giovedì 11 ottobre 2018

Stefano Cucchi, il carabiniere Francesco Tedesco confessa il pestaggio. - Ilaria Sacchettoni

Stefano Cucchi, il carabiniere Francesco Tedesco confessa il pestaggio


Colpo di scena al nuovo processo istituito per la morte di Stefano Cucchi. Uno degli imputati, il carabiniere Francesco Tedesco, ha confessato di aver pestato il trentenne morto giorni dopo l’arresto all’ospedale Pertini. Non solo ma ha anche chiamato in causa i suoi colleghi dell’Arma Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro a processo per omicidio preterintenzionale. E’la prima ammissione di responsabilità al processo bis per la morte di Cucchi. In aula i genitori di Stefano hanno ascoltato la rivelazione con una espressione composta.

Sparita la relazione dell’Arma sul pestaggio.
Come se non bastasse dagli archivi dell’Arma è sparita la prima relazione, che attestava il pestaggio subito dal giovane, arrestato per spaccio di droga, alla periferia di Roma, il 15 ottobre 2009 e morto in ospedale una settimana dopo.

Pestato perché non collaborava.
Nel nuovo processo per Stefano Cucchi a giudizio, per omicidio preterintenzionale, sono finiti i tre carabinieri Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco che, quella notte, mentre erano in corso gli accertamenti che accompagnano sempre il fermo di un indiziato, lo sottoposero, secondo l’accusa, a un violento pestaggio. Il motivo? Cucchi si sarebbe rifiutato di collaborare sia alle perquisizioni che al fotosegnalamento. E per questo, secondo quanto scrive il pm Giovanni Musarò, il giovane fu colpito «con schiaffi, pugni e calci, fra l’altro provocandone una rovinosa caduta con impatto al suolo in regione sacrale». Ma a processo, per decisione della gup Cinzia Parasporo, sono finiti anche i loro colleghi Vincenzo Nicolardi e Roberto Mandolini, accusati (come pure lo stesso Tedesco) di aver testimoniato il falso durante il primo processo calunniando gli agenti della polizia penitenziaria benché innocenti e di aver mentito sulle circostanze del fotosegnalamento. Mandolini, in particolare, per il pm, aveva tentato di accreditare l’idea che il ragazzo non fosse stato sottoposto a fotosegnalamento su sua richiesta mentre la procedura fu elusa perché ritenuta rischiosa: le foto avrebbero testimoniato i segni delle percosse.

Fonte: Corriere della sera del 11/10/2018

Inps, il ministro della Salute boccia il premio ai medici che tagliano invalidità: “Violazione del codice deontologico” - Thomas Mackinson

Inps, il ministro della Salute boccia il premio ai medici che tagliano invalidità: “Violazione del codice deontologico”

Dopo l'Ordine dei Medici e le associazioni, anche Giulia Grillo interviene sulla decisione dell'ente previdenziale di introdurre nei criteri per la retribuzione di risultato dei medici legali anche il numero di prestazioni di malattia negate e invalidità revocate. "Ho chiesto precisazioni all’Inps ma posso affermare che revocare prestazioni per raggiungere obiettivi economici viola il codice deontologico dei medici”. Protestano anche le associazioni degli invalidi.

“Revocare prestazioni per raggiungere obiettivi economici viola il codice deontologico dei medici”. Così il ministro della Salute Giulia Grillo interviene via Twitter sul controverso incentivo che l’ente previdenziale riconoscerà da quest’anno ai medici legali anche in virtù dei periodi di malattia che riusciranno a negare e delle pensioni d’invalidità revocate. Il ministro annuncia di aver chiesto precisazioni all’Inps sul “Piano delle Performance 2018-2020”, ma sul suo giudizio è netto.
A denunciare implicazioni deontologiche e sul piano dei diritti della decisione, che risale a marzo e avrà effetto già a partire dam quest’anno, è stato Vittorio Angnoletto con un post sul fattoquotidiano.it. Agli articoli è seguita una vera e propria sollevazione generale, a partire dall’Ordine dei Medici il cui presidente, Filippo Anelli, ha parlato chiaramente di una “aberrazione per la professione”, evocando anche la disobbedienza perché “non siamo i medici dello Stato, ma dei cittadini”. Il ministro Grillo era stato sollecitato a una reazione proprio dal Fatto.it e alla fine è arrivata ed è stata netta. Anche perché nel frattempo una vera sollevazione è partita dal mondo delle disabilità.
La Federazione delle Associazioni Nazionali delle persone con Disabilità ha manifestato “Sdegno e stupore per il premio ai medici INPS che negheranno malattia ed invalidità” auspicandone il ritiro immediato. Lo stesso l’Associazione degli Invalidi Civili (Anmic), che parla di “scandalo”, perché “l’Inps vuole premiare con incentivi economici i medici che più taglieranno le prestazioni di invalidità civile”. Intanto, l’ente ha tentato una replica al Fatto.it ma senza smentire alcunché. Domani il presidente Tito Boeri, che ha firmato il provvedimento ma non ha mai voluto commentare, sarà in Commissione Lavoro alla Camera a riferire su “equità del sistema previdenziale” e sulle pensioni d’oro che non si riescono proprio a tagliare. Sugli invalidi il modo invece si è subito trovato, pagando direttamente il medico perché le tagli col bisturi.
Fonte: F.Q. del 10/10/2018
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Quanto c'è da fare ancora?Eravamo finiti in un cul de sac in cui i più furbi la facevano da padroni su tutto, anche sull'invalidità utilizzata da personaggi di dubbia onestà mentale come scambio di favori.Anche un diritto sacrosanto veniva negato all'avente diritto e concesso a mo' di bonus a chi non aveva i requisiti necessari. cetta.

Bus in scarpata ad Avellino, il pm chiede 10 anni per vertici Autostrade. Di Maio: “Castellucci dovrebbe dimettersi da ad”.

Bus in scarpata ad Avellino, il pm chiede 10 anni per vertici Autostrade. Di Maio: “Castellucci dovrebbe dimettersi da ad”

Dodici tra dirigenti e dipendenti della società sono imputati per omicidio colposo plurimo e disastro colposo nel processo per la strage del bus che il 28 luglio del 2013 è precipitato dal viadotto "Acqualonga" dell’A16 Napoli-Canosa: quaranta le persone che persero la vita. Il procuratore capo di Avellino: "Nonostante i guadagni dai pedaggi non ci fu manutenzione". L'avvocato della società: "Richieste sconcertanti non fondate su alcun dato scientifico". Il vicepremier: "L'amministratore delegato dovrebbe fare un passo indietro".

Dieci anni di reclusione per omicidio colposo plurimo e disastro colposo. È la pena chiesta dalla procura di Avellino per Giovanni Castellucci, attuale amministratore delegato di Autostrade per l’Italia e altri undici dirigenti e dipendenti della società. Sono tutti imputati nel processo per la strage del bus che il 28 luglio del 2013 è precipitato dal viadotto “Acqualonga” dell’A16 Napoli-Canosa: quaranta le persone che persero la vita. E anche se il processo non è ancora arrivato a sentenza, sulla questione interviene anche il vicepremier Luigi Di Maio: “In attesa che si faccia chiarezza sulla tragedia del Ponte di Genova e alla luce della richiesta del procuratore di Avellino, l’ad Castellucci oggi dovrebbe fare un passo indietro e dimettersi“.
Il pm: “Guadagni da pedaggi ma non ci fu manutenzione” – Il procuratore capo di Avellino, Rosario Cantelmo, ha chiesto ai giudici “una sentenza giusta, che non consenta a nessuno di farla franca“. “Nulla di tutto questo si sarebbe verificato se Autostrade avesse semplicemente adempiuto al suo dovere contrattuale”, ha detto il procuratore Cantelmo. Spiegando che non ci sarebbe stata nessuna strage se fossero state “compiute con osservanza le attività previste in concessione”, Cantelmo ha poi sottolineato in alcuni passaggi del suo intervento il preminente interesse al profitto di una società che “nonostante i lauti guadagni derivanti dal pedaggio che pagano i cittadini, non ha inteso provvedere alla manutenzione delle barriere del viadotto”. In un successivo passaggio, il Procuratore di Avellino ha censurato anche la condotta difensiva degli imputati: “Hanno scelto il negazionismo: nel rimpallo di competenze e responsabilità, nessuno sapeva niente di Acqualonga”.
Di Maio: “Castellucci si dimetta” – Una requisitoria che viene praticamente commentata in diretta dal ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro su Instagram. “È evidente – dice il leader del M5s – che il sistema delle concessioni così come è ora non funziona più e va cambiato. È necessario puntare i riflettori sulle cose che non vanno. I giornali che nascondono queste notizie  fanno un pessimo servizio di informazione al Paese. Se avessero fatto coraggiose inchieste sullo stato delle autostrade italiane anziché limitarsi a prendere i soldi per le pubblicità dai Benetton, oggi forse la situazione sarebbe migliore”.
La difesa: “Richieste pene sconcertanti” – “Le richieste di condanna appaiono a dir poco sconcertanti, perché non fondate su alcun dato scientifico oggettivo ed in contrasto con quanto emerso in dibattimento”, dice l’avvocato difensore di Autostrade per l’Italia, Giorgio Perroni. “Si contesta ad esempio alle strutture tecniche della società di aver mantenuto sul ponte Acqualonga barriere che pure rispondono ai più elevati standard di contenimento a livello internazionale, verificati non più tardi del 2015 e confermati dagli stessi periti dell’accusa, sulla base di vizi solo di tipo amministrativo”, continua l’avvocato. “La decisione contestata si inserisce peraltro all’interno di un progetto di riqualifica delle barriere stesse, deciso su base volontaria da Autostrade per l’Italia, per il quale la società aveva messo a disposizione dei progettisti ben 150 milioni di euro”.
Autostrade: “Ad ad contestata irregolarità su delibera” –Alla richiesta della procura replica anche Autostrade per l’Italia con una nota in cui “ricorda che quanto imputato all’Amministratore Delegato della società si riferisce esclusivamente a una presunta e denegata irregolarità amministrativa nell’applicazione della delibera assunta nel 2008 dal Consiglio d’Amministrazione che stanziò 138 milioni per la riqualifica delle barriere su varie tratte autostradali. Risorse che vennero richieste e messe a disposizione dei tecnici e progettisti, che portarono avanti i piani di dettaglio in totale autonomia”.
Parte civile ha malore in aula – Poco prima che l’accusa formulasse la sua richiesta di pena, una delle parti civili presente al processo è stata colpita da un lieve malore. Si tratta di Partorina De Felice, sopravvissuta all’incidente nel quale perse il marito,che  ha avuto un mancamento fin quasi a perdere i sensi. Soccorsa dai carabinieri è stata portata fuori dall’aula ed è stata visitata dagli operatori del 118. La donna si è ripresa e ha rifiutato il trasferimento in ospedale per gli accertamenti del caso.
Il processo e gli altri imputati – Con le richieste di pena odierne, la procura ha continuato la sua requisitoria. Nella scorsa udienza era stata il pm Cecilia Annecchini a chiedere al giudice monocratico del Tribunale di Avellino, Luigi Buono, le condanne per gli altri imputati. Dodici anni di reclusione erano stati chiesti per Gennaro Lametta, il titolare della “Mondo Travel” e proprietario del bus, che nell’incidente ha perso il fratello Ciro, autista del mezzo; nove anni per Antonietta Ceriola, dipendente della Motorizzazione Civile di Napoli e 6 anni per Vittorio Saulino, anch’egli dipendente della Motorizzazione. Lametta – accusato di concorso in omicidiolesioni e disastro colposo – è responsabile, secondo la procura, non soltanto delle pessime condizioni del bus, immatricolato nel 1985 e con 800mila chilometri percorsi, ma in primo luogo per non aver sottoposto l’automezzo a revisione: se questo fosse avvenuto, ha sostenuto la pubblica accusa, l’automezzo non avrebbe ottenuto l’autorizzazione a circolare. I due funzionari della Motorizzazione Civile sono invece accusati di non aver assolto alle loro funzioni di controllo che avrebbero impedito la circolazione del bus.
Sentenza a dicembre – La differente richiesta di condanna, 9 anni per la Ceriola e 6 per Saulino, si spiega con le attenuanti generiche non concesse alla prima perché recidivaIl perito del giudice che a fine dicembre dovrebbe emettere la sentenza ha sostenuto nella sua analisi che la strage si sarebbe potuta evitare e “derubricare in grave incidente stradale se solo le barriere fossero state tenute in perfetto stato di conservazioneAutostrade per l’Italia però non avrebbe adempiuto a quest’obbligo. Altrimenti la traiettoria impazzita del vecchissimo pulmino turistico, dovuta alla rottura dell’impianto frenante – e poi si scoprirà che il certificato di revisione del veicolo era, secondo l’accusa, fasullo – avrebbe avuto un altro esito, il mezzo “sarebbe stato concretamente trattenuto in carreggiata, fino al suo arresto definitivo”. Per questo motivo i vertici della società che gestisce gran parte della rete autostradale italiana sono finiti a giudizio.  La requisitoria della pubblica accusa continuerà nelle udienze del prossimo 19 di ottobre e il 2 novembre. Il 16 novembre prossimo, invece, cominceranno le arringhe delle difese. La sentenza è attesa per dicembre.
Fonte F.Q. del 10/10/2018

mercoledì 10 ottobre 2018

Senza dignità.



Invece di chiedere scusa per aver provocato un debito allucinante senza aver apportato un benché minimo miglioramento all'economia nazionale, i precedenti governanti gridano allo scandalo e definiscono la manovra del governo disastrosa....

Senza alcuna dignità!


Cetta. 

MA IL PD CHE COS'E'? MA IL PD DOV'E'? MA IL PD DOVE STA? MA IL PD DOVE VA? - Viviana Vivarelli

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Il Pd ormai si cura soltanto dei migranti. Comprendiamo che gli italiani se li è dimenticati ormai da un pezzo, ma poi capita che quegli italiani di essere stati dimenticati non se lo dimentichino affatto. E che tutte queste grandi manifestazioni a tutela dei migranti o piene di bandiere dell'Ue li lascino alquanto perplessi.
Grandi appelli all'umanità, ma che umanità è quella che si dimentica dei poveri di casa tua?
Il Pd non ha un segretario, a meno di non considerare segretario il supplente Martina, che non lo considera nessuno, manco i suoi famigliari.
I capetti sparsi e ondivaghi tentano ognuno di garantirsi un minimo di visibilità nella speranza di una ascesa al potere. Ma poiché non si cagano tra loro, nessuno gode di abbastanza massa per aspirare a qualcosa. E quelli del ex cerchio magico non li caga nessuno e inutilmente si ripropongono come opposti a Renzi, visto che ne portano ancora le stigmate in faccia e non hanno programmi costruttivi ma solo stenti lai oppositivi. Qualcuno fa qualche digiuno sparso che non gliene frega a nessuno. Piani di rivincita non ce ne sono perché Renzi come Saturno che divorava i propri figli, ha posto se stesso come unico programma, divorando anche i padri. Ma l'unico programma di Renzi è arricchire se stesso e al momento gli serve meglio Berlusconi del popolo italiano e gli affarucci che fa da sensale in giro per il mondo.
Dunque il Pd vaga in una landa deserta, portando avanti le manifestazioni per i migranti, attaccando a man bassa qualunque cosa esca dal governo giallo-verde, appoggiando a testa bassa qualunque cosa esca dalla Troika. Ormai è diventato il peggior sostenitore dei mercati che ci uccidono e dello spread che cui divora, e i menagrami non li sopporta nessuno. I piddini sono diventati i calunniatori per eccellenza, come i loro giornali, che infatti, come loro, perdono lettori a valanga e vanno verso una fine certa. La loro incapacità di capire che hanno perso perché sono saliti sul carro neoliberista e ora non riescono a scendere più, è totale. Hanno tradito se stessi, si sono venduti al capitale, e poi si meravigliano ancora se la gente non compra più l'Espresso o Repubblica e non li vota? Vivono di rendita su posizioni mediatiche di cui hanno abusato e da cui credono ancora di dominare le folle, ma le folle se ne sbattono e vanno sui social. Il loro sgomento è percepibile e ridicolo. Incapaci di guardarsi in uno specchio, si credono ancora vestiti di rosso ma sono nudi, mostrano le loro vergogne e la gente le vede benissimo e si schifa.
Del Congresso si parla sempre meno, quando dovrebbe essere al centro dei loro pensieri….l'elenco dei temi che NON verranno discussi nell'eventuale futuro congresso piddino: "la pace e come mantenerla, la giustizia sociale e come raddrizzarla, i diritti e come sostenerli, un salario e come ottenerlo, la salute pubblica e come pagarla, una scuola sensata e come edificarla”. Ma loro sono talmente persi a parlare di Mimmo Lucano e a calunniare con notizie false il neo governo che nemmeno ci pensano. Ciechi che non sanno di esserlo. Che vedono solo i propri pensieri. E ci annegano dentro.


Fonte Viviana Vivarelli su Fb.

Il pericoloso gioco dell’Unione europea. - Evans-Pritchard

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(Contrariamente alla stampa mainstream italiana, Ambrose Evans-Pritchard sul Telegraph vede sì i rischi della situazione attuale per l’Italia – il braccio di ferro sul Def tra governo e Ue, basato più su motivazioni politiche che questioni tecniche – ma non tace i punti di forza di cui gode il nostro Paese.)

Il “chicken game”, ovvero “gioco del pollo” (o del coniglio) è, nella teoria dei giochi, un contesto così esemplificabile: due auto si dirigono a tutta velocità l’una contro l’altra; entrambi gli automobilisti contano sul fatto che sarà l’altro a spaventarsi, cedere e sterzare per primo, diventando il “pollo” – ovvero il codardo – della situazione. Se ciascuno dei due tira dritto, però, lo scontro sarà inevitabile, così come il disastro per entrambi.
Ed è proprio questo il pericoloso gioco che Juncker sta consapevolmente conducendo nei confronti del Governo italiano, per mettere sotto stress il sistema bancario. E funziona.
Le autorità dell’UE, spiega il giornalista, contano sui mercati: all’aumentare dei tassi, sperano, la paura per la tenuta del sistema bancario spingerà l’opinione pubblica italiana verso più miti consigli.
Il gioco però è rischioso. Se si va troppo oltre, infatti, l’Ue rischia di scatenare essa stessa una crisi di credito che travolgerebbe il sistema bancario italiano e la caduta in una spirale di recessione che si autoalimenta, provocando esattamente ciò che vuole evitare.
I margini del gioco sono stretti, la tattica è rischiosa, perché l’economia italiana negli ultimi mesi ha rallentato. E sgombra il campo da tecnicismi e ipocrisie: non sono certo i punti percentuali di deficit previsti nel Def italiano che sono in questione. È invece una questione tutta politica. 
Nell’Ue c’è qualcuno che punta a mettere in ginocchio l’Italia. Quando Jean-Claude Juncker questa settimana si è scagliato contro i ribelli della Lega – M5S agitando lo spettro di una ‘nuova Grecia’, ha volutamente gettato benzina sul fuoco. 
Era una strategia calcolata. Ciò che i mercati dei bond temono in questo momento è un’escalation della battaglia tra l’alleanza Lega – 5 Stelle e Bruxelles, che – se mal gestita – comporta il rischio di un’uscita italiana dall’euro e la rottura dell’unione monetaria.
Il rischio di denominazione è diverso dal normale rischio di insolvenza. Che si può isolare e misurare confrontando l’andamento dei prezzi di diverse annate di credit default swap con contratti legali diversi. La componente è in forte rialzo. Bruxelles potrebbe avere ragione nel calcolare che Roma cederà e che gli eterni ‘poteri forti’ dell’establishment italiano piegheranno i ribelli o li compreranno. Ma avverte anche che per ora non è successo: e cita le recenti affermazioni di Di Maio sul fatto che chi spera in un’inversione di rotta si illude.
Evans-Pritchard – pur definendo illusorie le promesse di Di Maio sul fatto che la maggior crescita ripianerà il deficit – mette anche in fila una serie di punti di forza italiani, abitualmente taciuti dalla nostra stampa mainstream e quindi poco noti all’opinione pubblica: che l’Italia in rapporto al bilancio UE è un contribuente netto; il nostro avanzo nelle partite correnti, ovvero nella differenza tra esportazioni e importazioni, di 2,8 punti percentuali del PIL; le dimensioni del nostro settore manifatturiero, maggiori di quello della Francia o della Gran Bretagna. 
Inoltre sottolinea come con un avanzo di bilancio primario come il nostro – a differenza della Francia, che peraltro ha ripetutamente violato il Patto di stabilità – potremmo passare tecnicamente alla lira senza temere una crisi di sostenibilità del debito.
Quanto al nostro debito pubblico, ricorda che è di 2.300 miliardi di euro, cui aggiunge un ulteriore debito di 500 miliardi di dollari alla Bce attraverso il sistema di pagamenti Target2 (che si tratti di un reale debito anche in questo caso è questione notoriamente controversa), ma sottolinea che può essere convertito unilateralmente in lire secondo le regole della Lex Monetae.
Al minimo cenno che l’Italia fosse in procinto di lasciare l’euro – e o convertire i debiti in lire o fare default – si scatenerebbe immediatamente il contagio in Portogallo, Spagna e Grecia. I creditori tedeschi rischierebbero un taglio del loro credito da un trilione di euro. Per evitarlo, la Germania e gli altri Paesi del Nord dovrebbero accettare quello che finora hanno ostinatamente rifiutato: il grande balzo in avanti verso l’unione fiscale, sostenuta da una banca centrale con pieni poteri di prestatore di ultima istanza. 
Ma Evans-Pritchard non sembra molto ottimista sul realizzarsi di questa ipotesi.
In caso di dissoluzione dell’Eurozona – messa a rischio anche dalla fine degli acquisti di obbligazioni da parte della BCE, a fine anno, che lascerà gli stati del Sud Europa esposti alle forze del mercato – Evans-Pritchard fa notare che si potrebbe parlare di “distruzione reciproca assicurata”, ma sottolinea che “l’Italia avrebbe almeno qualche effetto di compensazione: un vantaggio competitivo dovuto alla tanto necessaria svalutazione (il tasso di cambio reale è del 20% troppo alto) e una ripartenza dopo il taglio parziale del debito. È difficile invece vedere quale potrebbe essere il lato buono della medaglia per Germania, Olanda o Francia. Quindi chi ha davvero il coltello dalla parte del manico? L’Italia non assomiglia alla Grecia, dove il gruppo dirigente pro-Syriza voleva strenuamente rimanere nell’euro. La Lega e i 5 Stelle affondano le loro radici nell’euroscetticismo. Il loro piano di riserva per una valuta parallela – i “minibot” – è inserito nel contratto di governo dell’alleanza. Se gli spread delle obbligazioni salgono a livelli che soffocano il sistema bancario, il governo può in qualsiasi momento emettere carta sostitutiva come una liquidità alternativa a fini fiscali e contrattuali, sovvertendo l’unione monetaria dall’interno.
Evans-Pritchard cita diversi elementi a sostegno della posizione italiana sull’euro. Tra questi, la ormai celebre recente dichiarazione di Claudio Borghi a Radio Uno, quando disse per l’ennesima volta che tornare alla lira per l’Italia sarebbe meglio, anche se non è nel programma di governo e richiede il consenso dei cittadini. 
L’Ue sta cadendo in una trappola, ovvero sta spingendo la situazione talmente al limite che finirà col creare proprio il consenso necessario per l’uscita dall’euro. Nell’articolo sono citati inoltre i documenti sul “piano B” di Paolo Savona.
Le agenzie di rating sono pronte a muoversi. Potrebbero perdonare l’allentamento fiscale se i soldi fossero spesi per investimenti che aumentassero la velocità di crescita economica dell’Italia, ma non per invertire la riforma pensionistica e per un reddito di base universale. Il piano di abbandonare il consolidamento fiscale per i prossimi tre anni lascia il paese ancora più vulnerabile a un cambio di rotta del ciclo economico e dei tassi di interesse. L’aumento dei tassi erode il capitale delle banche italiane, che possiedono un quarto del debito pubblico negoziato e fanno affidamento sui mercati dei capitali all’ingrosso per il 21% del loro finanziamento. Siamo in un circolo vizioso. Titoli di debito pubblico e banche possono ancora abbattersi a vicenda in un effetto a spirale. Questo è il difetto fondamentale di un’unione monetaria senza un prestatore automatico d’emergenza. Difetto che l’Ue non ha mai sanato. Juncker potrebbe riuscire a terrorizzare l’Italia fino a indurla alla sottomissione nelle prossime settimane. Ma potrebbe invece appiccare l’incendio che brucerà la sua casa europea.

Fonte Vocidallestero del 8/10/2018

L'ARMATA BRANCALEONE - Marco Travaglio

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Quando vai alla guerra, prima studi il nemico, poi ti guardi intorno in cerca di alleati, infine prepari le armi più efficaci per vincere. Oppure ti vedi L’Armata Brancaleone e poi fai il contrario.
Ora, non c’è dubbio che il governo giallo-verde abbia deciso di andare alla guerra contro tutti i poteri, nazionali e internazionali, palesi e occulti, che governano per davvero l’Italia e l’Europa: Commissione Ue, Bce, Fmi e i famosi “mercati”, cioè la grande finanza e i grandi speculatori che scommettono immense fortune su o contro questo o quel Paese. E giù giù a cascata fino ai nostri poterucoli da riporto: Quirinale, Bankitalia, ragionerie e burocrazie ministeriali, Confindustria, lobby varie, partiti sconfitti nelle urne e vincenti nei media.
Il primo atto di guerra è stato vincere le elezioni, sbaragliando i due partiti-architrave del sistema che sognavano l’ennesima ammucchiata, Pd e FI, e lasciando in gramaglie un bel po’ di prenditori, lobbisti e giornalisti vedovi inconsolabili.
Il secondo è stato profanare alcuni santuari da sempre intoccabili: il precariato del Jobs Act, la corruzione impunita, i prenditori privati delle concessionarie pubbliche (vedi Autostrade Spa dopo il crollo del ponte), la lobby del gioco d’azzardo, i vitalizi, il business della cosiddetta accoglienza ai migranti.
Il terzo, il più imperdonabile, è la prima manovra finanziaria non concordata con l’Ue, dunque non recessiva e non tagliata su misura dei ricchi.

Quando, in quattro mesi, si lanciano tutte queste bombe contro chi ha sempre comandato sarebbe folle non prevedere una reazione uguale e contraria. E non comportarsi di conseguenza. 
La reazione è sotto gli occhi di tutti: scomuniche europee, moniti quirinaleschi, toni apocalittici su tutti i media che gridano pure alla censura di regime (domenica, in prima serata, Rai1 mandava in onda gli anatemi di Cottarelli e Burioni, noti portabandiera della tirannide giallo-verde), spread a 300 e Borsa in crollo.

Non c’è nessun complotto: c’è, semplicemente, il rabbioso sgomento di un intero sistema che non si dà pace di non comandare più. Quando i soliti noti raccontano che “i mercati sono neutrali” perché badano al sodo, anzi al soldo, viene da scompisciarsi: è proprio perché badano al sodo, cioè al soldo, che non sono neutrali.

Immaginiamo che accadrebbe se, puta caso, il governo varasse una legge appena più drastica della Fornero, che imponesse il suicidio obbligatorio a tutti i pensionati: i mercati e le Borse festeggerebbero, lo spread e il deficit-Pil finirebbe sottozero. Idem se una legge prevedesse lo sterminio di tutti i poveri.
Per questo esiste il suffragio universale: per evitare che comandino quelli che badano al sodo, cioè al soldo. 
Infatti, da quando gli elettori han cominciato a votare “male”, si studia il sistema di mandare alle urne solo chi vota “bene”. 
Avrete notato con quali facce disgustate si parla dei populisti che, non contenti di prendere tanti voti, pretendono pure di mantenere le promesse elettorali.
E con quali occhietti estasiati si guarda a Cottarelli, a Calenda, a Monti e ad altri noti frequentatori di se stessi, celebratissimi proprio perché non hanno mai preso un voto (infatti già si riparla di un bel governo tecnico).
I mercati, si dice, fanno il loro mestiere: verissimo. Ma il loro mestiere è speculare, non dirigere o rovesciare i governi, fare o disfare le leggi.
Questo è compito della politica.
Purtroppo però la politica non può governare contro i mercati, capaci di mangiarsi non uno, ma dieci Def con un colpo di spread.
Dunque la politica deve farci i conti, mediare e rassicurarli. E qui casca l’asino dei giallo-verdi: sono andati alla guerra in ordine sparso, spensieratamente, cazzeggiando.
Il ministro Tria ha garantito – chissà perché e a nome di chi – all’Ue e ai mercati un deficit-Pil all’1,6%,ben sapendo che basterebbe a malapena per scongiurare l’aumento dell’Iva ereditato dai predecessori, senza avviare una sola delle riforme promesse. 
E ha azzerato il suo potere negoziale. Poi, tomo tomo cacchio cacchio, ha comunicato la novità del 2,4%. E ha azzerato la sua credibilità.
Intanto ministri e urlatori vari davano i numeri più disparati sulla manovra e per giunta insultavano come ubriacone Juncker e cialtrone Moscovici.
I quali sono entrambe le cose e anche peggio.
Ma, finché non verranno spazzati via dagli elettori (i loro partiti sono già morti), hanno potere di vita o di morte sul nostro governo. E lo esercitano nel più sleale dei modi, per puri scopi elettorali: gabellano pochi decimali di deficit in più per la fine del mondo (dopo aver digerito ben di peggio da Francia, Germania, Spagna, persino Italia).
E contribuiscono allo sfascio sui mercati con le loro sparate razziste contro l’Italia e il suo legittimo governo. Moscovici l’ha confessato spudoratamente al Pais: “Non si possono confrontare Italia e Spagna” non solo per le differenze di debito e deficit, ma anche perché “Madrid ha un governo pro-europeo” e l’Italia no.
Intanto il Fmi e i suoi valletti di Bankitalia avvertono il governo di non toccare la Fornero e il Jobs Act. Dal che si deduce che l’Europa, come la intendono i suoi tenutari, è incompatibile con la nostra Costituzione: la sovranità non appartiene più al popolo, che vota chi gli pare (nel nostro caso, due partiti che vogliono cambiare l’Europa, il Jobs Act e la Fornero); bensì a pochi tecnocrati che non rappresentano nessuno (a parte i soliti “giri”), ma contano più di milioni di elettori.
Nemici come questi si combattono senza cedere di un millimetro, ma con la massima serietà: non una parola di troppo; solo atti formali inattaccabili; e tanta mediazione e persuasione.
Finora i giallo-verdi han fatto l’opposto: hanno visto L’Armata Brancaleone e, anziché evitarla, l’hanno imitata.

Marco Travaglio FQ 10 ottobre