sabato 15 giugno 2019

Radio Radicale, dove sono finiti i 300 milioni di fondi pubblici. - Patrizia De Rubertis



Trecento milioni di euro arrivati quasi sempre a fine anno nelle leggi di Stabilità, nei decreti Milleproroghe o in altri provvedimenti ad hoc hanno permesso a Radio Radicale di svolgere per 25 anni “servizio pubblico”, senza alcun tipo di valutazione (come l’affidamento con una gara) e nonostante sia una radio privata e legata a un partito. Ed è una ricorrente che il salvataggio dell’emittente fondata nel 1976 da Marco Pannella arrivi sempre in extremis grazie a denaro pubblico. Come l’ultima boccata di ossigeno arrivata dall’accordo Lega-Pd che giovedì ha concesso a Radio Radicale altri 3 milioni nel 2019 (e 4 milioni nel 2020). Che si vanno ad aggiungere ai 5 già stanziati per l’anno in corso. Un unicum nel panorama editoriale quello conquistato dall’emittente.
Radio Radicale nasce 43 anni fa, per iniziativa di un gruppo di deputati militanti dell’omonimo partito, e diventa subito il megafono delle battaglie di Marco Pannella, tra cui quella contro il finanziamento pubblico ai partiti. Ma senza quei fondi e a fronte di costi di gestione sempre più alti, sono costretti a chiudere nel luglio 1986. I dirigenti decidono di sospendere tutti i programmi per lasciare la parola agli ascoltatori che tra messaggi di stima e bestemmie la trasformano nell’emittente più ascoltata d’Italia (l’esperimento è stato ripetuto anche nel 1993, sempre per salvarsi dalla chiusura). Ma la svolta arriva nel 1990 con la legge 230 quando si aprono le porte dei contributi pubblici: da allora la radio percepisce ogni anno circa 4 milioni di euro. La secondo svolta è datata 21 novembre 1994: viene firmata la convenzione, approvata con un decreto del ministro delle Telecomunicazioni Giuseppe Tatarella, che da allora eroga alla società Centro di produzioni S.p.a. (ossia Radio Radicale con il suo archivio in via Principe Amedeo a Roma) 10 milioni di euro ogni anno per la trasmissione delle sedute parlamentari. È merito di un bando del governo Berlusconi, che i maligni dicono sia stato cucito su misura (niente musica e zero pubblicità), se la radio – che navigava in cattive acque – si salva di nuovo. I Radicali continuano a essere contrari a dare i soldi dei contribuenti ai partiti, ma da allora la radio ha incassato oltre 300 milioni di euro. Il bando, fatto per decreto, non è stato mai convertito in legge. È stato rinnovato per ben 17 volte, da tutti i governi, con una specie di regime transitorio. Contributi all’editoria e rinnovo della convenzione che hanno permesso di percepire 14 milioni di euro ogni anno.
Chi c’è dietro la radio? Fino alla fine degli anni Novanta l’azionista unico dell’emittente era l’Associazione politica nazionale Lista Marco Pannella. Poi l’assetto proprietario cambia nel marzo 2000 quando l’imprenditore Marco Podini (già padrone della catena di supermercati A&O e dei discount Md), aderendo all’appello pubblico di Pannella in un altro momento di difficoltà della radio, acquista tramite la Pasubio Spa il 25% di Radio Radicale per 25 miliardi di lire. Emittente finanziata fino ad allora solo da soldi pubblici, e il cui valore totale schizza così a 100 miliardi di lire. Pochi mesi prima la Rai aveva fatto un’offerta per rilevare tutta la società per una ventina di miliardi. Podini annuncia un aumento della sua partecipazione al 50%, che però non avverrà mai. L’imprenditore siede insieme alla sorella Maria Luisa nel cda della società (la quota è passata nel frattempo alla Holding Lillo) ed è anche il presidente della Dedagroup, una società che si occupa di information technology. Così come l’altro gruppo che possiede, la Piteco, una software house italiana quotata in Borsa.
Da allora le quote della società che controlla la radio sono rimaste immutate: all’associazione Pannella, editore dell’emittente, resta il 62,68% e un’altra piccola quota, del 6,17%, è in mano alla commercialista Cecilia Maria Angioletti. Il resto è in mano alla holding finanziaria Lillo attiva nel campo della distribuzione alimentare che fattura 2,3 miliardi di euro l’anno. Nel 2017, ultimo dato aggiornato del bilancio, i ricavi complessivi della radio hanno raggiunto gli 8,3 milioni con un incremento di 21mila euro sull’anno prima, garantiti dagli introiti della convenzione. A cui si aggiungono 4 milioni di contributi dal fondo dell’editoria. Il costo del personale (a Radio Radicale lavorano 52 dipendenti tra cui 20 giornalisti impiegati) è salito a 4 milioni dai 3,8 del 2016 (compresi contributi e Tfr) con il direttore Alessio Falconio e l’ad Paolo Chiarelli che guadagnano poco più di 100mila euro. Utili ce ne sono stati pochi negli ultimi anni, ma non è sempre andata così. Il 2010, per dire, si chiuse con un utile di 168 mila euro, ma il cda deliberò di distribuire un dividendo di 600 mila euro attingendo alle riserve. Negli ultimi 3 anni i conti hanno sempre chiuso in rosso (nel 2017 di 6.500 euro).

venerdì 14 giugno 2019

Gli attacchi odierni alle petroliere nel Golfo di Oman sono contro gli interessi dell’Iran – O no? - moonofalabama.org




Nelle prime ore del mattino, intorno alle 6:00 UTC, due petroliere nel Golfo di Oman sono state attaccate con armi di superficie. Entrambe le navi si trovavano a circa 50 chilometri a sud-est di Bandar-e Jask, in Iran, e a circa 100 chilometri ad est di Fujairah.
La Front Altair, una nave cisterna per il trasporto di petrolio grezzo lunga 250 metri e battente bandiera delle Isole Marshal, proveniva dagli Emirati Arabi Uniti e si stava dirigendo verso Taiwan. Il suo carico di 75.000 tonnellate di nafta si è incendiato e l’equipaggio ha dovuto abbandonare la nave.
La seconda nave attaccata è la Kokuka Courageous, una petroliera di 170 metri di lunghezza, battente bandiera panamense. Proveniva dall’Arabia Saudita e si stava dirigendo verso Singapore. La nave ha lo scafo aperto al di sopra della linea di galleggiamento, ma il suo carico di metanolo sembra essere intatto.
La nave iraniana di ricerca e salvataggio Naji ha raccolto i 44 membri dell’equipaggio delle due navi e li ha trasferiti a Bandar-E Jash. I prezzi del petrolio sono aumentati di circa il 4%.
Questi attacchi arrivano un mese dopo che quattro navi ancorate nei pressi del porto di Fujairah (Emirati Arabi Uniti) erano state danneggiate da cariche esplosive attaccate agli scafi. Le indagini su questo incidente da parte degli Emirati Arabi Uniti non avevano indicato nessun colpevole, ma avevano suggerito che la responsabilità andava attribuita ad un’entità nazionale. Il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, John Bolton, aveva accusato l’Iran.
È probabile che forze mercenarie iraniane siano responsabili degli attacchi di maggio. Sembra però improbabile che l’Iran abbia qualcosa a che fare con gli attacchi di oggi.
I fatti di maggio erano stati seguiti da due attacchi di droni lanciati dalle forze Houthi nello Yemen contro il gasdotto saudita est-ovest, che consente ad una certa percentuale delle esportazioni saudite di evitare il passaggio attraverso lo stretto di Hormuz. Un terzo attacco era stato il lancio di un missile a medio raggio della Jihad islamica nella striscia di Gaza contro la città di Ashkelon, in Israele.
Tutti e tre gli attacchi erano stati avvertimenti diretti a tutti quei paesi che premono per un conflitto Stati Uniti-Iran, giusto per far capire che verrebbero seriamente danneggiati nel caso in cui l’Iran venisse attaccato.
L’attacco di oggi arriva però in un momento inopportuno per l’Iran. La rumorosa campagna anti-iraniana, iniziata da John Bolton ad aprile e a maggio, si era recentemente calmata.
Il presidente Trump sta cercando di costringere l’Iran a negoziare con gli Stati Uniti. Di recente, ha ricevuto alla Casa Bianca il Presidente della Svizzera. La Svizzera è la “potenza protettrice” che rappresenta gli interessi diplomatici degli Stati Uniti in Iran. Il ministro degli Esteri tedesco Maas era stato inviato in Iran per sollecitare concessioni da parte di Teheran. Attualmente, il Primo Ministro giapponese Shinzo Abe è in visita a Teheran. Oggi ha incontrato il leader supremo dell’Iran, l’Ayatollah Khamenei, ma non ha avuto successo nel convincere l’Iran a negoziare con Trump.
Anche se l’Iran continua a rifiutarsi di negoziare con gli Stati Uniti, almeno finché gli Stati Uniti manterranno le proprie sanzioni, non ha alcun interesse a turbare l’attuale fase diplomatica. L’Iran non avrebbe nulla da guadagnare da questi attacchi.
C’è qualcun altro che ha quasi silurato (letteralmente) gli attuali tentativi di mediazione?
Aggiornamento (11:30 utc, 7:30 orario del blog):
Alcuni tweet che il leader supremo dell’Iran ha rilasciato oggi, dopo il suo incontro con il Primo Ministro Abe, suggeriscono un motivo per cui l’Iran potrebbe essere costretto a compiere un gesto simile all’attacco verificatosi oggi:
Khamenei.ir @khamenei_ir – 9:36 UTC – 13 Jun 2019
Non crediamo affatto che gli Stati Uniti stiano cercando veri negoziati con l’Iran; perché trattative serie non verrebbero mai da una persona come Trump. La serietà è molto rara tra i funzionari degli Stati Uniti.
. @ AbeShinzo Il presidente degli Stati Uniti si è incontrato e ha parlato con lei alcuni giorni fa, anche dell’Iran. Ma dopo essere tornato dal Giappone, ha immediatamente imposto sanzioni all’industria petrolchimica iraniana. È forse questo un messaggio di onestà? Una cosa del genere dimostra che è disposto ad impegnarsi in veri negoziati?
Dopo l’accordo sul nucleare, il primo a violare immediatamente il JCPOA era stato Obama; la stessa persona che aveva richiesto trattative con l’Iran e che aveva inviato un mediatore. Questa è la nostra esperienza e, Sig. Abe, sappia che non ripeteremo la stessa esperienza.
La parola chiave qui è “petrolchimica“. Le petroliere colpite oggi erano cariche di nafta dagli EAU e di metanolo dall’Arabia Saudita. Entrambi sono prodotti petrolchimici e non semplicemente petrolio grezzo. Venerdì scorso, 7 giugno, gli Stati Uniti hanno sanzionato tutti gli scambi commerciali con il maggiore produttore petrolchimico iraniano. Queste sanzioni danneggeranno gravemente l’Iran.
Quando l’amministrazione Trump aveva iniziato a sanzionare, l’anno scorso, le esportazioni di petrolio dall’Iran, l’Iran aveva annunciato che non avrebbe giocato secondo le regole. Aveva affermato che si sarebbe rivalso nei confronti degli altri produttori del Golfo Persico, qualora non fosse stato in grado di esportare i suoi prodotti:
L’Iran ha minacciato di bloccare lo Stretto di Hormuz, un’arteria vitale per il trasporto del petrolio dal Medio Oriente. L’avvertimento è una risposta agli Stati Uniti, che stanno cercando di bloccare le esportazioni di greggio iraniano.

Il consigliere anziano per gli affari internazionali del capo supremo dell’Iran, Ali Akbar Velayati, ha dichiarato che il suo paese si vendicherà.
“La risposta più trasparente, completa e tempestiva era stata data da [Hassan] Rouhani, il presidente iraniano, durante il suo ultimo viaggio in Europa. La risposta era stata chiara: ‘se l’Iran non può esportare petrolio attraverso il Golfo Persico, allora nessuno potrà,’“aveva detto Velayati parlando alla riunione del Gruppo Valdai, in Russia. “O tutti esporteranno, o non lo farà nessuno,” aveva aggiunto.
Ora possiamo applicare la parola chiave usata oggi da Khamenei a queste frasi: “se l’Iran non può esportare prodotti petrolchimici attraverso il Golfo Persico, nessuno lo farà.” “O possono esportare tutti, o nessuno.”
Che l’Iran possa avere i suoi motivi non significa o prova che sia responsabile dell’attacco di oggi. Rischiare di affondare due navi cisterna straniere in acque internazionali non è una cosa che un Iran, solitamente prudente, farebbe a cuor leggero. Potrebbe averlo eseguito qualcun altro per potergli dare la colpa.
Comunque, indipendentemente dal fatto che l’Iran sia o no coinvolto, le parole di Khamenei sono un messaggio molto serio che Abe, l’inviato di Trump in Iran, capirà e riferirà alla Casa Bianca.
Moon of Alabama
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

Falsi malati, truffa da oltre un milione.

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Sequestro per oltre 1 milione di euro emesso dal Tribunale di Palermo nei confronti di 39 indagati per falso e truffa ai danni dell’Inps, tra cui due dipendenti dell'Istituto. Il provvedimento è stato eseguito dai finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Palermo, coordinati dalla Procura della Repubblica del capoluogo siciliano.

Le indagini, delegate dal Dipartimento 'Pubblica Amministrazione' della Procura della Repubblica traggono origine da attività di analisi dei flussi di spesa di enti pubblici risultati anomali, confermate in talune attività di accertamento interne degli ispettori dell’Ente di Previdenza Nazionale. Le investigazioni successivamente svolte hanno consentito di portare alla luce una vera prassi illecita, quasi un fenomeno di 'costume', che vedeva coinvolte decine di persone residenti a Palermo e provincia le quali, utilizzando documentazione medica falsificata, hanno beneficiato di particolari indennità economiche spettanti a pazienti colpiti da gravi patologie del sangue (talassemia major, talassodrepanocitosi e drepanocitosi).

Grazie all’incrocio dei dati in possesso dell’assessorato della Salute della Regione Siciliana e degli ospedali palermitani, è stato possibile individuare i pazienti che non solo non risultavano iscritti nel 'Registro Siciliano delle Talassemie ed Emoglobinopatie' - presso cui vengono registrati coloro che, per la natura delle patologie sofferte, effettuano trasfusioni con cadenza periodica - ma godevano in realtà di ottima salute. "Il meccanismo della truffa era semplice e talvolta grossolano. Bastava infatti un certificato medico a nome di medici, che in realtà non l’avevano mai sottoscritto, e timbri falsi. La documentazione veniva poi presenta all’ufficio Inps territorialmente competente", dicono le Fiamme Gialle.
Ovviamente l’interesse non era quello di beneficiare delle trasfusioni, a cui sono costrette le persone purtroppo realmente malate, ma quello di ottenere l’indennità economica spettante per legge ai lavoratori affetti da talassemia major (morbo di Cooley) e drepanocitosi che, raggiunti i requisiti anagrafici e di contribuzione, hanno diritto a un’indennità annuale pari alla pensione minima erogata dall’Inps.

In una prima fase è stata acquisita, presso l’Istituto di previdenza, la documentazione di tutti i soggetti beneficiari nel territorio provinciale (103) dell’indennità in parola per complessivi euro 1.624.882. Le Fiamme Gialle hanno quindi accertato, nei confronti di 54 persone, indebite percezioni per 1,4 milione di euro mentre - in attività sinergica con la Finanza - l’Inps avviava le procedure di recupero di parte delle somme illecitamente ottenute. Nei confronti di alcuni di loro, la Procura della Repubblica di Palermo, condividendo pienamente le prospettazioni investigative, ha richiesto e ottenuto dal competente Gip presso il Tribunale palermitano, l’emissione del provvedimento di sequestro preventivo, avente ad oggetto disponibilità finanziaria, beni mobili e denaro fino a concorrenza dell’importo da ciascun indagato oggetto di truffa.

I due dipendenti Inps coinvolti sono stati poi deferiti all'autorità giudiziaria con l'aggravante della violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione, poiché assegnati all'ufficio che ha gestito le relative pratiche. In pratica, si erano autoassegnati - direttamente o per il tramite del coniuge, ma con le stesse modalità fraudolente - le stesse indennità previste.

https://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2019/06/14/falsi-malati-truffa-oltre-milione_S7WucfhJCFPEtvsnJl1MrN.html

Traffico rifiuti Latina-Roma, compost irregolare interrato nei campi: “Danni irrimediabili per ambiente e salute pubblica”. - Vincenzo Bisbiglia e Marco Pasciuti

Traffico rifiuti Latina-Roma, compost irregolare interrato nei campi: “Danni irrimediabili per ambiente e salute pubblica”

La Società Ecologica Pontina, al centro dell'inchiesta della Dda di Roma che vede indagate 23 persone, avrebbe venduto a cinque aziende agricole fertilizzante nel quale i rifiuti organici venivano triturati con scarti di ogni tipo: vetro, plastica, metalli vari. Perfino siringhe. E quelle lo interravano nei loro campi su cui sono coltivati "olivi e granturco e sono attigui ad altre piantagioni". Un sistema con il quale in 4 anni la società avrebbe smaltito 57mila tonnellate di rifiuti speciali.

Qua come c’è un po’ di caldo ci facciamo male”. Perché quella roba puzza, crea percolato nei capannoni e continua a “fumare”, anche quando viene trasportata e stesa sui terreni agricoli. Meglio interrarla nei campi, pagando i proprietari. Pazienza se si creano “danni irrimediabili e devastanti per l’ambiente e la salute pubblica”. Il problema, ai titolari del gruppo Sep srl, Società Ecologica Pontina, non interessa. Tanto da cedere a diverse aziende dell’Agro pontino il loro compost farlocco, certificato da analisi chimiche falsate, nel quale ai rifiuti organici venivano mischiati scarti di ogni tipo: vetro, plastica, metalli vari. Perfino siringhe. Pagando i proprietari perché se lo prendessero, per risparmiare sullo smaltimento. E i proprietari dei campi lo seppellivano e poi ci coltivavano “olivi e granturco”.

Sono inquietanti i risvolti dell’indagine della Dda di Roma sulla società di smaltimento rifiuti – fra le principali del Lazio – secondo gli inquirenti gestita “in maniera occulta” anche dal dirigente della Regione Lazio, Luca Fegatelli. Una “condotta criminale” che, secondo quanto emerge dalla lettura del decreto di sequestro preventivo emanato dal Tribunale di Roma, “andava avanti da anni”.

La Sep è autorizzata da Provincia e Regione a gestire 50mila tonnellate l’anno di rifiuti per produrre quello che in gergo tecnico è definito “ammendante compostato misto“, materiale ricavato dalla lavorazione della frazione umida degli scarti urbani, degli avanzi dell’industria agroalimentare e dei fanghi di depurazione biologica (la parte solida contenuta nelle acque reflue), che in genere viene venduto alle aziende agricole e utilizzato come fertilizzante in campagna. Ma questo lavoro l’azienda di Pontinia lo fa male, non rispetta le leggi e nel compost, insieme all’umido che arriva dai Comuni della provincia, tritura plastica, vetri e metallo sminuzzando tutto in particelle superiori ai 2 millimetri. Producendo, cioè, una “sostanza qualificabile a tutti gli effetti come rifiuto” che andrebbe smaltita in discarica “e non certo idoneo (anzi nocivo) allo spargimento come fertilizzante sui terreni agricoli”.

Il che è proprio quello che fa la Sep che, secondo la Dda, cede il suo compost fuorilegge a cinque aziende agricole della zona. Siccome, però, sprigiona un “nauseabondo olezzo di spazzatura simile a quello proveniente dalle discariche ufficiali”, il materiale non può essere semplicemente sparso sui campi come falsamente attestato dai documenti di accompagnamento, ma va seppellito in buche profonde scavate con le pale meccaniche e ricoprendo tutto. Un lavoro di interramento svolto “in quantità tali da alterare morfologia, composizione e persino temperatura del terreno, con danni irrimediabili e devastanti per l’ambiente e la salute pubblica, atteso che tali appezzamenti sono poi destinati alla coltivazione”. 

Siti da bonificare, la mappa del Consorzio Italbiotec: “Oltre 12mila potenzialmente inquinati”. Gli interventi? Vanno a rilento. Danni di cui i titolari della Sep, indagati insieme ad altre 21 persone, sanno perfettamente. “Guardi, noi qui facciamo smaltimento illecito di rifiuti”, dice il 15 marzo 2018 il titolare intercettato nella sua auto, raccomandando al suo interlocutore, non identificato, “di stare attento a non parlare molto perché all’interno del veicolo potrebbero esserci delle microspie”, annotano i magistrati. Soprattutto erano compiacenti i tecnici di tre laboratori, uno di Napoli, uno di Pomezia e uno di Isola del Liri, nel frusinate, che falsificavano le analisi dichiarando la compatibilità di legge del compost nonostante questo avesse percentuali di “impurità” di gran lunga superiori al consentito.

Consapevoli, per i pm, sono anche i titolari delle cinque aziende agricole distribuite tra Sabaudia, Cori, Maenza, Pontinia e Roma. Perfettamente al corrente, secondo i magistrati, di ciò che veniva scaricato nei loro terreni, al punto che non solo non pagavano il compost ma venivano addirittura remunerati dalla Sep per prenderselo. Ed è proprio dall’odore sprigionato dai rifiuti interrati in un terreno tra Aprilia e Ardea è partita l’indagine della Dda, nata dall’accorpamento di altri sei procedimenti a carico della Sep, che ha portato alla luce un sistema tanto oliato al punto che, scrive il gip Claudio Carini, in quattro anni l’azienda ha sversato nei campi strappati alla palude negli anni ’30 del secolo scorso almeno 57mila tonnellate di rifiuti speciali classificati come non pericolosi. Anche in terreni su cui sono coltivati “olivi e granturco e sono attigui ad altre piantagioni – hanno specificato gli investigatori in conferenza stampa a Roma – il rischio che tramite le falde acquifere questo materiale possa aver inquinato le coltivazioni c’è ed è reale”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/06/14/traffico-rifiuti-latina-roma-compost-irregolare-interrato-nei-campi-danni-irrimediabili-per-ambiente-e-salute-pubblica/5253922/

La macchina del tango, - Marco Travaglio

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L’ultimo grido del tartufismo nazionale è smentire notizie inesistenti per cancellare quelle esistenti e rispondere alle domande sbagliate per eludere quelle giuste. Tipo dialogo tra sordi. “Che ora è?”, “Vigevano”. “Come ti chiami?”, “L’altroieri”. Con questo trucchetto ciascuno può fare e dire quel che gli pare, senza che si arrivi mai al nocciolo della questione: cioè a stabilire cosa è vero, cosa è falso, chi ha fatto (o non ha fatto) cosa. Una grande fumeria d’oppio dove convivono mezze, doppie e triple verità, le une incompatibili con le altre. Prendete lo scandalo del Csm. Il 5 giugno il Corriere narra che Mattarella auspica l’azzeramento del voto sul procuratore di Roma della commissione del Csm, che ha tributato 4 voti a Marcello Viola e 1 a testa a Giuseppe Creazzo e a Francesco Lo Voi, per dare la precedenza agli uffici scoperti da più tempo: l’“ordine cronologico”, purtroppo inesistente fra le regole e le prassi del Csm, che infatti lo adottò una sola volta, sempre su richiesta del Quirinale (èra Napolitano) e sempre per rimettere in gioco lo sconfitto Lo Voi. Il tutto in attesa di un “nome nuovo” in “continuità giudiziaria” col dogma dell’Immacolato Pignatone.

Abbiamo atteso una smentita del Quirinale a quell’incredibile entrata a gamba tesa via Corriere. Invece è arrivata la conferma: il Csm ha congelato il voto del Plenum su Roma in ossequio all’inedito “ordine cronologico”. Non contento, Mattarella ha mandato avanti le consuete “fonti del Quirinale” per far sapere che “non ha mai parlato di nomine, né mai è intervenuto per esse”. È il Csm che ha spontaneamente deciso di calpestare le proprie regole e seguire l’ordine cronologico, ma non perché gliel’ha chiesto Mattarella, bensì perché tutti gli altri consiglieri gli hanno letto nel pensiero. Oppure hanno letto il Corriere e han preso per buono un auspicio falso, che però Mattarella si era scordato di smentire facendolo apparire vero. Nel frattempo sono emerse altre due circostanze imbarazzanti: il verbale del pm Luca Palamara, indagato per corruzione a Perugia, sulla voce circolante nell’ambiente che lui fosse intercettato con un Trojan e che fosse partita dal consigliere giuridico del Colle; e una frase intercettata del deputato-imputato Pd Luca Lotti, che racconta a Palamara di essersi recato al Quirinale per lamentarsi della persecuzione giudiziaria della Procura di Roma contro di lui su Consip. La prima è stata subito smentita dal Quirinale. La seconda no, anzi: il Colle fa sapere che l’ultimo incontro fra Mattarella e Lotti risale al 6 agosto, prima delle richieste di rinvio a giudizio degli imputati Consip.

Dunque è vero che l’imputato Lotti chiese e ottenne udienza da Mattarella per parlare del suo processo: il Quirinale e le sue fonti si scordano di spiegare a che titolo, e se tutti gli italiani imputati possano recarsi in processione a lagnarsene col capo dello Stato. C’è un apposito Ufficio Reclami Vittime Malagiustizia, con tanto di centralino? E qual è il numero? Per aggiungere surrealismo a surrealismo, Repubblica titola: “Il fango su Mattarella”. E perché non il tango? O il mango?

La storiella del “fango” funziona sempre e si porta su tutto, quando si vuole svicolare dai fatti. Tant’è che la racconta pure Lotti, mentre escono le sue intercettazioni (sempre con Palamara) in cui dispensa consigli inferiori al Consiglio superiore su quali magistrati nominare in quali Procure. Dice che a David Ermini, il renziano piazzato da Pd, Unicost e MI alla vicepresidenza del Csm, “qualche messaggio gli va dato forte”, perché non è abbastanza pron(t)o a obbedire. Invece a Creazzo, che a Firenze ha osato far arrestare i genitori di Renzi, Palamara dice che “va messa paura con l’altra storia” (un esposto di pm fiorentini contro il loro capo) e così “liberi Firenze, no?”. Ma la competenza di Lotti si estendeva su tutto il territorio nazionale: “A Roma si vira su Viola, ragazzi… Poi però a Torino chi ci va? Scusate se vi faccio ’sta domanda”. Che gli fregava di Torino? Voleva metterci il procuratore di Reggio Calabria, dove a quel punto sarebbe andato Creazzo, liberando Firenze per le terga di un amico degli amici. Conclusione del Pg della Cassazione: “Si è determinato l’oggettivo risultato che la volontà di un imputato abbia contribuito alla scelta del futuro dirigente dell’ufficio di procura deputato a sostenere l’accusa nei suoi confronti”. Uno normale, in un partito normale, si dimetterebbe e andrebbe a nascondersi. Ma Lotti non è uno normale e il Pd non è un partito normale. Infatti Zingaretti continua a balbettare che “non c’è nulla di illecito” e a non muovere un dito. E Lotti fa addirittura la vittima: strilla alla “montagna di fango contro di me”, oltre “i livelli minimi di accettabilità” (li decide lui). E i suoi traffici intercettati? “Ho espresso liberamente le mie opinioni: parole in libertà, non minacce o costrizioni. Quindi ho commesso reati? Assolutamente no. Ho fatto pressioni o minacce? Assolutamente no. In questi anni ho incontrato decine di magistrati, per i motivi più svariati: se è reato incontrare un giudice non ho problemi a fare l’elenco di quelli che ho incontrato io, in qualsiasi sede”. La classica smentita che respinge accuse (minacce, costrizioni e pressioni) mai lanciate da alcuno e nega reati (incontrare magistrati) mai contestati da alcuno, per non affrontare l’unico, vero scandalo che lo riguarda: un parlamentare imputato che suggerisce i nuovi procuratori di Roma (dove ha un processo) e di Firenze (dove vive e opera) a chi deve nominarli e richiama all’ordine il vicepresidente del Csm che lui stesso, senz’averne alcun titolo, ha contribuito a far eleggere. Il classico dialogo tra (finti) sordi. “Vai a pescare?”, “No vado a pescare”, “Ah credevo che andassi a pescare”.

“La macchina del tango” di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 14 Giugno 2019

https://infosannio.wordpress.com/2019/06/14/la-macchina-del-tango/

Come volevano silurare il Pm del caso Renzi. - Simone Di Meo - La Verità



È come Chernobyl. Le radiazioni che arrivano dall’ inchiesta di Perugia contaminano e rendono inabitabili le ovattate sale del Csm dove ieri, nel giro di un pomeriggio, è andata in scena la prima parte della grande resa dei conti. Il togato Gianluigi Morlini (ex Unicost) si è dimesso dall’ incarico, pur non essendo indagato. Ha ammesso di aver incrociato il deputato renziano Luca Lotti a un dopocena con altri colleghi il 9 maggio 2019: «so di avere compiuto un errore dovuto a leggerezza», ma «senza che io lo sapessi o lo potessi prevedere».

È però finito comunque sotto inchiesta disciplinare su decisione del procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio così come gli altri tre consiglieri che, nei giorni scorsi, insieme a lui si erano autosospesi: Corrado Cartoni, Antonio Lepre e Paolo Criscuoli (che nel frattempo ha lasciato la commissione disciplinare).

L’ atto di incolpazione riguarda tanto gli incontri, ritenuti «non casuali», con Lotti e il deputato del Pd Cosimo Ferri («estranei alle funzioni consiliari», si legge nelle carte) quanto il presunto dossier preparato per azzoppare candidati scomodi nella corsa per la Procura di Roma, come il procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo (che coordina le indagini sulla famiglia Renzi, inchieste che hanno portato all’ arresto dei genitori dell’ ex premier), che emerge come il vero obiettivo delle manovre dell’ ex ministro Lotti.

L’ atto contiene anche stralci di intercettazioni, raccolte col virus spia incolpato nel cellulare dell’ ex segertario dell’ Anm Luca Palamara (indagato per corruzione), che catturano le voci dei partecipanti (tra cui due uomini non identificati, uno dall’ accento meridionale e un altro dall’accento settentrionale).

Lotti appare impegnato a dare il timing della nomina del procuratore di Roma che dovrà reggere la pubblica accusa contro lo stesso Lotti nel processo Consip («Io strategicamente vi darei il suggerimento di chiudere tra il 27, 28 e 29») e a coordinare le attività («si vira su Viola, sì ragazzi», afferma in tono familiare, notano gli inquirenti). Di rilievo anche la conversazione di Palamara in cui dice che ha un «collega» (omissis) «che ha raccolto tutte queste cose in un dossier… tutte le cose che non andavano su questa inchiesta (concorsi in sanità, ndr) e su Creazzo, e su… (inc) e ha fatto l’ esposto».

E prosegue: «Quindi non è proprio…non una cazzata, voglio dì…non è passata come una cazzata». Il mattatore degli incontri – si legge nell’ atto di incolpazione – è sempre Lotti. Che in un altro brano sembra molto preoccupato del destino di Creazzo: «Poi però a Torino chi ci va? Scusate se vi faccio ‘sta domanda». Palamara risponde: «Torino secondo me è ormai aperta». E il deputato del Pd controreplica: «Non so, però per me è un pizzico legata alla difesa d’ ufficio che devono fare loro due di una situazione fiorentina che sinceramente ve lo dico con franchezza è imbarazzante…».

Interviene anche l’ ex consigliere Csm, Luigi Spina: «Cioè, l’ unico che se ne va… e noi te lo dobbiamo togliere dai coglioni il prima possibile». Un altro interlocutore domanda: «Ma non ha fatto domanda per Torino Creazzo?» E Lotti, evidentemente informato, assicura: «No, no». Palamara spiega dall’ alto della sua esperienza: «Se lo mandi a Reggio liberi Firenze». E Lotti: «Se quello di Reggio va Torino, è evidente che questo posto è libero. E quando lui capisce che non c’ è più posto per Roma, fa domanda (per Reggio Calabria, ndr) e che se non fa domanda non lo sposta nessuno, ammesso che non ci sia, come voi mi insegnate… (voce fuori campo interviene: «un altro motivo». E Luca ragiona: «A norma di regolamento un altro motivo». Il riferimento sembra all’ esposto che dovrebbe affondare Creazzo.

Interviene Ferri: «Ma secondo te poi Creazzo, una volta che perde Roma, ci vuole andà a Reggio Calabria o no, secondo voi?». Palamara taglia corto: «Gli va messa paura con l’ altra storia, no? (…) Liberi Firenze, no?».

Il vero nemico di Luca Lotti e della sua compagnia in quel momento sembra quindi più che il procuratore aggiunto di Roma, Paolo Ielo, il procuratore di Firenze.

In una giornata dominata da evidenti segnali di una crisi di sistema, si è fatto sentire anche il Colle. E lo ha fatto attraverso fonti raccolte dalle agenzie di stampa che hanno specificato che «il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, non ha mai parlato di nomine di magistrati né è mai intervenuto per esse». Una presa di distanza, anche rispetto alle notizie pubblicate da alcuni quotidiani sui contenuti delle ormai famigerate intercettazioni di Perugia, utile a sottolineare «inoltre che la presidenza della Repubblica non dispone di notizie su indagini giudiziarie e che dal Colle non sono uscite informazioni al riguardo».

«Gli interventi messi in atto sono stati di carattere generale, per richiamare il rispetto rigoroso dei criteri e delle regole preposte alle funzioni del Csm». Riguardo, invece, a Luca Lotti, dal Colle evidenziano «che l’ ultimo incontro risale al 6 agosto 2018 quando è cessato dalla carica di ministro». Dunque, non c’ è stata alcuna riunione successiva.

Di ricostruzioni approssimative, che riguardano la presidenza della Repubblica, parla anche chi, in queste ore, ha potuto raccogliere gli sfoghi di Palamara che avrebbe confidato agli amici di «non aver mai sparso veleni sul Quirinale» come «ho dettagliato nel mio interrogatorio», reso nei giorni scorsi a Perugia.

https://infosannio.wordpress.com/2019/06/13/come-volevano-silurare-il-pm-del-caso-renzi/

giovedì 13 giugno 2019

Disastro nucleare alla HBO. - Dimitry Orlov



Non vi è alcun motivo particolare per cui dovreste saperlo, ma HBO, in collaborazione con British Sky, ha creato una miniserie sul disastro di Chernobyl. Non l’ho vista, ma ho letto tutta una serie di analisi e discussioni da parte di quelli che lo hanno fatto, e che, per loro formazione professionale, possono parlare con cognizione di causa del disastro di Chernobyl. Sulla base del loro verdetto collettivo, io non la guarderò, perché, in pratica, è una schifezza e so come impegnare molto meglio il mio tempo. Così dovreste fare voi. La miniserie non è interessante; ciò che vale invece la pena capire è perché e come è stata realizzata. Armati di questa consapevolezza, sapremo che cosa cercare.
Prima di tutto, cominciamo con il dire che HBO e Sky non sono altro che divisioni minoritarie all’interno di due enormi conglomerati dedicati all’intrattenimento di massa, WarnerMedia (del valore di 85,4 miliardi di dollari) e Comcast (del valore di 187 miliardi di dollari). Se questa miniserie fosse un prodotto della propaganda russa, ordinato dal Cremlino, allora sarebbe stata realizzata da entità di proprietà statale, come VGTRK e Primo Canale; ma gli Stati Uniti (e la sua sussidiaria britannica) sono gestiti da un’oligarchia che produce la propria propaganda tramite entità societarie private. In ogni caso, sempre di un esercizio di propaganda si tratta, ed è molto interessante chiedersi: cosa viene propagandato e a quale scopo?
La sceneggiatura sembra essere basata sul libro Chernobyl Prayer di Svetlana Alexievich, una scrittrice di romanzi bielorussa che però scrive in russo. Anche se, secondo Wikipedia, la signora sarebbe una giornalista investigativa ed una storiografa, il suo vero genere letterario è una sorta di fantasy storica/macabra, tendenziosamente anti-russa. Fa abbastanza presa su coloro che amano farsi manipolare a livello emotivo, ma assai poco su quelli che godono di una prospettiva equilibrata ed obiettiva. Certo, l’insensato e sanguinoso caos, parto di una scrittrice egocentrica, potrebbe anche essere visto come un altruistico gesto di eroismo patriottico da parte di uomini i cui sacrifici avevano costruito e preservato la grande nazione russa. Oh, ma la Alexievich non è neanche russa, ha giusto preso in prestito la lingua e la cultura della Russia per fare un po ‘di soldi.
Un altro dei suoi libri era imperniato sul conflitto afgano ed era stato ampiamente screditato da quelli che vi avevano effettivamente partecipato. Lo aveva scritto dopo una visita di soli 20 giorni a Kabul, cinque mesi prima del ritiro sovietico dall’Afghanistan, ed era tutta una finzione, praticamente dall’inizio alla fine. Ma la russofobia paga (in Occidente) e la Alexievich aveva ricevuto il premio Nobel per la letteratura (da sempre assai politicizzato). Quasi come un omaggio, suppongo, la Alexievich è stata inserita direttamente nella sceneggiatura della miniserie della HBO, con la creazione del personaggio di Ulyana Khomyuk, una sorta di Erin Brokovich ucraina.
La miniserie è stata elogiata per la sua attenzione ossessiva-compulsiva ai dettagli dello stile di vita tardo-sovietico. Apparentemente, nessuno sforzo è stato risparmiato nella ricerca degli oggetti di scena nei mercatini delle pulci di tutta la Bielorussia e dell’Ucraina, e coloro che avevano vissuto nell’URSS durante quel periodo sono rimasti impressionati dalla verosimiglianza della ricostruzione. Ma qui è dove finisce il valore intrinseco dello spettacolo; il resto è una litania di menzogne, come attesta il lunghissimo elenco di palesi invenzioni e distorsioni compilato dai numerosi analisti che hanno un’esperienza profonda e diretta del disastro. Non posso raccomandarvi di guardarla; io so che non lo farò. Come ho già detto, lo spettacolo in sé non ha importanza; ciò che importa è perché è stato creato e che cosa significa.
Sulla base di tutte le mie ricerche, i grandi disastri nucleari sono raramente degli incidenti. Quelli veramente accidentali vengono tenuti nascosti; quelli che non lo sono vengono ampiamente pubblicizzati. Probabilmente avrete sentito parlare di Three Mile Island, Chrernobyl e Fukushima; ma avete mai sentito parlare dell’incendio del reattore di Windscale a Sellafield, nel Regno Unito, nel 1957? Aveva bruciato per tre giorni e diffuso contaminanti radioattivi in tutta la Gran Bretagna e in Europa. Quello era stato un vero incidente: qualcuno si era dimentiticato di accendere le ventole di raffreddamento, e qualcun’altro aveva preferito starsene seduto a bere il tè, invece di rispondere ad un allarme.
Per quanto riguarda gli altri tre, un forte sentore di mistero li circonda. Nel caso di Three Mile Island, le valvole che controllavano il flusso di un circuito di raffreddamento secondario erano inspiegabilmente rimaste chiuse per diversi turni di lavoro. Quando si era verificata una condizione di sovratemperatura, il reattore aveva dovuto essere spento in fretta, e così era stato. Tuttavia, gli operatori avevano continuato a trafficare con le pompe del circuito di raffreddamento fino a quando le parti superiori delle barre di combustibile erano rimaste scoperte ed esposte all’aria e si erano surriscaldate, rilasciando idrogeno e isotopi radioattivi gassosi nella struttura di contenimento del reattore. Gli operatori avevano quindi scaricato il gas radioattivo in un serbatoio di espansione all’esterno della struttura di contenimento, ma la sua valvola di sfiato era rimasta aperta e lo sfiato era andato avanti fino al completo svuotamento nell’atmosfera del serbatoio di espansione. Il risultato era stata una scoreggia radioattiva di piccole dimensioni, troppo piccola per essere misurata in modo certo al di sopra della radiazione di fondo e decisamente troppo esigua per avere effetti verificabili sulla salute pubblica.
Quando si incrociano le probabilità dell’intera cascata di eventi che aveva causato quel piccolo peto radioattivo, si ottiene una probabilità talmente piccola per tutto l’evento che va al di là dell’immaginabile. Allo stesso tempo, si era fatto di tutto per portare la popolazione in uno stato di panico e per provocare un’evacuazione del tutto inutile, durante la quale 17 persone erano morte in incidenti stradali mentre fuggivano terrorizzate. Come sempre, è utile chiedersi: cui bono? Chi aveva beneficiato di questo ridicolo esercizio, dove prima si mette in scena un imprevisto e improbabile incidente, per poi pubblicizzarlo con l’obiettivo di portare il pubblico ad un parossismo di paura e disperazione? La risposta, non sorprende, è che questo sembra essere stato fatto a beneficio della burocrazia federale. Vedete, l’energia nucleare è il settore che è più frequentemente, e con maggior successo, strutturato come monopolio governativo, ma negli Stati Uniti l’ideologia della libera impresa imponeva che [il settore atomico civile] venisse gestito da società private. Affinché il governo federale potesse prendere il controllo dell’industria nucleare (cosa che ha fatto), ha dovuto minare a fondo la fiducia del pubblico nell’industria nucleare privatizzata (cosa che ha fatto).
Adesso diamo un’occhiata a Fukushima. Lì, tre reattori erano in funzione al momento del terremoto e dello tsunami, e tutti e tre erano stati fermati con successo. Tuttavia, nei giorni successivi, tutti e tre i reattori si erano fusi, più o meno uno al giorno. La ragione addotta per queste fusioni era stata la mancanza di energia elettrica per l’alimentazione delle pompe dell’impianto di raffreddamento, perché la rete elettrica era fuori uso e i generatori diesel di riserva erano stati allagati dallo tsunami.
Ma c’è di più in questa storia. Ecco alcuni punti chiave da considerare:
• Le centrali nucleari sono costruite con una grande quantità di cemento, tondini, lamiera d’acciaio ed altri materiali molto resistenti che possono sopportare qualsiasi tsunami; ma le porte dell’edificio che conteneva i generatori diesel erano fatte di … compensato! Esatto, erano state progettate specificamente per essere sfondate al primo getto d’acqua. Anche uno schermo scorrevole di carta di riso oleata con un disegno del Monte Fuji sarebbe stato altrettanto utile.
• I motori diesel funzionano anche se completamente sommersi, a condizione che le prese d’aria siano dotate di snorkel e non sono troppo difficili da riavviare, anche dopo essere stati allagati. Se sono disponibili serbatoi di aria compressa, possono essere riavviati anche senza elettricità. Ma, in questo caso, i pannelli elettrici di commutazione (che non funzionano molto bene sott’acqua) erano stati installati nel seminterrato, che si era allagato.
• I terremoti che si verificano in natura generano al sismografo un tracciato caratteristico: iniziano a bassa intensità e poi aumentano, man mano che il substrato roccioso si muove e prende velocità. Le esplosioni nucleari, al contrario, iniziano con un big bang istantaneo e poi si smorzano, quando le onde d’urto si allontanano dall’epicentro. Il terremoto di Fukushima è una sovrapposizione dei due tracciati: assomiglia ad una bomba nucleare di profondità che scatena un terremoto … che produce uno tsunami che sommerge Fukushima (che era stata accuratamente predisposta proprio per questo evento).
All’epoca del terremoto e dello tsunami, la portaerei americana USS Ronald Reagan stava navigando al largo, vicino all’epicentro del terremoto, e un gruppo di marinai aveva subito un avvelenamento da radiazioni (e in seguito aveva citato in giudizio il governo degli Stati Uniti, ottenendo un indennizzo monetario per il danno subito).
Al momento del disastro di Fukushima, un notevole rilascio di cesio 137 radioattivo era stato monitorato da un satellite, e la posizione dell’emissione non era incentrata su Fukushima, ma diverse centinaia di miglia al largo, vicino all’epicentro del terremoto. Da lì si era diffuso in tutto il pianeta. I calcoli hanno mostrato che i reattori di Fukushima non potevano produrre la quantità rilasciata di Cs-137; questa avrebbe richiesto l’uso di un ordigno nucleare.
Inoltre, al momento del disastro di Fukushima, l’industria nucleare statunitense si trovava di fronte ad una grave carenza di uranio arricchito. Durante gli anni precedenti aveva utilizzato il combustibile ad ossidi misti fornitole dalla Russia come parte integrante del programma megatoni-megawatt, in cui la Russia riciclava il suo eccesso di plutonio mescolandolo con uranio e cedendolo agli Stati Uniti dietro modesto compenso; questo programma era però destinato a terminare. Nel frattempo, lo sforzo per la costruzione negli Stati Uniti di strutture per l’arricchimento dell’uranio non aveva avuto successo (i precedenti metodi basati sulla diffusione non erano più praticabili, mentre le centrifughe a gas sono molto difficili da progettare).
Se le centrali nucleari negli Stati Uniti non avessero potuto essere rifornite (e ce ne sono un centinaio), allora gli Stati Uniti si sarebbero trovati a dover affrontare gravi blackout. Ma il Giappone disponeva di una capacità di generazione di riserva, basata sui combustibili fossili, equivalente alla sua produzione nucleare, e perciò le sue centrali nucleari potevano essere chiuse senza causare blackout. Gestire una crisi del genere su basi commerciali avrebbe comportato un aumento esorbitante dei costi energetici, innescando un’ondata di fallimenti e provocando un collasso finanziario.
 Gli Stati Uniti hanno già bombardato una volta il Giappone con le atomiche, quindi esiste un precedente. Il drammatico e superpublicizzato disastro di Fukushima ha portato l’opinione pubblica giapponese ad essere estremamente avversa all’uso dell’energia nucleare, risolvendo in modo elegante il problema [per gli USA] della carenza di uranio arricchito.
Ora passiamo al disastro di Chernobyl. E’ stato di gran lunga il peggior incidente nucleare della storia, perché, in questo caso, l’intero contenuto di un reattore nucleare era stato esposto all’atmosfera, diffondendo una contaminazione radioattiva a lunga emivita su un’area molto vasta. E, ancora una volta, la teoria dell’incidente è significativamente più debole di quella che presuppone che non si sia trattato di un incidente. Ecco alcuni punti che ci aiuteranno a valutare la situazione.
Per semplificare, i reattori nucleari sono come le automobili: sicuri se gestiti in sicurezza, palesemente pericolosi in caso contrario. Se durante un tragitto in autostrada, lasciate il volante e schiacciate l’acceleratore, c’è un’ottima possibilità che possiate schiantarvi e prendere fuoco. Sono i vostri input di controllo che impediscono alla macchina di “diventare critica.” La stessa cosa capita con un reattore nucleare; input di controllo tempestivi e corretti impediscono che possa esplodere.
I reattori nucleari sono un po ‘più complicati da gestire delle automobili. Con le macchine, ogni volta che si pigia sull’acceleratore o sul freno, l’effetto è sempre lo stesso. Ma i reattori nucleari sono dotati di memoria e possono essere in un numero qualsiasi di stati, sulla base di come erano stati fatti funzionare in precedenza. Mentre gran parte della potenza che generano deriva dal decadimento nucleare di uranio e plutonio, una frazione molto importante proviene dal decadimento degli elementi più leggeri generati nel processo, ciascuno con un diverso insieme di caratteristiche ed emivite. Continuando la nostra analogia con l’automobile, in alcune condizioni, improvvisamente, il pedale dell’acceleratore farà esplodere la vostra auto. [Per evitarlo] dovrete accelerare molto lentamente e delicatamente, tenendo d’occhio l’indicatore della temperatura.
A differenza di un’auto, un reattore nucleare non ha l’acceleratore e i freni; ha solo i freni. Queste sono chiamate barre di controllo e inserendole nel reattore si arresta la reazione, estraendole in modo parziale la si accelera, estraendole completamente e tenendole fuori si otterrà sicuramente un incidente nucleare. Ora, il tipo di reattore nucleare utilizzato a Chernobyl, l’RBMK-1000, aveva una strana caratteristica. Normalmente, se la reazione sta accelerando in modo anomalo, spingere le barre di controllo fino in fondo è un buon sistema per tenerla sotto controllo. Ma con l’RBMK-1000, lo spingere a fondo le barre, in realtà, inizialmente accelerava la reazione. Questo era stato scoperto in un altro RBMK-1000 a Leningrado, 11 anni prima di Chernobyl, dove la fusione completa del nocciolo era stata evitata per pura fortuna. Anche se il rilascio di contaminanti radioattivi era stato da 30 a 50 volte inferiore a quello di Chernobyl, era stato comunque significativo. Ciononostante, non c’era stato alcun clamore, era stato ignorato dai media e l’incidente era stato in gran parte tenuto segreto: un segno sicuro che si era trattato di un vero, e non artificioso, incidente nucleare.
L’esperienza di Leningrado era stata quindi studiata ed erano state messi a punto nuovi standard e procedure operative che avrebbero dovuto evitare il ripetersi dell’errore che aveva provocato l’incidente (la manovra errata era stata spegnere il reattore, poi riavviarlo troppo presto o troppo in fretta, per poi essere costretti a spegnerlo nuovamente). Tuttavia, questo è esattamente ciò che era successo a Chernobyl 11 anni dopo. Diverse persone danno la colpa a vari fattori. Uno di questi era stata la decisione amministrativa di trasferire le centrali nucleari dall’ambito del Ministero dell’Industria Centrale (che si occupava di industria nucleare) al Ministero dell’Energia, che non aveva esperienza di energia nucleare e che aveva messo politici altrettanto inesperti in posizioni di responsabilità nelle centrali atomiche.
L’incidente di Chernobyl è stato il risultato di un esperimento incredibilmente stupido (se si era veramente trattato di un incidente) o moderatamente intelligente (se il disastro era avvenuto come previsto). Aveva praticamente ricalcato la sceneggiatura dell’incidente di Leningrado. Si era verificata anche una vera e propria ingerenza politica: alcune telefonate dal Cremlino avevano costretto a ritardare l’esperimento, facendo in modo che il reattore rimanesse inattivo per un periodo di tempo più lungo del previsto, cosa che aveva reso più probabile un’esplosione al momento del suo veloce riavvio.
Allora, chi erano i traditori che avevano causato il disastro di Chernobyl? Si nascondevano al Cremlino e il loro capo era Mikhail Gorbaciov, che aveva raggiunto il suo più grande successo nella vita quando aveva abbandonato la carica di primo ed unico presidente dell’URSS, mentre i leader nazionalisti la spartivano in 15 pezzi. Aveva però conseguito anche altri importanti risultati, come il ritiro di truppe dall’Afghanistan, in modo tale da rendere quasi inevitabile la diffusione della jihad islamica nelle regioni meridionali della Russia. Ma Chernobyl li aveva sicuramente battuti tutti: cercare di rimediare a quest’unico disastro era costato all’URSS quasi tutto il suo PIL annuale, aveva provocato un enorme danno alla sua reputazione, e la maldestra gestione politica della situazione successiva al disastro era riuscita a far schierare contro il governo sovietico una discreta fetta della popolazione. Quest’ultimo fattore non era stato però un successo completo, come avevano dimostrato i risultati dei vari referendum tenutisi durante la dissoluzione dell’URSS, perché gran parte della popolazione aveva votato per preservarla. Ma i desideri della gente erano stati vanificati dai … traditori.
E questo ci porta alla domanda finale: cosa indurrebbe due enormi conglomerati occidentali dell’intrattenimento di massa ad impegnare un capitale enorme in una miniserie relativamente oscura e impopolare, che è essenzialmente un film horror nucleare tagliato su misura per diffamare la Russia? Certo, il trentesimo anniversario del disastro è veramente un anniversario, ma cosa c’è d’altro? Qui, i fatti rilevanti sembrano essere i seguenti.
Tutto l’Occidente ha praticamente perso la capacità di costruire centrali nucleari. L’unica nuova centrale nucleare europea ad essere stata completata è in… Cina, e il progetto è stato portato a termine solo grazie ad uno stuolo di specialisti cinesi che hanno documentato e rettificato tutti gli errori commessi dagli Europei in Francia in un reattore simile, non ancora operativo. Un altro progetto simile, in Finlandia, non è ancora stato completato. Tutti e tre questi progetti hanno visto ritardi esecutivi assolutamente strabilianti (di un decennio o più) e superamenti dei costi veramente ridicoli. Un altro paio di progetti negli Stati Uniti stanno anch’essi languendo in uno stato di non completamento (il Dipartimento dell’Energia ha recentemente elargito un po’ più di fondi federali a quello in Georgia).
Sebbene il danno causato alla salute umana e all’ambiente dall’energia nucleare sia di parecchi ordini di grandezza inferiore a quello causato dalla combustione dei combustibili fossili, l’energia nucleare è assai impopolare in Occidente e, vista l’esperienza di Fukushima, in Giappone, la Germania ha chiuso le sue centrali nucleari. La Francia fa ancora affidamento sulle sue, a cui è legata una gran percentuale della produzione di energia elettrica, ma, a questo ritmo, il suo parco di reattori obsoleti non sarà sostituito in tempo. Gli esperimenti con le energie rinnovabili hanno, per ora, portato ad un rialzo delle bollette, danneggiando la competitività dell’industria europea. In breve, l’Europa non dispone di buone opzioni per quanto riguarda la produzione di energia elettrica.
Nel frattempo, la Rosatom russa ha perfezionato l’ultimo VVER-1200 ed è completamente impegnata a costruire, alimentare e gestire centrali nucleari in tutto il pianeta. Dal momento che i reattori nucleari ogni tanto avrebbero tendenza a fondere, quelli russi più recenti sono dotati di un serbatoio di fusione che blocca la reazione e rende più facile la bonifica, quindi, non più “sindrome cinese.” E, dal momento che il combustibile nucleare può rimanere scoperto e sviluppare idrogeno, i nuovi reattori sono dotati di depuratori catalitici per l’idrogeno installati nella parte superiore della struttura di contenimento, quindi, non più esplosioni di idrogeno. Rosatom ora possiede qualcosa come i 2/3 del mercato globale per i nuovi progetti di energia nucleare. Anche la Cina ha un programma molto ambizioso per incrementare la propria capacità di generazione nucleare. Aggiungete a questo il fatto che la Russia ha messo a punto due importanti innovazioni tecnologiche nucleari.
Il primo successo è stato quello di rendere operativo un reattore autofertilizzante: il BN-800 è utilizzato commercialmente a Beloyarskaya AES dall’ottobre del 2016. Si tratta di un tipo di reattore che produce il combustibile che utilizza (e anche di più) dall’estremamente abbondante, ma generalmente inutile, uranio 238. Tutti quelli che avevano tentato di perfezionare questa tecnologia (Stati Uniti, Francia e Giappone) avevano fallito e avevano rinunciato. È una svolta chiave, perché risolve due problemi principali: mitiga la carenza di uranio naturale 235 e risolve il problema dei rifiuti nucleari radioattivi a lunga emivita, che i reattori di tipo BN possono bruciare fino a quando diventano abbastanza innocui da poter essere interrati.
La seconda svolta è l’introduzione del ciclo nucleare chiuso. Chi acquista combustibile nucleare da Rosatom non deve preoccuparsi di che cosa farsene del combustibile esaurito: dopo un periodo di raffreddamento, Rosatom riprende le barre di combustibile e le riprocessa. Il combustibile esaurito viene polverizzato e gli elementi utili vengono estratti, arricchiti, ricombinati e utilizzati per realizzare nuove barre di combustibile. Mentre il flusso costante di centrali nucleari occidentali che vengono chiuse e smantellate sta per trasformarsi in un’alluvione, un semplice contratto con Rosatom per la rimozione del combustibile esaurito fornisce una buona soluzione dove prima non ce n’erano, abbassando i costi di decommissionamento a numeri che i bilanci nazionali possono ragionevolmente sopportare.
Quindi, cosa rimane da fare ai propagandisti occidentali che sono consapevoli di un Occidente che langue senza alternative energetiche, mentre i programmi nucleari di Russia e Cina stanno sempre più accelerando? Naturalmente, la scelta è ovvia: realizzare uno pseudo-documentario basato sulla finzione fantasiosa di un Premio Nobel con russofobia di Grado A, in modo da screditare in un colpo solo la Russia e la sua industria nucleare! La concorrenza leale è troppo antiquata. In Occidente, il nuovo modo di vincere (o tentare, ma fallire) è demolire i concorrenti globali usando tutto quello che serve: sanzioni, menzogne, campagne diffamatorie … film horror nucleari.
Mentre alcuni paesi sono abbastanza ricchi da poter produrre film horror nucleari ad alto budget, altri non sono così fortunati. Ad esempio, l’Ucraina è troppo indigente per fare qualsiasi cosa di artistico ad un simile livello, ma questo paese disgraziato, che cerca in tutti i modi di essere un Dr. Male americano in miniatura, potrebbe effettivamente provare a catturare un po’ dell’attenzione internazionale (e anche qualche aiuto, in modo che i suoi oligarchi lo possano rubare) mettendo in scena un “incidente” atomico. Ha ancora una dozzina circa di reattori nucleari che producono la maggior parte della sua energia elettrica e che sono (orrore degli orrori!) russi. Beh, no, in realtà sono sovietici: sono molto vecchi e dovrebbero essere chiusi definitivamente nel giro di un paio d’anni. Speriamo che i reattori nucleari ucraini vengano fermati e messi fuori servizio in sicurezza (un bel problema in un paese che, a quel punto, non avrà una rete di distribuzione elettrica). Ma, se dovesse succedere una Chernobyl 2.0, per favore, non andare in giro a sostenere che si è trattato di un incidente!
Dmitry Orlov
Fonte: cluborlov.blogspot.com
Link: http://cluborlov.blogspot.com/2019/06/nuclear-meltdown-at-hbo.html
11.06.2019
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org