mercoledì 23 settembre 2020

Santa Sede: "L'eutanasia è un crimine, complice chi legifera".

 


Congregazione vaticana per la Dottrina della fede; "Con tale atto, l'uomo sceglie di causare direttamente la morte di un altro essere umano innocente".

"La Chiesa ritiene di dover ribadire come insegnamento definitivo che l'eutanasia è un crimine contro la vita umana perché, con tale atto, l'uomo sceglie di causare direttamente la morte di un altro essere umano innocente". Lo afferma la Congregazione vaticana per la Dottrina della fede nella Lettera "Samaritanus bonus". "Coloro che approvano leggi sull'eutanasia e il suicidio assistito - aggiunge - si rendono, pertanto, complici del grave peccato che altri eseguiranno. Costoro sono altresì colpevoli di scandalo perché tali leggi contribuiscono a deformare la coscienza, anche dei fedeli".

L'eutanasia, spiega l'ex Sant'Uffizio, "è un atto intrinsecamente malvagio, in qualsiasi occasione o circostanza". "Tale dottrina è fondata sulla legge naturale e sulla Parola di Dio scritta, è trasmessa dalla Tradizione della Chiesa ed insegnata dal Magistero ordinario e universale", ribadisce, e "qualsiasi cooperazione formale o materiale immediata ad un tale atto è un peccato grave contro la vita umana". "Dunque, l'eutanasia è un atto omicida che nessun fine può legittimare e che non tollera alcuna forma di complicità o collaborazione, attiva o passiva", aggiunge.

"Inguaribile non vuol dire incurabile" - "Inguaribile non è mai sinonimo di 'incurabile'". E' il concetto posto a premessa del documento "Samaritanus bonus. Lettera sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita", approvato dal Papa il 25 giugno scorso e pubblicato oggi, con cui la Congregazione vaticana per la Dottrina della Fede - dinanzi alle iniziative legislative in vari Paesi sull'argomento - ribadisce i principi dottrinali e magisteriali contro l'eutanasia e il suicidio assistito, considerando che "il valore inviolabile della vita è una verità basilare della legge morale naturale ed un fondamento essenziale dell'ordine giuridico". Secondo l'ex Sant'Uffizio, un ostacolo "che oscura la percezione della sacralità della vita umana è una erronea comprensione dalla 'compassione' . Davanti a una sofferenza qualificata come 'insopportabile', si giustifica la fine della vita del paziente in nome della 'compassione'. Per non soffrire è meglio morire: è l'eutanasia cosiddetta 'compassionevole'. Sarebbe compassionevole aiutare il paziente a morire attraverso l'eutanasia o il suicidio assistito. In realtà, la compassione umana non consiste nel provocare la morte, ma nell'accogliere il malato, nel sostenerlo dentro le difficoltà, nell'offrirgli affetto, attenzione e i mezzi per alleviare la sofferenza". Ecco, quindi che, "la Chiesa, nella missione di trasmettere ai fedeli la grazia del Redentore e la santa legge di Dio, già percepibile nei dettami della legge morale naturale, sente il dovere di intervenire in tale sede per escludere ancora una volta ogni ambiguità circa l'insegnamento del Magistero sull'eutanasia e il suicidio assistito, anche in quei contesti dove le leggi nazionali hanno legittimato tali pratiche". 

https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2020/09/22/santa-sede-leutanasia-e-un-crimine-complice-chi-legifera_281f3af9-c845-4b41-b38d-dbddf840e516.html

Che fare per far capire alla Santa Sede che le leggi di uno Stato vengono fatte per tutti i cittadini e non solo per i credenti?
Che fare per far capire alla santa Sede che ogni cittadino ha diritto di decidere per se stesso?
Ma poi, a prescindere dalla fede, chi paga per mantenere in vita un malato inguaribile?
Infine, se il loro Dio decide che il malato debba morire, perchè mantenerlo "forzatamente" in vita?
La loro è una ribellione verso il volere del loro Divino?
Cetta.


Rosicate, gente, rosicate. - Marco Travaglio










          Finora non ci avevano capito niente. Ma ora, compulsati i dati elettorali, i professionisti della politica e dell’informazione han capito tutto. E l’hanno presa bene.

Italia Morta. “Il dato di Italia Viva è straordinario: Iv c’è ed è ancora più attraente nel Paese e in Parlamento”. Lo dice l’ex Innominabile, ora Invotabile, dall’alto del trionfale 4,5% scarso nella sua Toscana (inutile perché Giani ha vinto di 8 punti, però “siamo stati determinanti non numericamente, ma politicamente per l’enorme mobilitazione”: quella contro se stesso), del prorompente 3,75 della Boschi a Laterina, del sontuoso 1,6 di Scalfarotto in Puglia (lì si univano alle esequie Calenda e Bonino per far perdere meglio Emiliano, che infatti ha vinto), del 2,4 in Liguria e dello 0,6% in Veneto (settimo posto su nove, dietro la lista No Vax). Non male per quello che doveva “svuotare il Pd come Macron coi socialisti francesi”. Nel 2016 aveva promesso di lasciare la politica dopo il referendum, ma non aveva precisato quale: era questo.

Brindisi a Sambuca. Maurizio Sambuca Molinari, direttore di Repubblica ma soprattutto ideologo e trascinatore del No, è tutto contento del 70% del Sì perché “cala il vento del populismo” e si “disegna un cambiamento di umore degli italiani nei confronti dei sovranisti e dei populisti”, nonché la disfatta di Lega e M5S. Strano: solo tre giorni fa Rep definiva il referendum “Un voto sui 5Stelle”: quindi il 70% è tutto loro? A noi però affascina vieppiù la questione del “populismo”, che è come l’Araba Fenice: che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa. Al Sud vince Emiliano e stravince De Luca, molto più populisti dell’azzimato Di Maio: in che senso cala il vento? E il taglio dei parlamentari non era la quintessenza dell’“antipolitica populista”? Ora se ne dovrebbe dedurre che il 70% degl’italiani sono populisti, dunque il vento cresce. Però molti grillini con una mano (quella populista) han votato Sì e con l’altra (quella antipopulista) han votato Emiliano e Giani contro i populisti. E lo stesso han fatto la gran parte dei pidini. Quindi milioni di italiani sono contemporaneamente populisti e antipopulisti. È il famoso elettore disgiunto.

Il trionfo del No. Stefano Folli e Sebastiano Messina regalano altre soddisfazioni. Folli si consola: “Il plebiscito sognato da Di Maio non c’è stato” perché, pensate: “Cosa sarebbe successo se alcuni partiti storici, invece di affidarsi a un Sì opportunistico, avessero fatto campagna per il No? Si può immaginare che l’esito sarebbe stato diverso”. Se poi il 70% degli italiani, anziché votare Sì, avesse votato No, si può immaginare senza tema di smentita che il No avrebbe vinto col 100%.

E pazienza, è andata così. Anche Messina è tutto giulivo perché “non è il trionfo cantato da Di Maio” , anzi il 70 a 30 è un tripudio del No. Segue un acuto parallelo coi Sì negli altri referendum: purtroppo cita quelli abrogativi, mentre questo era costituzionale, il quarto dopo il Titolo V del 2001 (35% di votanti, Sì al 64%), la Devolution del 2006 (52% di votanti, Sì al 38%) e il ddl Renzi-Boschi del 2016 (65% di votanti, Sì al 40%). Dunque il taglio dei parlamentari (54% di votanti, Sì al 70%) è la riforma costituzionale più votata della storia repubblicana. Cioè il trionfo cantato da Di Maio. A proposito: neanche Zaia, col suo misero 77%, ha avuto un plebiscito: ben il 23 dei veneti gli han votato contro.

Voce del verbo violare. Anche Luciano Violante, alfiere del No, è tutto giulivo perché col Sì “ha prevalso un argomento serio e democratico, la necessità di fare altre riforme”. Ed è “merito della campagna del No”. Lui, potendo scegliere, partirebbe da un “nuovo bicameralismo”, molto simile a quello renziano bocciato dal 60% degl’italiani, quindi i sinceri democratici devono riprovarci: gli elettori vanno puniti.

I poveri, pussa via. “Nelle periferie il taglio del numero dei parlamentari diventa un mezzo plebiscito, nel sofisticato e colto (e ricco) centro storico non passa”. L’illuminata analisi la si deve al Corriere della Sera: i poveri delle periferie sono burini e ignoranti, mentre i ricchi sono colti e sofisticati. Ecco: il 70% del Sì vale meno: diciamo il 35. Ergo ha quasi perso.

I tre Feltri. Vittorio, su Libero, chiede a Mattarella di “sciogliere le Camere, non più costituzionali”: hic! Stefano, sul Domani, titola su “Il declino dei populisti. Vincono il referendum ma perdono il Paese”: vedi Sambuca. Mattia, sull’Huffington Post, vede uno straripante “popolo del No che nessuno sa rappresentare” (a parte tutti i giornali, tranne uno). E ricorda Woody Allen in Provaci ancora, Sam, che rincasa tutto pesto da una rissa e racconta: “Ho dato una lezione a dei tipi che davano noia a Julie: a uno ho dato una botta col mento sul pugno, a quell’altro una nasata sul ginocchio”.

Di Battutista. Dibba comincia a capire e critica la linea 5Stelle di correre da soli. Peccato che fosse la sua. Si sarà accorto che le alleanze servono (vedi le Comunali, molto meglio delle Regionali) e comunque, se non le fanno i vertici, le fanno gli elettori contro i vertici. Avvertire Laricchia, Lezzi&C.

Le Sordine. Più comico dell’Invotabile c’è solo Mattia Santori. Sorvola sulla tranvata referendaria e dice che il Pd ha vinto grazie a lui: “Il Pd festeggia le vittorie in Toscana e Puglia, ma lo spumante nei calici viene dalla cantina delle Sardine”. Le sardine in carpione.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/23/rosicate-gente-rosicate/5940685/

martedì 22 settembre 2020

Maratona lugubre: come si commenta una maxi-sconfitta? - Daniela Ranieri

 




















Previsioni errate. I numeri gelano gli ospiti.

Ha vinto l’antipolitica, cioè i cittadini hanno ratificato una legge voluta dal 98% dei votanti alla Camera, recandosi peraltro ai seggi più che in altre occasioni d’epoca non-Covid: e adesso?

Gli ospiti delle maratone elettorali sono lì dal dopopranzo. Il giorno della chiusura delle urne è sempre l’apoteosi, il baccanale, l’orgia dell’opinionismo. Stavolta c’è un lieve disagio nell’aria, per non dire un’aporia: gli opinionisti sono tutti firme dei giornali che hanno fatto (in alcuni casi enfaticamente) campagna per il No, quindi qui c’è qualcuno che ha sbagliato, o gli analisti o gli elettori. Mentre gli scrutatori stanno ancora sigillando le urne per portarle agli uffici comunali, in studio già da un’ora vengono emesse tonnellate di istruzioni del tipo then/if, “se/allora”: congetture, predizioni, e tra le righe ipotesi di caduta del governo, pellegrinaggi da Mattarella, atti autolesionistici di Conte, destituzione di Zingaretti, governo Bonaccini, tutta roba pulp che il voto, sancito e quieto nel buio dell’urna, ha già invalidato, e vabbè.

Gli instant poll disegnano sui volti un’espressione di puro scetticismo, che diventa negazione, che diventa orrore, quindi rassegnazione: si sperava nel 5-1 per il centrodestra: oltre alla caduta di Liguria-Marche-Veneto (con Zaia alle percentuali che prendeva la Dc in quelle terre negli anni ’70-‘80), l’espugnazione della Toscana e la disfatta di Emiliano in Puglia, e invece c’è questo 3-3 che non dà modo di gigioneggiare. Fioccano fra i vari canali sondaggi puramente speculativi: “Se si fosse votato per le elezioni nazionali…” avrebbe vinto la Lega, col Parlamento tagliato, peraltro. Vedi a volte come succedono le tragedie. Il Sì sta arrivando al 70%, al Sud addirittura è oltre il 75: non saranno quelli che vogliono il reddito di cittadinanza? Peraltro, butta lì su La7 Bechis (il cui giornale sosteneva che col Sì avrebbe vinto solo la Meloni, mah), ha votato solo il 7% delle persone in isolamento per Covid: siamo sicuri di voler considerare valido il voto?

C’è Di Maio che parla: s’è pettinato da cresimando, forse per far vedere che non ha intenzione di trasformare l’aula sorda e grigia in un bivacco di manipoli. In sostanza dice che lui ha vinto il referendum e Crimi ha perso le Regionali.

SkyTg24 si collega con un inviato che ha beccato fuori da Montecitorio Marattin di Italia ancora viva (meglio di niente). Domanda: “L’ago della bilancia in Puglia potrebbe essere Italia Viva?”. (Ragguardevole l’1,6% di Scalfarotto, e menomale che la Bellanova ha per errore invitato a votare Emiliano, riportando di colpo carriolate di elettori a Ivan, sennò avrebbe preso pure di meno). Dallo studio lo interrompono subito perché c’è Zingaretti in conferenza stampa. Zingaretti dice che si farà carico delle preoccupazioni di quei cittadini che hanno votato No: cioè ha perso pure se ha vinto. Per poco non chiede scusa. Quanto alle Regionali, dice che “la situazione dell’alleanza che sostiene il governo è molto fragile e delicata” (è ufficiale: sta leggendo il discorso che s’era preparato per la sconfitta). Si va a recuperare Marattin, magari ha qualcosa di fondamentale da dire: “Il nostro obiettivo era appoggiare una candidatura nuova, fresca” (Scalfarotto è in politica dal 2007), e, quanto al referendum, “la vittoria del Sì dimostra che bisogna fare altre riforme”: in pratica ha vinto Renzi con la riforma del 2016, che però il 60% dei cittadini ce l’aveva contro, peccato.

Su SkyTg24 Cangini, senatore di Fi tra i 71 che hanno raccolto le firme per il referendum, è soddisfatto: “I sondaggi ci davano al 10%, se Meloni e Salvini non fossero rimasti imbrigliati dalla demagogia e avessero fatto campagna per il No, poteva vincere il No”. Diremmo di più: se i cittadini avessero votato No, avrebbe vinto il No. Intanto alla Maratonamentana Paolo Mieli cerca di far litigare Sansa con Padellaro insinuando scherzosamente (cioè sul serio) che il Fatto l’abbia fatto perdere.

Ci sono le proiezioni: Emiliano, pare, l’ha sfangata. Su SkyTg24 Sabino Cassese, il più radicale costituzionalista per il No, ha un tesi capziosa: il 69% di Sì vuol dire che “la maggior parte degli italiani è favorevole alla riduzione dei parlamentari e non è contro il Parlamento” (ma questa era una sua illazione, ed è diventato lo spauracchio del No, non c’è una riga vuota sulla scheda in cui scrivere se si è contro il Parlamento), anti-parlamentarismo di cui, dice Cassese, sono invece tacciabili i 5Stelle (e non Renzi, la cui riforma che cambiava 45 articoli della Costituzione Cassese appoggiava).

Intanto siamo preoccupati per la brava Sardoni, inviata non solo in un probabile focolaio Covid, ma, più pericolosamente, nel quartier generale del renziano Giani, dove festeggiano Nardella, Bonaccini, Nencini, Lotti, tutta gente che ci mancava solo perdesse contro la Ceccardi.

Su Rai1 il direttore de La Stampa Giannini prende atto che “ci continueremo a tenere questo governo necessario che finora è stato carente”, come del resto evincibile dal gradimento dei cittadini (60%). Poi si collegano con un deputato di Azione (viva la rappresentanza!), ma non è Calenda, è l’altro, ed è l’unico diversivo di un pomeriggio lugubre, come vedere un dodo allo zoo.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/22/maratona-lugubre-come-si-commenta-una-maxi-sconfitta/5939285/

L'invasione delle cavallette. - Massimo Erbetti


 











Questa mattina, dopo la vincita del Sì al referendum, mi aspettavo di aprire la finestra e vedere l'invasione delle cavallette e invece nulla, tutto tranquillo, tutto scorre come ogni giorno. La dittatura non è arrivata e la democrazia non è stata tagliata, né tanto meno è in pericolo.
Il Sì ha vinto e il No ha perso, non era così scontato, o meglio non lo era dopo mesi di campagna elettorale senza esclusione di colpi, da parte di chi, questa riforma non la voleva...ma chi era che effettivamente non voleva il taglio? Nessun partito ci ha messo la faccia nella campagna per il No, nella mia città non c'era neanche un manifesto nelle plance elettorali, con su scritto vota No...nessun politico schierato, tranne rarissimi casi, niente di niente...eppure c'era un fronte invisibile immenso. Ma chi era allora per il No? La Lega era per il Sì, così come il PD e FdI e se sommiamo i voti dei quattro pariti (M5s, Lega FdI e PD) superiamo abbondantemente il 75%. I cittadini si sono organizzati da soli in una campagna senza confini per il No? Erano in disaccordo con chi avrebbe dovuto rappresentarli? Qualcosa non torna, qualcuno ha giocato sporco, ma chi? Chi in pubblico tifava Si è in privato No? E perché lo ha fatto? Non sarebbe stato più facile metterci la faccia?
Ma non è che per caso, qualcuno voleva far fare il lavoro sporco ai cittadini, lavandosene le mani come Ponzio Pilato?
Pensandoci bene, il taglio non è un attentato alla democrazia...chi decide oggettivamente che 945 parlamentari sono la giusta rappresentanza democratica e 600 non lo sono? Nessuno, nessuno lo ha dimostrato con dati oggettivi e smontata questa tesi, ai sostenitori del No, non rimaneva nulla in mano, solo un pugno di mosche. Che fare allora? La politica, anzi una "certa" politica, ha bisogno di più parlamentari..piu parlamentari, più soggetti da controllare...piu parlamentari, più soldi che entrano al partito...piu parlamentari, più voti...piu parlamentari più possibilità di spartizione...ma questa cosa non la puoi dire all'elettore, l'elettore si sentirebbe usato e allora? Allora la buttiamo sul fatto che se il No vince, si possono mandare a casa gli odiati grillini...gli incapaci grillini...i bibitari...i nullafacenti... Diamo una spallata al governo, ritorniamo a votare..."io Sono per il Sì" "Figurati se non sono per il Sì" "Come potrei essere contro?"...."Pero se vince il No, li mandiamo a casa"...questo è stato il mantra dei sostenitori occulti del No. Hanno creato odio verso il, M5s, per ottenere un tornaconto personale, se ne sono strafottuti delle reali ragioni, a loro interessava buttare giù il governo e non avendo i mezzi, vi hanno usato, il problema reale è che chi ha votato no (non tutti, ma la stragrande maggioranza dei casi) accecato dall'odio e dalla voglia di governare, non si è reso conto del favore che faceva a chi senza metterci la faccia, nell'oscurità, tramava...in primis prorpio contro di voi...
Il Sì ha vinto e il No perso, qualcuno si dimetterà? Qualcuno pagherà le scelte sbagliate? I cittadini con un secco 70%, hanno mandato un segnale inequivocabile. Lo scorso referendum, ha decretato la fine politica di Renzi, a chi toccherà questa volta? Perché statene certi, nonostante le chiacchere in un politichese comprensibile solo a loro, dove tutti vincono e nessuno perde... qualcuno ci lascerà le penne. 

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Il 6 a 0 che è diventato 3 a 3, i voti persi dalla Lega e quelli presi da Luca Zaia: ecco perché Matteo Salvini è lo sconfitto di queste elezioni. - Giuseppe Pipitone












Doveva essere un cappotto e invece le Regionali si sono trasformare in un pareggio. Un 3 a 3 che per come è maturato vale come una sconfitta per l'uomo che nell'agosto di un anno fa faceva cadere il governo chiedendo "pieni poteri". Il Carroccio perde consensi ovunque rispetto alle Europee. In Puglia e Campania rischia addirittura di essere la terza forza della coalizione: superata da Fdi, è testa a testa con Forza Italia. Per l'ex ministro dell'Interno si apre anche un fronte interno col governatore del Veneto che da solo prende il triplo rispetto ai voti della lista ufficiale del partito.

“Se dovessi fare un pronostico? Dico che vinceremo 7 a 0. Ci stiamo lavorando”. Qualcosa nel lavoro di Matteo Salvini deve essere andato storto. Esattamente 15 giorni dopo quell’incauta previsione l’atteso trionfo alle regionali non è arrivato. Niente cappotto, niente 7 a 0. Anzi: non è arrivata neanche una vittoria netta. È più che altro un pareggio, ma da come è maturato vale come una sconfitta per l’uomo che nell’agosto di un anno fa faceva cadere il governo chiedendo “pieni poteri“. Il segretario della Lega avrebbe voluto parlare da Firenze, dove aveva annunciato la sua presenza in caso di vittoria di Susanna Ceccardi. Alla fine è stato costretto a rimanere a Milano. In via Bellerio è comparso dopo le 19 per commentare l’unica vittoria certa del suo partito: quella alle suppletive per due collegi del Senato in Sardegna e Veneto. Per il resto ha provato a gettare la palla in tribuna. Ha parlato delle 15 regioni su 20 in mano al centrodestra, ha definito le Marche come un’ex regione rossa, nonostante siano state amministrate dalla Dc dal 1972 al ‘ 95, ha esultato per la Lega sopra il 60% in Veneto, anche se cinquanta di quei punti percentuali sono andati alla lista personale di Luca Zaia. L’alternativa era votare la Lega vera, quella col suo nome nel simbolo: i veneti, leghisti doc, hanno fatto capire in modo chiaro come la pensano.

Il cappotto che è diventato pareggio – Sarà anche per questo se di 7 a 0, cappotti e pronostici Salvini non parla più. “Abbiamo vinto in alcune regioni e perso in altre, sarebbe stupido prendere in giro chi ha problemi reali. Se perdi perdi, i cittadini hanno sempre ragione”, ammetterà poi in serata. Un estremo tentativo di abbozzare, ma è evidente che i piani fossero diversi. Il centrodestra tiene il Veneto e la Liguria e riesce a strappare le Marche al centrosinistra. Ma straperde in Campania e soprattutto in Puglia e Toscana, dove Michele Emiliano ed Eugenio Giani smentiscono i sondaggi della vigilia battendo nettamente Raffaele Fitto e Susanna Ceccardi. Ci sarebbe anche la Val d’Aosta, dove la Lega è data in vantaggio dagli exit poll: il segretario lo fa notare subito dopo aver parlato di suppletive, dimenticando che si tratta di una Regione che ha poco più di centomila abitanti. Senza considerare che la legge elettorale locale è un proporzionale puro: i cittadini non eleggono direttamente il governatore, che potrebbe pure non essere un leghista alla fine dello scrutinio. Più che un 4 a 3, dunque, l’esito di queste regionali è al momento un tre pari che soddisfa maggiormente le forze che sostengono il governo. Il Pd tiene le regioni del Sud e sventa l’avanzata della Lega in Toscana: dopo l’Emilia è un’altra vittoria dall’alto valore simbolico. Il Movimento 5 stelle va molto male alle Regionali (ormai una consuetudine) ma può festeggiare il trionfo dei Sì al referendum sul taglio dei Parlamentari, una riforma-bandiera di entrambi i governi guidati da Giuseppe Conte.

Silenzio sul referendum – Forse è proprio per questo motivo che Salvini, nella sua conferenza stampa, non commenta l’esito della consultazione referendaria. Il leader del Carroccio ha sempre detto di voler votare Sì al taglio ma con scarsissimo slancio. “La Lega vota sì. Ma noi non siamo una caserma e se qualcuno vuole votare in modo diverso lo faccia“, ha ripetuto più volte l’ex ministro dell’Interno. Che da una parte si è appellato alla “coerenza” per giustificare il suo sì, ma dall’altra sapeva che un eventuale e improbabile vittoria del No sarebbe stata utile in chiave anti governativa. Per questo ha lasciato che gli altri leader del Carroccio – come per esempio Giancarlo Giorgetti – si esprimessero pubblicamente contro la riforma: una sorta di campagna parallela che non ha dato i frutti sperati. La strada scelta da Salvini sul taglio, in pratica, era destinata a finire in un vicolo cieco: per questo di referendum ha cercato di parlare il meno possibile. “Prendo atto del fatto che il popolo ritiene che ci siano 300 parlamentari di troppo in Parlamento e che la prima forza politica presente numericamente in Parlamento non esiste più in alcune regioni italiane ma lascio a loro la riflessione”, si è limitato a dire, attaccando i 5 stelle. E siccome qualcuno dei suoi parla già di Parlamento delegittimato, il segretario ha messo le mani avanti: le elezioni anticipate “non le chiedevo ieri e non le chiedo oggi. Prima ci sono meglio è, ma non per le elezioni regionali e il referendum”. Praticamente un’ammissione di come il voto di domenica e lunedì abbia rafforzato la maggioranza di governo.

Toscana, la madre di tutte le sconfitte – La vittoria del Sì, nei piani di Salvini, doveva essere oscurata dall’avanzata del suo partito nelle Regioni. Soprattutto una: la Toscana, storica regione rossa dove aveva chiesto e ottenuto il posto di aspirante governatore. Ha scelto la sua pupilla, Susanna Ceccardi, quintessenza del salvinismo in una regione da sempre a sinistra: doveva essere la madre di tutte le battaglie, capace di valere da sola quanto due o tre vittorie. Una sfida che somigliava molto a quella in Emilia Romagna. Proprio per evitare un finale simile Salvini ha tentato di cambiare approccio: ha condotto una campagna elettorale più moderata, tentando di abbassare i toni, depurando l’immagine della Ceccardi da simboli che ricordassero ai toscani lo spadone di Alberto da Giussano. Grafiche neutre e niente campanelli suonati nei quartieri popolari per accusare – a favor di telecamera – i figli degli inquilini di spaccio di droga: non è bastato. I sondaggi della vigilia sembravano pure promettenti, ma alla fine la Toscana non è mai stata in bilico. Come in Emilia, la sfida su cui Salvini aveva puntato tutto, la madre di tutte le battaglie, è andata persa. E pure la Lega ha fatto un balzo indietro, parecchio sostanzioso. In Toscana alle Europee del 2019 aveva preso il 31%, tallonando il Pd, al 33. Oggi – a spoglio ancora in corso – è data al 21 con i dem oltre il 34.

Il derby in Veneto finisce 3 a 0 per Zaia – Il Carroccio perde consensi anche in Liguria, dove è dato sul 16%, tre punti dietro al Pd e ben 8 rispetto a Cambiamo, la lista del governatore rieletto Giovanni Toti. Nel maggio del 2019, nella stessa regione, Salvini aveva preso il 34%, dieci punti in più rispetto ai dem. Nelle Marche, l’unica regione che la destra scippa al centrosinistra, il governatore è Francesco Acquaroli di Fratelli d’Italia. Il partito di Giorgia Meloni prende il 19, con la Lega al 22, ma la lista più votata è rischia di essere di nuovo il Pd che è dato al 24: un anno e mezzo fa il Carroccio era il primo partito col 38%, 15 punti in più rispetto ai dem. Persino il risultato in Veneto rischia di apparire come una beffa pericolosa per il segretario. Nella Regione che da un ventennio è serbatoio di voti per la Lega la riconferma di Luca Zaia a larga maggioranza era scontata. Il voto, però, era atteso soprattutto per il derby interno al Carroccio: la lista del governatore, incoronato da tutti i sondaggi come il leader leghista più popolare del Paese, contro quella ufficiale che porta nel simbolo il nome del segretario. È finita con un 3 a 0 per Zaia nel senso che il governatore da solo ha preso quasi il 50%, con la Lega ufficiale al 15. “In Veneto siamo oltre al 60%. Io non temo e non soffro nessuna competizione interna, che Zaia sia uno dei governatori più amati è un motivo di vanto”, ha provato a esultare Salvini. Che però aveva voluto nella propria lista quasi tutti gli assessori uscenti: una manovra evidentemente tesa a non farsi surclassare da Zaia. Come pure lo stesso evidente obiettivo aveva la lettera inviata da Lorenzo Fontana ai segretari delle oltre 400 sezioni del Carroccio: l’invito del commissario del partito, senza troppo garbo, era di votare la lista ufficiale della Lega Salvini Veneto e non quella Zaia Presidente. Quella missiva non deve essere stata troppo convincente. E ora, dietro a sorrisi e frasi di circostanza, il governatore ne approfitta per togliersi qualche sassolino: “La lista del presidente? Intercetta il consenso che non va al partito“. In via Bellerio a qualcuno saranno fischiate le orecchie.

Al Sud è tornata la Lega Nord  Peggio, molto peggio, è andata al Sud. In Campania alle Europee il Carroccio era testa a testa col Pd al 19%: adesso è poco oltre il 5, una percentuale che somiglia ai voti presi da quelle parti prima della svolta nazionalista. Il partito di Salvini, tra l’altro, rischia pure di essere la forza più debole della coalizione, visto che Fdi e Forza Italia sono avanti di alcuni decimali. Nella Regione che ha rieletto Vincenzo De Luca, Salvini viene surclassato pure dalla lista del Movimento 5 stelle (che è data al 13) e perfino da Italia viva di Matteo Renzi (al 6). Stesso copione in Puglia: il Carroccio è dato al 8%, battuto nettamente da Fdi, al 13,3, e testa a testa con Forza Italia, al 9. Anche qui il partito di Salvini viene superato dai 5 stelle e perde una quantità gigantesca di consenso rispetto al 2019, quando fu scelto dal 25% dei pugliesi. Insomma: Fitto e Caldoro saranno stati pure candidati sgraditi al segretario, che però alla prova del voto ha comunque fatto una magra figura. È pure lì dove Salvini ha imposto la sua candidata – Ceccardi in Toscana – alla fine ha perso nettamente. In più – a guardare la media nazionale – il crollo che da diversi mesi viene accreditato dai sondaggi alla Lega sembra essere reale. “Un conto è il voto delle regionali con tante liste e un altro quello delle Europee: non sono comparabili“, è l’estrema giustificazione del segretario, che da tempo minimizza la caduta del suo consenso solo come un effetto dell’emergenza coronavirus. Ma il lockdown è finito da tempo e dalle Regionali non è arrivato alcun cappotto e neanche un 7 a 0. Piuttosto un pareggio che per Salvini ha il sapore di una sconfitta personale: la Lega continua a perdere terreno e l’unico governatore eletto dal Carroccio è il principale indiziato alla sua successione. Dalla richiesta dei “pieni poteri” sono passati solo 13 mesi.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/09/22/il-6-a-0-che-e-diventato-3-a-3-i-voti-persi-dalla-lega-e-quelli-presi-da-luca-zaia-ecco-perche-matteo-salvini-e-lo-sconfitto-di-queste-elezioni/5938807/

Quel paese là. - Marco Travaglio

 


Anche stavolta, come nel 2016 quando descrisse un intero Paese in festa per la grande riforma Renzi-Verdini, l’intera stampa italiana ha azzeccato le previsioni su un intero Paese schifato o indifferente sul taglio dei parlamentari voluto dai putribondi grillini (e dagli altri partiti che se lo sono rimangiato). Il Paese dei giornaloni è sempre lo stesso: solo che non è l’Italia.

Disastro. “Il Pd e il pasticcio del referendum… Disastro incombente” (Stefano Folli, Repubblica, 4.8). Come no.

Traballa. “Il fronte del No fa traballare Conte” (Claudia Fusani, Riformista, 7.8). Brrr che paura.

Trionfo. “Chi lo dice che vince il Sì? Nelle Regioni al voto può trionfare il No” (Rif, 13.8). Sicuro.

La voglia matta. “C’è una strana voglia di No nell’aria” (Francesco Damato, Dubbio, 22.8). Ma proprio da arraparsi.

Tentazione. “Nasce la tentazione del No che può distruggere i grillini” (Giornale, 22.8). Sarà fatto.

Solo soletto. “Di Maio in tour per votare Sì. Ma è una traversata solitaria” (Stampa, 24.8). Da solo col 70%.

Galassia. “Il fronte del No a sinistra dà il via alla mobilitazione. Un’ampia galassia lavora a una mascherina con il logo” (Rep, 24.8). Per nascondersi meglio.

Tiresia. “Vincerà il Sì ma senza grande distacco. Bassa affluenza” (Roberto D’Alimonte, Stampa, 28.8). Ammazza che genio.

Onda lunga. “Nel Paese cresce il fronte del No. L’onda lunga del No. Costituzionalisti. Nomi storici della sinistra. Intellettuali. Amministratori locali. Così cresce l’opposizione contro il taglio” (Espresso, 30.8). Fuochisti, macchinisti, frenatori, uomini di fatica!

Il mini-indovino. “Brunetta: ‘La sconfitta a settembre manderà a casa il governo’” (Giorn, 31.8). Mo’ me lo segno.

Kamikaze. “Di Maio kamikaze per il Sì” (Giorn, 31.8). Se diceva No faceva un figurone.

Flop. “Paura contagio ai seggi, affluenza in caduta libera. Referendum verso il flop. Partecipazione stimata al 30% ma solo per le Amministrative” (Messaggero, 31.8). Ovvio.

Inferno. “Prevedo l’autunno più infernale di sempre. Sento aria di elezioni” (Paolo Mieli, Verità, 31.8). Pure io.

Incubo. “L’incubo al Nazareno: il replay del 2009, quando Veltroni si dimise dopo la sconfitta in Sardegna” (manifesto, 2.9). Te credo.

Paura. “Il fronte del No fa paura. Da Malan a Orfini, da Giachetti ai dissidenti grillini: ‘La gente ha capito’” (Rif, 2.9). Già, l’ha capito.

Corpo. “Come evidenzia il sondaggio Demos per Repubblica, il fronte del No prende corpo” (Rep, 2.9). E anima.

Via subito. “Berlusconi archivia già Conte: dimettiti prima delle Regionali” (Gior, 2.9). Così anticipi.

Pari e patta. “Il pasticcio referendum senza vinti né vincitori” (Carlo Nordio, Mess, 7.9). Ti piacerebbe.

L’oracolo di Delfi. “Il prof D’Alimonte prevede un vantaggio del No in Toscana del 52% contro 48. E descrive una crescente rimonta del No nazionale” (Folli, Rep, 8.9). Mejo de Nostradamus.

Choc. “Referendum: sondaggio choc, rimonta del No”. “D’Alimonte: impennata dei contrari. Anche Mannheimer registra il trend: ‘Partita aperta’. Ghisleri: recuperati 10 punti in 1 mese” (Gior, 8.9). È solo l’inizio.

Rimonta. “Cosa significa la rimonta del No” (Folli, Rep, 9.9). Che è una cazzata?

Stato d’animo. “Colpisce la costante ripresa del No, testimoniata da autorevoli sondaggisti e soprattutto da uno stato d’animo indefinibile che si coglie in giro per il Paese” (Folli, ibidem). Colpisce alla testa.

Contagio. “Il Pd rischia l’isolamento”. “Sembra che il No sia contagiosissimo” (Ellekappa, Rep, 10.9). Una strage.

Calvario. “…quale calvario attende la maggioranza nel caso, un po’ meno probabile dopo la rimonta del No, di approvazione del taglio” (Sorgi, Stam, 11.9). Ah saperlo.

Saviano scuote. “Saviano scuote il Pd. Dubbi anche tra gli elettori del Sì. La rimonta del No c’è ed è palpabile, viaggia nelle parole degli analisti più che sui numeri” (Rep, 11.9). Palpa, palpa.

Il fenomeno. “Referendum, nel No un Paese che cambia… La differenza fra la vivacità del fronte del No e la staticità del partito del Sì: è la cartina al tornasole di un’Italia politica che sta cambiando perché il populismo è in calo… È questo cambiamento di umore e sentimento nel Paese la significativa novità con cui tutti i leader e partiti dovranno fare i conti” (Maurizio Molinari, Rep, 13.9). Ecco, bravo, fai i conti.

Fuori mercato. “Doveva passare come un plebiscito… Invece contro il taglio dei parlamentari è cresciuta la mobilitazione nella società. Antipolitica fuori mercato. Dove il M5S trionfò vince una rabbiosa indifferenza. Più della metà delle persone non sa neppure che si voterà” (Espr, 13.9). Invece ha votato con rabbiosa indifferenza per i giornali del No.

Spallata. “Il No tenta il centrodestra. Dai militanti l’invito a dare la spallata al governo” (Francesco Verderami, Corr, 15.9). È fatta.

La sensitiva. “Colgo segnali di risveglio in chi è contrario al taglio dei parlamentari. Il risultato sarà molto più sorprendente di quanto si poteva attendere” (Emma Bonino, Stam,18.9). Cucù! Sorpresona!

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