchiesta che per 7 anni ha indagato sulle ragioni della guerra e che oggi presenta il suo Rapporto finale.
Per Chilcot, l'allora premier laburista Tony Blair giudicò le informazioni di intelligence sulla minaccia delle presunte armi di distruzione di massa irachene "con una certezza che non era giustificata". I piani per il dopoguerra, inoltre, furono "completamente inadeguati" alla situazione.
In una dichiarazione Blair ha risposto alle conclusioni del Rapporto: "Il rapporto dovrebbe mettere a tacere le accuse di cattiva fede, menzogne o inganni. Sia che la gente sia d'accordo o in disaccordo con la mia decisione di intraprendere un'azione militare contro Saddam Hussein, lo feci in buona fede e in quello che credevo essere il migliore interesse del Paese".
E' una critica "devastante", come la definisce il Guardian, quella rivolta nei confronti di Blair dal Rapporto. Per John Chilcot, che per sette anni ha guidato la commissione d'inchiesta, la decisione britannica di invadere uno stato sovrano per la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale prima che tutte "le opzioni pacifiche per il disarmo" venissero esplorate, fu della "massima gravità". E se l'azione militare non era all'epoca "l'ultima risorsa" possibile, Chilcot suggerisce che uno dei fattori decisivi nella decisione di unirsi agli Stati Uniti e scendere in guerra, fu proprio il convincimento di Blair.
Secondo il Rapporto, il celebre dossier presentato dal premier alla Camera dei Comuni nel settembre del 2002 non era sufficiente a supportare l'accusa che l'Iraq di Saddam Hussein stava sviluppando armi di distruzione di massa. L'allora governo laburista non riuscì inoltre a prevedere le disastrose conseguenze della guerra, ha detto Chilcot nell'illustrare le conclusioni contenute nei 12 volumi che compongono il Rapporto. Con almeno 150mila morti, molti dei quali civili e "oltre un milione di sfollati", ha ricordato, "il popolo iracheno soffrì enormemente".

lunedì 4 luglio 2016

Orrore indescrivibile: Chomsky sulla nuova fase della guerra al terrore. - Noam Chomsky e C. J. Polychroniou

maxresdefault

[di Noam Chomsky] «L’ondata di terrorismo anti-occidentale è l’altra faccia della medaglia del terrorismo occidentale. In pochi anni, gli USA sono riusciti a diffondere il terrore jihadista da una piccola area dell’Afghanistan al mondo intero». Intervista a Noam Chomsky.
di Noam Chomsky e C. J. Polychroniou 

La guerra al terrore ha ora assunto la forma di una campagna bellica globale totale. Nel frattempo, le cause reali della nascita e della diffusione di organizzazioni omicide come l’ISIS rimangono opportunamente ignorate.
In seguito al massacro di Parigi in novembre i maggiori paesi occidentali come Francia e Germania si stanno unendo agli Stati Uniti nella lotta contro il terrorismo islamico fondamentalista. Anche la Russia si è affrettata ad entrare nel club, dato che ha le sue proprie paure sulla diffusione del fondamentalismo islamico. Di fatto la Russia sta combattendo la sua personale “guerra al terrore” fin dalla fine del crollo dello Stato sovietico. Allo stesso tempo, degli stretti alleati degli Stati Uniti, come l’Arabia Saudita, il Qatar e la Turchia, stanno fornendo sostegno diretto o indiretto all’ISIS, ma anche questa realtà viene opportunamente ignorata dalle forze occidentali che combattono il terrorismo internazionale. Soltanto la Russia ha osato di recente etichettare la Turchia  “complice del terrorismo,” dopo che quel paese ha abbattuto un aereo da guerra russo per aver presumibilmente violato lo spazio aereo turco. (Per la cronaca, gli aerei da caccia turchi hanno violato per anni lo spazio aereo greco con grande frequenza: 2.244 volte soltanto nel 2014).
Ha un senso la “guerra al terrore”? È una politica efficace? E in che cosa è diversa l’attuale fase della “guerra al terrore” dalle due precedenti fasi che si sono svolte durante le amministrazioni di Ronald Reagan e George W. Bush, rispettivamente? Inoltre, chi trae realmente vantaggio dalla “guerra al terrore”? E quale è il collegamento tra il complesso militare-industriale degli Stati Uniti e le guerre? Il celebre critico della politica estera statunitense Noam Chomsky ha offerto la sua opinione  a Truthout su questi argomenti in un’intervista esclusiva con C. J. Polychroniou.

Grazie, Noam, per questa intervista. Vorrei cominciare sentendo che cosa pensi dei più recenti sviluppi della guerra contro il terrorismo che è una politica risalente agli anni di Reagan, successivamente trasformata in pseudo-crociata da George W. Bush, con un costo incalcolabile di vite umane innocenti ed implicazioni molto profonde per la legge internazionale e la pace mondiale. La guerra al terrorismo sta apparentemente entrando in una fase nuova e forse più pericolosa, dato che altri paesi si sono buttati nella mischia con agende politiche e interessi differenti rispetto a quelli degli Stati Uniti e di alcuni dei loro alleati. Primo, sei d’accordo con la succitata valutazione sull’evoluzione della guerra contro il terrorismo e, se sì, quali saranno le probabili conseguenze economiche, sociali e politiche di una guerra permanente al terrore per le società occidentali in particolare?

Le due fasi della “guerra al terrore” sono molto diverse, eccetto che per un aspetto fondamentale. La guerra di Reagan si trasformò molto rapidamente in una serie di guerre terroristiche che ebbero conseguenze orribili per l’America Centrale, l’Africa meridionale ed il Medio Oriente. L’America Centrale, il suo obiettivo più diretto, deve ancora riprendersi, una delle principali ragioni dell’attuale crisi di profughi. Lo stesso si può dire della seconda fase, iniziata da George W. Bush vent’anni dopo, nel 2001. L’aggressione diretta degli Stati Uniti ha devastato vaste aree ed il terrorismo di Stato statunitense ha assunto nuove forme, in particolare la “campagna globale di omicidi” per mezzo dei droni lanciata da Obama, che segna un nuovo record negli annali del terrorismo e che, come altre azioni simili, probabilmente genera nuovi terroristi più in fretta di quanto uccida le persone sospette.
L’obiettivo della guerra di Bush era al-Qaeda. Una martellata dopo l’altra – Afghanistan, Iraq, Libia e oltre – è riuscito a diffondere il terrore jihadista da una piccola area tribale dell’Afghanistan a praticamente il mondo intero, dall’Africa Occidentale fino all’Asia sudorientale (attraverso il Levante). Uno dei grandi trionfi politici della storia. Nel frattempo, al-Qaeda è stata sostituita da elementi molto più feroci e distruttivi. Attualmente, l’ISIS (“Stato Islamico”) detiene il record in fatto di brutalità, ma altri “pretendenti” al titolo non sono molto addietro. La dinamica, che risale a molti anni fa, è ben descritta in un’importante opera dell’analista militare Andrew Cockburn, nel suo libro Kill Chain. Esso documenta come, quando si uccide un leader senza occuparsi delle radici e delle cause del fenomeno, questo solitamente viene sostituito molto rapidamente da qualcuno di più giovane, più competente e più violento.
Una conseguenza di questi “successi” è che una larga fetta dell’opinione pubblica mondiale considera  gli Stati Uniti come la maggior minaccia alla pace nel mondo. Molto addietro, al secondo posto, c’è il Pakistan, posizione presumibilmente ingrandita dal voto in India. Ulteriori successi del genere potrebbero rischiano di far esplodere una guerra di vasta scala col “mondo musulmano”, mentre le società occidentali si assoggettano a politiche sempre più repressive e a ulteriori erosioni dei diritti civili in patria, realizzando i sogni perversi di Osama bin Laden ieri e dell’ISIS oggi.

Nella discussione politica che ruota attorno alla “guerra al terrore”, la differenza tra le operazioni dichiarate e quelle segrete non è certo sparita. Nel frattempo l’identificazione dei gruppi terroristici e la scelta degli attori o degli Stati che appoggiano il terrorismo sembra essere totalmente arbitraria, al punto da sollevare il dubbio se la “guerra al terrore” sia veramente una guerra contro il terrorismo o se non sia piuttosto una copertura per giustificare delle politiche di conquista globale. Per esempio, mentre al-Qaeda e l’ISIS sono organizzazioni innegabilmente terroriste e assassine, il fatto che alleati degli Stati Uniti come l’Arabia Saudita ed il Qatar e perfino nazioni che sono membri della NATO, come la Turchia, abbiano di fatto appoggiato l’ISIS, è o ignorato o seriamente minimizzato sia dai decisori politici statunitensi che dai media convenzionali. Ha dei commenti da fare su questo argomento?

Lo stesso si poteva dire delle versioni di Reagan e di Bush della “guerra al terrore”. Per Reagan è stato il pretesto per intervenire in America Centrale per quella che il vescovo del Salvador, Arturo Rivera y Damas, succeduto all’arcivescovo Oscar Romero, che fu assassinato, definì «una guerra di sterminio e genocidio contro una popolazione civile indifesa». In Honduras e in Guatemala è stato anche peggio. Il Nicaragua è l’unico paese che disponeva un esercito che lo difese dai terroristi di Reagan; negli altri paesi le forze di sicurezza erano i terroristi.
In Sudafrica, la “guerra al terrore” fornì il pretesto per appoggiare i crimini razzisti sudafricani in patria e nella regione, con un costo orrendo in termini di vite umane. Dopotutto, dovevamo difendere la civiltà da «uno dei più famigerati gruppi terroristici» del mondo, il Congresso nazionale africano di Nelson Mandela. Lui stesso rimase sulla lista americana dei terroristi fino al 2008. In Medio Oriente, l’idea della “guerra al terrore” ha giustificato l’appoggio all’invasione omicida del Libano da parte di Israele e molto altro. Con Bush, ha fornito il pretesto per invadere l’Iraq. E continua così.
L’orrore che si sta verificando oggi in Siria è al di là di ogni descrizione. Le principali forze di terra che si oppongono all’ISIS sembra che siano i curdi, proprio come in Iraq, dove sono sulla lista statunitense dei terroristi. In entrambi i paesi, sono l’obiettivo primario dell’assalto del nostro alleato, la Turchia, che sta appoggiando anche il gruppo affiliato di al-Qaeda in Siria, il Fronte al-Nusra, che sembra poco diverso dall’ISIS, sebbene siano in guerra per il territorio. L’appoggio turco per al-Nusra è così estremo che quando il Pentagono inviò varie dozzine di combattenti che aveva addestrato sembra che la Turchia abbia allertato al Nusra, che li ha istantaneamente sterminati. Al-Nusra e Ahrar ash-Sham, suo stretto alleato, sono appoggiati dall’Arabia Saudita e dal Qatar, alleati degli Stati Uniti, e, a quanto pare, continuano a ricevere armi dalla CIA. Si dice che abbiano usato missili anti-carro forniti dalla CIA per infliggere gravi sconfitte all’esercito di Assad, probabilmente spingendo i russi a intervenire. La Turchia sembra che continui a permettere ai jihadisti di affluire in Siria attraverso il confine turco.
L’Arabia Saudita in particolare è stata un’importante sostenitrice del movimenti estremisti jihadisti per anni, anche al fine di diffondere le sue radicali dottrine wahhabite islamiste attraverso le scuole coraniche e le moschee. Con non poca giustizia, Patrick Cockburn descrive la “wahhabizzazione” dell’islam sunnita come uno degli sviluppi più pericolosi della nostra epoca. L’Arabia Saudita e gli Emirati hanno enormi forze militari moderne, ma sono a malapena impegnati nella guerra contro l’ISIS. Sono invece impegnati in Yemen, dove stanno creando una considerevole catastrofe umanitaria e molto probabilmente, come prima, generando terroristi futuri che diventeranno gli obiettivi di domani nella nostra “guerra al terrore.” Nel frattempo, la regione e la sua gente continuano ad essere devastati.
Per la Siria pare che l’unica speranza siano i negoziati tra i vari elementi coinvolti, escluso l’ISIS. Tra questi ci sono persone veramente orribili, come il presidente siriano Bashar al-Assad, che non commetteranno volentieri un suicidio politico e dunque dovranno essere coinvolte nei negoziati se si vuole fermare la spirale verso il suicidio nazionale. Su questo fronte si è fatto qualche piccolo passa avanti a Vienna. Ci sono altre cose che si possono fare sul terreno, ma uno spostamento verso la diplomazia è essenziale.

Il ruolo della Turchia nella cosiddetta guerra globale contro il terrorismo deve essere considerato come uno degli atti più ipocriti nei moderni annali della diplomazia. Putin non ha  moderato le parole in seguito all’abbattimento dell’aereo da caccia russo, etichettando la Turchia “complice dei terroristi”. Il petrolio è il motivo per il quale gli Sati Uniti ed i loro alleati occidentali consapevolmente ignorano l’appoggio di certe nazioni del Golfo alle organizzazioni terroristiche come l’ISIS, ma qual è il motivo per cui gli Stati Uniti evitano di contestare l’appoggio della Turchia al terrorismo fondamentalista islamico? 

La Turchia è sempre stata un importante alleato della NATO, di grande importanza geostrategica. Nel corso di tutti gli anni ’90, quando la Turchia stava compiendo alcune delle peggiori atrocità nella sua guerra contro la popolazione curda, divenne la massima beneficiaria di armi statunitensi (al di fuori di Israele ed Egitto, una categoria a parte). Di tanto in tanto il rapporto si è fatto teso, soprattutto nel 2003, quando il governo adottò la posizione del 95 per cento della popolazione e si rifiutò di partecipare all’attacco degli Stati Uniti contro l’Iraq. La Turchia fu aspramente condannata per non essere riuscita a comprendere il significato di “democrazia”. Paul Wolfowitz, che i media salutarono come “l’idealista principale” dell’amministrazione Bush, rimproverò le forze armate turche per aver permesso al governo di perseguire questo corso sconvolgente, e chiese che si scusassero. In generale, però, i due paesi hanno mantenuto rapporti piuttosto stretti. Di recente, gli Stati Uniti e la Turchia hanno raggiunto un accordo sulla guerra contro l’ISIS: la Turchia ha garantito l’accesso alle basi turche vicine alla Siria, e in cambio ha promesso di attaccare l’ISIS – ma invece ha attaccato i suoi nemici curdi.

Mentre questa potrebbe non essere un’opinione gradita a molte persone, la Russia, al contrario degli Stati Uniti, sembra “misurata” quando si tratta dell’uso della forza. Supponendo che tu sia d’accordo con questa ipotesi, perché pensi che le cose stanno così?

Sono la parte più debole. Non hanno 800 basi militari in giro per il mondo, non potrebbero verosimilmente intervenire dovunque nel modo in cui gli Stati Uniti lo hanno fatto nel corso dei decenni o architettare qualcosa di simile alla “campagna globale di omicidi” di Obama. Lo stesso è avvenuto durante tutta la Guerra Fredda. Poterono usare la forza militare vicino ai loro confini, ma non poterono intraprendere nulla di simile alle guerre in Indocina, per esempio.

La Francia sembra essere diventata un obiettivo preferito dei terroristi fondamentalisti islamici. Qual è la spiegazione di questo?

In realtà sono molti di più gli africani uccisi dal terrorismo islamico. Boko Haram è infatti classificato più in alto rispetto all’ISIS come organizzazione terroristica globale. In Europa la Francia è stata l’obiettivo principale in gran parte per motivi che risalgono alla guerra di Algeria.

Il terrorismo fondamentalista islamico del genere promosso dall’ISIS è stato condannato da organizzazioni come Hamas ed Hezbollah. Che cosa differenzia l’ISIS da altre cosiddette organizzazioni terroriste, e che cosa vuole realmente l’ISIS?

Dobbiamo stare attenti a ciò che chiamiamo “organizzazioni terroriste”. I partigiani anti-nazisti usarono il terrore. E lo ha usato anche l’esercito di George Washington a tal punto che una gran parte della popolazione scappò per la paura del suo terrore – per non parlare della comunità indigena, secondo la quale Washington era «il distruttore di città». È difficile trovare un movimento nazionale di liberazione che non abbia usato il terrore. Hezbollah e Hamas si sono formate in reazione all’occupazione e all’aggressione di Israele. Ma qualsiasi criterio usiamo, l’ISIS è una cosa molto diversa. Sta cercando di ritagliarsi un territorio che governerà e di istituire un califfato islamico. È molto diverso dagli altri movimenti.

In seguito al massacro di Parigi del novembre 2015, durante una conferenza stampa congiunta con il presidente francese Hollande, Obama ha dichiarato che «l’ISIS deve essere distrutta». Pensa che sia possibile farlo? Se sì, come? Se no, perché no? 

Naturalmente l’Occidente ha la capacità di massacrare tutti nelle zone controllate dall’ISIS, ma anche questo non distruggerebbe l’ISIS – o qualunque altro movimento brutale che si dovesse sviluppare al suo posto seconda la dinamica che ho citato prima. Uno scopo dell’ISIS è di trascinare i “crociati” in una guerra con tutti i musulmani. Possiamo contribuire a questa catastrofe, oppure possiamo tentare di affrontare le radici del problema e di contribuire a creare le condizioni in cui la mostruosità dell’ISIS possa essere sconfitta da forze interne alla regione.
L’intervento straniero nella regione è stata una maledizione per molto tempo ed è probabile che continui ad esserlo. Ci sono proposte sensate su come procedere su questa linea, per esempio quella fatta da William Polk, un raffinato studioso di Medio Oriente. Tale proposta ha un considerevole appoggio da parte chi ha studiato da vicino le ragioni dell’attrattiva dell’ISIS, come per esempio l’antropologo Scott Atran. Sfortunatamente, le possibilità che i loro consigli siano ascoltati sono scarse.

L’economia politica bellica statunitense sembra essere strutturata in modo tale da apparire quasi inevitabile, una cosa di cui il presidente Dwight Eisenhower sembrava essere consapevole quando ci avvertì, nel suo discorso di commiato, dei pericoli del complesso militare-industriale. Secondo te cosa ci vorrà per far allontanare gli Stati Uniti dallo sciovinismo militaristico?

È vero che certi settori dell’economia traggono vantaggio dallo “sciovinismo militaristico”, ma non penso che questa sia la causa principale. Ci sono considerazioni internazionali geostrategiche ed economiche di grande importanza. I benefici economici – che rappresentano solo un fattore – furono molto dibattuti sui giornali di economia all’inizio del dopoguerra. Si capì che le massicce spese fatte dal governo avevano salvato il paese dalla depressione e c’era grande preoccupazione che se le spesa pubblica fosse stata ridotta il paese sarebbe ricaduto nella depressione. Un articolo molto interessante pubblicato sulla rivista Business Week il 12 febbraio 1949 notava che la spesa sociale avrebbe potuto avere lo stesso effetto espansivo della spesa militare, ma che «c’è una grandissima differenza tra le politiche espansive in campo sociale e quelle in campo militare». Le seconde «non alterano realmente la strutture dell’economia», mentre la spesa per i sussidi pubblici e le opere pubbliche «altera davvero l’economia. Crea nuovi canali propri. Crea nuove istituzioni. Redistribuisce il reddito». Le spese militari non coinvolgono quasi per niente i cittadini, mentre la spese sociali  sì, e hanno un effetto democratizzante. Per ragioni analoghe a queste, si preferiscono molto di più le spese militari.

A proposito del legame tra cultura politica statunitense e militarismo, pensi che l’apparente declino della supremazia americana nell’arena globale renderà i futuri presidenti più o meno guerrafondai? 

Gli Stati Uniti raggiunsero il picco del loro potere dopo la seconda guerra mondiale, ma il declino arrivò molto presto con la “perdita della Cina” (quando la Cina divenne comunista) e in seguito con una rinascita delle potenze industriali ed il corso agonizzante della decolonizzazione e, in anni più recenti, con altre forme di diversificazione del potere. Ci sono vari modi in cui si può reagire a questo fenomeno. Uno è quella del trionfalismo e dell’aggressività in stile Bush. Un altro è quello della reticenza ad usare le truppe di terra, che è lo stile di Obama. Esistono numerosi altri modi. L’umore popolare non è di scarsa importanza ed è un aspetto sul quale possiamo sperare di avere influenza.

La sinistra dovrebbe appoggiare Ben Sanders quando si affilia al gruppo parlamentare del Partito Democratico?

Penso di sì. La sua campagna ha avuto un effetto salutare. Ha sollevato importanti problemi che sono altrimenti evitati e ha spostato leggermente i democratici in una direzione più progressista. Le probabilità che possa essere eletto nel nostro sistema elettorale dominato dai soldi non sono molto alte, e se lo fosse sarebbe estremamente difficile per lui effettuare un qualunque cambio di politica. I repubblicani non spariranno, e grazie ai brogli e ad altre tattiche è probabile che finiranno per controllare almeno la Camera, come hanno fatto per alcuni anni con una minoranza di voti, ed è probabile che faranno la voce grossa anche nel Senato. Si può contare sul fatto che i repubblicani bloccheranno qualunque passo che vada verso una direzione più progressista (o razionale). È importante riconoscere che non sono più un partito politico normale.
Perfino i piccoli passi mossi da Obama in una direzione più progressista sono stati per lo più bloccati, anche se in quel caso possono aver giocato un ruolo anche altri fattori, come il razzismo. In generale, però, nell’improbabile caso che Sanders venga eletto, le sue mani sarebbero legate, a meno che non si sviluppino dei movimenti popolari, creando un’onda che Sanders potrebbe cavalcare e che potrebbe (e dovrebbe) spingerlo più in là di dove andrebbe altrimenti.
Questo ci porta, credo, alla parte più importante della candidatura di Sanders. Ha mobilitato un enorme numero di persone. Se quelle forze possono essere sostenute anche dopo le elezioni, invece di farle affievolire una volta che lo spettacolo è finito, potrebbero diventare il tipo di forza popolare di cui il paese ha bisogno per affrontare le sfide che verranno.
Le suddette osservazioni si riferiscono alla politica interna, le aree su cui Sanders si è concentrato maggiormente. Le sue concezioni e proposte di politica estera mi sembrano, invece, piuttosto convenzionalmente liberaldemocratiche.

Un’ultima domanda. Che cosa diresti a coloro che sostengono l’idea che porre fine alla “guerra al terrore” è ingenuo e sbagliato?

Semplice: perché? E, soprattutto, perché pensate che gli Stati Uniti dovrebbero continuare a dare un contributo importante al terrorismo globale, mascherato da “guerra al terrore”?

Pubblicato su Truthout il 3 dicembre 2015. 

Colpa di quel maledetto gel. - Franco Cascio

Migranti | Blog diPalermo.it

Lo sbarco di mille migranti ad Augusta, una ragazzina con la febbre a 40, la disperata ricerca di un medico che non c'è e il messaggio di un collega poliziotto. Che rappresenta lo Stato. Ma non può sostituirlo.

Non è il solito messaggio di Roy. L’orario inconsueto e un testo chilometrico me lo fanno capire subito. Di solito non va oltre che fai, come stai, che si dice. Roy è un poliziotto, uno di quelli bravi e con una grandissima umanità. Lo mandano quasi sempre in missione a Lampedusa, Augusta. La realtà degli sbarchi dei disperati sulle coste italiane la conosce benissimo. Ne ha raccolti di cadaveri e ne ha salvato di vite. Solo che per lui salvare una vita fa parte del suo lavoro. Non riceverà medaglie e onorificenze di plastica, non farà mai comparsate in tv. Se si trova in quei posti e in determinati momenti non è mai per puro caso.
Leggo il messaggio di Roy tutto d’un fiato e mentre leggo lo immagino mentre digita con rabbia le parole sul suo smartphone. Aveva bisogno di vomitarla tutta la sua rabbia e ha deciso di affidare a me il suo sfogo. Io e Roy dell’emergenza sbarchi, delle rotte dell’immigrazione, della macchina dei soccorsi e di tutto il resto abbiamo parlato tantissime volte.
Stavolta mi ha scritto questo.
Venerdì scorso ero ad Augusta per il solito sbarco e ne sbarcano tanti. 1150 per l’esattezza. Di tutte le età. Sabato mattina mi viene incontro barcollando una ragazzina dal viso dolcissimo. Viene vicino al nostro furgone e cade a terra senza più alzarsi. Le corro incontro subito insieme ai colleghi. La metto subito all’ombra visto che alle 8 di mattina c’era già caldo da morire. Le tocco la fronte… scotta. Indossa una felpa. A fine giugno con una felpa. La prendo in braccio… pesa niente… nemmeno sento il peso e corro verso una tenda con brandine che so essere libera. La ripongo dolcemente sulla brandina ed esco cercando un dottore. Non c’e’ il dottore. 1150 migranti abbandonati su di uno spiazzo del porto commerciale di Augusta ed il dottore non si trova. Lo cerchiamo ed a cercarlo è anche il funzionario di turno. Non c’è e basta.
Prendo la mia radio portatile e chiamo la nave Bourbon Argos dei Medici Senza Frontiere che li ha portati chiedendo l’assistenza di almeno uno dei medici a bordo. Si chiamano medici per questo no? Aspetto e nel frattempo la spoglio togliendole la felpa e coprendole il seno che anche se ragazzina è già pronunciato. Prendo il mio foulard della divisa, lo bagno con una bottiglietta d’acqua e comincio a rinfrescarla. Parla inglese, viene dalla Nigeria, e mi risponde dicendo di chiamarsi Farah e di avere 17 anni.
Un visetto dolcissimo e parlava con fatica ma con una vocina gentilissima. La coccolo un po’… il medico non arriva. Nemmeno quello della nave ed è già passata mezzora. Mi incazzo ma non glielo faccio vedere. Gli occhi mi cominciano a bruciare perché a causa del caldo il gel dai capelli mi cola in viso. Ma questa è la scusa che dico ai colleghi. Il loro caposquadra sta piangendo e non voglio farlo vedere. Lascio a un collega il compito di vigilarla ed a piedi mi faccio quel mezzo chilometro di piazzale che separa la tenda dall’ormeggio sotto il sole cocente e l’asfalto che bolle. Arrivo sotto la nave e trovo un fighettino con maglietta sponsorizzata MSF.
E’ dell’equipaggio. Gli chiedo se parla italiano. Mi risponde di sì con un eloquente accento polentone. Gli chiedo di un medico e che lo voglio “subito”. Capisce… corre a chiamarne uno e mi dice che mi raggiunge. Torno nella tenda. Farah respira a fatica, le gorgoglia il petto. Nel frattempo arriva un giovane italiano. Mi dice di essere l’infermiere. “Cazzo! Un infermiere? Mi serve un dottore con tutto il rispetto per il tuo lavoro!”.
Scrolla le spalle e dicendomi che il dottore non c’è aggiunge “Sono solo!”. Porca troia! Sono solo anche io nell’immensità di questa tragedia che si chiama migrazione. Siamo solo noi. 10 poliziotti, un funzionario ed un infermiere. Una sparuta pattuglia di volontari di una associazione di protezione civile locale e 1150 esseri umani che abbisognano di ogni cosa. Mi continuano a bruciare gli occhi, lo guardo e gli chiedo di portarmi un termometro. La ragazzina cerca la mia mano e cerca di dirmi qualcosa. Continuano a bruciarmi gli occhi.
“Sei qui da sola?”, mi risponde di sì. Gli occhi mi bruciano. Salta fuori un termometro: 40! Porca paletta! 40 di temperatura e respira male. Che sia la malaria, mi chiedo, e continuo a rinfrescarla d’acqua con una tovaglia che il giovane infermiere mi porge. La accarezzo e le rinfresco la fronte. Piero (un collega) mi chiede se un succo di frutta può servire. “Sì Piero! Serve! Porgimelo”. In due secondi me ne arrivano una decina. Quelli di tutti i colleghi che li tirano fuori dalla “razione generi di conforto”. La aiuto a berlo.
“Piano – le dico – abbiamo tempo. Non c’è premura Farah”. Sorride e provo a ricambiarla. Mi bruciano ancora gli occhi. L’orologio gira ed io divento sempre più intollerante. Non posso permettermi di perdere le staffe.  Non adesso, mi ripeto continuamente. Guardo fuori ed il cielo è terso… nitido e cerco Lui. Arriva una dottoressa. Gentile e professionale. La visita. Bronchite, mi dice. Controlla la saturazione d’ossigeno ed è ad 88%. Non va bene. E’ pericoloso. Molto per una ragazzina di 17 anni. Respira come il mio acquario in salotto. Fa fatica a parlare, accenna qualcosa, la tranquillizzo: va tutto bene Farah. Non riesco nemmeno a vederla bene perché gli occhi continuano a bruciarmi.
“Dobbiamo portarla in ospedale!”, mi ordina perentoriamente la dottoressa. «Sì. Subito. Sono d’accordo!». Mi giro verso il giovane infermiere e gli chiedo di contattare il 118 per un’ambulanza. Si allontana e torna poco dopo sconsolato. “Dobbiamo aspettare. L’ambulanza sta facendo un intervento”. Mi irrito e gli chiedo di chiamare per averne un’altra. Sconsolato abbassa gli occhi e mi risponde: “Maresciallo, in tutto il comprensorio di questo settore ne abbiamo solamente una”. Per una località che include alcuni comuni e con 1150 migranti sbarcati e “gettati” sulla banchina di un porto commerciale non c’e’ dottore e non c’e’ ambulanza? Mi asciugo la fronte, mi cola troppo gel negli occhi che continuano a bruciare. Mi sento ancora più solo e se mi permetti il paragone mi sento come il tenente Drogo del libro “Il deserto dei tartari”.
Devo subito pensare a qualche cosa… prendo il cellulare e chiamo la sala operativa. “Collega fammela arrivare anche da Katmandù!”. Così arriva un’ambulanza e la ragazzina, con tutta la flebo inserita dal buon infermiere su disposizione della dottoressa, finalmente va in ospedale. Quello di Augusta dove la ricoverano. Arriva con meno saturazione d’ossigeno di prima, saprò successivamente. Non riesco a sentirmi sollevato dall’evoluzione della faccenda. C’e’ una ragazzina di 17 anni in ospedale da sola con una bronchite e scarsa saturazione d’ossigeno ma quello che mi preme di più è che sta lì da sola. Sono un poliziotto da 28 anni e di schifo ne ho visto fin troppo. So come funzionano certe perversioni nei confronti dei soggetti più deboli e le ultime cronache mi angosciano.
Chiamo in ospedale e mi rassicurano: “Stai sereno. Ci sono qui delle volontarie che la assistono”. Va bene. Ci provo ma ho questo fastidioso bruciore agli occhi e non sono tranquillo. Ringrazio la dottoressa e mi fermo a parlare con il giovane infermiere. Parliamo… tanto… molto… mi racconta quello che da anni vedo con i miei occhi e sollevo da terra o dal mare con le mie braccia. Lo lascio sfogare. Mi dice che è solo… spesso. Lui è un infermiere e non può né deve prendere iniziative terapeutiche. Penso, tra me e me, che anche io sono solo e non posso prendere iniziative.
Continua a raccontarmi e ad un certo punto lo fermo. “Sono stanco”, gli annuncio. Risponde di comprendere e che se voglio posso sedermi nel suo container e riposare, perché devi sapere che l’infermeria è un container lasciato sotto il sole cocente, per rinfrescarmi.
“No amico mio. Sono stanco! Io non reggo più quello che vedo ogni giorno. Questa è la mia stanchezza. Io non ce la faccio più. Il mio mestiere è anche proteggere i più deboli e lo faccio volentieri e questo spettacolo indegno di un paese civile va contro i miei principi, contro il mio credo e la mia fede politica. Politica sì! Perché anche i poliziotti hanno le loro idee”.
Resta attonito. Non se l’aspettava. Continuo: “Io non voglio più vedere queste cose e più lo desidero più le vedo e allora basta incazzarsi e basta urlare. Mi rimbocco le maniche e che vadano a quel paese ordine e disciplina. Sono un essere umano, sono un uomo! Ma poi… mi stanco al punto che  la rabbia non mi permette più di parlare e me ne resto in silenzio per questo. Per non farla riaffiorare tutte le volte che la mia rabbia e la mia indignazione salgono”. Sfilo una bottiglietta d’acqua dalla uniforme e prendo a berla. Lui mi porge un pacchetto di fazzoletti e mi dice “asciugati gli occhi. Il gel ti sta facendo piangere”. Maledetto gel! Non devo più metterlo in queste giornate di solitudine e abbandono.
Perdonami se sono stato lungo. Avevo bisogno di sfogarmi e questo argomento con te lo abbiamo preso in passato. Ho braccia forti e posso sollevare molti pesi e spalle larghe e posso reggere grandi pensieri. Devo però cambiare marca di gel. Anche adesso il gel mi cola negli occhi.
P.S.: Prima di rientrare da Augusta sono passato dall’ospedale. Farah sta meglio ed è seguita da una dolce signora di 60 anni che fa volontariato. Prima di uscire dalla stanza mi ha dato un bacio… ed io avevo di nuovo il gel tra i capelli.
Finisco di leggere tutto e gli scrivo: “Roy, io questa storia la DEVO raccontare..” E mi risponde: “Raccontala compare. Ne ho le palle piene. Non voglio essere la soluzione di un problema che altri causano. Io sono solo un poliziotto e rappresento lo Stato. Ma non posso sostituirlo”.