lunedì 18 gennaio 2021

Zingaretti: “Porta aperta a Renzi? Solo a chi vota il governo”. Boccia ai parlamentari di Iv: “Stiano con il Pd, sono stati eletti con noi”.

 

VERSO LA CONTA ALLE CAMERE – Il segretario Pd al leader di Iv: “Il suo è un tragico errore, se mancano i numeri sarà un colpo all’Italia”. Bettini: “Conte premier dà fastidio a molti poteri”. Pontieri al lavoro fino all'ultimo per trovare nuove sponde alla maggioranza. Il ministro per gli Affari regionali su Rai3: "Deputati e senatori di Italia viva rispettino l'elettorato che li ha votati".

Il tempo per le trattative, le telefonate roventi e i calcoli con il pallottoliere è praticamente scaduto: tra poche ore il presidente del Consiglio Giuseppe Conte parlerà a Montecitorio dopo la rottura con Matteo Renzi, ritenuta ormai insanabile dallo stesso premier, dai 5 stelle e da una parte del Pd. Nonostante Nicola Zingaretti abbia fatto un ultimo appello alle “forze democratiche, liberali e europeiste” di unirsi “per salvare il paese”, i numeri soprattutto al Senato sembrano garantire, almeno per ora, una maggioranza relativa che basta per tenere in piedi il governo ma non a risolvere i problemi. I pontieri giallorossi sono stati impegnati fino all’ultimo nel cercare la pattuglia di “costruttori” che possa dare stabilità all’esecutivo. “Noi facciamo un appello alla luce del sole”, ha detto il leader del Pd, “e abbiamo il dovere, non il diritto, di rivolgerci al Parlamento per chiedere la fiducia“. I toni decisi del suo discorso in Direzione dem sono però più sfumati quando va in onda su Canale 5: “Porta aperta a Renzi? Lui ha compiuto un errore e la porta è aperta alle persone che vogliono dare speranza al Paese e votano la fiducia al governo“.

La doppia strategia di Renzi – L’opzione che i renziani possano fare retromarcia, però, al momento sembra la più improbabile: “I nostri 18 senatori non alimentano polemiche con il governo. Ad un governo che dice queste cose, la fiducia non gliela votiamo. Abbiamo dato disponibilità a votare il dl ristori e lo scostamento”, non altro, ha detto il leader di Iv a Mezz’ora in più su Rai3. Poi però si è autodefinito “un patriota” e ha smentito di aver problemi con Conte, rinnegando le accuse sul “vulnus democratico” lanciate in diretta streaming solo quattro giorni fa. La sua tattica è duplice: da un lato flirtare con un pezzo dei dem, dall’altro giocare sulla paura dei numeri. Già in un’intervista al Corriere ha tentato di rompere il fronte dei democratici: se qualcuno, dice, “nel Pd preferisce Mastella alla Bellanova o Di Battista a Rosato ce lo farà sapere. Noi vogliamo che si formi un governo di coalizione con un ruolo fondamentale per il Pd e per i suoi esponenti”. Il Pd sa, secondo Renzi, “che senza Italia viva non ci sono i numeri. Forse non sarà più amore, ma almeno è matematica“. Il mantra di Italia Viva è quello di spostare l’asticella a quota 161 per la maggioranza – quando in realtà per la fiducia basta che i Sì superino i No – e ripetere che Conte non ce la farà: “I numeri non ci sono. Prima ne prendono atto, prima possiamo iniziare a costruire il futuro”, ribadisce anche Maria Elena Boschi.

Più anime nel Pd – Parole che alimentano le speranze di quella quota di parlamentari Pd che sembrano remare contro il loro stesso governo. Dentro il partito, infatti, ci sono tante anime, a partire dal capogruppo al Senato ed ex renziano Andrea Marcucci. Ma Zingaretti ha tentato di sgombrare il campo dall’ipotesi di tornare a dialogare con i renziani: “Una cosa è rilanciare, rinnovare, cambiare, aprirsi e mettersi in discussione, altra cosa è distruggere, avere un approccio liquidatorio. Se non si rispettano le opinioni degli altri, avendo la presunzione di tenere in considerazione solo le proprie, allora viene meno la fiducia e la possibilità di lavorare insieme“. Significative anche le parole del suo braccio destro e principale pontiere di queste ore, Goffredo Bettini. A suo parere, lo spazio di un confronto concreto e sereno con Italia Viva “era grande” ma Matteo Renzi “ha voluto staccare la spina, spingendo l’Italia in una crisi al buio“. “Non solo per il suo carattere, ma per un disegno politico di rottura dell’alleanza tra Leu, 5 Stelle e Pd”.

Il pallottoliere – Il problema per il governo Conte restano i numeri: nonostante l’ottimismo iniziale, al momento il gruppo di “costruttori” che dovrebbe fare riferimento alla neoformazione Maie-Italia23 e centristi non ha attratto abbastanza parlamentari per garantire stabilità a un eventuale Conte ter. Sabato l’Udc, i cui senatori si sono più volte mostrati disponibili alla collaborazione, si è sfilata chiudendo a ogni dialogo. Azione e +Europa hanno aperto dopo l’appello di Zingaretti, ma per loro resta una condizione: “Siamo pronti a discutere di questo, ma certo non della prosecuzione di un esecutivo guidato da Conte, arrivato al capolinea“. Il Psi di Riccardo Nencini, invece, che a Palazzo Madama con il suo simbolo ha permesso ai renziani di costituire un gruppo autonomo, dopo il suo sì alla maggioranza dei giorni scorsi si mantiene sul filo dell’ambiguità. “Formare una maggioranza organica dentro un quadro politico certo, senza immaginare soluzioni di fortuna”, è la linea dettata dalla segreteria del suo partito. Ma il match, al netto delle sorprese che potrebbero avvenire in Aula, non è ancora chiuso. Per Palazzo Chigi al momento l’obiettivo è quello di avere un voto in più e spostare più avanti la costruzione di una maggioranza solida. Dopo un vertice di oltre un’ora tra i capigruppo di Pd, M5s e Leu, il premier, e il ministro dei Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà, la parola d’ordine resta la stessa: “Massimo riserbo“.

A fine giornata, il vicesegretario dem Andrea Orlando ostenta sicurezza: “Lavoriamo perché il tentativo di fare cadere il governo sia sventato. Siamo convinti che ce la faremo“, scrive su Facebook. La speranza è che sulla strada dei responsabili alla fine possa incamminarsi anche qualche parlamentare di Italia viva. Il ministro Francesco Boccia, intervistato a Che tempo che fa su Rai3, è stato chiaro: “Sono stati eletti con il Pd, spero vogliano rispettare la volontà di quell’elettorato. Faccio appello a tutti gli eletti del Pd di votare con il Pd“, dice, senza però sbilanciarsi sull’esito del voto di fiducia. “La maggioranza ci sarà, se è relativa o meno lo diranno i numeri“. Ma se alla Camera Iv mostra crepe – dopo Vito De Filippo anche Michela Rostan annuncia che voterà la fiducia – a Palazzo Madama il gruppo di Matteo Renzi al momento tiene. A compattarlo c’è anche la decisione di non votare contro la fiducia in Aula, ma schierarsi per l’astensione.

L’obiettivo della crisi (e un possibile esito) – Per ottenere che cosa? Quello che sembra l’obiettivo finale del leader di Iv emerge tra le righe durante la sua intervista a Non è l’arena su La7. “Sarebbe un bene per il Paese se, invece di andare a caccia di responsabili, tutti insieme facessimo un progetto di riforme, tutti, da Conte a Salvini, da Berlusconi a Di Maio. Non un governo, ma le regole del gioco si scrivono insieme”, dice a Giletti. Certo è che per poter lavorare serve un esecutivo in carica. Quale? “Il premier ha detto di no al ritorno di Italia viva in maggioranza, ma noi non avevamo nessun veto su Conte”, ripete Renzi come un mantra, negando che la sua preda sia proprio il premier. Eppure è certo che in Parlamento un’altra maggioranza “si possa trovare“. E così Ettore Rosato torna all’attacco: “Il problema non è Renzi ma il metodo del presidente del Consiglio. Non è vero che i problemi non ci sono e che siamo i migliori del mondo”.

Perché ancora tanta acredine? Bettini al Corriere spiega che, come sempre, c’è di mezzo solo la tattica politica: “I 5 Stelle sono confluiti nel campo europeista. È questo che dà fastidio a tanti. Dà fastidio l’alleanza tra Leu, Pd e 5 Stelle. Dà fastidio Conte, che di questa alleanza è il raccordo. Dà fastidio la sua libertà da poteri vecchi e nuovi. Dà fastidio un ruolo più forte del Vecchio Continente”. Ora più che mai per il premier è necessario che Pd, 5 stelle e Liberi e uguali si compattino intorno al suo nome. I pentastellati hanno anche tracciato la linea del “no” al governo tecnico, il sogno di Renzi, escludendo ogni alternativa all’attuale capo dell’esecutivo. È ancora una volta Pier Luigi Bersani, con una delle sue metafore, a chiarirne il motivo: “Anche se nessuno vuole le elezioni, puoi tirare un filo per cui viene giù il maglione. Attenzione sul tema Conte, c’è un giudizio ingeneroso e anche irrealistico. E’ meglio di come in questi mesi è stato raccontato. Lì c’è un punto di equilibrio, se si toglie ritengo che la situazione potrebbe andare fuori controllo”. Talmente fuori controllo che, senza un rinforzo della maggioranza, alla fine si possa davvero “rotolare” alle urne. L’ultima parola per fermare la valanga, adesso, spetta al Parlamento.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/01/17/da-zingaretti-appello-a-liberali-europeisti-democratici-in-aula-boccia-i-parlamentari-di-iv-votino-con-il-pd-sono-stati-eletti-con-noi/6068399/

Renzi dice di non aver mai messo veti su Conte e si autodefinisce un “patriota”. Quattro giorni fa lo ha accusato di “vulnus democratico”.

 

Il leader di Italia viva a "Mezz'ora in più" su Rai3 sostiene di "non avere un problema personale con il premier". Ed entrando nel merito del comportamento dei renziani in Aula tiene aperte più strade: diciamo sì ai ristori, ma "non voteranno la fiducia". "Non siamo in maggioranza", ha detto. "Io non voterò mai un governo che si ritiene migliore del mondo con 80mila morti e che non prende il Mes".

“Il premier ha detto di no al ritorno di Italia viva in maggioranza, ma noi non avevamo nessun veto su Conte“. Neanche quattro giorni dopo aver ritirato le ministre e aver aperto ufficialmente la crisi di governo, Matteo Renzi nega che per lui il problema sia mai stato il presidente del Consiglio, smentisce di avere in ballo una “questione personale” e anzi, si autodefinisce “un patriota“. Eppure nella conferenza stampa della rottura, l’ex premier aveva detto esattamente il contrario, accusando Conte di aver “creato un vulnus alle regole democratiche” e aver trasformato la democrazia in “un reality show”. Oggi Renzi, intervistato a Mezz’ora in più su Rai3, ha cercato di raccontare un’altra versione della storia: “Il tentativo di buttare la crisi su di me sta diventando imbarazzante“, perché “noi non abbiamo fatto una battaglia con Pd, Conte, M5s… abbiamo detto, possiamo cambiare? Hanno fatto costantemente spallucce”. Il leader resta sempre sulla linea (confusa) dell’ambiguità, tra il ricatto e l’apertura: “Non voteremo la fiducia al governo“, dice, confermando lo strappo, ma non escludendo l’astensione e quindi un aiuto all’esecutivo. “Se c’è da votare lo scostamento per dare soldi ai ristoratori, non me ne frega chi sia il premier, voto a favore”. Ma, “se mi si chiede: siete parte della maggioranza? Non più“. Quindi non nasconde la soddisfazione di fronte all’impasse: “Ho chiesto, discutiamo di cose serie? Il presidente del Consiglio ha detto no, vado in Aula, asfaltiamo Renzi, abbiamo i numeri per la maggioranza assoluta. A me sembra che questo non accadrà al Senato“.

In queste ore di caccia ai responsabili e “costruttori”, mentre Italia viva sembra volersi riavvicinare al tavolo al punto che alcuni nel Pd sarebbero tentati dal riaprire le trattative (non i vertici che confermano la chiusura), le offerte dei renziani continuano a non andare oltre le provocazioni. La prima a dare segnali tutt’altro che dialoganti è stata la presidente dei deputati Iv Maria Elena Boschi che, intervistata dal Messaggero, sul rientro del deputato Vito De Filippo nel Pd, ha detto: “Le cose stanno andando molto bene, decisamente meglio delle nostre più rosee aspettative“. Non più distensive le parole del presidente Iv Ettore Rosato che, a SkyTg24, ha sostenuto che, per tornare a dialogare, “il metodo in quella maggioranza va rivisto. Io non chiedo di rientrare, ma dico: guardate con quel metodo non fa andare da nessuna parte. Il problema non è Renzi ma il metodo del presidente del Consiglio. Non è vero che i problemi non ci sono e che siamo i migliori del mondo”.

Renzi è passato dal “re è nudo” a dire che “non ha un problema personale con Conte” – Renzi nell’intervista a Lucia Annunziata ha sostenuto di non aver mai avuto come mira quella di far cadere il presidente del Consiglio. Eppure la conferenza stampa del 13 gennaio, trasmessa in diretta streaming, è difficilmente contestabile. Il leader di Italia viva, ritirando le ministre e respingendo qualsiasi ipotesi di mediazione con l’esecutivo, ha attaccato il premier a partire dal suo “metodo”, ovvero l’utilizzo “ridondante delle dirette tv a reti unificate” e dei social network. “Il re è nudo”, sono state le parole esatte pronunciate da Renzi davanti a decine di giornalisti. “Risolviamo i problemi, ma pensare di farlo con un Tweet o un post su Instagram è populismo“. Ma non solo: ha parlato chiaramente di “vulnus democratico” provocato dal premier, un’accusa pesantissima di aver abusato dei poteri a scapito della rappresentanza parlamentare. Che fine hanno fatto quelle contestazioni? Oggi Renzi, nell’intervista su Rai3, dice: “Noi non abbiamo mai pensato che l’obiettivo fosse ‘cacciare Conte’. Leggo di ricostruzioni secondo cui io avrei un problema personale con Conte. C’era un modo per farlo, non dare la fiducia a un Conte-bis. Non ho niente contro Conte, ma se per sei mesi provi a dire ‘guardate qua rischiamo l’osso del collo’ e non ti danno ascolto ci sono due alternative: la prima è far finta di niente, ma io non sarà mai corresponsabile del più grande spreco di risorse della storia”. Insomma, Renzi avrebbe deciso di andare fino in fondo “da patriota” e per il futuro dei figli: “Io non sopporto questo racconto per cui è tutto un problema personale mio. Non ho un problema personale, non mi sta antipatico Conte. Ho un problema con il futuro di questo Paese che non deve andare a carte 48 e dei miei figli”.

La domanda ora è: cosa farà Italia viva in Parlamento? Renzi a questo proposito ha dato varie versioni, ma ribadito “che non voteranno la fiducia all’esecutivo“. Una risposta che non esclude la via dell’astensione, come anticipato dai renziani nei giorni scorsi, e che sarebbe un gesto di collaborazione nei confronti della maggioranza. Ma al di là dei tentativi dei renziani di tornare al tavolo, le offerte di Italia viva restano bloccate su quei paletti che hanno impedito il dialogo e che hanno portato allo strappo. “Io ho posto dei problemi politici e loro fanno telefonate per prendere senatori, lo facciano. Io non voterò mai un governo che si ritiene migliore del mondo con 80mila morti e che non prende il Mes“, ha detto Renzi. Proprio la condizione del Mes, rilanciata dai renziani anche nell’ultimo consiglio dei ministri a cui hanno partecipato, è stata tra i motivi di rottura. Insomma per l’ex premier il cambio dev’essere netto per permettere che le due parti tornino a sedersi al tavolo: “Io penso che non sia consentito a un politico e a una classe dirigente essere compartecipi di un disegno mediocre senza respiro e pensare che la politica sia solo accomodamento di poltrone. Sono disponibili a cambiare le cose? Ci siamo. Sennò amici come prima”.

Insomma Renzi ha rivendicato che su alcuni dossier fondamentali daranno il loro voto a favore: “Io non andrò all’opposizione dell’Italia, se c’è da votare il decreto ristori e lo scostamento di bilancio, noi i voti li mettiamo. Se c’è da mettere i voti sui denari buttati via, come quelli del cashback, allora no. Non faccio una polemica pretestuosa. Noi abbiamo fatto una battaglia per cui almeno i ministri leggessero le carte”. Le contestazioni insomma, sono esattamente le stesse che ha pronunciato il 13 gennaio, solo quattro giorni fa, e dalle quali sembra difficile poter trovare una mediazione con i vecchi alleati. E alla domanda se è rimasto stupito dal “no” all’unanimità di Pd e Leu a Italia viva, Renzi ha replicato: “A me ha stupito l’odio dei social e le minacce di morte che ho ricevuto”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/01/17/renzi-dice-di-non-aver-mai-messo-veti-su-conte-e-si-autodefinisce-un-patriota-quattro-giorni-fa-lo-ha-accusato-di-aver-creato-un-vulnus-democratico/6068624/

Crisi di governo, oggi il primo voto di fiducia su Conte: su quanti Sì può contare e la lenta operazione per ricostruire una maggioranza. - Martina Castigliani

 

Il presidente del Consiglio alle 12 affronta Montecitorio e domani Palazzo Madama. Nel suo discorso, stando alle indiscrezioni, eviterà lo scontro diretto con Matteo Renzi (come invece fece con Salvini) e si appellerà allo spirito costruttivo necessario in un momento drammatico per il Paese. Intanto continuano le operazioni per riuscire a trovare i numeri sufficienti per sostituire i renziani.

La crisi del governo giallorosso arriva in Parlamento. Cinque giorni dopo lo strappo di Matteo Renzi in diretta tv e più di un mese dopo le prime minacce di Italia viva, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte affronta l’Aula di Montecitorio e il primo voto di fiducia. E se a preoccupare oggi non sono tanto i numeri, proprio le parole che il capo del governo pronuncerà davanti all’assemblea potrebbero fare la differenza per tutto quello che verrà dopo. La testa è infatti già al Senato dove andrà domani e dove i numeri, salvo l’arrivo di un gruppo nutrito di “responsabili”, potrebbero bastare per far passare la fiducia (è sufficiente che i Sì siano di più dei No), ma non per garantire una maggioranza “certa e definita” che convinca il Colle della stabilità del governo. Ecco perché, quello che il premier dirà oggi davanti ai deputati e davanti al Paese sarà decisivo per il futuro politico dell’alleanza Pd-M5s. Proprio come lo fu quando, un anno e cinque mesi fa, sfidò apertamente Matteo Salvini che gli sedeva accanto dopo lo strappo del Papeete. Solo che, a differenza di quel faccia a faccia pubblico, oggi l’intenzione di Conte non è più di trasformare il suo discorso in uno scontro con l’altro Matteo.

E’ cambiato il contesto politico, ma soprattutto l’umore del Paese che, nel pieno della pandemia Covid, a fatica potrebbe sopportare l’ennesima polemica di una politica piegata su se stessa. Per questo Conte si appellerà alla responsabilità (la parola più pronunciata nelle ultime ore), allo spirito da costruttori indicato da Sergio Mattarella e alle necessità del Paese (a partire dal Recovery fund) per i prossimi mesi. Sarà un patto di legislatura offerto al Parlamento, prima ancora di sapere chi potrebbe alla fine sedere a quel tavolo, un azzardo? Forse, ma l’unica strada per tenere in piedi un percorso che altrimenti non vedrebbe altra alternativa che la richiesta di tornare alle urne. Il clima nei partiti resta molto teso: i due alleati “conviventi” hanno blindato Conte e lavorano, è quello che assicurano, solo per riuscire a costruire una nuova maggioranza. Ma il weekend non ha portato buone notizie: le chiamate dei pontieri, i nuovi gruppi allo sbaraglio, i contatti sottotraccia e naturalmente i sospetti. Italia viva osserva, gioca sul filo dell’ambiguità e spera nello stallo per essere l’unica sponda possibile. Ma oggi, finalmente, la crisi arriva nelle Aule del Parlamento per un chiarimento alla luce del sole e, soprattutto, pienamente davanti agli occhi degli italiani. La preoccupazione che tutti condividono è fare in fretta, per togliersi di dosso l’accusa di perdere tempo con beghe di palazzo nel mezzo di un’emergenza sanitaria che ancora vede oltre 400 morti al giorno. E nessuno vuole trascinarsi quell’etichetta, specie se poi dovrà andarlo a spiegare agli elettori. Magari in una improbabile campagna elettorale che si sovrappone a quella per i vaccini.

I numeri alla Camera – Ma cosa rischia davvero oggi Conte? A Montecitorio la maggioranza assoluta è di 316 deputati, o meglio 315 se si toglie Pier Carlo Padoan, presidente designato di Unicredit, che ha lasciato la Camera senza essere sostituto. Oggi, salvo problemi dell’ultimo minuto, la maggioranza potrà contare sui 191 voti del Movimento Cinque Stelle, 92 del Pd e 12 di Leu. A questi bisogna aggiungere Michela Rostan (deputata di Iv che ieri ha annunciato il sì al governo) e Vito De Filippo, uscito da Italia viva per tornare nel Pd. A loro vanno aggiunti i deputati del gruppo Misto che hanno garantito la loro disponibilità: al momento, tra quelli che hanno sempre votato a favore della maggioranza si contano 3 del Maie-Italia23 e 11 dal Centro democratico di Bruno Tabacci (i cosiddetti “costruttori”). Si dà poi per molto probabile l’appoggio dell’ex ministro Lorenzo Fioramonti. In totale si raggiungerebbe la soglia di 316 Sì. Anche se in questa stima non vengono considerati molti ex M5s che siedono nel Misto e che potrebbero decidere di dare un segnale (una fra tutte Silvia Benedetti).

I numeri al Senato – Se il voto della Camera sarà fondamentale, dove Conte si gioca tutto è al Senato. E qui le trattative sono aperte. “Sono in silenzio stampa”: ha risposto il senatore ex M5s Michele Giarrusso a ilfattoquotidiano.it nelle scorse ore. In silenzio stampa quindi riflette se rivalutare il suo No? “Tutta Italia sta riflettendo”, taglia corto. L’ex M5s è solo una delle tante pedine di indecisi che potrebbero fare la differenza. Un altro è Tommaso Cerno, l’ex dem e in passato molto vicino a Matteo Renzi che, ha fatto sapere, chiede che intorno all’operazione dei responsabili sia fatta anche un’operazione culturale. E quindi, a chi lo ha sentito (e tra questi c’è anche il dem Michele Emiliano), non esclude che ci sia spazio per discutere del suo appoggio. “Ma non mi parlino di posti. Ero la sesta stella, vogliono farmi il settimo Mastella”, dice a ilfatto.it. Ai vertici del governo, Cerno ha mandato il suo discorso in Aula contro il Tav di agosto 2019, quello che fu uno dei primi atti distensivi nei confronti dei 5 stelle e che poi avrebbe portato al dialogo impossibile tra Pd e M5s. Ma poi Cerno ne rimase fuori e ora il suo Sì resterà incerto fino alla fine. Intanto dal fronte del neogruppo di costruttori Maie-Italia23 chiedono pazienza: “Noi abbiamo lanciato un segnale, ora stiamo a vedere”, è il messaggio.

Insomma le interlocuzioni procedono, anche se tutti temono che lo stallo significhi che poco altro si può fare. Le ultime ricostruzioni che arrivano da Palazzo Chigi insistono nel dire che le prospettive sono positive, puntando ad arrivare a quota almeno 156 senatori a favore. Qui la maggioranza assoluta è di 161 e al momento i numeri per arrivarci senza i 18 senatori renziani non ci sono. Le versioni sono diverse: tra chi dice che la quota si fermerà a 151 e chi invece sogna di poter fare molto di più. L’ultimo voto di fiducia, quello sulla Manovra, al Senato è passato con 156 sì. Allo stato attuale si contano i sì di M5s (92), Pd (35), del Maie-Italia 23 (4), di Leu (6) e delle Autonomie (8). Con in più il senatore a vita Mario Monti e i costruttori: Sandra Lonardo (ex FI, moglie di Mastella), gli ex M5s Maurizio Buccarella e Gregorio de Falco. E poi Sandro Ruotolo (Misto). Il conto include anche Riccardo Nencini (Psi, che ha dato il simbolo a Renzi per formazione del gruppo al Senato). Da aggiungere anche Liliana Segre, che ha annunciato il suo voto favorevole in un’intervista sul Fatto Quotidiano di oggi. Si potrebbe arrivare a 156 se fossero presenti anche gli altri senatori a vita Renzo Piano Carlo Rubbia. Ma in tanti pensano che tra oggi e domani altri senatori potrebbero fare un passo avanti. Senza dimenticare l’Udc: per il momento hanno chiuso, ma a Palazzo Madama garantiscono che almeno la senatrice Paola Binetti non sia così convinta del No e ben volentieri riaprirebbe le discussioni.

Pd e M5s, la prova degli alleati tra sospetti e paure. E il fantasma di Italia viva – L’asse Pd-Movimento 5 stelle affronta la prova più dura. Superato l’ostacolo impensabile di riuscire a sedere allo stesso tavolo un anno e mezzo fa, mai avrebbero pensato di trovarsi dalla stessa parte della barricata a difendere il premier Giuseppe Conte. I messaggi dei vertici dem e M5s vanno tutti nella stessa direzione: Renzi è “inaffidabile“, mai più un progetto politico con lui. E’ credibile la chiusura? Il timore da entrambe le parti è che uno dei due possa tornare sui suoi passi in caso in cui mancassero i numeri. Una scelta che i 5 stelle a fatica potrebbero spiegare ai loro (ma non sarebbe la prima) e che spaccherebbe anche il Pd. “La verità è che il sogno di prosciugare Italia viva“, spiega a ilfattoquotidiano.it una fonte di maggioranza, “per il momento è solo un sogno. L’ottimismo che fanno trapelare sui numeri non è sostenuto dai fatti e rischiamo di trovarci senza opzioni concrete in mano”. Insomma l’operazione responsabili, come ormai è chiaro, è molto più complicata di quello che sembra.

Su questo Italia viva e i renziani intendono fare leva. L’intervista di Matteo Renzi a Lucia Annunziata su Rai3 non ha aiutato molto: il leader si è rimangiato il veto su Conte, ma nelle sue offerte di dialogo non è riuscito a nascondere le solite condizioni che già una volta hanno fatto saltare il banco (una fra tutte? Il Mes). La grande incognita è come si comporteranno i parlamentari Iv in Aula. Renzi dice che “non voteranno la fiducia”, il che può significare anche l’astensione, ovvero un aiuto al governo e un modo per non allinearsi alla destra. Ma fino a quando riuscirà a tenerli compatti? Nel weekend ha perso due deputati e per Maria Elena Boschi è “uno scenario migliore di quello che ci eravamo immaginati”. Presi uno per uno però, danno l’immagine di scalpitare. Uno fra tutti Eugenio Cominicini, senatore ex Pd (addirittura ex direzione nazionale), che dall’inizio della crisi predica “responsabilità”. Cosa significa nel concreto? Almeno l’astensione. Intanto ieri ha fatto un post su Facebook per esprimere la sua solidarietà personale a Conte: un negoziante a Milano ha affisso un cartello contro il premier, Comincini ha voluto dire pubblicamente che gli è vicino. “Solo con responsabilità possiamo sperare di vincere il Covid e superare questa crisi”, ha scritto. Un altro voto a favore? E’ un inizio.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/01/18/crisi-di-governo-oggi-il-primo-voto-di-fiducia-su-conte-su-quanti-si-puo-contare-e-la-lenta-operazione-per-ricostruire-una-maggioranza/6068844/

domenica 17 gennaio 2021

La balla del Recovery plan “migliorato grazie a Renzi”. - Salvatore Cannavò

 

Le Fake news di Italia viva - Il Piano redatto in segreto col “favore delle tenebre”? C’è stato pure un dibattito parlamentare. Iv ha poi fatto ridurre i soldi per il green.

Tra le scorie del renzismo e dei suoi adepti, una che rischia di rimanere incollata al dibattito pubblico dice che grazie a Italia Viva il piano per il Next Generation Eu sia stato scritto finalmente come si deve. Lo affermava con estrema sicumera Corrado Formigli nel corso di Piazza Pulita su La7, generosamente supportato dal giurista Sabino Cassese e dall’ex direttore di Repubblica, Mario Calabresi. “Ora che Renzi è uscito dal governo, ci saranno le competenze per scrivere un piano come si deve?”, chiedeva il brillante conduttore ai suoi ospiti pronti a ondeggiare il capo sconsolato.

Immaginiamo che degli inetti come Roberto Gualtieri o Enzo Amendola siano disperati per aver perduto il supporto di menti brillanti come Teresa Bellanova o Ivan Scalfarotto. Come faranno a produrre un testo in grado di passare l’esame europeo? Come hanno fatto finora. Nel giorno in cui il Recovery plan arriva alle Camere, smontiamo alcune fantasiose ricostruzioni.

Il Piano è stato scritto “con il favore delle tenebre”, redatto in gran segreto e recapitato ai ministri “alle 2 di notte”.

Abbiamo già ripercorso sul Fatto le tante riunioni preparatorie tenutesi a partire dallo scorso agosto, evidenziando come la scrittura del Piano fosse abbastanza nota a tutti tranne che ai renziani. Il 15 ottobre si è tenuto addirittura un dibattito parlamentare con approvazione delle linee guida e diffusi ringraziamenti al lavoro svolto dal ministri Amendola. Renzi, probabilmente, era distratto.

Le varie bozze circolate sono la prova di una totale impreparazione.

Tra le bozze iniziali e quella finale la differenza è che l’ultima è finalmente redatta organicamente mentre le altre erano, appunto, delle bozze. Il ruolo di Italia Viva, poi, è stato puramente emendativo e si è sommato a quello di Pd e M5S che pure hanno avanzato le loro proposte e le loro richieste.

La Cabina di Regia era un guaio, ma ora chi decide?

La cabina di regia era incardinata su tre ministeri, ma ora il professor Cassese si dice soddisfatto che non ci sia più. Subito dopo, però, lamenta l’assenza di una… cabina di regia. Nel mezzo di una crisi di governo provocata proprio per quello, ci si stupisce che il problema non sia risolto.

“Senza i renziani come farà il governo a scrivere un progetto valido per il Recovery”?

La domanda è davvero ridicola, ma comunque, mettendo a confronto le tabelle sui 52 progetti elencati il 23 dicembre scorso, prima dell’intervento delle teste d’uovo di Renzi (quali poi?) e quelli dell’ultima bozza, ci si accorge che le modifiche sono davvero minime. La maggior parte delle voci ha la stessa denominazione e quasi sempre gli stessi importi. A essere modificato è sicuramente il capitolo Turismo e Cultura, passato da 3,1 miliardi della primissima bozza agli 8 miliardi attuali. Così come è aumentata la dotazione per la Salute, da 9 a 18 miliardi grazie soprattutto allo spostamento di una parte della voce Digitalizzazione (che infatti è diminuita di circa 3,5 miliardi). Si tenga conto che per tenere insieme tutte le esigenze, il governo ha aggiunto ai fondi del Next Generation anche quelli del React Eu e i Fondi europei di Programmazione del bilancio 2021-2026, in questo modo mischiando un po’ le carte.

Renzi ha notevolmente migliorato il Piano europeo.

Renzi ha fatto ridurre la voce Rivoluzione verde e transizione ecologica da 74,3 a 66,59 miliardi dove a pagare sono le partite sull’Efficientamento energetico degli edifici pubblici e privati. Ha fatto incrementare la voce Alta velocità ferroviaria di circa 5 miliardi e la voce Istruzione e ricerca con 6 miliardi in più per il Diritto allo studio e 3 miliardi in più alla voce Dalla ricerca all’impresa. Renzi non ha migliorato il Piano, ci ha messo quello che gli interessava di più.

Il Recovery Plan è una delle prove che Conte ha voluto accentrare tutti i poteri.

Sulla cabina di regia abbiamo detto. Dal 4 settembre 2019 a oggi, Conte si è recato alla Camera e al Senato, per comunicazioni e informative o per il question time ben 37 volte, 2,5 al mese. I Dpcm, che costituiscono la prova fumante dei pieni poteri, sono stati emanati in una situazione del tutto inedita di emergenza, e comunque i governi Renzi e Gentiloni ne hanno emanati di più. Ci sono tanti punti su cui si può criticare e attaccare il governo Conte, basta scegliere quelli veri.

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Crisi di governo, Renzi: “Via Conte se non prende 161 voti”. Ma al Senato per avere la fiducia basta solo che i Sì superino i No. - Giuseppe Pipitone


Dopo la chiusura di Pd e M5s a un nuovo dialogo con Italia viva, l'ex premier alza ancora il tiro e spiega che senza la maggioranza assoluta, dal suo punto di vista, non può esserci un nuovo governo Conte. La fiducia, però, si ottiene con la maggioranza relativa per scelta deliberata dei padri Costituenti, come spiega il costituzionalista e parlamentare Pd Ceccanti. Favorevoli, astenuti e contrari: ecco il pallottoliere di Palazzo Madama.

Quella che sembra essere l’ultima provocazione arriva da un’intervista alla Stampa. “Il governo? Non mi pare che abbia i numeri. Se non prende 161 voti, tocca un governo senza Conte“, sostiene Matteo Renzi. Con il Pd e il Movimento 5 stelle che hanno chiuso, almeno per il momento, a un nuovo dialogo con Italia viva (definita da Nicola Zingaretti “inaffidabile in qualsiasi scenario”), mentre Riccardo Nencini – il senatore che ha concesso a Renzi di avere il suo gruppo a Palazzo Madama – annuncia l’intenzione di voler rimanere in maggioranza, per l’ex presidente del consiglio sembra essere fallito il piano originario. E cioè ritirare le ministre e rompere con l’esecutivo, quindi cominciare una nuova trattativa dall’esterno per portare a Palazzo Chigi una persona diversa da Giuseppe Conte. Un copione da consumato giocatore di poker, quello di Renzi, che però sembra sempre più difficile da attuare. Man mano che si avvicina l’ora X di martedì prossimo, infatti, inizia ad acquisire qualche solidità l’ipotesi che il premier possa comunque raccogliere a Palazzo Madama i voti necessari a mantenere una maggioranza. Pure senza Italia viva.

“Al Senato la fiducia si prende con la maggioranza relativa” – Per questo motivo Renzi fissa in 161 la soglia necessaria per garantire – dal suo punto di vista – il successo del presidente del consiglio. È un altro all-in, solo che questa volta la mano è truccata: Renzi, infatti, sa benissimo che in Parlamento la fiducia non si ottiene con la maggioranza assoluta ma relativa. Vuol dire che per incassare il sostegno di Palazzo Madama a Conte basta semplicemente ottenere un solo voto a favore in più rispetto ai contrari. A ricordarlo è il costituzionalista Stefano Ceccanti, deputato del Pd candidato proprio da Renzi alle ultime elezioni. “Per la fiducia non servono 161 voti al Senato, i Costituenti vollero deliberatamente la maggioranza relativa, i Sì devono solo battere i No“, scrive Ceccanti in un intervento sul suo sito web. “Il Progetto originario della nostra Costituzione – ricorda il capogruppo dem in commissione Affari Costituzionali – prevedeva la maggioranza assoluta (peraltro a Camere riunite) per ottenere la fiducia. Il liberale Bozzi nella seduta della Costituente del 24 ottobre 1947 obiettò che ciò avrebbe reso illogicamente più difficile la formazione del Governo. Fu poi seguito dal socialista Stampacchia e infine da Costantino Mortati. L’Assemblea licenziò quindi il testo definitivo dell’articolo 94 non prevedendo nessun quorum rafforzato. Per ottenere la fiducia è quindi necessario solo che i Sì battano i No“. Ma non solo. Perché Ceccanti spiega inoltre che “fino alla scorsa legislatura c’era un problema di computo delle astensioni perché mentre chi si asteneva dal voto non veniva computato, viceversa chi si asteneva NEL voto (cioè votava astenuto) veniva sommato ai contrari. Ora non è più così, contano solo i Sì e i No“.

La mano truccata dei renziani – Ecco perché dopo aver alzato ancora una volta la posta in gioco con la storia dei 161 voti, Renzi gioca pure la carta dell’astensione. Lui, dice sempre al quotidiano di Torino, non voterà contro al premier ma si asterrà. È così è orientato a fare anche il suo gruppo, sia alla Camera – dove il governo dovrebbe avere la maggioranza anche senza Italia viva- che al Senato. I renziani sono convinti che senza i loro 18 voti, a Palazzo Madama la maggioranza non andrebbe oltre 150, 152 voti. Conte avrebbe dunque una maggioranza relativa ma con i renziani astenuti che sarebbero fondamentali per arrivare a quella assoluta. “A questo punto – dicono alle agenzie di stampa – ci domandiamo se Conte cercherà comunque la spallata”. In pratica un all-in sull’all-in che fa somigliare il Senato sempre più a una bisca clandestina. Un azzardo pericoloso non solo per Conte, che ha scelto di andarsi a misurare col voto d’aula, ma pure per gli sfidanti d’Italia viva.

Il pallottoliere della maggioranza – Armandosi di pallottoliere, infatti, al Senato il presidente del consiglio può considerare come Sì sicuri al suo governo i 35 voti del Partito democratico e i 92 del Movimento 5 stelle. A questi vanno sommati 8 voti su 9 componenti del gruppo Autonomie (il nono è del presidente emerito Giorgio Napolitano, che da tempo non partecipa ai lavori per motivi di salute). Si parte quindi da 135. Ai quali vanno sommati quelli del gruppo Misto, che al Senato conta in totale 29 iscritti, non tutti a favore dell’esecutivo. Per Conte voterà sicuramente la componente di Leu con sei senatori, e cioè la capogruppo Loredana De PetrisPietro GrassoVasco ErraniFrancesco La Forgia, e le ex grilline Paola NugnesElena Fattori. Ci sono poi gli esponenti del Maie, attualmente ancora nel Misto ma che si è appena costituito come gruppo autonomo di “costruttori” pro Conte: si tratta del sottosegretario Ricardo MerloAdriano CarioRaffaele FantettiSaverio De Bonis e Maurizio Buccarella. A proposito di costruttori, vota la fiducia al governo già da qualche tempo Sandra Lonardo, cioè la moglie di Clemente Mastella. Con la maggioranza ci sono poi l’indipendente di sinistra Sandro Ruotolo e l’ex Pd Tommaso Cerno. Sono dati tra quelli che alla fine dovrebbero votare Sì – seppur tra mille distinguo – anche gli ex 5 stelle Gregorio De FalcoLelio CiampolilloTiziana DragoMarinella PacificoLuigi Di Marzio Mario Michele Giarrusso. Anche il senatore a vita Mario Monti ha detto che sceglierà come votare solo dopo aver ascoltato il premier in aula, ma ha definito incomprensibile una crisi di governo: “Sono cose che inducono sempre alla diffidenza il resto dell’Europa e del mondo quando guardano l’Italia”. Parole che iscrivono l’ex presidente del consiglio nell’elenco dei “costruttori” . Una lista della quale farebbe parte anche l’altra senatrice a vita del Misto, e cioè Liliana Segre, se dovesse partecipare alla seduta di martedì.

Astenuti, contrari, senatori a vita: le variabili – In questo modo dei 29 esponenti del Misto sarebbero 22 a votare Sì dopo l’intervento di Conte a Palazzo Madama. Il totale dei voti della maggioranza sarebbe quindi – con tutti i condizionali del caso – 157: soglia bastevole ad avere la maggioranza relativa con o senza le astensioni d’Italia viva. E forse pure quella assoluta. I 161 voti citati da Renzi, infatti, rappresentano un quorum solo se tutti i 321 senatori (315 eletti più 6 a vita) saranno in aula a votare. Detto dell’assenza di Napolitano e dei probabili Sì di Monti e Segre, Elena Cattaneo è una degli 8 del gruppo Autonomie che hanno finora sostenuto il governo Conte 2. Non si sa invece cosa decideranno di fare Renzo Piano e Carlo Rubbia, visto che molto raramente hanno partecipato ai lavori. Senza considerare che questo calcolo considera voti sicuri contro il governo almeno altri sette esponenti del gruppo Misto (Emma Bonino, i tre di Cambiamo – Massimo Berruti, Gaetano Quagliariello e Paolo Romani – l’ex dem Matteo Richetti e gli ex M5s Gianluigi Paragone e Carlo Martelli), i 19 di Fratelli d’Italia, i 63 della Lega e i 54 di Forza Italia. Il totale farebbe 143, Anche qui i condizionali sono d’obbligo visto che tra i berlusconiani da giorni sta emergendo chiaramente un’area di responsabilità. L’impressione è che alla fine gli astenuti potrebbero essere anche più dei soli esponenti di Italia viva.

Teoria e pratica: la strategia della maggioranza relativa – In via teorica, quindi, a Conte basta semplicemente avere un voto in più per conservare la fiducia. L’archivio è colmo di precedenti: di governi in carica pur senza la maggioranza assoluta è piena la Prima Repubblica. È chiaro, però, che in questa condizione l’esecutivo dovrebbe affrontare un problema squisitamente politico: dovrebbe governare con una maggioranza molto fragile e – sempre in teoria – facilmente battibile. Non è detto, però, che anche questa non sia una strategia per reagire all’azzardo dei renziani: superare lo scoglio di Palazzo Madama, guadagnando tempo per puntellare i numeri più avanti. È vero che al capo dello Stato non sono mai piaciute le maggioranze “raccogliticce“, ed è pure vero che lo stesso Conte si è detto contrario a governare con un voto “preso qua e uno preso là“. Evitare la sfiducia, però, vorrebbe dire superare la prima parte della crisi. E quindi lavorare per tentare di arrivare alla fatidica soglia dei 161 più avanti, senza l’aiuto dei renziani. Astenuti o meno.

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Gli irresponsabili. - Marco Travaglio

 

Più passano le ore, più appare chiaro che dietro l’Innominabile sfasciacarrozze c’era (e c’è) un bel pezzo del Pd, che l’ha usato (e lo usa) come piede di porco per liberarsi di Conte, o almeno per sfregiarlo. Il primo atto della congiura è andato maluccio, con i pifferi di montagna partiti per suonare e finiti suonati. Ma ora è iniziato il secondo. Basta leggere le stomachevoli interviste di Orlando, Marcucci e altri vedovi inconsolabili del rignanese. “Mai dire mai” (oh, sì, dài, rottàmaci ancora che ci piace tanto!), “la fiducia non basta, allargare alle forze europeiste” (cioè a FI), “ci vuole il Conte ter” (così sarà lui a comunicare alla De Micheli che deve sloggiare per far posto a Orlando, e non il Pd che trema alla sola idea), “non moriremo per Conte” (detto da chi, prima di Conte, era morto e sepolto) e altre scemenze. Che, tradotte in italiano, vogliono dire una cosa sola: se martedì il premier salva il governo, poi non lo ferma più nessuno; quindi meglio umiliarlo in Senato, dissuadendo i “responsabili” che fino all’altroieri arrivavano a frotte, convinti di essere indispensabili (e subito) dal “mai più con Renzi” di Zinga. Una linea tetragona come una trottola, solida come un budino e ferma come una gelatina, subito smentita da due o tre delle tribù libiche chiamate “Pd”. La sponda ideale per l’Innominabile che, ormai ridotto alla mendicità, ha tamponato l’emorragia interna col semplice annuncio dell’astensione sul premier che l’altroieri era un “vulnus per la democrazia”, pronto a risedersi al tavolo giallorosa come se nulla fosse.

Così, per non fare un governo coi responsabili, se ne farebbe un altro con gli irresponsabili. Ovviamente senza Conte, che ha detto e ripetuto “mai più con Iv” e, diversamente dagli altri, è uomo di parola. Le tribù pidine che detestano la sua popolarità potrebbero finalmente rimpiazzarlo con un Guerini o altri noti frequentatori di se stessi. E tornare ai loro giochini sadomaso sotto la frusta del pluritraditore. A questo punto non si vede perché Conte dovrebbe consentire a questi doppio e triplogiochisti senza faccia di giocare con la sua. Se oggi la Direzione Pd non uscirà con un no chiaro e definitivo al richiamo della foresta renziano, tanto vale che domani si presenti dimissionario alle Camere. Anziché andare al macello per conto terzi, saluti tutti e torni al suo lavoro (avendo la fortuna di averne uno). Così gli italovivi e gli spingitori di italovivi che ci hanno trascinati in questo disastro potranno mostrarci le loro mirabilie. Quando poi si voterà, la forza dei sondaggi costringerà Conte a fare ciò che non ha mai voluto fare: un’iniziativa politica con i 5Stelle o al loro fianco per non regalare l’Italia agli irresponsabili di destra e di centrosinistra.

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