Prodotti e servizi travolti dalle recenti fiammate inflazionistiche: i rincari, già rilevati dagli osservatori o previsti per il prossimo autunno, sfiorano diversi comparti. Aumentano le bollette di gas e luce, rispettivamente del +15,3% e del 9,9% per una famiglia tipo in regime di tutela nel terzo trimestre 2021. Così come tutti gli altri beni energetici, trainati dal prezzo del petrolio che la scorsa settimana ha superato i 71 dollari al barile (+56,7% su base annua). Tanto che il pieno di benzina è salito del 18% rispetto all’estate scorsa.
Anche l’agroalimentare affronta le ricadute del boom delle materie prime. Le quotazioni del grano hanno raggiunto i 245 euro per tonnellata (+32%) ed è solo un questione di tempo prima che le quotazioni dell’arabica (184 centesimi di dollari per libbra, ai massimi dal 2014) impattino sul prezzo della tazzina di caffè.
Ma quali sono le variabili che influenzeranno i rialzi dei prezzi al consumo nei prossimi mesi? Si possono riassumere in sei punti i fattori che animeranno la rinegoziazione dei listini, tra tensioni salariali e costi di produzione in molti casi lievitati. Un trend che preoccupa ma che «potrebbe rivelarsi transitorio», ha affermato venerdì scorso il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, nel suo video-discorso al simposio di banchieri di Jackson Hole, negli Usa.
1) IL PESO DELL’ENERGIA.
Il rimbalzo rispetto ai mesi di lockdown.
I recenti rialzi dei prezzi potrebbero non rappresentare le premesse di un ingresso in un ciclo inflazionistico. È possibile che le impennate registrate negli Usa e in Europa abbiano carattere transitorio, legato a più fattori concomitanti. Il primo è un effetto statistico: i tassi d’inflazione recenti sono calcolati confrontando i livelli dei prezzi attuali con quelli dei mesi immediatamente successivi al lockdown, che in diversi casi registravano contrazioni anomale. Un fenomeno molto marcato ad esempio sul petrolio e sui prodotti energetici, dove i rincari di oggi in parte recuperano le precedenti riduzioni.
«L’inflazione italiana registrata a luglio 2021 (+1,9% su base annua, ndr) è comunque più contenuta del +5,4% degli Stati Uniti - spiega Fedele De Novellis, economista di Ref Ricerche - Il nostro dato per ora è soprattutto legato al rincaro dei beni energetici e della benzina, e per gran parte deriva dall’incremento del prezzo del petrolio. Queste voci erano crollate in modo consistente durante il picco dell’emergenza sanitaria».
Basta fare un esempio con i dati dell’osservatorio del ministero dello Sviluppo economico sul prezzo dei carburanti: la benzina, che a luglio 2019 costava 1,594 euro al litro, l’estate scorsa era scesa a 1,403 euro come conseguenza diretta del recente blocco degli spostamenti, mentre a luglio di quest’anno è risalita a 1,650 euro al litro.
2) CATENA DELLE FORNITURE.
Materie prime e cicli industriali interrotti.
Il mercato delle materie prime, sia industriali che agricole, sembra aver accusato il colpo. Il boom dei costi di alcune importazioni è strettamente correlato alle scorte erose durante il precedente periodo di crollo dei consumi e al successivo rapido recupero della domanda per la ripresa dell’industria mondiale. Gli stop and go imposti per contenere i contagi hanno stravolto alcune filiere. «Le condizioni di diversi settori sono variate in base alle disposizioni normative spesso in modo repentino, determinando sforzi organizzativi importanti con inevitabili riflessi sui rifornimenti e sui costi di produzione», spiega De Novellis. Era dunque prevedibile che oggi, di fronte alla ripresa economica e ai piani di investimento volti a far ripartire la produzione, si generassero pressioni sui prezzi. «Fa impressione guardare le variazioni - aggiunge l’economista di Ref Ricerche - ma in realtà le regole del gioco non sono cambiate. Per questo l’inflazione potrebbe essere solo un fenomeno transitorio. La sfuriata sembra già che stia rientrando».
Ad esempio i prezzi del legname, dopo essere triplicati, nelle ultime settimane sono crollati. Anche l’acciaio, dopo il picco, ha iniziato a scendere. «Certamente potremo assistere anche ad altre sorprese, ma le ricadute sui prezzi freneranno una volta che i cicli industriali si saranno assestati. E addirittura alcuni prezzi potrebbero mostrare delle riduzioni», dice il responsabile dei report congiunturali di Ref Ricerche. Tra le altre materie prime sotto i riflettori c’è anche il rame (+43% su base annua), l’alluminio (+47%), ma anche alcuni prodotti agricoli che potrebbero avere riflessi diretti sul carrello della spesa, come il grano, la soia (le cui quotazioni però iniziano a ridimensionarsi), mentre il caffè ha toccato i 184 centesimi di dollari per libra con un incremento del 49% rispetto ad agosto dello scorso anno.
3) COLLO DI BOTTIGLIA.
La logistica chiede il conto dopo gli sforzi.
Va monitorata, inoltre, la ricaduta sui prezzi finali al consumatore del caro della logistica: i noli marittimi per i carichi alla rinfusa sono ai massimi da undici anni (il Baltic Dry Index è oltre 4mila punti) e quelli per i container sono decuplicati rispetto all’anno scorso sulle principali rotte dall’Asia (per spedire un container da 40 piedi dalla Cina all’Europa oggi si spendono più di 14mila dollari). Anche in questo caso il recupero della domanda, insieme al disallineamento geografico tra domanda e disponibilità di container e di navi cargo, hanno generato un collo di bottiglia.
L’offerta inadeguata ha fatto schizzare i prezzi alle stelle e, in questo caso, si rischiano ritardi nei rifornimenti. Una congestione che, se non verrà presto riassorbita, potrebbe minacciare il ritorno alla normalità di alcuni cicli produttivi e di conseguenza l’alleggerimento delle pressioni sui prezzi.
4) TENSIONI SALARIALI.
La grande riallocazione della manodopera.
Il potere d’acquisto dei consumatori è strettamente connesso alle dinamiche del mercato del lavoro e le tensioni salariali si riflettono sui cicli produttivi. «Negli Usa - racconta De Novellis - sono emersi problemi di reperimento di manodopera in alcuni settori, soprattutto nella ristorazione dove molti licenziati avevano trovato posto nella logistica o nei trasporti (dove i salari sono più alti). In Italia le aziende turistiche in alcuni casi hanno faticato a trovare stagionali. Interi comparti potrebbero risentire di questa scarsità di manodopera: non si trovano informatici, così come autisti per guidare i camion».
Siamo,in una fase di riallocazione e riorganizzazione della forza lavoro per cui potrebbero esserci tensioni sui costi. «Non è una situazione da boom economico: non assisteremo ad aumenti generalizzati sui salari, ma piuttosto a incrementi retributivi su alcune professionalità specifiche», conclude.
5) I NUOVI TREND.
La domanda cambia e si adatta al post Covid.
Alcuni cambiamenti della domanda cui stiamo assistendo sono strutturali. La pandemia ha ribaltato e rimescolato le priorità e le scelte dei consumatori. Lo dimostra la corsa ai personal computer e il boom dell’informatica sulla spinta della digitalizzazione imposta dal Covid in tutti i comparti e tra le mura domestiche. La filiera ha faticato a star dietro alla domanda e la crisi dei microchip che oggi si registra sui mercati internazionali ne è un risultato: i componenti introvabili bloccano i cicli produttivi e questo si riflette, inevitabilmente, sui prezzi. Dall’altra parte c’è la crisi dell’abbigliamento e delle calzature che soffre per una domanda che si è quasi azzerata durante le chiusure.
Se la digitalizzazione appare un processo irreversibile, alcuni di questi cambiamenti potrebbero essere però transitori. Come ad esempio il boom dei prezzi delle auto usate che si è registrato negli Stati Uniti dopo le riaperture, sostenuti da gruppi di consumatori che si riversavano sull’automotive per paura di usare i mezzi di trasporto pubblico. «Una volta contenuto il fenomeno - spiega De Novellis - la domanda si raffredderà nuovamente e i prezzi si normalizzeranno».
6) LA SPINTA AI CONSUMI.
I rischi di politiche di sostegno eccessive.
Alcuni mesi fa, all’interno del dibattito sulla manovra di bilancio voluta dal presidente Usa Joe Biden, alcuni economisti sollevarono l’obiezione che l’entità dell’espansione fiscale programmata per quest’anno fosse eccessiva, tanto da rischiare un rialzo sull’inflazione. Secondo i sostenitori della tesi “inflazionista”, in estrema sintesi, un impulso fiscale di dimensioni così rilevanti, sovrapponendosi all’effetto positivo sui consumi legato alla rimozione delle misure di distanziamento, produce un incremento della domanda tale da superare il livello del Pil potenziale, generando così spinte sui prezzi. «Tuttavia - spiega il ricercatore di Ref - la relazione fra impulso fiscale e consumi non si esplica in genere con immediatezza, ma tende a materializzarsi gradualmente. Tanto più se si considera che molte delle risorse stanziate spesso sono circoscritte nel tempo, valgono per l’anno in corso».
È cruciale capire come nei prossimi mesi, in base all’evoluzione dell’emergenza sanitaria, i governi, anche quello italiano, intenderanno ridurre i sostegni all’economia.
Illustrazione di Laura Cattaneo/Il Sole 24 Ore
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