sabato 22 agosto 2020

Moratoria sui crediti, Ruocco: servono bad bank pubblica e banca per il Sud.



La presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario, Carla Ruocco, commenta l’intervento pubblico per la moratoria dei crediti bancari.

Leggo con sempre maggiore frequenza le posizioni degli appartenenti alla schiera degli ultraliberal che discettano sui “pericoli di un intervento dello Stato in economia”.
Quale Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul sistema bancario che si è significativamente impegnata al riguardo - tramite invio questionari, audizioni, richieste dati e informazioni e costante attività di moral suasion – segnalo che, ad oggi, oltre 300 €/mldi di crediti sono stati spostati nella loro riscossione grazie al meccanismo della moratoria ed oltre 71 €/mldi sono stati concessi tramite nuovi finanziamenti con garanzia pubblica.
Questo intervento pubblico ha evitato uno tsunami sul nostro sistema bancario che avrebbe avuto impatti economici irreversibili. Al salvataggio non deve però seguire la svendita del bene sanato al privato in quanto sarebbe un imperdonabile danno alla collettività che in definitiva ne ha sopportato i costi. Lo Stato ha il dovere di gestire i fallimenti del mercato – che sono ben noti proprio agli ultraliberal – con il giusto tempo, con le giuste risorse umane e finanziarie e sottolineo con una visione imprenditoriale per creare benefici concreti alla cittadinanza. Le prospettive di crescita dei crediti deteriorati, il crescente divario Nord-Sud e le opportunità offerte dalla rinascita della logistica nel Mediterraneo esigono una Bad Bank pubblica ed una banca per il Sud; i candidati ci sono: MPS e Banca Popolare di Bari.

L’Universo potrebbe essere più giovane di un miliardo (circa) di anni.

Nasa (https://www.nasa.gov/)
Nasa (https://www.nasa.gov/)


L’universo è un po’ più giovane del previsto: ha 12,8 miliardi di anni, circa un miliardo in meno di quanto si pensasse. La nuova stima arriva dai calcoli basati sul movimento di 50 galassie ed è pubblicata sull’Astronomical Journal dal gruppo dell’Università dell’Oregon guidato da James Schombert.
Finora i metodi usati per calcolare l’età dell’universo si sono basati sulla costante di Hubble, che stima il tasso di espansione dell’universo, e sulle osservazioni dell’eco del Big Bang, ossia la radiazione cosmica di fondo. Tuttavia, rileva Schombert, questi metodi raggiungono conclusioni diverse.

I metodi basati sulla costante di Hubble stimano un’età dell’universo compresa tra 12 e 14,5 miliardi di anni, mentre i calcoli basati sulla misura della radiazione cosmica di fondo osservata della sonda Wmap (Wilkinson Microwave Anisotropy Probe), stimano un’età di 13,77 miliardi di anni.

Il nuovo metodo proposto mette in relazione la distanza fra le galassie. “Il problema della scala delle distanze, come è noto, è incredibilmente difficile perché le distanze dalle galassie sono enormi e le indicazioni per le loro distanze sono deboli e difficili da calibrare”, ha detto Schombert. L’ostacolo è stato superato misurando in modo accurato le distanze di 50 galassie grazie utilizzando i dati del telescopio spaziale Spitzer della Nasa.
Queste misure sono state quindi usate come riferimento per misurare le distanze di altre 95 galassie. L’universo, osserva Schombert, è governato da una serie di schemi matematici espressi in equazioni. Il nuovo approccio, rileva l’esperto, spiega in modo più accurato i movimenti delle galassie e trasforma questi dati in equazioni che poi vengono usate per calcolare l’età dell’universo.

https://www.infodata.ilsole24ore.com/2020/08/22/luniverso-piu-giovane-un-miliardo-circa-anni/?utm_term=Autofeed&utm_medium=FBSole24Ore&utm_source=Facebook&fbclid=IwAR2-FAtXjT20XG_DJVoqML-eVszhIpBR555gl0Staw99cXpha-wTP2h8DzE#Echobox=1598109034&refresh_ce=1

Discoteche, a ballare sono le tasse. I costi, i guadagni e il fisco. - Nicola Borzi

Discoteche, a ballare sono le tasse. I costi, i guadagni e il fisco

Quello che non torna. Le imprese chiedono 420 milioni di aiuti-Covid. Ma 3 su 4 hanno indicatori di affidabilità fiscale sotto la norma.
I gestori delle discoteche piangono miseria. È lontano anni luce il boom degli anni 80, quando il socialista Gianni De Michelis pubblicava “Dove andiamo a ballare questa sera?”, una guida a 250 sale e night club “testati” personalmente dall’allora ministro del Lavoro del governo Craxi. Una lunga crisi prima, per il calo di appeal che ha portato a chiudere molte sale, e poi il lockdown scattato da 23 febbraio a causa della pandemia hanno assestato un terribile uno-due al settore. Dal 13 giugno ha riaperto solo un locale su cinque. Dopo la decisione del 16 agosto con la quale il ministro della Salute Roberto Speranza ha vietato di nuovo le attività di ballo, per i troppi casi di mancato rispetto delle regole di prevenzione e distanziamento, oggi le associazioni degli esercenti bussano a denari al Governo e chiedono 120mila euro a fondo perduto per ogni discoteca iscritta alle Camere di commercio. Ma a ballare, sinora, sono solo le cifre reali sul settore, specie quando si tratta di pagare le tasse: tre discoteche su quattro hanno un indicatore di affidabilità fiscale scarso o pessimo.
Nel tavolo con il Governo, al momento di quantificare gli aiuti, il sindacato di categoria Silb-Fipe aderente a Confcommercio ha parlato di un giro d’affari del settore da 4 miliardi con 100mila addetti tra diretti e indiretti. Oltre a Fiepet-Confesercenti, l’altra organizzazione del comparto è Assointrattenimento che fa capo a Confindustria, secondo la quale il giro d’affari delle discoteche lo scorso anno è stato di circa 3,5 miliardi, con 89mila dipendenti diretti e 90mila indiretti. È sulla base di questi dati che al ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, le imprese chiedono rimborsi per 420 milioni, riduzione del carico fiscale oggi pari al 48% dei ricavi, di cui 22% di Iva a fronte della media del 10% del resto del comparto dello spettacolo, e un’attività di controllo e repressione più dura nei confronti dell’abusivismo che, secondo le associazioni di categoria, non rispetta le regole e fa concorrenza sleale.
Le cose, però, non paiono stare esattamente così, tanto che sui social network sono già scoppiate roventi polemiche. Secondo i dati più recenti dell’Istat, nel 2017 erano attive in Italia 1.569 discoteche, night club e locali da ballo, identificati come le imprese che gestiscono questa attività a titolo principale. Nulla si sa sul numero e la dimensione delle imprese che hanno la discoteca come attività secondaria, ma potrebbero essere qualche centinaio. Le discoteche censite avevano un totale di 9.392 addetti dei quali 8.046 dipendenti e 1.346 collaboratori con diverse forme contrattuali, a chiamata o di somministrazione. Il 58,7% degli addetti, oltre 5.500 persone, era occupato al Nord, 2.500 al Centro (26,6%), 930 al Sud (9,9%) e i restanti 450 circa nelle isole (4,6%).
Ma la parte più rilevante delle statistiche Istat è quella relativa all’andamento economico del settore. Si tratta di dati che, secondo i funzionari dell’Istituto nazionale di statistica, sono stati raccolti attraverso i bilanci depositati nelle Camere di commercio per le società di capitali oppure, per le società di persone, attraverso le dichiarazioni Irap e gli indici sintetici di affidabilità (Isa) del Dipartimento delle Finanze del ministero dell’Economia, gli strumenti di verifica fiscale che hanno sostituito gli studi di settore.
Secondo queste informazioni, le 1.569 imprese censite in Italia nel 2017 avevano realizzato un fatturato medio di 449mila euro, per un totale di settore di poco più di 704 milioni. Il valore aggiunto medio era stato di 124mila euro, pari a un valore complessivo di poco meno di 195 milioni. I costi, con 320mila euro a discoteca, avevano totalizzato invece 502 milioni, comprimendo il margine operativo lordo (la differenza tra ricavi e costi al netto degli ammortamenti, delle minusvalenze, degli oneri finanziari e della tassazione) ad appena 32mila euro per impresa da ballo, pari a un valore nazionale di 50,2 milioni. Il tutto dopo aver spesato retribuzioni lorde per 68mila euro a impresa (106,7 milioni il totale nazionale) e un costo del lavoro complessivo di 92mila euro ad azienda, pari a 144,3 milioni complessivi.
I dati dell’Istat sono dunque estremamente diversi dalle cifre dichiarate dalle associazioni di settore. Se si prendono in esame le informazioni fiscali raccolte dal Dipartimento delle Finanze attraverso gli indicatori sintetici di affidabilità fiscale (Isa) relativi al periodo di imposta 2018, che riguardavano 1.057 discoteche controllate, emerge un quadro ancora differente. Quasi tre quinti delle sale da ballo erano gestite da società di capitali, un altro quinto da società di persone e il restante 21,9% da persone fisiche. In media, i ricavi o compensi dichiarati all’Erario erano pari a 292mila euro per impresa, per un fatturato di settore di 308,6 milioni. Il valore aggiunto medio di ciascuna impresa censita dal Fisco era di 82mila 700 euro, 87,5 milioni in tutto il comparto. Il reddito d’impresa o da lavoro autonomo, cioé l’utile di ciascun operatore sul quale si calcola l’imposta, era in media di appena 8.600 euro. Dunque tutte le discoteche controllate dal Dipartimento delle Finanze avrebbero realizzato, nell’intero 2018, un utile di poco più di 9 milioni. Si andava dalla perdita di 2.700 euro dichiarata dalle discoteche gestite da società di capitali “a bassa affidabilità fiscale” sino ai 39.300 euro di utile di quelle ad “alta affidabilità fiscale”.
Proprio la credibilità delle cifre indicate al Fisco, misurata dagli indicatori Isa, è il tallone d’Achille del settore. Secondo gli Isa, nel 2018 solo una sala da ballo su quattro, il 26,2% del totale, aveva un indicatore di attendibilità fiscale pari o superiore a 8 su 10, ovvero considerato “buono” dall’Agenzia delle Entrate. Chiedere 120mila euro come rimborso a fondo perduto per ogni discoteca pare dunque sproporzionato: forse sarebbe meglio condizionare le erogazioni pagate dallo Stato ai valori di credibilità fiscale e ai bilanci presentati da ciascun gestore.

Scuola: ministero, dal primo riapre, dal 14 le lezioni.


Il Ministro dell'Istruzione, Lucia Azzolina.

Dal 24 help desk. Ministero, riapertura grazie a lavoro di tutti.

(ANSA) - ROMA, 22 AGO - La scuola riaprirà dal 1 settembre per il recupero degli apprendimenti, dal 14 prenderanno il via le lezioni. Lo ribadisce il ministero dell'Istruzione ricordando che dal 24 agosto parte help desk per gli istituti: si tratta di un servizio dedicato interamente alla ripresa a cui le scuole potranno rivolgersi in caso di dubbi e quesiti. L'help desk sarà attivo dal lunedì al sabato, dalle 9 alle 13 e dalle 14 alle 18.

"In questi mesi è stato fatto un importante lavoro per la ripresa che ha coinvolto tutti i Ministeri interessati, le Regioni, gli Enti locali, gli Uffici scolastici regionali, le scuole, con tutto il personale e i dirigenti scolastici, le parti sociali, le Associazioni di studenti, genitori", conclude il ministero. (ANSA).

https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2020/08/22/scuola-ministero-dal-primo-riapre-dal-14-le-lezioni_152fc1b4-289c-4171-8601-8d046fe7e6c3.html

I miei fiori.

L'immagine può contenere: fiore e pianta

Anche quest'anno i miei fiori mi hanno fatto dono della loro bellezza.
Anche la rosa bianca e i gigli di mare con il loro intenso e gradevolissimo profumo.

Volta&Gabbana. - Marco Travaglio

Non mi ricordo cosa dovevo ricordare
Collezionare ritagli di giornali è un hobby che consiglio a tutti: basta afferrare una cartellina a caso con quello che tizio diceva l’altroieri, confrontarlo con ciò che dice oggi e scompisciarsi. Un tempo il primato assoluto era dei politici, ora invece li scavalcano opinionisti, imprenditori e giuristi, oltre alle nuove star della virologia.
Il Cazzaro Verde non ci sta a farsi metter sotto, infatti il 10 marzo voleva “chiudere tutta l’Italia” e l’11 “tutta l’Europa”, massì abbondiamo: ora chiede “l’arresto di Conte, che chiuse l’Italia (l’Europa era troppo, ndr) contro il Comitato tecnico scientifico” (che era favorevole). Dinanzi alla crescita esponenziale dei contagi (mille al giorno, soprattutto nella Lombardia modello che conta il 35,2% dei 15.089 casi attivi al 18 agosto), proclama: “Ora non c’è emergenza e chi dice il contrario, ovvero il governo, è in malafede e fa terrorismo per mantenere il potere” (veramente dicono il contrario i suoi presidenti regionali Zaia e Fontana, ma fa niente). E i giornalisti che pubblicano i dati che dicono l’esatto opposto lo fanno perché “il virus conviene: tenere in vita il virus in pieno agosto fa guadagnare soldi o fa guadagnare voti. Non si spiega altrimenti il coro quasi unanime di giornali e tv per creare un allarme che non c’è e parlare di emergenza in mancanza di emergenza”. Certo, come no.
Senz’offesa per Salvini, le sue scemenze non riescono a eguagliare quelle ripetute fino a dieci giorni fa dal suo ultimo spirito guida dopo la dipartita di Bannon: l’emerito Sabino Cassese che, sul Corriere e i suoi derivati, contestava la proroga fino a metà ottobre dello “stato di emergenza senza emergenza” (quando esso fu proclamato il 30 gennaio, i positivi erano 2 in tutta Italia, dunque l’emergenza era infinitamente più lieve di quando il governo l’ha prorogata e lui avrebbe voluto revocarla; ma fa niente). Ecco: che fine ha fatto Cassese? Perché oggi, con mille nuovi infetti al giorno, non c’illumina d’immenso con qualche altra scempiaggine? Ci manca tanto.
Meglio di lui però fa Confindustria. Ricordate le filippiche del presidente Carlo Bonomi contro “il governo dei bonus e dei sussidi a pioggia” e contro il Dl Liquidità per i prestiti bancari garantiti dallo Stato alle imprese in difficoltà? “La strada di far indebitare le imprese non è quella giusta, l’accesso alla liquidità non è immediato”. Poi iniziò a frignare perché i prestiti non arrivavano, e mica era colpa delle banche, no: sempre del governo, tant’è che ne invocava “uno diverso”. Ieri Confindustria, forse approfittando delle sue ferie, ha annunciato fra squilli di tromba che già un milione di imprese hanno chiesto i prestiti garantiti.
Tripudio incontenibile: “Un traguardo che conferma la grande utilità di uno strumento che in questi mesi ha rappresentato una risposta concreta ed efficace per le imprese costrette a fronteggiare un’emergenza di liquidità senza precedenti”. Parola di Emanuele Orsini, vicepresidente di Confindustria. Il vice di Bonomi. Che ora si scuserà per aver detto il contrario. O no?
Meglio di Bonomi fa la Repubblica, con la sua nuova crociata per il No al taglio dei parlamentari, in tandem con i fratellini di Stampa ed Espresso e i nuovi cuginetti del Domani. L’appello al No del direttore Molinari è stato subito ritwittato da Ezio Mauro: lo stesso che nel 2008 reclamava “due riforme essenziali per la governabilità e la legittimità del sistema: la riduzione del numero dei parlamentari (con la fine del bicameralismo perfetto) e dei partiti”; e nel 2013 invitava il Pd a “sfidare i 5Stelle” con un “pacchetto che comprenda il dimezzamento del numero dei parlamentari, il superamento del bicameralismo perfetto, la riduzione drastica dei costi della politica, l’abolizione dei privilegi”. Ieri, nella meritoria battaglia contro la propria storia, Repubblica ha reclutato i compagni Brunetta e Violante. Il primo voterà No con argomenti squisitamente giuridici: “I 5Stelle sono un partito morente” (infatti la maggioranza in Parlamento ce l’ha FI) e vanno “ammazzati definitivamente” per “dare la spallata a Conte”, visto che “la gente vuole la buona politica e si riconosce in Draghi”, oltreché – si capisce – in Brunetta. Anche Violante è in vena di diritto, ma pure di logica cartesiana: “Se prevalesse il Sì, gli effetti sarebbero gravi”: “il Senato con soli 200 componenti non riuscirà a stare al passo col lavoro della Camera” perché i senatori sarebbero la metà dei deputati (invece oggi che i senatori sono la metà dei deputati stanno al passo eccome). Seguirà un “ulteriore discredito del Parlamento”: infatti, diminuendo il numero dei suoi membri, “ciascun voto peserà molto di più” (più i parlamentari contano, più il Parlamento si scredita: è pura matematica). E infine il Senato andrà “alla paralisi o al disordine” (strano: dal 1948 al ’57 il Senato ebbe 237 membri, e poi 246 dal 1957 al ’63, e non si segnalarono paralisi né disordini). Ma non basta. Nel 2013 il presidente Napolitano nominò un comitato di 8 saggi per le riforme che, fra le altre, proposero questa: “I deputati verrebbero a essere complessivamente 480, per i senatori si propone un numero complessivo di 120” (cioè 600 come con l’attuale riforma, ma peggio distribuiti). Fra loro c’era un certo Luciano Violante. Chissà se è lo stesso Luciano Violante che ora scrive su Repubblica, o se i due omonimi si sono mai conosciuti.

venerdì 21 agosto 2020

Le 10 domande. - Marco Travaglio


A Maurizio Molinari, direttore di Repubblica.
Caro Direttore, mi consenta di felicitarmi per la svolta da Lei impressa a Repubblica, un tempo mia bestia nera e ultimamente docile agnellino. Del resto mi avevano sempre parlato bene di lei i miei amici de L’Opinione e de Il Tempo e i miei ex dipendenti de Il Foglio e di Panorama che L’hanno avuta in passato come valente collaboratore. Colgo l’occasione per rivolgere a Lei, ma soprattutto alle firme superstiti dell’ex organo del giustizialismo antiberlusconiano, le mie “10 domande a Repubblica”, sullo stile delle “10 domande di Repubblica” che, nella stagione della nostra più aspra contrapposizione fortunatamente archiviata, la vostra testata indirizzò proditoriamente al sottoscritto.
1. Ieri ho molto apprezzato il Suo editoriale “Perché votare No al referendum”: con tutti i posti che ho promesso in giro per ricomprarmi i forzisti in fuga verso Salvini e Meloni, ci manca soltanto che ora me ne sparisca un terzo. Purtroppo quei panciafichisti di Sallusti e Feltri, diversamente da lei e dal direttore de l’Espresso Marco Damilano, non osano battersi per il No per paura di perdere lettori: gliela farebbe una telefonatina per convincermeli?
2. Sempre ieri ho ritagliato il commento di Marco Bentivogli, che ha esordito sul Suo giornale e, tra parentesi, è il mio sindacalista preferito. Geniale l’idea di scatenare contro Conte “Il tridente della speranza” Mattarella-Draghi-Cartabia, molto più divertente del trio Lopez-Marchesini-Solenghi e più intonato del Trio Lescano. Che ne dice di aggiungermi alla compagnia, visto che col Quartetto (H)ar(d)core non ce ne sarebbe più per nessuno?
3. La ringrazio vivamente per lo spazio che riserva a Stefano Folli, mio antico estimatore dai tempi del Sole24 ore e del Corriere, e a Stefano Cappellini, di cui già adoravo le filippiche su Riformista e Messaggero contro i pm politicizzati: i loro quotidiani annunci sulla caduta di Conte mi fanno ben sperare in un lucroso ritorno al passato. Non potrebbe mettermeli sempre in prima pagina?
4. Standing ovation per gli acquisti nelle pagine economiche di due miei vecchi fan: Oscar Giannino e Giancarlo Mazzuca, che fu pure mio deputato. Ma lo sa che, da quando ho lasciato Palazzo Grazioli, mi sento a casa solo quando leggo Repubblica?
5. Ottimo anche l’ingaggio come editorialista di Domenico Siniscalco, che era il mio ministro dell’Economia quando Repubblica mi chiamava Caimano, Egoarca e Satiro minorile in combutta con le toghe rosse e con mia moglie. Ora non vorrei intromettermi, ma se Lei volesse allargare il parterre de roi avrei in serbo altre grandi firme di sicuro successo.
Può servire un Tremonti? Può essere utile un Brunetta, peraltro appena definito “una risorsa” dal vostro Merlo? Serve un esperto di scuola come la Gelmini, che sa il fatto suo anche su tunnel e neutrini? E Gasparri, che è pure giornalista? Può far comodo un’igienista dentale? Basta chiedere, a disposizione.

6. Noto con orgoglio che alla fine, dopo lunghe e assurde battaglie ideologiche veterosinistresi in nome dell’ambiente e dell’antimafia, siete arrivati anche voi a sostenere il ponte sullo Stretto di Messina con i meravigliosi articoli di Francesco Merlo e Sebastiano Messina (nomen, omen). Se non erro l’amico Lunardi, quello che voleva convivere con la mafia e infatti andava molto d’accordo con Dell’Utri, dev’essere ancora vivo. Viene via per poco: vi serve mica un esperto di trasporti e convivenze?

7. Noto con piacere che avete riposto in soffitta gli altri vostri cavalli di battaglia: i miei presunti conflitti d’interessi, la mia presunta iscrizione alla P2, il mio presunto stalliere Mangano, i presunti Previti e Dell’Utri, i miei presunti finanziamenti alla presunta mafia, le mie presunte corruzioni di senatori, premier, giudici, testimoni, finanzieri e minorenni, i miei presunti falsi in bilancio, le mie presunte frodi fiscali, le mie presunte prescrizioni, la mia presunta condanna, i miei presunti processi in corso. Che infatti non sono mai esistiti. Ora non vorrei osare troppo, ma perché non ripetete con me: “Ruby era la nipote di Mubarak”? È tanto liberatorio!


8. Ho letto con soddisfazione l’intervista a Tpi di una delle vostre firme di punta, Francesco Merlo, il quale dice che io sono quel che sono, ma definisce Forza Italia “meglio dei 5Stelle” e il M5S “forza non democratica”. E auspica “un nuovo governo, con un nuovo presidente del Consiglio” che “in Forza Italia potrebbe trovare alcune delle persone più degne” e “tante persone perbene”. È quel che dico anch’io da 25 anni, ma non è meraviglioso che ora lo diciate anche voi?


9. Siccome già Scalfari confessò “Tra Berlusconi e Di Maio voterei Berlusconi” e De Benedetti ha appena dichiarato “Pur di cacciare Conte mi va bene un governo Pd-Berlusconi”, che senso ha disperdere tante energie in una miriade di giornali concorrenti che dicono tutti le stesse cose? Voi, grazie ai lungimiranti Elkann, avete già fuso Stampa e Repubblica in Stampubblica: se convinco Sallusti e l’Ingegnere, che ne dite di fare un ultimo passo dando vita a Il Giornale di Stampubblica del Domani?


10. Si offenderebbe, Direttore, se a questa mia facessi seguire una tessera gold di Forza Italia?
Devotamente suo, Silvio Berlusconi.