sabato 9 settembre 2017

Dna, l'incompiuta dell'antimafia Solo coordinamento, nessun potere. - Riccardo Lo Verso

antonino di matteo, direzione nazionale antimafia, francesco del bene, giovanni falcone, maria teresa principato
Da sinistra Francesco Del Bene, Antonino Di Matteo e Maria Teresa Principato.

Tre pm "palermitani" approdano alla superprocura. Doveva essere uno strumento in più, ma le armi sono rimaste spuntate.

Per alcuni è un approdo sicuro, persino un paracadute di lusso. L'epilogo di una carriera fra le file dell'Antimafia. Quella che da sempre teorizza i massimi sistemi criminali e si fa breccia lontano dalla Sicilia, guadagnandosi la ribalta mediatica nazionale. È a Roma, alla Direzione nazionale antimafia, che i discorsi si fanno alti che più alti non si può, laddove si sottolinea l'immanenza delle mafie - 'ndrangheta, camorra e cosa nostra - nella società italiana. Sguardi d'insieme, anni di studio che confluiscono in copiose relazioni, frutto del coordinamento delle varie Procure distrettuali del Paese.

La missione della Dna è, appunto, il coordinamento. Un ruolo che di operativo ha nulla o quasi. E dire che la Direzione nazionale, ideata negli anni Novanta, quando la mafia alzava l'asticella dell'orrore con le stragi, voleva essere lo strumento in più contro chi sfidava lo Stato. Doveva nascere una Superprocura a immagine e somiglianza di Giovanni Falcone, uno che la mafia l'aveva capita fino in fondo. L'obiettivo era lasciarsi alle spalle il provincialismo e il protagonismo giudiziario delle singole Procure per creare un organismo capace di offrire una riposta complessiva allo strapotere dei boss. Le polemiche furono aspre da parte di chi denunciava il pericolo della concentrazione di potere in una sola persona e la commistione, se non addirittura l'ingerenza, della politica nel lavoro della magistratura.

Un rischio che non si è mai concretizzato anche e soprattutto perché quasi tre decenni dopo le armi della Dna sono rimaste spuntate. Le indagini non sono materia della Procura nazionale che supporta, coordina, rimpingua il cervellone della banca dati, studia i fenomeni di criminalità organizzata e terrorismo, esprime pareri non vincolanti, cura i rapporti con le autorità giudiziarie di paesi stranieri. Un ufficio che si occupa di tutto tranne che di indagini, le quali restano appannaggio quasi esclusivo delle Procure distrettuali. E quando qualcuno ha provato ad andare oltre il recinto del coordinamento ha consegnato alle cronache un guazzabuglio, simbolo di tutte le impotenze e forse anche delle presunzioni di questo organismo.

L'unico guizzo operativo si registra quando il procuratore nazionale o uno dei suoi venti sostituti deve intervenire per mettere la pace fra Procure “gelose” delle proprie indagini. Come accadde fra i pm di Palermo e Caltanissetta che arrivarono ai ferri corti sulla gestione di Massimo Ciancimino. Nel 2011 Francesco Messineo e Sergio Lari, alla guida dei due uffici giudiziari, sottoscrissero una tregua davanti all'allora procuratore nazionale Pietro Grasso. I pm nisseni si sentirono scippati dell'inchiesta che aveva portato all'arresto di Ciancimino jr per calunnia. Un arresto chiesto e ottenuto dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia, il cui approccio con il figlio di don Vito non era stato certo laico, a tal punto da definirlo una ”quasi icona dell'antimafia”. Un po' pochino, quel “quasi”, per lasciare aperto il beneficio del dubbio sull'attendibilità del super testimone che sarebbe presto crollata. Ciancimino jr falsificò, così recita l'atto d'accusa, un documento consegnato ai magistrati del capoluogo siciliano inserendo il nome dell'ex capo della polizia, Gianni De Gennaro, in una lista di servitori infedeli dello Stato attribuita a don Vito Ciancimino.

Episodio diverso, ma reato uguale a quello per cui Ciancimino jr, un anno prima del suo arresto, era stato iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Caltanissetta che gli contestava di aver accostato il nome del super poliziotto a quello del signor Franco, il fantomatico agente dei servizi segreti. Franco o Carlo - avrebbe pure il doppio nome - è stato più volte riconosciuto da Ciancimino jr che servì l'ultima bufala indicando la fotografia di Ugo Zampetti, segretario generale della presidenza della Repubblica. Il consigliere per l'informazione del Quirinale si affrettò a scrivere appena qualche riga per dire che la vicenda era talmente ridicola da non meritare alcun commento. L'arresto di Ciancimino fu l'ennesimo episodio di una diversa valutazione, chiamiamola così, del testimone. A Caltanissetta si sorpresero che i colleghi avessero deciso di “scavalcarli” per arrestare Ciancimino, allora come oggi uomo chiave del processo sulla Trattativa Stato-mafia.

Grasso mise la pace, obbedendo ai compiti del procuratore nazionale antimafia. Ci sarebbe anche un margine di maggiore operatività come previsto dall'avocazione delle indagini. Per “strappare” un fascicolo ai colleghi distrettuali, però, gli si dovrebbe contestare un'imperdonabile inerzia. E allora si va avanti nell'onesto, e volte anche utile, lavoro di coordinamento e supporto da parte dei magistrati in servizio alla Dna. Gente preparata, per carità, che vi arriva a fine carriera o nell'attesa di tornare in trincea. È il caso di Francesco Del Bene, pubblico ministero a Palermo che ha indagato sui clan di una grossa detta della provincia e inserito nel pool del processo sulla Trattativa. Adesso da sostituto nazionale coordina le indagini sui clan di Agrigento e Trapani.

Per altri il trasferimento a Roma è un'occasione per liberasi di lacci e lacciuoli che zavorrano la ricerca della verità. Una ricerca che, ad onor del vero, è stata tutto fuorché frenata od ostacolata. Va avanti da anni, dilatando le categorie spazio-temporali. Le indagini si fanno e pure i processi, con esiti che, però, finora hanno picconato le ricostruzioni dell'accusa. Negli uffici della Direzione nazionale antimafia, lo scorso giugno, è arrivato Antonino Di Matteo. Per la memoria storica della Trattativa l'approdo romano ha segnato la fine di una parentesi che riteneva soffocante. Non si sentiva messo nelle “condizioni di lavorare a tempo pieno su inchieste delicatissime”. I procedimenti della piccola (?) giustizia quotidiana - furti, truffe e reati comuni - lo distraevano dalle indagini che contano. “Non poteva continuare all'infinito”, spiegava Di Matteo. A toglierlo dall'imbarazzo è arrivato il nuovo incarico, ottenuto dopo una paio di tentativi andati a vuoto, ricorsi amministrativi respinti e le polemiche per l'immissione nel nuovo ruolo congelato dal “posticipato possesso”. Di Matteo si sentirà finalmente libero di continuare a concentrarsi, almeno a Palermo, solo ed esclusivamente sulla Trattativa a cui, fra indagini e processi, lavora ormai dal 2010. E chissà quanto tempo ancora sarà necessario. L'ultima incognita riguarda i racconti carcerari di Giuseppe Graviano. Migliaia di pagine riversate nel processo, tutte da trascrivere, che incidono di parecchio nella stessa impostazione accusatoria.

Sono stati giorni di polemica, a Palermo, prima che il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti firmasse - anche questo rientra fra i suoi compiti - il provvedimento di applicazione di Di Matteo al processo Trattativa. Il capo dell'ufficio Francesco Lo Voi espresse solidarietà ai pubblici ministeri. Non citava mai per nome Di Matteo, ma è a lui che si riferiva nella e mail spedita ai tutti i pm. Il concetto era semplice: non esistono magistrati di serie A e altri di serie B. E la "notorietà effimera" scaturita da alcuni processi non è certo "un valore". Ogni riferimento alle precedenti parole di Di Matteo e alla Trattativa non sembrava puramente casuale, anche se la luce dei riflettori sul processo si è via via spenta.

Alla fine il ministero della giustizia è tornato sui propri passi dando il via libera all'immediato trasferimento anche per i militanti delle Agende Rosse, Scorta civica e movimenti antimafia è diventata una sorta di incoronazione. Tutti pronti a scandalizzarsi e a gridare al complotto ordito per frenare Di Matteo, ad urlare contro chi voleva trattenerlo a Palermo mettendo a rischio la sicurezza di un magistrato minacciato dalla mafia e per questo super scortato. Qualcuno fra i supporter del pm ha corretto il tiro in corsa. Prima ha manifestato nella piazza virtuale dei social network il dissenso nei confronti di chi voleva insabbiare le indagini cacciando Di Matteo, salvo poi scoprire che era stato il magistrato a chiedere il trasferimento.

Trasferimento ottenuto sulla base anche di una una nota del procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, che aveva espresso riserve sul provvedimento di posticipato possesso. Un segno di distensione dopo che Scarpinato e Di Matteo sono arrivati allo “scontro” quando il procuratore generale ha avocato l'indagine sull'omicidio del poliziotto Nino Agostino (ucciso il 5 agosto dell’89 con la moglie Ida Castelluccio), adombrando inerzia investigativa dei pm assegnatari, e cioè Di Matteo e Del Bene, entrambi nel pool Trattativa. Quella Trattativa da cui Scarpinato ha cercato di affrancarsi nel tentativo, non riuscito, di fare condannare in appello il generale Mario Mori per il mancato arresto di Bernardo Provenzano.

Scarpinato è uno dei nomi in lizza per subentrare a Franco Roberti nel gradino più alto della Dna. La partita per la successione, prevista a novembre, è già aperta. Il grande favorito è il procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho. Specie dopo che il plenum del Csm gli ha preferito Giovanni Melillo per la guida della Procura di Napoli. In corsa ci sono lo stesso Scarpinato, il procuratore generale di Milano Roberto Alfonso, quello di Firenze Marcello Viola, il procuratore aggiunto di Roma Michele Prestipino e il procuratore di Siracusa Francesco Paolo Giordano.

Nel frattempo Roberti ha assegnato a Di Matteo il coordinamento delle indagini antimafia su Catania, mentre quelle su Palermo sono andate a Franca Maria Imbergamo, pm della Procura di Giancarlo Caselli. Imbergamo subentra nell'incarico a Maurizio De Lucia, al quale da più parti si riconosce il merito di avere svolto al meglio il ruolo di coordinamento, ma che ha deciso di tornare in “trincea” come procuratore capo di Messina.

La competenza su Caltanissetta è passata Teresa Principato, l'ex procuratore aggiunto di Palermo alla quale, scaduto il mandato, la legge ha consentito di tornare nell'incarico precedente all'ultimo ricoperto. E dunque è di nuovo sostituto alla Dna dove si studia molto e si indaga poco. Come da contratto, mica per colpevole inerzia. Principato non avrà più a che fare con la ricerca di Matteo Messina Denaro che le è costata tempo, fatica e interviste. A volte il tempo è stato pure sprecato per verificare improbabili piste come quelli inventate dell'architetto agrigentino Giuseppe Tuzzolino, finito in carcere per calunnia. Nel panorama desolante ci si è aggrappati a tutto pur di acciuffare il latitante. Con il trasferimento di Principato le strategia in Procura, a Palermo, è cambiata.

Inerte non lo è stato Gianfranco Donadio, che prima di diventare consulente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul caso Moro, nelle vesti di procuratore aggiunto della Dna si rese protagonista di un'indagine "parallela", stoppata e denunciata nel 2016. Per quattro anni, tra il 2009 e il 2013, se n'era andato in giro per le carceri italiane a sentire centinaia di indagati, testimoni e pentiti con l'obiettivo di trovare una personale chiave di lettura sulle stragi di mafia del '92. In pratica si era sovrapposto al lavoro di cinque procure - Palermo, Caltanissetta, Firenze, Catania e Reggio Calabria - che lavoravano e lavorano sugli stessi fatti. Sono stati due colleghi - l'allora procuratore di Caltanissetta Sergio Lari (oggi procuratore generale) e quello di Catania, Giovanni Salvi (oggi procuratore generale a Roma) a chiedere l'intervento del procuratore Roberti per evitare il pastrocchio. Donadio era convinto che per l'Attentatuni di Capaci sarebbe stata utilizzata una doppia carica esplosiva grazie alla manina dei servizi segreti e deviati. Una ricostruzione scartata dai magistrati di Caltanissetta, gli stessi che hanno smontato i processi sulla strage di via D'Amelio costruiti sulle bugie di Vincenzo Scarantino e degli altri falsi pentiti. A Roberti toccò il compito di regolare il traffico delle indagini antimafia e bloccare l'esuberanza di Donadio, finito nel frattempo sotto procedimento disciplinare davanti alla Procura generale della Cassazione.

Tra le iniziative di Donadio ci fu l'interrogatorio di Vincenzo Lo Giudice, un tempo a capo di uno dei più potenti clan di Reggio Calabria. Il Nano, così è soprannominato Lo Giudice, si era “dimenticato” di raccontare che a fare saltare in aria il giudice Paolo Borsellino sarebbe stato il poliziotto Giovanni Aiello, alias “faccia da mostro”. Si era pentito nel 2010, ma tre anni dopo Lo Giudice era evaso dagli arresti domiciliari. Trovò il tempo di scrivere due memoriali per accusare i magistrati Giuseppe Pignatone, Michele Prestipino e l'allora capo della Squadra mobile di Reggio Calabria, Renato Cortese, di averlo obbligato a raccontare fesserie. Di balle c'erano soltanto le sue. Arrestato in una villetta, si pentì di nuovo. Ed ecco spuntare gli immancabili uomini dei servizi segreti che lo avevano avvicinato per tappargli la bocca. Sapevano che Lo Giudice aveva parlato di faccia da mostro alla fine del 2012 al procuratore Donadio. Poi, la circolazione delle notizie, ha fatto sì che anche i pm della Trattativa interrogassero il Nano e che quelli di Reggio Calabria accogliessero a braccia aperte la ricostruzione dei colleghi palermitani. Ecco servita la declinazione calabrese della Trattativa che sarà oggetto della futura stagione giudiziaria. C'era un patto segreto tra Cosa nostra e ‘ndrangheta per costringere le istituzioni a frenare l'azione antimafia.


È alla Direzione nazionale antimafia che Aiello, ex poliziotto della Mobile di Palermo, ha vestito per la prima volta i panni di “faccia da mostro”, lo sfregiato della stagione del misteri. Senza le dichiarazioni di un pentito l'intuizione di un magistrato non avrebbe acquisito lo spessore necessario. Qualche giorno fa Massimo Bordin sulle colonne di questo giornale ha riportato il resoconto di un colloquio investigativo. Una chiacchierata, perfetta per il ruolo dei sostituti della Direzione nazionale antimafia, partita con un'insicurezza e chiusa con una certezza. Si ha l'impressione - magari ingannevole come tutte le impressioni - che pm e collaboratore di giustizia sapessero esattamente cosa volessero l'uno dall'altro. “Non riesco a visualizzarne il volto”, diceva il pentito a proposito dell'uomo sfregiato. Il pm chiedeva: “Era stato coinvolto in fatti stragisti?”. “Sì, metteva le bombe”. “Le faccio un esempio che può apparire stupido - proseguiva il pm - lei ha mai messo una bomba in un asilo?”. “No”. “E quello dove metteva le bombe?”. “Le ha messe in un asilo”. “Era coinvolto nella strage di Capaci?”. “Ma chi? Quello? Ah, sì”. “Le ha parlato di altri attentati?”. “Non ricordo”. “Della strage Borsellino?”. “Sì, se non ricordo male”. “Dell’Addaura?”. “Mi pare di sì”. “Della strage alla stazione di Bologna?”. “Come no? Si vantava di aver partecipato”. “Quell’uomo era calabrese?”. “Aveva un accento calabrese”. “Si chiamava Giovanni?”. “Giovanni, sì”. “Di cognome Ajello?”. “Sì. Giovanni Ajello. Sì”. Da un'insicurezza a una certezza. I toni del colloquio erano diventati rassicuranti, confortevoli e il sistema criminale teorizzato.

http://livesicilia.it/2017/09/09/dna-incompiuta-antimafia-giustizia_886440/

mercoledì 6 settembre 2017

Stephen Hawking ha captato la voce degli alieni? - Matteo Testa

Stephen Hawking ha captato la voce degli alieni?

Il team di ricerca guidato da Stephen Hawking ha scoperto “15 nuovi e misteriosi segnali radio” provenienti da una galassia lontana.
Da sempre l’uomo si è chiesto se fosse solo nell’Universo e oggi potrebbero essere arrivate le prove che ci sono forme di vita intelligente al di fuori del Sistema Solare. L’astronomo Stephen Hawking ha annunciato la scoperta di “15 nuovi e misteriosi segnali radio” provenienti da una galassia nana distante 3 miliardi di anni luce. Data l’enorme distanza che ci separa dall’origine del segnale è probabile che chi lo abbia emesso sia morto da tempo oppure potrebbe anche trattarsi di una stella di neutroni, uno dei corpi celesti più bizzarri.
La scoperta è avvenuta nell’ambito del progetto Breakthrough Listen Project finanziato dal magnate russo Yuri Milner. L’iniziativa consiste nell’analisi di 10 miliardi di frequenze provenienti dalle 100 galassie a noi più vicine. In questo momento 9 milioni di volontari di tutto il mondo hanno messo a disposizione i loro computer per sostenere il centro di ricerca nello studio di questa enorme mole di dati. I misteriosi segnali radio potrebbero essere provocati dall’energia utilizzata dagli alieni per muovere le loro navi spaziali ma gli scienziati sono molto prudenti quando si parla di extraterrestri. “Non abbiamo idea da dove i segnali provengano. – ha detto con Vishal Gajjar, astronomo del Berkeley Research Centre – Ci sono solo 30 sorgenti di questi segnali nell’Universo e una sola che si ripete. Dobbiamo studiarla ancora. Ci sono più teorie che fonti di segnali, più domande che risposte. Più studiamo e più troviamo cose strane”.
Se davvero riuscissimo a metterci in contatto con gli alieni questo potrebbe essere l’evento più epocale della storia ma secondo Hawking, che ci ha messo in guardia sui pericoli derivanti dallo sviluppo delle intelligenze artificiali, c’è la possibilità che gli extraterrestri non siano ben intenzionati nei nostri confronti. “Avrebbero per noi lo stesso interesse che noi abbiamo per i batteri, – ha detto l’astrofisico – e se ci andasse bene ci tratterebbero come Cristoforo Colombo trattò gli indigeni che incontrò nel nuovo mondo”. Hawking comunque ritiene che lo spazio sia l’unica salvezza per il genere umano in quanto la Terra avrebbe ormai le ore contate. Secondo l’esperto abbiamo infatti appena 100 anni per trovare una nuova casa su un altro pianeta se non vogliamo estinguerci a causa di guerre, fame e cambiamenti climatici.

martedì 5 settembre 2017

Democrazia.

Risultati immagini per Pericle

Una democrazia prevede che a governare sia il popolo attraverso i suoi rappresentanti eletti in piena libertà.
I rappresentanti eletti dal popolo dovrebbero, pertanto, garantire ai cittadini che li hanno scelti, benessere e tranquillità.
Il popolo dovrebbe essere, quindi, garantito, supportato, coccolato e soddisfatto.
Ogni cittadino dovrebbe avere un lavoro decente che gli dia la possibilità di guadagnare quel tanto che gli garantisca una sopravvivenza dignitosa e avere tempo libero da dedicare ad un giusto riposo, sia mentale che fisico, alla socializzazione ed alla famiglia.
Dovrebbe anche avere uno spazio di tempo da dedicare allo svago ed alla cura del fisico, un detto latino recita: "mens sana in corpore sano".
Quando le basi del vivere consono e civile vengono a mancare, viene a mancare anche la sruttura stessa di democrazia ed il cittadino vive male, è scontento, insoddisfatto.
Noi stiamo vivendo un periodo in cui le basi del vivere consono e civile sono deficitarie, navighiamo in acque torbide in cui nulla è normale, nulla ha una connotazione, tutto è aleatorio.
Ci siamo affidati, purtroppo, - un po' per stanchezza, un po' per colpa di leggi raffazzonate, pensate e scritte senza criterio o logica, - ad arroganti, presuntuosi ed irresponsabili incompetenti che ci hanno trascinato in un circolo vizioso per cui, per sopperire alle lacune create, vengono fatti rispettare coercitivamente i doveri, ma non vengono riconosciuti i diritti.
E tutto ciò perchè i nostri eletti non riescono a studiare e varare leggi che tendano a creare una continuità, una scorrevolezza, un'adeguatezza, una logicità, allo scorrere della vita del paese intero.
A cominciare da una legge elettorale che sia l'espressione della volontà dei cittadini.
Con la scusa della governabilità, ci stanno togliendo anche la libertà di scegliere da chi farci governare e studiano paradossi per cui l'illogico diventa, come per incanto, lecito e accettabile.
E' inimmaginabile, infatti, che partiti di fazioni ed ideologie opposte si alleino in prossimità delle elezioni per vincere ed accaparrarsi il premio di maggioranza e poi, una volta occupati i seggi in parlamento, riprendere a farsi opposizione ed accapigliarsi l'uno contro l'altro armati in balia di chi li "mazzetta meglio", perchè è bene che si sappia, il 90% dei parlamentari si buttano in politica per assaporare il potere di decidere e per arricchirsi alla faccia di chi li ha votati.
E poi, come mai sentiamo ancora parlare di mafia, 'ndrangheta, camorra, sacra corona unita, quando dovrebbero essere state sgominate e sepolte già da tempo immemorabile?
Non riesco a credere che non riescano ad arrestare un Matteo Messina Denaro latitante da sempre.
No, non credo che la nostra sia una democrazia: la democrazia è quella di Pericle:

PERICLE, DISCORSO AGLI ATENIESI, 431 A.C.

Qui ad Atene noi facciamo così.
Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza. Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo. Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo. Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa. E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia. Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore. Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo così.

lunedì 4 settembre 2017

Amazzonia, scoperte 381 nuove specie, una ogni 2 giorni.

 © ANSA

WWF, autorità e imprese considerino impatti delle grandi opere.

ROMA - Una nuovo report di WWF e Institute for Sustainable Development, lanciato da San Paolo del Brasile, rivela che in Amazzonia vengono scoperte nuove specie animali e vegetali alla media di una ogni due giorni, un tasso mai osservato in questo secolo. Tra il 2014 e il 2015 sono ben 381 le nuove specie scoperte: 216 piante, 93 pesci, 32 anfibi, 20 mammiferi (due dei quali fossili), 19 rettili e un uccello.

Secondo il WWF "i nuovi risultati dovrebbero spingere i responsabili decisionali, sia pubblici che privati, a considerare gli impatti irreversibili causati da progetti su larga scala come le strade, le dighe a scopo idroelettrico, lo sfruttamento minerario".

Ecco alcune delle specie più significative scoperte dal 2010 in Amazzonia.

Inia araguaiaensis: una nuova specie di delfino rosa di fiume la cui popolazione è valutata in circa 1.000 individui. La specie è minacciata dalla costruzione di dighe idroelettriche e dalle attività di agricoltura e allevamento intensivi. I delfini rosa di fiume rivestono un ruolo cruciale nella cultura dell'Amazzonia e sono protagonisti di molti miti e leggende.

Plecturocebus miltoni, la scimmia dalla coda di fuoco: deve il suo nome alla sua coda lunga arancione e brillante. La specie è minacciata dalla deforestazione.

Zimmerius chicomendesi: un uccello che rende omaggio al grande ambientalista brasiliano Chico Mendes, ucciso perché denunciava gli abusi in Amazzonia.

Nystalus obamai: un uccello che prende nome dall'ex Presidente americano Barack Obama.

Pristimantis jamescameroni: una rana arancione dedicata al regista James Cameron, che nel film Avatar ha raccontato la lotta degli indigeni di un pianeta contro le multinazionali spalleggiate dai militari.

giovedì 31 agosto 2017

India: strage di bambini, in due ospedali ben 1.414 morti.



Solo nel 2017 centinaia decessi per encefalite e altre malattie.

Le polemiche per le morti di bambini, e soprattutto di neonati, nell'ospedale di Gorakhpur, nello Stato di Uttar Pradesh (India settentrionale), hanno fatto emergere oggi i contorni di una vera e propria 'strage degli innocenti', la cui dimensione si presenta già ora enorme: si tratta di ben 1.414 decessi quest'anno in due soli ospedali pediatrici. La dimensione di questa tragedia, sottolineano gli operatori sociali, potrà essere valutata concretamente soltanto con il passare dei giorni grazie alle verifiche in corso in altri centri medici indiani specializzati nel trattamento dei minori.
Così, dopo giorni di silenzi e mezze ammissioni, il dottor P.K. Singh, direttore del Baba Raghav Das Medical College di Gorakhpur, ha ufficialmente ammesso oggi all'agenzia di stampa Pti che i bimbi deceduti per encefalite e per altre patologie nel mese di agosto in vari reparti della sua struttura non sono stati 131, come si era detto finora, ma ben 290. "Di questi - ha precisato - 213 sono morti nell'unità di rianimazione del reparto neonatale, e altri 77 in quello riservato agli affetti di encefalite". Da gennaio, ha ricordato, i decessi di bambini, specialmente per encefalite, "da noi sono stati 1.250".

mercoledì 30 agosto 2017

Senza casa.

Risultati immagini per coppie senza casa
Leggo di "Persone senza casa, uomini e donne che vivono una condizione drammatica ed estrema di povertà, gente che in un attimo si trova fuori da tutto, fuori dal circuito dei diritti e dalle relazioni."

E penso che mi è capitato di vederne qualcuno, ma non mi è mai capitato di vedere qualche ricco prelato dar loro aiuto, solo gente comune, caritatevole. 
Sorge, quindi, spontanea una domanda: Che se ne fa la chiesa di tutte le ricchezze che possiede?
Come e a chi destina le proprietà immobiliari delle quali ha il possesso?

Reddito di inclusione, nasce il REI: 20 milioni all'anno per la lotta alla povertà estrema. - Anna Maria De Luca

Reddito di inclusione, nasce il REI: 20 milioni all'anno per la lotta alla povertà estrema

Reazioni al momento tutto sommato positive delle organizzazioni umanitarie italiane e dal Terzo Settore.

ROMA - Si registrano le prime reazioni positive - sebbene con qualche critica relativa a presunte insufficienze - nel mondo delle organizzazioni umanitarie italiane del Terzo Settore, all'indomani della decisione del Governo che ieri ha approvato il decreto attuativo che definisce finalmente anche in Italia il REI, Reddito di Inclusione Sociale come misura strutturale nel Piano Nazionale di Lotta alla Povertà:  20 milioni per le povertà estreme, a partire dal 2018. Il ministro Poletti:  “Per la prima volta il nostro Paese ha uno strumento permanente di contrasto alla povertà fondato sul sostegno al reddito e sull’inclusione sociale. Uno strumento che impegna tutte le istituzioni e le comunità locali a stare a fianco dei più deboli“.
 
Chi sono i beneficiari

Le persone senza casa, in Italia,   sono  oltre 50 mila (secondo l'ultima indagine ISTAT del 2014) e sono lontane dallo stereotipo con cui spesso vengono rappresentate.   “Sono uomini e donne - dice Cristina Avonto, Presidente della Federazione Italiana Organismi per le persone senza dimora –  che vivono una condizione drammatica ed estrema di povertà, gente che in un attimo si trova fuori da tutto, fuori dal circuito dei diritti e dalle relazioni. Fino ad oggi quello che sembra rimanere per loro - pensando che basti - è un pasto caldo e un posto letto in qualche struttura. Dare un sostegno economico significa invece dare loro riconoscimento e dignità. Significa dare loro un'opportunità per rialzarsi. Se si rafforzano i servizi, se li si pensa in termini innovativi, se si inizia a fare una presa in carico seria e personalizzata, allora si è in grado di creare le condizioni di un effettivo percorso di dignità, le persone smettono di essere "gli scarti" della nostra società per tornare ad essere cittadini!"

Cosa accadrà. La buona notizia è che, a partire dal 1 gennaio 2018,   le persone senza dimora potranno avvalersi “di un sostegno concreto per provare a percorrere la strada del proprio riscatto e del reinserimento nella società”, commenta il fio.PSD (Federazione Italiana Organismi per le persone senza dimora) che definisce l’operazione “un grande traguardo conquistato con anni di impegno e lavoro condiviso con Alleanza contro la povertà e con il Governo”.  Il Rei sostituisce il Sia, sostegno all’inclusione attiva. L’importo dell’aiuto corrisponde al massimo a quello dell’assegno sociale per chi ha più di 65 anni ed è senza reddito, pari a 485 euro al mese (l’importo dipenderà dal numero dei componenti e dalla situazione familiare). I richiedenti devono avere  un valore dell’ISEE  non superiore ai seimila euro e un valore del patrimonio immobiliare, diverso dalla casa di abitazione, non superiore a 20mila euro.

Come funziona il fondo. Il Fondo Povertà riserverà  20 milioni di euro all'anno per la lotta alla povertà estrema. Questi stanziamenti si sommano ai fondi (50 milioni di euro per due anni) che i Comuni e le Regioni riceveranno dal Ministero a partire dal prossimo mese di settembre per sostenere politiche innovative per le persone senza dimora (housing first e housing led per le politiche abitative, ma anche nuovi modi di accogliere e incontrare le persone per strada e nei servizi di bassa soglia, rimettendo al centro la persona, la sua dignità e i suoi diritti).  Il REI è articolato in due componenti: un beneficio economico erogato su dodici mensilità, con un importo che andrà da circa 190 euro mensili per una persona sola, fino a quasi 490 euro per un nucleo con 5 o più componenti; una componente di servizi alla persona identificata, in esito ad una valutazione del bisogno del nucleo familiare che terrà conto, tra l’altro, della situazione lavorativa e del profilo di occupabilità, dell’educazione, istruzione e formazione, della condizione abitativa e delle reti familiari, di prossimità e sociali della persona e servirà a dar vita a un “progetto personalizzato” volto al superamento della condizione di povertà. Tale progetto indicherà gli obiettivi generali e i risultati specifici da raggiungere nel percorso diretto all’inserimento o reinserimento lavorativo e all’inclusione sociale, nonché i sostegni, in termini di specifici interventi e servizi, di cui il nucleo necessita, oltre al beneficio economico connesso al ReI e, infine, gli impegni a svolgere specifiche attività, a cui il beneficio economico è condizionato, da parte dei componenti il nucleo familiare.

Come si richiede. 

Al ReI si accederà attraverso una dichiarazione a fini ISEE “precompilata”. È un’importante innovazione di sistema, che caratterizzerà l’accesso a tutte le prestazioni sociali agevolate migliorando la fedeltà delle dichiarazioni da un lato e semplificando gli adempimenti per i cittadini dall’altro. Il REI sarà concesso per un periodo continuativo non superiore a 18 mesi e sarà necessario che trascorrano almeno 6 mesi dall’ultima erogazione prima di poterlo richiedere nuovamente. Il decreto disciplina anche le possibili espansioni del REI, in termini di graduale incremento del beneficio e dei beneficiari. In presenza di maggiori risorse o di risparmi strutturali, l’estensione della misura potrà essere realizzata mediante l’adozione di un Piano nazionale per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale, da adottarsi con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

La Rete della protezione e dell’inclusione sociale. Il decreto istituisce inoltre la Rete della protezione e dell’inclusione sociale, presieduta dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali e composta da rappresentanti dei diversi livelli di governo. E’ una struttura permanente di confronto e programmazione delle politiche sociali, nonché di coinvolgimento nelle decisioni programmatiche del terzo settore, delle parti sociali e degli altri stakeholder. La Rete si articola in tavoli regionali e territoriali e ha l’obiettivo di rendere più omogeneo il sistema superando le attuali sperequazioni territoriali.

Il Comitato per la lotta alla povertà. Nello specifico del REI e al fine di agevolarne l’attuazione, il decreto prevede l’istituzione del Comitato per la lotta alla povertà, quale organismo di confronto permanente tra i diversi livelli di governo e specifica articolazione tecnica della Rete e l’istituzione dell’Osservatorio sulle povertà quale gruppo di lavoro permanente, con il compito di predisporre un Rapporto biennale sulla povertà, in cui sono formulate analisi e proposte in materia di contrasto alla povertà, di promuovere l’attuazione del REI, evidenziando eventuali problematiche riscontrate, anche a livello territoriale, e di esprimere il proprio parere sul Rapporto annuale di monitoraggio sull’attuazione del REI.


http://www.repubblica.it/solidarieta/cooperazione/2017/08/30/news/reddito_di_inclusione_nasce_il_rei_20_milioni_all_anno_per_la_lotta_alla_poverta_estrema-174187834/

Ed ecco pronto l'ennesimo guazzabuglio che favorirà i soliti ignoti che risultano poveri in canna anche se, lavorando in nero, stanno meglio di tanti altri.
Chi ne ha veramente bisogno non godrà di alcuna agevolazione.
Un film già visto.
Sembra lo specchietto per le allodole in prossimità delle elezioni.
Tanto non si saprà mai chi ne avrà usufruito realmente, in quale misura, in base a quali parametri...
Molto probabilmente è destinato agli amici degli amici in cambio di voti.
PS. Notare che sarà attuabile dopo le probabili elezioni, a partire dal 2018, previa dimostrazione di abnegazione indiscussa (voto di scambio).