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martedì 12 aprile 2022

L’Est nella Nato. A suo tempo Mosca ha subìto. Ora ha la forza per reagire. - Alessandro Orsini

 

Molti ritengono che l’espansione della Nato non abbia niente a che vedere con la decisione di Putin di invadere l’Ucraina e, infatti, dicono: “Perché la Russia non si oppose all’ingresso della Nato dei Paesi un tempo membri del Patto di Varsavia?”. La risposta è semplice: perché, negli anni Novanta, la Russia si trovò senza forze per lottare. La Russia ha pagato un prezzo enorme per la sua debolezza anche in Serbia, dove non riuscì a difendere il suo alleato fraterno – tale era Belgrado – dalle bombe della Nato. Come avrebbe mai potuto?

Crollata l’Unione Sovietica, la Federazione Russa precipitò in una crisi talmente grave che molti osservatori dell’epoca temettero addirittura che lo Stato russo si sarebbe dissolto. Eltsin, affiancato da un gruppo di riformisti inesperti, come Egor Gajdar e Viktor Chernomyrdin, e da consiglieri del Fondo Monetario Internazionale, si lanciò in una campagna di riforme liberiste dalle conseguenze negative. Ad arricchirsi fu soprattutto una minoranza di beneficiati, i cosiddetti “oligarchi”, mentre la corruzione e l’inefficienza dilagavano dappertutto. Pensionati, operai, militari, scivolavano nella povertà, entrando in contrasto stridente con i pochi che si abbandonavano a uno ostentato consumismo occidentale. Tra il 1992 e il 1993 la crescita del debito estero della Russia fu smisurata, i prezzi aumentarono di 22 volte e i salari di 10. Il Pil russo crollava insieme con la produzione industriale. Il tenore di vita peggiorò secondo i principali indicatori; la mortalità aumentò e le aspettative di vita si abbassarono; la popolazione si contrasse anche a causa del processo di emigrazione che investì soprattutto i lavoratori molto qualificati. A partire dall’estate 1998, la crisi economica e finanziaria si aggravò tragicamente. Il governo, allora guidato da Sergey Kiriyenko, e la Banca Centrale, svalutarono il rublo e non furono più in grado di rimborsare il debito sovrano. Il governo russo, ad agosto, fece default sul proprio debito. La Russia non aveva le forze per contrapporsi all’Occidente in Serbia e nemmeno all’espansione della Nato. Tra le numerose cause che portarono al default, bisogna ricordare anche l’estenuante guerra in Cecenia. È in questo momento di debolezza della Russia che Madaleine Albright, nominata da Clinton Segretaria di Stato americana (1997-2001), progettò di inglobare i Paesi del Patto di Varsavia nella Nato. La procedura per l’ingresso nella Nato di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, fu avviata nel 1997 e portata a termine nel 1999.

Come avrebbe potuto Mosca attaccare la Nato in Serbia avendo un bisogno disperato dei prestiti dell’Occidente? Eppure le tensioni non mancarono. Pochi ricordano la crisi dell’aeroporto di Pristina nel 1999 in Kosovo. Per comprendere la rabbia di Putin, bisogna ricordare anche un altro fatto, avvenuto nel 1999, vale a dire l’approvazione dello Strategic Concept, un documento approvato a Washington il 24 aprile 1999, che ampliava le aree in cui la Nato si riteneva legittimata a intervenire (nome per esteso The Alliance’s New Strategic Concept). A partire dal 1949, quelle aree erano state: l’Europa, l’Atlantico settentrionale e l’America del Nord. Ma il New Strategic Concept stabiliva che la Nato sarebbe stata legittimata a intervenire anche out of area, cioè in tutto il mondo e, quindi, anche nelle regioni sotto l’influenza della Russia, come la Serbia. Nessuno si illuda: alla Russia l’espansione della Nato non è mai piaciuta. Ora che ha le forze, Putin la contrasta.

https://www.google.com/search?q=alessandro+orsini&sxsrf=APq-WBuYWyfeDk8Kvc5CRbktSb8fX-Xa8A:1649759043826&source=lnms&tbm=isch&sa=X&sqi=2&ved=2ahUKEwjUu5aup473AhXRW80KHXC3BegQ_AUoA3oECAIQBQ&biw=1366&bih=625#imgrc=EHbQF_PGblNc9M

mercoledì 22 settembre 2021

Le barriere coralline sanno reagire al riscaldamento globale.

Barriera corallina (fonte: Jim Maragos/U.S. Fish and Wildlife Service, modificata da Mielon, Wikipedia)

Le barriere coralline sono in grado di reagire al riscaldamento globale: le stime, basate sull'analisi delle specie che le popolano attualmente, indicano che la loro biodiversità è destinata a modificarsi ma non a ridursi. Lo indica la stima elaborata dall'università delle Hawai a Manoa e pubblicata sulla rivista dell'Accademia delle scienze degli Stati Uniti, Pnas.

Lo studio ha verificato infatti che le specie che dominano le comunità della barriera corallina si stanno modificando per via del cambiamento climatico, ma ciò non significa che in futuro vi sarà un calo della biodiversità complessiva per via del riscaldamento e dell'acidificazione previsti per la fine del secolo.

"Più che il collasso della biodiversità degli oceani, abbiamo osservato dei cambiamenti significativi nell'abbondanza di alcune specie, con una redistribuzione delle comunità della barriera", osserva la coordinatrice dello studio, Molly Timmers. "I minuscoli organismi che vivono nella struttura della barriera corallina - prosegue - sono noti come cryptobiota, che sono l'analogo degli insetti della foresta pluviale e hanno un ruolo fondamentale nel ciclo di nutrienti, cristallizzazione e le dinamiche della catena alimentare".

Nonostante la sua importanza, il cryptobiota è stato spesso sottovalutato nella ricerca sul cambiamento climatico per via delle difficoltà nell'identificare tutti gli organismi che lo compongono. Per valutare la sua risposta alle future condizioni degli oceani, il gruppo di Timmers ha condotto un esperimento in un acquario che riproduceva tutto l'ecosistema della barriera corallina, con acqua marina della barriera hawaiana, e le condizioni di riscaldamento e acidificazione previste per gli oceani alla fine del secolo. Dopo 2 anni, i ricercatori hanno esaminato i gruppi di organismi che si erano sviluppati, vedendo che il numero totale di specie non era cambiato, ma era variata la composizione delle varie comunità. "E' il primo studio a esaminare la diversità dell'intera comunità della barriera corallina - aggiunge Chris Jury, uno dei ricercatori - dai microbi alle alghe, fino ai coralli e pesci".

ANSA

domenica 19 settembre 2021

Notizia: che fare? - Marco Travaglio


Fioccano le interpretazioni sulla decisione del Fatto di pubblicare i verbali dell’avvocato Piero Amara sulle decine di presunti affiliati alla presunta Loggia Ungheria. Una manina anonima ce li recapitò, senza firme in calce, il 29 ottobre 2020 e noi denunciammo subito quel reato alla Procura di Milano. Che ora accusa l’ex segretaria di Davigo di essere la titolare della manina. E ha depositato gran parte dei verbali a fine indagine. Noi 11 mesi fa non li avevamo pubblicati per tre motivi: Amara è un noto fabbricante di indagini fasulle e quei verbali senza firme potevano essere apocrifi o taroccati; anche se fossero stati autentici, non sapendo chi ce li inviava né perché, non volevamo farci usare in torbide manovre al buio; e comunque, senz’alcun riscontro sulla presunta loggia, ci saremmo esposti a una raffica di querele da parte dei personaggi citati. Ora invece li pubblichiamo perché s’è accertato che erano autentici; perché, col deposito, il segreto è caduto; perché 5 Procure hanno iniziato a separare il grano dal loglio; perché l’opinione pubblica, dopo averne sentito parlare per mesi, ha capito che si tratta delle parole di un soggetto ambiguissimo e nessuno le prende per oro colato; perché quel cadavere nel ripostiglio comincia a puzzare e a emettere miasmi, perfetti per ricatti e veleni, che si stroncano in un solo modo: pubblicando tutto. L’interesse della notizia ormai riguarda sia il vero sia il falso, visto che tutti gli accusati sono personaggi pubblici: se le accuse sono vere, bisogna conoscerle; se sono false, occorre domandarsi perché e per conto di chi sono state lanciate.

Così si ragiona in un giornale vero, che dà le notizie e per giunta si chiama Fatto. Di qui lo sgomento dei non-giornali. Sallusti titola su Libero: “Fango nel ventilatore”. E spiega che “ognuno tiene famiglia” (lui addirittura due: Berlusconi e Angelucci, mentre ci sfugge la nostra) e ora c’è una “faida tra famiglie rivali”. In basso, ma molto in basso, Filippo Chatouche Facci ci dà dei “passacarte” che “han messo nel ventilatore la peggior merda”. Poi volti pagina e scopri che Libero copia parola per parola la nostra “merda” e la mette nel suo ventilatore, con sopraffina coerenza (e coprofilia). Sul Riformatorio, il povero Sansonetti ha un attacco di labirintite: dopo averci accusati per mesi di non pubblicare, ora ci accusa di pubblicare per consumare “la vendetta di Davigo” contro Greco (mai citati, nessuno dei due, nei verbali). Poi, già che c’è, la consuma pure lui copiando paro paro il nostro scoop. L’unica cosa che non viene proprio in mente ai non-colleghi dei non-giornali è che il Fatto dia le notizie per dare le notizie: in tanti anni di onorate non-carriere, non ne hanno mai vista una.

ILFQ