Visualizzazione post con etichetta collaboratori. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta collaboratori. Mostra tutti i post

martedì 11 novembre 2025

Ucraina: le inchieste sui leader, il disastro incombente, le diserzioni.

 

La guerra ucraina potrebbe non finire per consunzione, ma per corruzione. Più un auspicio che altro, che però discende da un fatto dirompente: l’inchiesta che sta agitando i vertici della leadership ucraina e che lambisce lo stesso Zelensky e che, se non sarà insabbiata, potrebbe dar luogo a sviluppi imprevedibili.

Si tratta di una delle tante inchieste per corruzione che in questi anni hanno posto fine a carriere e ristretto politici, funzionari e militari nelle patrie galere, ma che stavolta interessa “Timur Mindich, stretto collaboratore del presidente, descritto dai media come il supervisore per le politiche energetiche di Volodymyr Zelensky”.

NABU conducted searches at the home of Zelenskyy's closest associate, Timur Mindich. What is known?

Ne riferisce Strana raccontando l’inchiesta della NABU, l’ufficio preposto alla corruttela poilitica, che finora è corsa sottotraccia e che Zelensky aveva tentato di insabbiare ponendo la NABU sotto la sua giurisdizione e fallendo nel tentativo. Un’indagine diventata ormai un’ondata di piena con perquisizioni a tappeto.

Anche se l’indagato eccellente, Mindich, ha avuto il tempo di rifugiarsi all’estero, gli inquirenti, come comunicato della SABU, hanno nelle loro mani “1.000 ore di registrazioni audio” accumulate in “15 mesi di lavoro”. Non è azzardato immaginare che nelle intercettazioni vi siano anche le conversazioni tra Mindich e il presidente.

Un altro fronte di fibrillazione per la leadership ucraina riguarda il sabotaggio del Nord Stream 2. Il Wall Street Journal riferisce i risultati dell’inchiesta tedesca, secondo la quale l’ordine fu dato da Zelensky e portato a segno da Valeriy Zaluzhny, allora comandante dell’esercito di Kiev, il quale avrebbe disobbedito alla Cia che aveva posto il veto.

The Nord Stream Investigation That’s Splintering Europe Over Ukraine

Al di là dell’intento manifesto di scagionare l’America da un attentato contro l’infrastruttura dell’alleato teutonico, è probabilmente vero che la Cia, o parte del potere Usa di allora, si opposero, com’è plausibile che Zaluzhny abbia agevolato l’operazione segreta condotta dalla Nato su supervisione di liberal-neocon Usa e Gran Bretagna (gli ucraini non hanno le capacità per fare tale operazione).

Resta che è importante che dagli Usa si voglia compromettere Zaluzhny in questa vicenda, a cui certo non è estraneo, perché i fautori della guerra infinita accarezzano l’idea di sostituire Zelensky con lui. Infatti, se vero, come scrive il WSJ, che l’esito dell’inchiesta potrebbe alienare parte delle simpatie dell’Occidente da Kiev, ne soffrirebbe anche l’ex generale e attuale ambasciatore ucraino a Londra.

Così le due inchieste potrebbero travolgere entrambi i duellanti e forse portare sugli scudi  qualcuno più consono alle aspettative dell’attuale amministrazione Usa, la quale ritiene di aver incassato abbastanza dal conflitto – sia in termini economici (guadagni astronomici dell’apparato militar industriale) sia in termini geopolitici (la sudditanza della Ue agli Usa) – e che proseguirlo mette a rischio il lucro conseguito, dal momento che il destino manifesto della guerra è la sconfitta strategica dell’Occidente.

Di tale esito scrive Ted Snider su Antiwar che spiega come la nebbia narrativa su quanto sta accadendo a Pokrovsk impedisce di vedere la portata del disastro che incombe su Kiev. Ormai i russi controllano l’80% della città e le estremità delle tenaglie “si stanno progressivamente stringendo intorno a Pokrovsk e ora sono distanti solo un chilometro, un varco difficile e pericoloso da attraversare anche per i migliori paracadutisti ucraini”.

“Sebbene l’Ucraina continui a negare l’accerchiamento incombente, ammettendo solo che la situazione è ‘difficile’, la narrazione non cambierà la realtà sul campo di battaglia. L’Euromaidan Press ucraino afferma che Pokrovsk ‘rischia di diventare un cimitero per i migliori soldati ucraini’. Il Kyiv Independent ritiene che ‘salvare la città dalla caduta a breve sembra un compito arduo e probabilmente impossibile'”.

What we know now about the 'encirclement' of Ukraine's Pokrovsk

Inutile soffermarsi poi sulle esagerazioni riguardo le asserite perdite dei russi, ormai usuali insieme alla minimizzazione delle perdite ucraine, più interessente il proseguo dell’articolo, che demolisce le analisi dei media sull’insignificanza della perdita della città.

Infatti, “la perdita di Pokrovsk – scrive Snider – significa non solo la perdita di un nodo strategico fondamentale per l’approvvigionamento delle forze ucraine a Est, ma anche la possibile perdita del controllo della linea difensiva ucraina delle fortificazioni collegate di Donetsk”.

Inoltre, i media occidentali, concentrandosi esclusivamente su Pokrovsk, trascurano “il quadro più ampio: le forze armate russe sono entrate o hanno parzialmente circondato diverse città di Donetsk, minacciando un accerchiamento più ampio dell’area”.

Inoltre, i media eludono il fatto che “le forze armate ucraine non sono state in grado di lanciare nessuna offensiva nel 2025. Queste due realtà del teatro di guerra si combinano per creare un contesto più ampio, ancora più allarmante. Tutto ciò, infatti, suggerisce che la guerra di logoramento russa ha esaurito le truppe ucraine al punto che non sono più in grado né di attaccare né di difendersi”.

A rivelare che la situazione è “disperata” anche l’incremento della diserzione. Per ovviare al fuggi fuggi sempre più massivo “l’Ucraina ha fatto ricorso alla mobilitazione forzata: gli uomini sono rapiti, spesso in modalità aggressiva, contro la loro volontà e portati nei centri di reclutamento per poi essere condotti sul campo di battaglia con pochissimo addestramento”.

Una volta al fronte, però, disertano a frotte: “Sebbene sia stato poco riportato dai media mainstream, solo nei primi mesi del 2025 più di 110.000 soldati ucraini hanno disertato, cioè circa il 20% delle forze armate. Dall’inizio della guerra il numero delle diserzioni potrebbe aver raggiunto le 200.000 unità e peggiora di mese in mese”.

“I media occidentali – conclude Snider – appaiono complici nel rilanciare il messaggio fuorviante di Kiev, teso a mantenere alto il morale e il flusso di armi occidentali. Ma, sebbene la narrazione possa essere abbastanza forte da trarre in inganno l’opinione pubblica che si fida dei giornali, non è abbastanza forte da alterare la realtà. L’Ucraina sta ricorrendo a misure più disperate nel tentativo di affrontare la situazione disastrosa del teatro di guerra, nel quale non ha più abbastanza uomini per passare all’offensivao difendersi e con i soldati che disertano con la stessa rapidità con la quale vengono uccisi”. Urgono quei negoziati che il partito della guerra sta sabotando dall’aprile del 2022 (vedi Foreign Affairs).

***** 

Piccolenote è collegato da affinità elettive a InsideOver. Invitiamo i nostri lettori a prenderne visione e, se di gradimento, a sostenerlo tramite abbonamento.

https://www.piccolenote.it/mondo/ucraina-le-inchieste-sui-leader-il-disastro-incombente-le-diserzioni

giovedì 20 agosto 2020

Fontana boys: Russia e ombre di riciclaggio. - Stefano Vergine

Fontana boys: Russia e ombre di riciclaggio

“Se Attilio lo vorrà, andremo avanti” con una ricandidatura alla guida del Pirellone nel 2023. Non è bastato il modo in cui ha gestito l’emergenza Covid, non è stato sufficiente lo scandalo dei camici forniti dall’azienda di famiglia, non l’ha scalfito nemmeno la notizia dei quasi 5 milioni di euro parcheggiati su un conto svizzero. Quando si parla di Fontana, Matteo Salvini lo difende sempre. Tanto da averlo già ricandidato alla presidenza della Lombardia per silenziare chi, anche all’interno del partito, immaginava un cambio della guardia. Per capire perché Salvini difende così strenuamente Fontana, basta guardare chi sono i collaboratori più stretti del governatore. Tutti salviniani di strettissima fede. I loro profili spiegano più di mille teorie perché il leader leghista non può scaricare il presidente lombardo.
GIULIA MARTINELLI Ogni pratica importante passa sul suo tavolo. Per questo al Pirellone tutti la chiamano “la zarina”. Giulia Martinelli, 41 anni, è l’ex compagna di Matteo Salvini e madre di una delle sue figlie. Laureata in Legge, comasca, appena finito il praticantato da avvocato ha iniziato a lavorare nel settore pubblico. Subito, e quasi sempre, come dirigente in quota Lega. Prima per alcune Asl lombarde e poi, dal 2014, direttamente per la Regione grazie alla chiamata dell’ex assessore Cristina Cantù, oggi senatrice salviniana. Incarichi a cui, l’anno scorso, si è aggiunto quello di consigliere e membro del comitato esecutivo della Fiera di Milano. Tutto merito di Matteo? Macché, rispose il leader leghista un anno fa ai cronisti: “È lì perché è brava”. Tanto brava che nell’aprile 2018 è diventata responsabile della segreteria di Fontana: la porta girevole tra il governatore e il suo sponsor politico numero uno. Nella testimonianza alla Procura di Milano, che indaga Fontana per la fornitura dei camici affidata in via diretta all’azienda controllata dal cognato e dalla moglie, la zarina ha detto che Fontana rimase “sbigottito” quando lei lo informò della vicenda.
MAX FERRARI Massimiliano Ferrari, per i leghisti che lo conoscono Max, è stato scelto come consulente personale di Fontana in Regione. L’incarico ufficiale prevede che il 49enne di Malnate (Varese) si occupi di “affari internazionali”, con una paga di 35mila euro annui. D’altra parte lui si definisce “responsabile affari esteri della Lega in Lombardia”. Ex direttore di Telepadania, vanta un curriculum costellato di incarichi in società private controllate dal pubblico. Cioè dalla Lega: da Infrastrutture Lombarde fino a E-Vai, la società di Ferrovie Nord che affitta auto elettriche. Poliglotta autodichiarato, capace di passare dal cinese al russo fino al thailandese, Ferrari fa parte del gruppetto di leghisti che nel 2014, su iniziativa di Gianluca Savoini, fondarono l’associazione Lombardia-Russia. Fu quello il primo punto di contatto fra Salvini e l’amico Vladimir, l’avvio formale dell’avvicinamento della nuova Lega a Putin. I viaggi a Mosca, le interviste su Sputnik, le comitive di imprenditori italiani portati in Crimea e nel Donbass per legittimare le conquiste territoriali del presidente russo. Per la Lega, con Bossi sempre fedele all’allenza con gli Stati Uniti, una svolta geopolitica culminata con la trattativa all’Hotel Metropol.
GIANLUCA SAVOINI È stato lui a negoziare con alcuni uomini russi vicini al Cremlino un finanziamento milionario per la Lega in vista delle elezioni europee del 2019. La trattativa del Metropol, e la conseguente inchiesta della Procura di Milano per corruzione, non sono evidentemente bastati a Fontana per prendere le distanze da Gianluca Savoini. L’ex portavoce di Salvini risulta ancora oggi vice presidente del Corecom, il comitato regionale per le comunicazioni della Lombardia, organismo controllato direttamente dal Pirellone. A ottobre del 2019, quando lo scandalo del Metropol era ormai già noto a tutti, il Consiglio regionale della Lombardia ha infatti respinto con voto segreto una mozione del Pd che chiedeva le dimissioni di Savoini. Non è chiaro invece se l’uomo al centro del Russiagate italiano sia ancora consulente di Ferrovie Nord, società controllata da Regione Lombardia. Di certo lo è stato per almeno un anno, a partire da giugno del 2018. Un incarico affidatogli proprio nei mesi in cui l’ex portavoce di Salvini si dava un gran da fare per ottenere segretamente un maxi finanziamento russo per la Lega.
GIACOMO STUCCHI Cinque anni alla presidenza del Copasir non si dimenticano facilmente. E infatti non se lì è dimenticati neanche lui, Fontana, l’uomo che dice di non essersi proprio accorto di aver affidato all’azienda di famiglia una fornitura da mezzo milione di euro (trasformata in seguito in donazione). Sbadato sì, il governatore, ma non imprudente. Tanto da aver scelto Giacomo Stucchi come consulente personale per “trasparenza, legalità e cyber-security2. Bergamasco classe 1969, parlamentare per oltre vent’anni, nemmeno Stucchi si deve essere reso conto che Regione Lombardia stava per affidare una commessa al cognato del presidente. Chissà se per questa distrazione Fontana deciderà di tagliargli il compenso: 40mila euro all’anno pagati al raggiungimento degli obiettivi, si legge sul sito della Regione. Stucchi potrà compensare l’eventuale riduzione della paga pubblica con i redditi privati. L’ex presidente del Comitato Parlamentare per la Sicurezza è infatti azionista della Sigima Srl, una società che si occupa proprio di cyber sicurezza, si rivolge ad aziende pubbliche e private. E sul proprio sito si descrive così: “Potremmo definirci dei ‘facilitatori’, gente abituata ad aiutare soggetti diversi a risolvere problemi delicati”. Fontana, in questo momento, ne ha proprio bisogno.
GIOVANNI MALANCHINI Bergamasco, 46 anni, Giovanni Malanchini è forse il meno conosciuto degli angeli custodi inviati da Salvini per vigilare su Fontana. Eppure il suo rapporto con il leader leghista da qualche anno è molto solido, anche grazie all’intercessione del responsabile del partito in Lombardia, Paolo Grimoldi. Segretario di Fontana fin dal giorno del suo insediamento alla presidenza, consigliere regionale e responsabile nazionale degli Enti Locali della Lega dal 2015, al Pirellone Malanchini lavora spalla a spalla con Giulia Martinelli. Il suo nome compare in alcune relazioni della Uif di Banca d’Italia, quelle che cercano di ricostruire che fine hanno fatto i 49 milioni della Lega. Tra il 2016 e il 2018 Malanchini ha ricevuto circa 73mila euro da Andrea Manzoni, uno dei due commercialisti salviniani indagati per peculato dalla procura di Milano nell’affaire Lombardia Film Commission.