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domenica 18 settembre 2022

Impianto fotovoltaico, è questa la durata media dei pannelli. - Paola Ferraro

 

Gli impianti fotovoltaici sono un’importante innovazione tecnologica ormai consolidata, ma quale è la loro durata nel tempo? Andiamo a scoprirlo.

Impianto fotovoltaico è sinonimo di risparmio energetico e di energia pulita. Si è rivelato una delle risposte più significative ai problemi contestuali al nostro ultimo periodo storico relativi all’aumento indiscriminato dei prezzi di luce e gas. Mentre rispondeva già da tempo al problema annoso della salute del nostro pianeta.

Non essendo una completa novità nel panorama delle energie rinnovabili, il fotovoltaico ora inizia ad avere qualche anno ed è lecito farsi qualche domanda rispetto alla sua durata di efficienza nel tempo. Alcuni impianti sono stati installati anche un paio di decenni fa e funzionano a pieno regime continuativamente. Quale è il loro ciclo di vita?

Che l’installazione di un impianto fotovoltaico consenta di ottenere notevoli risparmi sui costi energetici è un dato di fatto incontrovertibile. Anche se è necessario attendere i tempi per ammortizzare l’investimento iniziale, ormai molto più contenuto, ma sempre cospicuo. L’altro aspetto da valutare attentamente è la durata dei pannelli solari rispetto al loro utilizzo.

In media un sistema fotovoltaico è garantito per una durata di circa 25 anni. Longevità superiore dunque a qualsiasi altro tipo di generatore di energia rinnovabile e non. Ciclo di vita importante che rende davvero conveniente l’installazione di questi straordinari gioielli del panorama delle energie rinnovabili.

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La lunga durata consente l’ammortamento dei costi sostenuti inizialmente per la posa, senza contare i benefici per l’ambiente. Il contributo che si pone in essere si inserisce nel circolo virtuoso della produzione di energia pulita e perché no nel rendersi totalmente indipendenti dai fornitori.

Gli esempi di longevità di impianti fotovoltaici sono numerosi. Il primo è stato quello installato sull’isola di Vulcano alle Eolie. L’impianto di circa 30 anni fa è ancora attivo con un rendimento soddisfacente per il fabbisogno elettrico dell’isola. La produzione energetica aveva avuto un calo del solo 6% dopo i primi 20 anni di vita a pieno regime.

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Occorre fare una precisazione quando ci riferiamo alla durata dei pannelli con il termine “vita utile”. Poichè la durata di produzione di energia per i pannelli è notevolmente lunga, ma bisogna tenere conto in modo specifico del periodo in cui è conveniente il sistema lasciato in funzione. Vale a dire l’arco temporale in cui energia prodotta e risparmio collegato coprono i costi di esercizio e manutenzione.

La manutenzione è importantissima per la corretta funzionalità dei pannelli fotovoltaici. La pulizia periodica dalla sporcizia e dalle polveri sottili che inevitabilmente si depositano sui moduli è raccomandata per salvaguardare efficienza e ridurre il deterioramento, garantendo la durata nel tempo ottimale.

https://www.orizzontenergia.it/2022/09/15/impianto-fotovoltaico-durata-media-pannelli/

sabato 10 ottobre 2020

Per ridurre le emissioni il nucleare è sette volte meno efficace delle fonti rinnovabili. -

 

Rinnovabili battono nucleare di sette lunghezze: i risultati di uno studio britannico che ha analizzato 25 anni di produzione elettrica ed emissioni di CO2 in 123 paesi.

Le energie rinnovabili sono notevolmente più efficaci del nucleare nel ridurre le emissioni di carbonio derivanti dalla produzione di energia elettrica.

E le due tecnologie tendono ad ostacolarsi a vicenda, se considerate in un approccio congiunto. Lo spiega un nuovo studio britannico.

Le energie rinnovabili sono fino a 7 volte più efficaci nel ridurre le emissioni di carbonio rispetto all’energia nucleare, precisa lo studio “Differences in carbon emissions reduction between countries pursuing renewable electricity versus nuclear power”, appena pubblicato su Nature Energy (scaricabile dal link in fondo a questo articolo).

Il documento dell’Università del Sussex (UoS) conclude che il nucleare non può più essere considerato efficace come tecnologia energetica a basse emissioni di carbonio, e suggerisce che i paesi che puntano a ridurre rapidamente ed economicamente le loro emissioni dovrebbero dare priorità alle rinnovabili.

Lo studio prende in considerazione tre ipotesi: in primo luogo, che più un paese adotta il nucleare più le emissioni diminuiscono; la seconda, che più un paese adotta le rinnovabili più le emissioni diminuiscono; e la terza, che il nucleare e le rinnovabili sono opzioni reciprocamente esclusive, che tendono cioè ad annullarsi vicendevolmente a livello di sistema energetico.

Le tre ipotesi sono state testate a fronte di 25 anni di generazione elettrica e di dati sulle emissioni di 123 paesi.

I ricercatori della UoS hanno rilevato una scarsa correlazione tra la produzione relativa di elettricità nucleare e le emissioni di CO2 pro-capite, ma hanno osservato un collegamento con il PIL pro-capite delle nazioni studiate.

I paesi con un alto PIL pro-capite hanno visto una certa riduzione delle emissioni con l’aumento del nucleare, ma le regioni con un PIL più basso hanno aumentato le emissioni di CO2 con l’uso del nucleare.

Per le rinnovabili, invece, i dati hanno rivelato una diminuzione delle emissioni di CO2 associate alla tecnologia “in tutti i periodi e i campioni di paese” e senza un legame significativo con il PIL pro capite.

Gli impegni di politica nazionale tendono a favorire in maniera alternativa l’una o l’altra opzione, hanno osservato i ricercatori della UoS; in altre parole, politiche favorevoli al nucleare tendono a ridurre la diffusione delle rinnovabili e viceversa.

La ricerca mostra l’infondatezza di argomenti a favore della coesistenza di nucleare e rinnovabili, cioè dell’approccio “tutto allo stesso tempo”, ha detto Andy Stirling, professore di politica scientifica e tecnologica del’UoS.

“I nostri risultati mostrano non solo che gli investimenti nel nucleare in tutto il mondo tendono, tutto sommato, ad essere meno efficaci degli investimenti in rinnovabili per la mitigazione delle emissioni di carbonio, ma che le tensioni tra queste due strategie possono erodere ulteriormente l’efficacia delle misure per evitare gli stravolgimenti climatici”.

Gli autori dello studio hanno riconosciuto che il loro rapporto ha considerato solo le emissioni di carbonio e che in futuro sarà necessario considerare anche fattori quali il costo economico, la pianificazione integrata delle risorse, l’affidabilità, gli impatti del ciclo di vita, i profili di rischio, la gestione dei rifiuti e gli impatti ecologici, politici e di sicurezza.

Considerato però che le rinnovabili sembrano molto più efficaci per l’abbattimento delle emissioni di carbonio in tutto il mondo, emergono importanti implicazioni negative per l’energia nucleare.

Tecnologicamente, i sistemi nucleari sono stati inclini in passato a maggiori sovraccosti di costruzione, maggiori ritardi e tempi di consegna più lunghi rispetto ai progetti di energia rinnovabile, indica lo studio.

Un set di dati reali sui tempi di costruzione di 273 progetti di energia elettrica su un periodo di 50 anni mostra una tempistica media di 90 mesi per il nucleare, con punte di oltre 150 mesi, cioè più di 12 anni e mezzo, rispetto a una media di 40 mesi per il fotovoltaico e ancora meno per l’eolico, come mostra l’illustrazione tratta dalla ricerca.

Il nucleare e l’idroelettrico tendono a sforare i costi stimati anche se normalizzati sulla stessa scala, per unità di MW elettrico installato. Ciò vuol dire che, per ogni dollaro investito, la modularità dei progetti ad energie rinnovabili offre una riduzione delle emissioni più rapida di quanto non facciano i progetti nucleari su larga scala, molto più lunghi e soggetti a ritardi.

“È un’anomalia che le forti rivendicazioni a favore di particolari tecnologie con cui questo lavoro è iniziato, siano rimaste per così tanto tempo così poco evidenti. Incoraggiamo anche altri ad affrontare questa lacuna nelle loro ricerche future”, hanno detto i ricercatori.

Anche senza considerare tutti i fattori in gioco, gli autori del rapporto hanno affermato che i dati sulle emissioni sono già  sufficienti da soli a indicare chiaramente ai Paesi che sperano di ridurre le loro emissioni di concentrarsi sulle fonti rinnovabili piuttosto che sul nucleare.

“L’evidenza indica chiaramente che il nucleare è il meno efficace delle due strategie di abbattimento delle emissioni di carbonio e, insieme alla sua tendenza a non coesistere bene con le energie rinnovabili, solleva seri dubbi sulla saggezza di dare priorità agli investimenti nel nucleare rispetto alle energie rinnovabili”, ha detto Benjamin K Sovacool, un altro professore di politica energetica alla UoS.

“I paesi che pianificano investimenti su larga scala nel nuovo nucleare rischiano di sopprimere i maggiori benefici climatici derivanti da investimenti in energie rinnovabili alternative”.

https://www.qualenergia.it/articoli/per-ridurre-emissioni-nucleare-sette-volte-meno-efficace-delle-energie-rinnovabili/?fbclid=IwAR1pQfEwaHJH04yRhEuByddQ3EaPpBNRuaafV8ZBhZ4TsPxvUKW8IDnGVZY

Dietro al complottismo negazionista. - Tommaso Merlo

 

Dietro al complottismo vi sono delle ragioni più profonde. Non si tratta solo di persone ignoranti che farneticano o di fanatici della domenica. Ormai il complottismo dilaga ovunque nella nostra società e non potevano certo mancare i negazionisti della pandemia e i partigiani della dittatura sanitaria. Già, il complottista si ritiene più furbo e intelligente degli altri e si discosta da quella massa d’ingenui che si bevono le versioni ufficiali e rispettano le regole. Si crede cioè superiore agli altri e l’unico che ha capito davvero come stanno le cose. In una parola. Ego. Ma c’è dell’altro. Il complottista ha una visione malvagia del mondo. Crede vi siano cricche occulte sedute in qualche stanza dei bottoni a complottare contro di lui e l’intero pianeta. Il fatto che il mondo sia così sporco, fa sentire il complottista più pulito di quello che è in realtà. Il complottista imbratta cioè il mondo per giustificare se stesso e per lavarsi la coscienza. Per assurdo, sono infatti proprio coloro che vedono complotti ovunque che spesso nella vita complottano a danno degli altri. I complottisti proiettano sul mondo le proprie storture personali e temono di finire vittime delle trame che frullano a loro nel cervello. In una parola. Ego. Ma c’è di più. Il complottista è spesso una persona frustrata e arrabbiata col mondo contro cui quindi si sfoga. Invece cioè di assumersi la responsabilità delle proprie sconfitte o delusioni o traumi, il complottista scarica tutta la colpa del suo malessere sul mondo che lo circonda e lo fa infamandolo di chissà quali oscuri complotti. Si tratta di complottisti che accampano scuse e infangano il mondo per ripicca. In una parola. Ego. Ma c’è ancora di più. Non tutti i complottisti sono autentici e cioè credono davvero ai castelli complottistici che costruiscono per aria. Vi sono anche molti complottisti per convenienza. Quelli che cioè millantano complotti al misero scopo di conquistare il centro dell’attenzione. Per finire sui giornali o in televisione o conquistare la scena al bar o nella tavolata tra amici. Complottisti che si mettono controvento solo perché gli rende in popolarità. In una parola. Ego. Poi ci sono i complottisti a fini politici. Quelli che si rendono perfettamente conto delle fregnacce complottistiche che raccontano, ma lo fanno lo stesso allo scopo d’infangare la reputazione ai loro avversari. Se comanda il loro partito allora il mondo è lindo e trasparente. Se comanda il partito dei loro nemici allora il mondo intero è vittima di uno sporco complotto. Sfacciata ipocrisia e odio che calpesta anche il semplice buonsenso. In una parola. Ego. Già, a sentire il complottismo imperante perfino il coronavirus sarebbe una mezza bufala o un’operazione studiata a tavolino mentre le misure per contenerlo avrebbero secondi fini. Nemmeno migliaia di morti e la scienza mondiale schierata hanno scoraggiato i partigiani della dittatura sanitaria. La drammaticità della pandemia e la sua persistenza ne stanno però fiaccando le resistenze. Alla lunga molti complottisti stanno capendo che l’unico vero complottista che li perseguita è dentro di loro. E si chiama ego.  

https://repubblicaeuropea.com/2020/10/10/dietro-al-complottismo-negazionista/

mercoledì 8 luglio 2020

Le favolette di Renzi sul maggioritario. - Franco Monaco

Governo, Renzi: no governissimo, ma basta cultura del sospetto
Ci avrei scommesso: alle solite, Renzi si rimangia l’impegno sottoscritto sulla legge elettorale che fu tra i capisaldi dell’accordo dal quale sortì il Conte 2. Cioè il governo da lui patrocinato con un coup de théâtre, per poi tenerlo in sacco sin dal primo giorno.
Come sorprendersi? Conosciamo l’uomo: inaffidabile, spregiudicato, capace di tutto. Trattasi di un copione prevedibile. Ma ciò che più infastidisce è l’ipocrisia, la sua offesa alla nostra intelligenza. Lui si racconta come l’uomo del maggioritario, quello del sindaco d’Italia, quello che vuole conoscere il vincitore la sera stessa delle elezioni. Potremmo persino comprendere se, in un raro soprassalto di onestà, dicesse apertamente che si è rimangiato la parola data per la più evidente delle ragioni: la soglia del 5 per cento è inarrivabile per la sua Italia Viva e lui vuole assicurare al suo partitino personale una stentata sopravvivenza. Del resto, chi mai lo avrebbe seguito e tuttora lo seguirebbe, nella pattuglia di transfughi sottratta agli altri partiti, se non facesse intravedere loro una sopravvivenza politica? Neppure osiamo pretendere che riconoscesse due palesi corollari della sua giravolta: la garanzia che, senza una legge elettorale raccordata con il taglio dei parlamentari, non si precipiti verso elezioni per lui letali; e un regalo fatto a Salvini notoriamente contro-interessato a cambiare la legge elettorale. Ma almeno ci risparmiasse la risibile favola della sua coerenza con la democrazia maggioritaria.
Anche io sarei per il maggioritario, ma sono ben consapevole che la bontà o meno delle leggi elettorali si misura e si decide in relazione al contesto politico cui esse sono destinate ad applicarsi. Altro era il tempo dell’Ulivo, iscritto nel quadro di una democrazia maggioritaria e di un incipiente bipolarismo. Renzi, strumentalmente, evoca Prodi e Veltroni, per cultura schierati per soluzioni maggioritarie. Ma quella stagione è alle nostre spalle. Anche grazie a lui. A produrla non fu solo una regola elettorale maggioritaria (per tre quarti, il Mattarellum), ma anche e soprattutto la politica e i suoi attori a sinistra, dotati di una visione. A fronte di Berlusconi, con la sua forza aggregante il campo della destra, vi fu chi si impegnò a organizzare unitariamente il centrosinistra, a non rassegnarsi al destino di un’eterna sconfitta. Gli si diede il nome e il simbolo dell’Ulivo: un progetto politico di respiro, pensato dai Prodi e dagli Andreatta, imperniato su tre elementi: 
1) la convinzione che anche l’Italia, il Paese della democrazia incompiuta, finalmente, avesse il diritto di sperimentare la fisiologica alternanza caratteristica di tutte le democrazie sane e mature; 
2) che, a questo fine, si dovesse semplificare il frammentato campo del centrosinistra non forzando verso il “partito unico” incongruo per la nostra storia, ma, questo sì, favorendo il coagulo di alleanze imperniate su un major party, un grande partito a vocazione coalizionale; 
3) la consapevolezza che un’impresa di tale portata esigesse una leadership non divisiva e altresì consapevole che le culture politiche non possono essere… rottamate.
Bene. Renzi ha dato un decisivo contributo ad affossare tutti quegli elementi: prima con la velleità del partito della nazione, che è l’opposto del bipolarismo e della democrazia competitiva; poi con un esercizio della leadership personalistico e sommamente divisivo (il rovescio di Prodi); a seguire portando il partito da lui guidato a una misura (il 18 per cento) che ne comprometteva la vocazione maggioritaria; infine applicandosi a ferire a morte quello che fu il suo partito – il solo che poteva aspirare al ruolo di major party nel centrosinistra – e facendosi un partitino tutto suo che sta un po’ di qua e un po’ di là.
Una visione, si diceva: nel caso di Renzi, la visione di se stesso. Come non bastasse, ora si applica a far perdere quel fronte nelle prossime Regionali. Cioè l’esatto opposto di quel progetto, del quale almeno due elementi, tra loro connessi, erano chiarissimi: partiti grandi e non micropartiti personali e alleanze politiche strategiche quali fattori di stabilità di governi che si vorrebbero di legislatura. Oggi Renzi, con i suoi distinguo strumentali, ogni santo giorno mette in fibrillazione la maggioranza. Non si potrebbe dire meglio di Calenda: Renzi è un Mastella che si atteggia a Obama. Come può darci a credere che lui è per una legge elettorale maggioritaria per nobili ragioni di principio? Ma davvero ci prende per fessi?

mercoledì 2 marzo 2016

Fuggire all'estero per evitare la pressione del fisco. - Luca Romano




Ecco come aumentare il proprio assegno mensile e il proprio potere d'acquisto evitando il fisco italiano e vivendo in luoghi esotici.

L'imposizione fiscale è oramai al 50% e tra i nostri conti corrente continuano a fischiare i venti di una possbile patrimoniale.
Come riporta Libero, citando dati di cui anche il Giornale scrisse qualche tempo fa, il 65% dei pensionati emigra in Paesi esterni per evitare la pressione fiscale e "aumentare" il proprio assegno mensile grazie a particolari regimi fiscali. 
Tra questi, la Thailandia, un paese con il miglior rapporto qualità prezzo del mondo. Inoltre permette anche di ricevere un particolare visto per gli over 50 anni che abbiamo fedina penale pulita, non presentino nessuna malattia infettive e che abbiano, infine, un conto bancario di 20.000 euro, con il doppio potete comprarvi una villa sul mare. Oltre a queste agevolazioni, Bangkok vanta un sistema fiscale molto conveniente.
Gli italiani però preferiscono Spagna Portogallo. Quest'ultimo sta diventando una vera e proprio Mecca. Infatti, esiste una legge che permette lo status di "residente non abituale" (almeno 183 giorni trascorsi nel paese), e che fa evitare di pagare le tasse per 10 anni. Infatti, la pensione sarà incassata al lordo, che sommato a un costo della vita pari alla metà di quella dell'Italia comporta un notevole vantaggio per tutti i nonnini italiani e non. Insieme alla Spagna, vanta un buon sistema sanitario e la problematica in meno di avere una assicurazione come succede per chi fa a risiedere in Thailandia. Non solo ma ha anche delle tasse dimezzate, e come se non bastasse nelle Canarie, sempre grazie al regime fiscale l'assegno della pensione risulta più alto del 15%. A sorpresa tra le mete più apprezzate spuntano anche Costarica e Bulgaria. Lo Stato dell'America centrale oltre ad avere particolari sconti per i cittadini over65, aumenta il potere d'acquisto del 35%. Mentre in Bulgaria si può vivere da nababbi con soli mille euro. Il medico di base è gratuito come in Italia, ma le medicine costano molto meno.

Zero tasse, mare e prezzi "ridicoli". Addio Italia: c'è il paradiso a 2 ore. - Ugo Bertone

Zero tasse, mare e prezzi


Niente tasse sulla pensione per i primi 10 anni se si diventa «residenti non abituali». È questa l’arma con cui il Portogallo ha attratto in questi anni migliaia di pensionari europei. Le regole sono semplici: basta vivere 183 giorni l’anno nel paese necessari per assumere lo status di «residente non abituale» e il gioco è fatto: per dieci anni la pensione è esentasse. L’Inps l’accredita lorda, come previsto dagli accordi bilaterali. E l’erario locale non effettua alcun prelievo.
Guadagna Lisbona (50mila aderenti al programma portano 2 miliardi di Pil l’anno, dice un report Deloitte). È felice il diretto interessato (mille euro netti di pensione italiana possono lievitare a 1.300 sulle rive dell’Atlantico). Il piano portoghese, pensato come una medicina contro l’austerità grazie all’arrivo di clienti di buon reddito viaggia a gonfie vele. Gli inglesi sono arrivati a centinaia. A fine 2015 oltre 5mila francesi, terrorizzati dalle tasse sul lusso di Francois Hollande, si trasferiranno verso sud nella nuova Terra Promessa previdenziale. E l’ex direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli, a Lisbona pochi mesi fa per una serie di conferenze, ha avuto la sorpresa di esser accolto da una pattuglia di giornalisti emigrati dopo la pensione sulle rive del Tago.
Non c’è da meravigliarsi: grazie alle agevolazioni la pensione può crescere del tutto legalmente del 30%. L’Inps accredita l’importo lordo, come previsto dagli accordi bilaterali. E l’erario locale non effettua alcun prelievo. E così, complice il passaparola cresce il numero degli interesstai all’esilio (quasi dorato) tra Oporto e Cascais.
«Attualmente riceviamo 20-30 richieste di chiarimenti al mese», rivela Marcello Menichetti della Camera di Commercio Italia-Portogallo. Ma l’appeal cresce, grazie alle testimonianze. «Io sono rinata - racconta Luisa Gaiazzi, 63enne ex impiegata - . A Roma con i miei 840 euro al mese faticavo a far quadrare i conti. In Portogallo, a parte la lingua su cui fatico un po’, mi sento una signora». I suoi 840 euro sono diventati 1.150. Non solo: «D’affitto pago il 25% in meno per un bilocale identico a quello che avevo al Prenestino, il paese è sicuro, la gente accogliente, il caffè costa 60 centesimi al bar».
E la cucina, tra baccalà e scaloppine al Madera, non fa rimpiangere troppo i sapori di casa. Anche perché, sia a Porto che a Lisbona, non mancano caffé e ristoranti made in Italy di buon livello.
Un vero affare, per giunta low cost. Le procedure d’espatrio costano attorno ai 400 euro, consulenza legale inclusa. Per ottenere il codice fiscale è sufficiente presentare un contratto d’affitto o l’impegno all’acquisto di una casa. Poi basta aspettare qualche settimana per completare le pratiche in Italia. Per la rabbia di Tito Boeri, il presidente dell’Inps che già da un po’ di tempo medita di tagliare la parte non contributiva della pensione.