Finora non ci avevano capito niente. Ma ora, compulsati i dati elettorali, i professionisti della politica e dell’informazione han capito tutto. E l’hanno presa bene.
Italia Morta. “Il dato di Italia Viva è straordinario: Iv c’è ed è ancora più attraente nel Paese e in Parlamento”. Lo dice l’ex Innominabile, ora Invotabile, dall’alto del trionfale 4,5% scarso nella sua Toscana (inutile perché Giani ha vinto di 8 punti, però “siamo stati determinanti non numericamente, ma politicamente per l’enorme mobilitazione”: quella contro se stesso), del prorompente 3,75 della Boschi a Laterina, del sontuoso 1,6 di Scalfarotto in Puglia (lì si univano alle esequie Calenda e Bonino per far perdere meglio Emiliano, che infatti ha vinto), del 2,4 in Liguria e dello 0,6% in Veneto (settimo posto su nove, dietro la lista No Vax). Non male per quello che doveva “svuotare il Pd come Macron coi socialisti francesi”. Nel 2016 aveva promesso di lasciare la politica dopo il referendum, ma non aveva precisato quale: era questo.
Brindisi a Sambuca. Maurizio Sambuca Molinari, direttore di Repubblica ma soprattutto ideologo e trascinatore del No, è tutto contento del 70% del Sì perché “cala il vento del populismo” e si “disegna un cambiamento di umore degli italiani nei confronti dei sovranisti e dei populisti”, nonché la disfatta di Lega e M5S. Strano: solo tre giorni fa Rep definiva il referendum “Un voto sui 5Stelle”: quindi il 70% è tutto loro? A noi però affascina vieppiù la questione del “populismo”, che è come l’Araba Fenice: che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa. Al Sud vince Emiliano e stravince De Luca, molto più populisti dell’azzimato Di Maio: in che senso cala il vento? E il taglio dei parlamentari non era la quintessenza dell’“antipolitica populista”? Ora se ne dovrebbe dedurre che il 70% degl’italiani sono populisti, dunque il vento cresce. Però molti grillini con una mano (quella populista) han votato Sì e con l’altra (quella antipopulista) han votato Emiliano e Giani contro i populisti. E lo stesso han fatto la gran parte dei pidini. Quindi milioni di italiani sono contemporaneamente populisti e antipopulisti. È il famoso elettore disgiunto.
Il trionfo del No. Stefano Folli e Sebastiano Messina regalano altre soddisfazioni. Folli si consola: “Il plebiscito sognato da Di Maio non c’è stato” perché, pensate: “Cosa sarebbe successo se alcuni partiti storici, invece di affidarsi a un Sì opportunistico, avessero fatto campagna per il No? Si può immaginare che l’esito sarebbe stato diverso”. Se poi il 70% degli italiani, anziché votare Sì, avesse votato No, si può immaginare senza tema di smentita che il No avrebbe vinto col 100%.
E pazienza, è andata così. Anche Messina è tutto giulivo perché “non è il trionfo cantato da Di Maio” , anzi il 70 a 30 è un tripudio del No. Segue un acuto parallelo coi Sì negli altri referendum: purtroppo cita quelli abrogativi, mentre questo era costituzionale, il quarto dopo il Titolo V del 2001 (35% di votanti, Sì al 64%), la Devolution del 2006 (52% di votanti, Sì al 38%) e il ddl Renzi-Boschi del 2016 (65% di votanti, Sì al 40%). Dunque il taglio dei parlamentari (54% di votanti, Sì al 70%) è la riforma costituzionale più votata della storia repubblicana. Cioè il trionfo cantato da Di Maio. A proposito: neanche Zaia, col suo misero 77%, ha avuto un plebiscito: ben il 23 dei veneti gli han votato contro.
Voce del verbo violare. Anche Luciano Violante, alfiere del No, è tutto giulivo perché col Sì “ha prevalso un argomento serio e democratico, la necessità di fare altre riforme”. Ed è “merito della campagna del No”. Lui, potendo scegliere, partirebbe da un “nuovo bicameralismo”, molto simile a quello renziano bocciato dal 60% degl’italiani, quindi i sinceri democratici devono riprovarci: gli elettori vanno puniti.
I poveri, pussa via. “Nelle periferie il taglio del numero dei parlamentari diventa un mezzo plebiscito, nel sofisticato e colto (e ricco) centro storico non passa”. L’illuminata analisi la si deve al Corriere della Sera: i poveri delle periferie sono burini e ignoranti, mentre i ricchi sono colti e sofisticati. Ecco: il 70% del Sì vale meno: diciamo il 35. Ergo ha quasi perso.
I tre Feltri. Vittorio, su Libero, chiede a Mattarella di “sciogliere le Camere, non più costituzionali”: hic! Stefano, sul Domani, titola su “Il declino dei populisti. Vincono il referendum ma perdono il Paese”: vedi Sambuca. Mattia, sull’Huffington Post, vede uno straripante “popolo del No che nessuno sa rappresentare” (a parte tutti i giornali, tranne uno). E ricorda Woody Allen in Provaci ancora, Sam, che rincasa tutto pesto da una rissa e racconta: “Ho dato una lezione a dei tipi che davano noia a Julie: a uno ho dato una botta col mento sul pugno, a quell’altro una nasata sul ginocchio”.
Di Battutista. Dibba comincia a capire e critica la linea 5Stelle di correre da soli. Peccato che fosse la sua. Si sarà accorto che le alleanze servono (vedi le Comunali, molto meglio delle Regionali) e comunque, se non le fanno i vertici, le fanno gli elettori contro i vertici. Avvertire Laricchia, Lezzi&C.
Le Sordine. Più comico dell’Invotabile c’è solo Mattia Santori. Sorvola sulla tranvata referendaria e dice che il Pd ha vinto grazie a lui: “Il Pd festeggia le vittorie in Toscana e Puglia, ma lo spumante nei calici viene dalla cantina delle Sardine”. Le sardine in carpione.
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