giovedì 20 settembre 2018

Andrea Scanzi: “Orfini la dice giusta, peccato sia Orfini”. - Andrea Scanzi




Sabato scorso è accaduto un prodigio inaudito: Matteo Orfini è parso dire qualcosa di sensato. Addirittura condivisibile. L’evento, di cui certo si occuperanno i libri di storia, ha stupito milioni di persone in Italia e ancor più nel mondo, perché Orfini è da sempre idolo delle folle e delle masse, che varca con agio i confini nazionali, europei e financo mondiali. A lui il Pianeta Terra sta stretto. Orfini è uomo dalle mille doti. Vive da sempre dentro il partito, ma non si è mai accorto di Mafia Capitale. Amava definirsi “giovane turco”, senza mai esser stato né turco né giovane. Più dalemiano di D’Alema, di cui tuttora scimmiotta la timbrica sabinaguzzantesca e quel gusto astratto per il politichese, ne è da anni uno dei più massimi detrattori, a conferma di un’altra sua cifra distintiva: la coerenza. Una coerenza che gli ha permesso di trasformarsi in turborenziano dopo esser stato fermamente (va be’) antirenziano, garantendosi con ciò lo scranno di presidente del Pd. Un ruolo che Orfini ha interpretato da par suo: fedelissimo a una linea che non c’era e non c’è, il virgulto romano 44enne ha saputo contribuire fattivamente alla distruzione del partito. Tale apocalisse, lenta e inesorabile, lo ha visto in prima linea come fiancheggiatore zelante e privo di guizzi: nelle direzioni rideva alle battute del Tondo di Rignano ridimensionando il dissenso allo stesso, nelle interviste dava la colpa ai 5 Stelle o a Minniti (l’unico nel Pd ad averci cavato qualcosa), nei talkshow induceva tutti alla catalessi. Nei rari ritagli di tempo, Orfini soleva rilassarsi dando consigli su Twitter agli allenatori del Milan (poi tutti esonerati), oppure interpretando lo spot di un noto marchio di patatine, o magari chiedendo a Carlo Verdone la parte di Fabris nel remake di Compagni di scuola.
Dopo un periodo di parziale inabissamento, Orfini è tornato sabato a palesarsi. E lì ha avuto luogo il Prodigio. Ascoltiamo il Verbo del Profeta, giacché egli ci ha parlato: “Cambiare nome non basta, il partito non funziona. Sciogliamolo”. Inaudito: Orfini ha detto il giusto. Certo che cambiare nome non basta. Certo che il partito non funziona. Certo che il Pd va sciolto. E’ vero, si potrebbe ricordare al nostro nuovo Mahatma che a tali considerazioni c’è arrivato un po’ tardi, ma non è il caso di essere puntigliosi: Orfini è nel giusto, que viva Orfini! Mentre stavo sostituendo il poster di Rosario Dawson sadomaso con quello di Orfini in pigiama cremisi, ho però voluto leggere di nuovo l’intervento-prodigio di Orfini. Ho così scoperto che l’intervento integrale era un po’ diverso: “Cambiare nome non basta, il partito non funziona. Sciogliamolo e rifondiamolo”. Tristezza, dolore, afflizione: Orfini non era più il Profeta, ma era già tornato Orfini. In quel finale “e rifondiamolo” c’è l’ennesima prova di non avere ancora capito nulla. Non è che il Pd non funzioni per un maleficio della storia: non funziona perché è composto – perlomeno nella sua dirigenza nazionale – da gente come Orfini. Una volta sciolto, va sì rifondato: Orfini è però l’ultimo a doversene occupare. Lui deve fare altro: il mimo, l’ufologo, il tronista dalla De Filippi. Quello che vuole. Ma il politico proprio no. Un “nuovo Pd” può avere senso solo se dentro non ci saranno più gli Orfini, gli Andrea Romano, le Boschi e compagnia cantante. Se devono essere gli Orfini a rifondare il Pd, evitatevi la fatica ed evitateci il maquillage: state così sulle palle al mondo reale che gli italiani, anche quelli di sinistra, pur di non votarvi sarebbero disposti ad appoggiare chiunque. Persino Salvini.
(Il Fatto Quotidiano, 18 settembre 2018)

mercoledì 19 settembre 2018

Roma, mazzette e case dal costruttore Scarpellini: arrestato sindaco di Ponzano, Enzo De Santis. Indagato anche Verdini. - Giuseppe Scarpa - Maria Elena Vincenzi

Roma, mazzette e case dal costruttore Scarpellini: arrestato sindaco di Ponzano, Enzo De Santis. Indagato anche Verdini
Il sindaco di Ponzano Romano, Enzo De Santis accompagnato dai carabinieri (ansa)

Il primo cittadino del comune alle porte della Capitale eletto con una lista civica di area centrodestra. Perquisite anche le case di Denis Verdini e di Luciano Ciocchetti, ex vicepresidente Regione Lazio. Indagato Mirko Coratti, ex presidente Assemblea capitolina. Tutti avrebbero ricevuto favori, in particolare l'uso gratuito di abitazioni nella Capitale.

Favori, mazzette e la disponibilità di case senza pagare alcun affitto dal costruttore Sergio Scarpellini. I carabinieri del Nucleo investigativo di Roma hanno eseguito un'ordinanza di custodia cautelare in carcere per corruzione nei confronti di Enzo De Santis, sindaco di Ponzano Romano, comune a nord di Roma, popolarissimo tra i suoi concittadini ed eletto primo cittadino nel 2016 con una lista civica di area centrodestra con il 100 per cento dei voti. Indagine che nasce dalle dichiarazioni rese nelle scorse settimane agli inquirenti dallo stesso Scarpellini.

Oltre all'arresto del sindaco sono state perquisite le case di Denis Verdini sia a Roma che a Firenze, col sospetto che anche l'ex parlamentare di Ala, che risulta indagato, abbia ricevuto finanziamenti illeciti. E viene passata al setaccio anche la casa romana di Luciano Ciocchetti, ex vicepresidente della Regione Lazio con la giunta di centrodestra guidata da Renata Polverini.

Nell'inchiesta risultano indagati anche Mirko Coratti, ex forzista poi Pd, già coinvolto in Mafia Capitale  (ex vice presidente dell'Assemblea capitolina col sindaco Alemanno poi col sindaco Marino) e condannato in secondo grado a 4 anni e sei mesi, e un consigliere comunale di Ponzano. In particolare, Coratti per 8 anni avrebbe usato gratuitamente un appartamento in piazza Cavour, nel quartiere Prati. E avrebbe ottenuto anche un contributo di 10 mila euro alla sua fondazione Rigenera. In cambio, l'ex esponente del Pd  avrebbe più volte favorito il costruttore nei suoi piani immobiliari. I carabinieri, coordinati dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e dal pm Barbara Zuin, hanno posto sotto sequestro 287 mila euro. Per Verdini, si parla anche della sede della sua fondazione in via Poli, accanto Fontana di Trevi: l'avrebbe ottenuta da Scarpellini in comodato d'uso dal giugno del 2016 al giugno del 2017. 

Sostanzialmente il finanziamento illecito ai partiti riguarda la locazione gratuita di diverse case che l'anziano costruttore romano, arrestato il 16 dicembre del 2016 e ora libero, avrebbe dato ai politici di vari partiti ma, per quanto riguarda il sindaco di Ponzano finito in manette, case a parte, secondo la procura di Roma dal 2011 al 2016 avrebbe ottenuto da Scarpellini circa 412 mila euro sotto forma di sponsorizzazione di una squadra di calcio della Valle del Tevere e di contributo a una società di sua figlia. Nei mesi scorsi invece il sindaco De Santis era finito al centro di contestazioni dopo il via libera dato dalla sua amministrazione alla realizzaione di un grande impianto biogas.  Dopo la rivolta dei comitati ambientalisti, la richiesta di chiarimenti sul progetto era approdata lo scorso maggio anche alla Città Metropolitana con un’interrogazione del consigliere  Alessio Pascucci.

Tutti avrebbero ricevuto anche altri favori di vario genere da Sergio Scarpellini, l'immobiliarista romano già arrestato dai carabinieri per corruzione il 16 dicembre 2016 assieme all'allora dirigente del Comune di Roma Capitale Raffaele Marra nella giunta Raggi. Il costruttore pagava mazzette e dava case gratis per sbloccare progetti edilizi, per facilitare la vittoria di appalti pubblica. In una recente intervista, Scarpellini si era difeso dicendo: "Per me è un onore dare case gratis ai politici, io aiuto tutta Roma"
 
Il gip del Tribunale di Roma, su richiesta della locale Procura, ha inoltre disposto a carico degli indagati il sequestro di beni per circa 750.000 euro, ritenuti profitto delle tangenti ricevute.


https://roma.repubblica.it/cronaca/2018/09/18/news/corruzione_arrestato_sindaco_di_ponzano_romano-206727849/

Formigoni: in appello la condanna sale a 7 anni e 6 mesi.

Roberto Formigoni


L'ex presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni è stato condannato in secondo grado a 7 anni e 6 mesi di reclusione dalla Corte d'appello di Milano per corruzione nel procedimento legato al crac del San Raffaele e al dissesto finanziario della Fondazione Maugeri di Pavia. Le due strutture ospedaliere lombarde avrebbero ricevuto, favoriti da Formigoni, versamenti non dovuti dalla Regione Lombardia e parte di quei fondi, attraverso alcuni intermediari, sarebbe servita per pagare benefit e utilità all'ex numero uno del Pirellone.

In primo grado 6 anni.
In primo grado, il 22 dicembre 2016, Formigoni era stato condannato a 6 anni di reclusione e la procura generale aveva chiesto in appello di confermare la condanna aumentando la pena a 7 ani e 6 mesi.
Le accuse.
Secondo l’accusa Formigoni avrebbe ottenuto una serie di utilità, tra cui l'uso di yacht, vacanze e cene, per favorire i due enti con delibere di giunta per circa 200 milioni di rimborsi pubblici.
La requisitoria della procura. 
La procura generale nel corso della requisitoria nei mesi scorsi ha chiesto per l'ex governatore della Lombardia “il massimo della pena”, ritenendo i fatti “gravissimi” e non meritevoli di alcuna attenuante. Formigoni è stato anche condannato all'interdizione perpetua dai pubblici uffici (in primo grado l'interdizione era temporanea), al pagamento delle spese processuali e al pagamento delle spese processuali della parte civile Regione Lombardia.
Le altre condanne.
Confermate le condanne anche per i co-imputati Costantino Passerino, ex direttore amministrativo della Maugeri, la cui pena è stata alzata da 7 anni a 7 anni e 6 mesi, con la procura generale che aveva chiesto una condanna a 7 anni e 7 mesi; e per l'imprenditore Claudio Farina, accusato di riciclaggio, a 3 anni e 4 mesi come in primo grado.
La ricostruzione dei fatti.
Secondo i magistrati milanesi nel corso di un decennio, tra il 2001 e il 2011, sono stati versati «70 milioni dalla Fondazione Maugeri e circa 8-9 milioni dal San Raffaele» a fronte di versamenti derivanti da misure della Regione Lombardia come la legge non profit per «oltre 100 milioni». A fare da intermediario, per l'accusa, ci pensava l'imprenditore Pierangelo Daccò, considerato un fedelissimo di Formigoni, che nel corso del processo d'appello ha patteggiato una condanna a 2 anni e 7 mesi di reclusione che, in continuazione con i 9 anni definitivi per il crac del San Raffaele hanno portato ad una totale di 11 anni e 7 mesi. Anche l'ex assessore alla Sanità lombardo Antonio Simone ha patteggiato in appello una condanna a 4 anni e 8 mesi. Per l'accusa, Formigoni avrebbe ricevuto dalla fondazione di Pavia benefit per “6,6 milioni di euro per compiere atti contrari al suo ufficio”, attraverso l'intermediazione di Daccò e Simone e quei soldi sarebbero stati parte dei fondi versati alla Maugeri dalla Regione Lombardia per rimborsi non dovuti. Con la sentenza di oggi i giudici hanno anche confermato le confische nei confronti degli imputati raggiunti da provvedimenti di sequestro e hanno disposto la restituzione alla Fondazione Maugeri di alcune somme sotto sequestro su conti all'estero per oltre 4 milioni di euro.
La Cassazione.
Se la pena di 7 anni e mezzo di reclusione a Roberto Formigoni dovesse essere confermata anche in Cassazione, l'ex Governatore lombardo ed ex senatore potrebbe chiedere di scontarla in detenzione domiciliare e non in carcere, come prevede la legge per le persone che hanno compiuto i 70 anni di età. Formigoni ne ha 71. La corruzione, infatti, non è uno dei reati che impedisce agli ultrasettantenni di richiedere di scontare la pena definitiva, se superiore a 4 anni (altrimenti si può richiedere l'affidamento in prova ai servizi sociali), in “detenzione domiciliare ordinaria”. Tra l'altro, prima che il processo arrivi in Cassazione (30 giorni per le motivazioni e altri 30 giorni per il ricorso scontato della difesa) si dovrebbe prescrivere l'imputazione “minore” che riguarda il capitolo San Raffaele (a fine 2018). Per il capitolo principale “Maugeri”, invece, i termini di prescrizione arriverebbero fino a oltre metà del 2019.
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E' di Putignano il più giovane neurochirurgo in grado di intervenire sulle vertebre cervicali per via endonasale. - Patrizio Pulvento

Dott. Giulio Cecchini
dott. Giulio Cecchini

L’operazione di decompressione midollare cervicale mininvasiva è stata eseguita con successo dal Dott. Giulio Cecchini, su una donna lucana di 57 anni che rischiava la paralisi.

Putignano Ba - Rischiava di rimanere paralizzata per via di una malformazione congenita alle vertebre cervicali, complicata dall’artrosi, una donna di 57 anni, inizialmente ritenuta quasi inoperabile. Ora sta bene grazie ad una raffinatissima tecnica chirurgica di decompressione midollare cervicale mediante odontoidectomia dell'epistrofeo per via endoscopica endonasale mininvasiva.
A portare a termine con successo il delicato intervento è stato un neurochirurgo nato e residente a Putignano, il Dott. Giulio Cecchini, 33 anni, probabilmente il più giovane neurochirurgo al mondo ad eseguire tale procedura, in collaborazione con il collega e amico Dott. Francesco Di Biase.
L’operazione è stata eseguita nell’ospedale San Carlo di Potenza con la supervisione del Direttore del reparto di Neurochirurgia, Dott. Giovanni Vitale. Va infatti precisato che questo intervento viene eseguito in pochi centri esclusivi ultraspecializzati in neurochirurgia mininvasiva. La signora era affetta da una malformazione congenita della giunzione vertebrale tra testa e collo (Epistrofeo).
Tale malformazione, inizialmente di grado lieve, si era aggravata negli anni con la comparsa dell’osteoartrosi, al punto di procurale addirittura una compressione del midollo al livello occipitale.
«Questa compressione del midollo era principalmente dovuta al dente dell’epistrofeo (seconda vertebra cervicale) che si proiettava all’interno della parte bassa del cranio e che, da circa sei anni – spiega il Dott. Cecchini - aveva cominciato a causarle cefalee, piccole apnee notturne, disturbi del movimento, fino alla tetraparesi.»
Come lo stesso neurochirurgo putignanese ha spiegato, per rimuovere questo dente dell’epistrofeo le metodiche a disposizione sono pochissime e dipendono dalla complessità del caso in esame. Si tratta di un’aera chirurgica rischiosa per la presenza del centro del respiro, del battito, ecc.. Molte strutture infatti, nelle circostanze più gravi, pare si limitino ad un trattamento di tipo fisiatrico e ad una trazione della testa del paziente. 
Le opzioni più diffuse per la rimozione del dente della vertebra epistrofeo, prevedono prevalentemente l’accesso chirurgico dalla bocca (transorale), con il rischio di alcune complicanze legate alla deglutizione a alla fonazione. Nel caso della 57enne è stato invece possibile intervenire passando dal naso con la tecnica endoscopica mininvasiva endonasale meno soggetta a infezioni e che non prevede alcuna incisione cutanea. Infatti la paziente non presenta alcuna ferita chirurgica né punti di sutura.
La signora ora sta bene, ha già ricominciato ad alimentarsi autonomamente, ha sospeso la terapia antibiotica ed è stata dimessa dall’ospedale. La paziente ha altresì manifestato un progressivo aumento della forza e della mobilità degli arti, cammina meglio e presto saranno anche superate le apnee notturne e le cefalee.
Dopo  la rimozione del dente dell’epistrofeo, si procederà dopo qualche settimana ad una nuova operazione di consolidamento delle prime due vertebre cervicali finalizzata ad agevolare il movimento della testa (la mobilità è assicurata temporaneamente da un collare).
«Fondamentale è tuttavia la diagnosi tempestiva di questo tipo di patologie - conclude il neurochirurgo -  Poiché potrebbe non essere più possibile ottenere il pieno recupero in soggetti con diagnosi tardiva e già troppo compromessi fisicamente.»

martedì 18 settembre 2018

L’indagine sull’Air Force Renzi per i 13 milioni spariti.

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Daniele Rainieri sul Fatto oggi racconta in cosa consiste l’indagine sull’Air Force Renzi annunciata dall’esperto di Toninelli dimissionario e condannato per bancarotta Gaetano Intrieri nella lunghissima lettera con cui rispose all’articolo de La Verità che raccontava della sua storia giudiziaria.

I conti non tornano e ballano dai 7 ai 13 milioni di euro per l’Air Force di Renzi, l’ormai famoso Airbus A 340/500 che l’ex presidente del Consiglio volle a tutti i costi nel marzo di due anni fa, costringendo l’Italia a spendere la bellezza di oltre 160 milioni di euro di cui circa la metà solo per il leasing (affitto).

Una cifra stratosferica, 16 volte superiore al prezzo (5 milioni di euro circa) contrattato qualche settimana fa per la vendita (non l’affitto) di un aereo di quel tipo da parte della stessa società che aveva fornito il jet di Renzi,cioè Etihad,la compagnia del’Emiro di Abu Dhabi già socia di Alitalia. Il contratto capestro per l’Italia è stato annullato con un risparmio di oltre 100 milioni di euro grazie a una trattativa serrata condotta da Gaetano Intrieri, uno degli esperti che stanno collaborando con il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli.

Nel racconto del Fatto però manca qualcosa: ieri Ilario Lombardo sulla Stampa ha invece raccontato che è vero che il governo ha annunciato di aver stracciato il contratto e subito dopo ha mandato una lettera agli arabi per chiuderlo, ma Etihad ha risposto e ha detto di non sapersene che fare dell’aereo, e di non volersi accollare i costi dello smantellamento. Di fatto un contratto è in essere e anche se i commissari di Alitalia e la ministra della Difesa Elisabetta Trenta hanno annunciato di aver disdetto il leasing, in un contratto esiste una controparte. In ogni caso il Fatto spiega che dei 50 milioni che sono stati spesi dallo Stato a Etihad ne sono arrivati solo 37. Degli altri 13, 6 sono stati trattenuti da Alitalia per la manutenzione ordinaria e straordinaria del velivolo, che però non poteva effettuare:

Al riguardo la compagnia non conferma e non smentisce. I tecnici del ministero sostengono però che Alitalia tutt’al più può aver fornito la manutenzione leggera e di base per l’aereo di Renzi perché per quella pesante e straordinaria non avrebbe la c a p a bi l i t y , cioè le certificazioni tecniche e il personale qualificato necessari. I tecnici si stanno chiedendo quindi a che titolo Alitalia possa aver riscosso la sua quota. La compagnia ha in flotta numerosi Airbus, ma nessuno uguale a quello preteso da Renzi.

E gli altri 7?

Per risolvere l’enigma Toninelli ha segnalato la faccenda alla Corte dei conti che a sua volta ha attivato la Guardia di Finanza che ora sta indagando sullo strano affare. Nel corso degli incontri al ministero dei Trasporti per l’Airbus è emersa un’altra incongruenza: perché Alitalia è stata tirata dentro a un affare che avrebbe dovuto riguardare solo il Segretariato generale della Difesa e il fornitore del velivolo, la compagnia emiratina Etihad?

Alitalia ha preso in affitto da Etihad l’aereo destinato a Renzi, che a sua volta la società araba aveva preso in affitto sul mercato. Alitalia ha poi fornito l’Airbus alla Difesa italiana ed è quindi entrata nel contratto con una funzione di intermediazione e il ruolo di lessor, per il quale occorrono autorizzazioni particolari che la compagnia di Fiumicino non ha.

https://www.nextquotidiano.it/air-force-renzi-indagine/

domenica 16 settembre 2018

"Sulla mia pelle"

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Ieri ho visto il film "Sulla mia pelle" ispirato alla tragica vicenda di Stefano Cucchi.
Nel film, oltre ai fatti che conosciamo, è raccapricciante constatare come si è svolta la sequela delle connivenze tra carabinieri, guardie carcerarie e sanitari.
Tutti responsabili di efferatezze inimmaginabili, dall'azione iniziale perpetrata dai carabinieri, alla mancanza di responsabilità dovuta alla paura o alla volontà di proteggere i colleghi responsabili del misfatto. 
Stefano si sarebbe potuto salvare se ognuno di loro avesse adempiuto al proprio dovere.
Le guardie carcerarie e i medici ed infermieri avrebbero dovuto denunciare ciò che era evidente a tutti, ma che è stato nascosto per proteggere infami personaggi che meriterebbero lo stesso trattamento riservato a Stefano.
Tutti hanno fatto finta di niente, anche il giudice non si è accorta dello stato in cui era stato ridotto Stefano.
Tutti collusi.

Cetta

Assenza genitoriale, disagio adolescenti.

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Ogni anno, in Italia, 500 adolescenti si uccidono.
La causa del problema pare che sia l'assenza dei genitori ma...

Il problema è ben più grave di ciò che si crede. 
Il problema trae origine da una reazione a catena: i genitori insoddisfatti sia economicamente che materialmente, non avendo strutture pubbliche adeguate alle quali fare affidamento, e non potendo più fare affidamento sui propri genitori forzatamente trattenuti al lavoro con le leggi capestro messe a punto dalla politica corrotta, debbono adattarsi a sopperire a tutto da soli. Dovendo sopperire a tutto con i pochi mezzi, economici e materiali messi a disposizione dalla società carente, districandosi tra lavoro esterno e lavori domestici, sono costretti a tralasciare, per mancanza materiale di tempo, l'attenzione e la cura che richiedono i figli.
Figli che, a loro volta, senza una guida alla quale fare riferimento, cercano di trovarla in situazioni illusorie come i videogiochi o l'aggregazione a bande di piccoli teppisti che, come è sotto gli occhi di tutti, aumentano a dismisura. 


Credo, oltretutto, che tra i motivi principali della decrescita nel nostro paese ci sia proprio la carenza di strutture adeguate al sostentamento genitoriale.
I figli costano, richiedono accudimento e, quando manca il supporto dovuto, si rinuncia. E' più facile, meno costoso e meno responsabile allevare un cane o un gatto.


Sta cambiando la società, in peggio, per colpa della carenza di strutture e di etica.


Cetta.