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giovedì 29 ottobre 2020

Sala di attesa. - Marco Travaglio

 

Anche oggi tutti si concentreranno sul numero dei nuovi positivi di ieri: 25mila su 200mila tamponi, contro i 22mila su 174mila di martedì (i morti sono in lieve calo, ma si riferiscono a casi di due settimane fa). Pochi segnaleranno che, almeno per un giorno, il rapporto positivi-tamponi rimane stabile (12,5%: se sia un fatto statistico passeggero o il primo timido frutto delle nuove misure del 13 ottobre e della paura crescente, è presto per dirlo). E pochi noteranno che 200mila tamponi in un solo giorno sono una bella smentita al mantra “Da marzo non si è fatto nulla” (a marzo i tamponi erano 20mila al giorno: un decimo di oggi). Ma c’è un altro dato che disturba chi non parla mai dagli unici responsabili della (dis)organizzazione sanitaria: le Regioni. La seconda ondata, diversamente dalla prima, investe tutto il territorio nazionale. Ma corre a velocità molto diverse da zona a zona. Prendiamo gli ultimi tre giorni. In alcune Regioni i nuovi casi giornalieri sono simili o in calo: Emilia-Romagna 1146 lunedì, 1413 martedì, 1212 ieri; Toscana 2.171, 1823, 1708; Lazio 1698, 1993, 1963; Campania 1981, 2761, 2427. In altre aumentano fino a quasi raddoppiare, ma non in una settimana come avveniva finora, bensì in tre soli giorni: Veneto 1129, 1526, 2143; Piemonte 1625, 2458, 2827; Liguria 419, 1127, 926. Poi c’è la Lombardia, sempre più fuori concorso e controllo: 3570, 5035, 7558 (rapporto positivi-tamponi 18,2%). Cioè i casi lombardi di ieri sono più del doppio di lunedì e 2700 (un terzo) si registrano a Milano.

Ricordate le polemiche, gli scaricabarile, le indagini sulla mancata zona rossa ad Alzano e Nembro? Ora i dati di Milano e mezza Lombardia (la meno toccata dalla prima ondata: Milanese, Brianza e Varesotto) sono infinitamente più gravi e allarmanti di quelli della Val Seriana a fine marzo per infetti, contatti non tracciati, morti, ospedali saturi. Che si aspetta a cinturare per qualche settimana questi territori e quelli di Napoli e di metà Campania e Piemonte, che da soli fanno 13mila contagi, cioè più della metà del totale nazionale? Mentre Fontana e De Luca dicono, disdicono e contraddicono, i sindaci Sala e De Magistris scrivono a Speranza per sapere se la proposta del suo consulente prof. Ricciardi su lockdown mirati sia a titolo personale o rifletta anche il suo pensiero. Ma il pensiero dei due sindaci, di grazia, qual è? Che aspettano a chiedere le zone rosse per difendere i propri concittadini e i propri ospedali dal Covid e il resto d’Italia da un lockdown generale? Sala se la prende comoda: “Abbiamo 10-15 giorni per decidere”. Chiederà di chiudere Milano quando sarà già chiusa tutta l’Italia.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/29/sala-di-attesa/5983568/

mercoledì 21 ottobre 2020

Il Covid e i sindaci Presunti sceriffi, ma con indosso la stella di un altro. - Alessandro Robecchi

 

Quante cose si vengono a sapere con una pandemia in corso! Per esempio che esiste una “chat dei sindaci”, dove i primi cittadini esprimono la loro “indignazione” per quel passaggio del Dpcm che li autorizza a chiudere vie e piazze a rischio, o luoghi dove il contagio minaccia di diventare incontrollabile. Tutti frementi, e/o furibondi, e/o sbalorditi (aggiungete a piacere) nelle dichiarazioni alle agenzie. Poi, all’apparir del vero, si è visto che si trattava di un’indignazione un po’ peregrina: i sindaci molti di quei poteri ce li hanno già, ci saranno accordi con le prefetture, il ministero dell’interno, eccetera eccetera. Insomma, pare che l’incidente diplomatico governo/sindaci sia un po’ rientrato, riportato alle sue giuste dimensioni.

Eppure la cosa – i sindaci italiani che declinano la responsabilità di chiudere o limitare zone che loro per primi conoscono meglio di tutti – lascia un po’ perplessi, almeno per come ci hanno abituati i sindaci italiani che solitamente fanno una polemica contraria (cioè vogliono decidere di più, non di meno). Anche se si tratta di archeologia politica, forse qualcuno ricorderà i decreti Maroni del 2008, che davano ai sindaci la possibilità di deliberare in modo “creativo” su tutto e tutti. Fu una specie di meravigliosa ordalia della cazzata: kebab vietati se non c’erano corrispondenti dosi di polenta, parchi frequentabili in non più di due persone, divieti tra i più assurdi e grotteschi. Prima che la Corte Costituzionale facesse a pezzi quelle leggi, l’entusiasmo per i sindaci sceriffi, sfiorò l’apice assoluto, il sindaco divenne una specie di legislatore superiore, un crociato del decoro, un poeta del divieto estemporaneo (spesso totalmente cretino). Stupisce quindi vederli ora, in situazione d’emergenza, storcere il naso (di più “indignarsi in chat”) davanti a nuovi poteri che gli verrebbero concessi. Probabile che i sindaci pensino più all’elettorato che a tutto il resto, e dire al barista che deve chiudere, o a un quartiere che deve spegnersi due ore prima, non è che porta molti voti, meglio che glielo dica il governo. Insomma, sceriffi, ma con la stella di un altro, ecco. Fa specie, solo per fare un caso, vedere il sindaco di Firenze Nardella dolersi che gli vengano dati poteri di controllo del territorio, proprio lui che si vantava di installare più telecamere di tutti.

In più, il Paese dei sindaci, dove periodicamente si alza qualche bel tomo a dire che ci vuole “il sindaco d’Italia”, ci ha abituato a un culto locale della personalità, per cui molti sindaci giocano la loro partita politica o personale. Vero che a virus inoltrato questo ruolo da protagonisti è stato usurpato dai governatori (si pensi a De Luca, o a Zaia Superstar, o al pasticcione della Lombardia), ma anche vero che i sindaci potranno ora riprendersi la scena. Bene, se questo garantirà decisioni rapide, efficaci e tempestive, dopotutto se c’è pericolo in via Pincopallino lo sa per primo il sindaco, non il ministro dell’Interno. Male, invece, se ricomincerà il valzer delle vanità, della visibilità, della gara mediatica, del chi la spara più grossa. Probabilmente assisteremo a un’impennata delle cronache locali, con i sindaci intenti a usare l’arte del bilanciamento: ora ottimisti-aperturisti (Hurrà! Si riparte!), ora allarmisti-chiusuristi (Tutti a casa!) a seconda del bilancino del consenso contingente, delle pressioni di categoria, delle opportunità politiche, insomma, se tutto diventerà soltanto altro materiale di consumo da talk show.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/21/il-covid-e-i-sindaci-presunti-sceriffi-ma-con-indosso-la-stella-di-un-altro/5973843/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=commenti&utm_term=2020-10-21

mercoledì 6 maggio 2015

Riforma del Senato, come funziona e cosa cambia: i prossimi passaggi. - Andrea Signorelli



Come funziona, cosa cambia e quali sono le competenze del nuovo Senato. 10 marzo: ok della Camera con 357 voti favorevoli. E adesso, quali sono i prossimi passaggi?

15.16 - Approvata in seconda lettura la riforma costituzionale con i soli voti della maggioranza (ma mancano all'appello una ventina di deputati del Pd), adesso qual è l'iter per la riforma del Senato? Tutte le leggi prevedono un minimo di due passaggi, in questo caso, poiché è una legge che riforma la Costituzione, i passaggi minimi sono quattro. Per considerare una legge approvata definitivamente, però, è decisivo che le camere la approvino senza apporvi modifiche, altrimenti continuerà il suo passaggio tra Camera e Senato. Se la legge non viene approvata con almeno due terzi dei voti favorevoli, può essere sottoposta a referendum confermativo (e di fatto la cosa avviene sempre, anche se in caso contrario la legge è da considerarsi approvata).
12.33 - La Camera ha approvato la Riforma Costituzionale: 357 i voti favorevoli, 125 quelli contrari. Il ddl Boschi ora va al Senato.

Riforma del Senato: cosa cambia e cosa prevede

Come funziona la riforma del Senato? Ecco i punti principali.
Quanti saranno i senatori? A Palazzo Madama siederanno in 100 in luogo dei 315 di oggi, così ripartiti: 74 consiglieri regionali, 21 sindaci, 5 personalità illustri nominate dal presidente della Repubblica. Saranno i Consigli regionali a scegliere i senatori, con metodo proporzionale, fra i propri componenti. Inoltre le regioni eleggeranno ciascuna un altro senatore scegliendolo tra i sindaci dei rispettivi territori, per un totale, quindi, di 21 primi cittadini che arriveranno a Palazzo Madama. La ripartizione dei seggi tra le varie Regioni avverrà "in proporzione alla loro popolazione" ma nessuna Regione potrà avere meno di due senatori. La durata del mandato di questi ultimi sarà di sette anni e non sarà ripetibile. Andranno quindi a sostituire i senatori a vita e saranno scelti con gli stessi criteri: "cittadini che hanno illustrato la patria per i loro altissimi meriti".
I senatori saranno eletti? Non saranno più eletti direttamente dai cittadini; si tratterà invece di una elezione di secondo grado che vedrà approdare in Senato sindaci e consiglieri regionali, il primo rinnovo del Senato li vedrà "eletti" tutti contemporaneamente, dopodiché la loro elezione sarà legata al rinnovo dei consigli regionali. Il sistema sarà proporzionale per evitare che chi ha la maggioranza nella regione si accaparri tutti i seggi a disposizione. Quale sarà lo stipendio dei senatori? I consiglieri regionali e i sindaci che verranno eletti al Senato non riceveranno nessuna indennità, il che dovrebbe portare allo Stato un risparmio di oltre 50 milioni di euro ogni anno. Con i risparmi che dovrebbero arrivare grazie all'unificazione degli uffici di Camera e Senato (e altro modifiche all'insegna dell'ottimizzazione, non meglio specificate) si dice che si potrebbe arrivare anche a mezzo miliardo di risparmi.
Quali sono i poteri del nuovo Senato? Palazzo Madama avrà molti meno poteri e verrà superato il bicameralismo: innanzitutto non potrà più votare la fiducia ai governi in carica, mentre la sua funzione principale sarà quella di "funzione di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica", che poi sarebbero regioni e comuni. Potere di voto vero e proprio invece il Senato lo conserverà solo riforme costituzionali, leggi costituzionali, leggi sui referendum popolari, leggi elettorali degli enti locali, diritto di famiglia, matrimonio e salute e ratifiche dei trattati internazionali.
Il ruolo consultivo del Senato. Il Senato avrà però la possibilità di esprimere proposte di modifica anche sulle leggi che esulano dalle sue competenze. Potrà esprimere, non dovrà, su richiesta di almeno un terzo dei suoi componenti e sarà costretto a farlo in tempi strettissimi: gli emendamenti vanno consegnati entro 30 giorni, la legge tornerà alla Camera che avrà 20 giorni di tempo per decidere se accogliere o meno i suggerimenti. Più complessa la situazione per quanto riguarda le leggi che riguardano i poteri delle regioni e degli enti locali, sui quali il Senato conserva maggiori poteri. In questo caso, per respingere le modifiche la Camera dovrà esprimersi con la maggioranza assoluta dei suoi componenti. Il Senato potrà votare anche la legge di bilancio, le proposte di modifica vanno consegnate entro 15 giorni e comunque l'ultima parola spetta alla Camera.
La corsia preferenziale governativa. Il potere del governo cambia radicalmente: le regole per emettere i decreti legge diventano più rigide, dovranno "recare misure di immediata applicazione e di contenuto specifico, omogeneo e corrispondente al titolo". I provvedimenti governativi ritenuti essenziali, in compenso, dovranno essere votati dalla Camera entro il termine tassativo di 60 giorni, passati i quali il provvedimento sarà posto in votazione senza modifiche, articolo per articolo e con votazione finale.
La riforma del Titolo V. Con la modifica del Titolo V della Costituzione viene rovesciato il sistema per distinguere le competenze dello Stato da quelle delle regioni. Sarà lo Stato a delimitare la sua competenza esclusiva (politica estera, immigrazione, rapporti con la chiesa, difesa, moneta, burocrazia, ordine pubblico, ecc.).
Esame preventivo di costituzionalità. Aumentano anche i poteri della Corte Costituzionale, che potrà intervenire, sempre su richiesta, con un giudizio preventivo sulle leggi che regolano elezioni di Camera e Senato. La Consulta dovrà pronunciarsi entro un mese, mentre la richiesta va fatta da almeno un terzo dei componenti della Camera. In questo modo si eviterà di avere una legge elettorale per anni e anni salvo poi scoprire che si tratta di una legge incostituzionale.
L'elezione del presidente della Repubblica. Non sono più previsti i delegati regionali e si modifica il quorum. Nei primi quattro scrutini è necessario il quorum dei due terzi, dal quinti all'ottavo dei tre quinti, mentre dopo l'ottavo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta.
Referendum: cambiano le regole per la raccolta firme e il raggiungimento del quorum, e viene introdotto il referendum propositivo o di indirizzo.
10 marzo - Nella giornata del voto per la riforma del Senato, Matteo Renzi potrebbe trovare un appoggio ormai insperato da parte di alcuni parlamentari di Forza Italia. Ad annunciare la cosa è Gianfranco Rotondi, che ha annunciato il suo voto positivo e che ha fatto sapere che potrebbe arrivare un'altra ventina di "sì" da parte dei ribelli del partito di Berlusconi. Renzi spera in un voto privo di modifiche, in modo da mandare rapidamente il testo al Senato e far proseguire l'iter nei tempi previsti.
9 marzo - Silvio Berlusconi ha annunciato il voto contrario, prendendosi l'applauso di Salvini, di Forza Italia alle riforme costituzionale (il ddl Boschi), certificando così il definitivo allontanamento da Matteo Renzi. Ma il premier deve fare i conti anche con una minoranza interna al partito che domani potrebbe esprimere voto negativo o astenersi, è il caso di deputati Pd come Civati e Fassina. Nel frattempo il Movimento 5 stelle ha annunciato che in occasione del voto lascerà l'aula. Carlo Sibilia, membro del direttorio Cinque Stelle ha spiegato: "Le altre opposizioni? Noi andiamo avanti. Non ci fidiamo di Fi e Sel. Il partito di Berlusconi ha problemi al suo interno. Vedremo cosa fanno". Che Forza Italia si sia ricompattata intorno al proprio leader lo certifica anche il capogruppo a Montecitorio, Renato Brunetta, che con un tweet sottolinea le difficoltà di Renzi che sta cercando di trovare qualche voto tra gli uomini di Verdini.
Graziano Derlrio, Pd, dice che il governo deve andare avanti per la sua strada, mentre è sorpreso dal 'no' di Berlusconi: "Abbiamo la maggioranza. Che poi Berlusconi si sottragga al voto dopo aver approvato la riforma risulta difficile da capire, ma ce ne faremo una ragione". Chi non voterà sicuramente la riforma, come già anticipato, è Pippo Civati che spiega: "Come hanno fatto Chiti e Tocci al Senato. Così voterò anche io alla Camera. Non darò il mio voto alla riforma costituzionale. Lo faccio in ragione di una posizione 'di merito' che accompagna le mie azioni dal gennaio del 2013. Lo faccio senza pensare alla questione delle correnti del Pd e ai rapporti con la segreteria, perché questa è la costituzione".
Miguel Gotor, altro esponente di quella corrente di minoranza, invita il Pd all'unione del partito, a prescindere se questo poi coincida con il votare o meno insieme a Berlusconi: "Il punto non è votare insieme a Berlusconi, a favore o contro la riforma. Il punto è che il Pd deve essere unito e deve essere all'altezza delle sue responsabilità. Renzi ci ha sempre detto: sono d'accordo con voi, ma l'accordo con Berlusconi mi impedisce di intervenire sulle riforme. Ora decida: o recupera il patto oppure, se è finito, non può pensare di riformare la Costituzione facendo a meno di noi e raccattando i voti sparsi dei verdiniani".
Renzi non sembra essere spaventato e punta al referendum: "Sarà il popolo a decidere se la nostra riforma del Senato va bene o no". Certo è che con questi numeri qualche problema potrebbe emergere a Palazzo Madama.
4 marzo - Si avvicina la scadenza per il passaggio alla Camera della riforma del Senato; il ministro Boschi ha più volte auspicato che l'approdo in aula si verifichi entro il 10 marzo. La notizia di oggi è però che Forza Italia ha annunciato la fine dell'"Aventino", cioè del rifiuto a entrare in aula nel momento in cui si discute della riforma che riordina i poteri di Palazzo Madama. Il che non significa che si ridarà vita al patto del Nazareno, anzi: il gruppo di Montecitorio del partito di Berlusconi ha annunciato che voterà contro (ma visti i numeri del Pd, la cosa non desta particolari preoccupazioni).

Riforma del Senato: i primi di marzo il via libera alla Camera

14 febbraio 2015 - L’assenza delle opposizioni non ha impedito ai lavori di proseguire. Movimento Cinque Stelle, Forza Italia, Lega Nord, Sel, Fratelli d’Italia e gli ex M5s di Alternativa Libera hanno lasciato l’aula della Camera - fatta eccezione per alcuni deputati di M5S e di FI rimasti a presidio - ma Renzi è andato avanti comunque e gli ultimi voti del disegno di legge costituzionale sono avvenuti lo stesso.

lunedì 8 ottobre 2012

ECCO LA MAPPA D'ITALIA DEI BILANCI DISSESTATI, TUTTI I POLITICI CHE RISCHIANO. - Lorenzo Salvia



Sindaci e governatori incandidabili se si dimostra che sono colpevoli.

In ossequio al principio del federalismo, il rischio default scende con metodo per i rami dell'amministrazione. Dallo Stato passa a tutti i livelli della res publica. E così nella mappa del dissesto finanziario ci finiscono proprio tutti. Le Region

i, con le magnifiche otto che hanno i conti in rosso per la sanità, dalla Sicilia al Piemonte. Le Province che quest'estate, dopo gli ultimi tagli, sostenevano di non poter riaprire nemmeno le scuole. E i Comuni naturalmente, la prima linea di quell'esercito di amministratori che il governo vuole richiamare alle sue responsabilità. «Più della metà sono in grande difficoltà di bilancio» dice Graziano Delrio che da sindaco di Reggio Emilia, presidente dell'Associazione dei comuni e - perché no? - da padre di nove figli, i conti è abituato a farli per benino. Una cosa gli sfugge, però. Dice che Parma è in una situazione di «dissesto vero e proprio», provocando la replica piccata del sindaco di quella città, Federico Pizzarotti. E, chi l'avrebbe detto, ma è proprio il botta e risposta tra un renziano (Delrio) e un grillino (Pizzarotti) a offrirci lo spunto per capire cosa intendiamo quando parliamo di dissesto finanziario. E quindi di incandidabilità per i responsabili, come vuole il decreto approvato giovedì dal governo.

Le città a rischio
Sono molti i Comuni italiani dove i bilanci faticano a stare in piedi: quello di Napoli si regge grazie a 3 miliardi di residui attivi, in gran parte vecchie multe che non sono state incassate e forse non lo saranno mai. Quello di Palermo è stato sfondato dai debiti delle società controllate. A Reggio Calabria non si capisce nemmeno quanto sia grande il buco mentre problemi seri sono venuti fuori a Foggia e Ancona. Sono tutte città dove le uscite hanno superato le entrate per anni e i nodi stanno venendo al pettine. Ma, tecnicamente, non si può parlare di dissesto finanziario. Sono in difficoltà ma non ancora fallite. E invece il dissesto è proprio quello che per un'azienda si chiama fallimento. Il sindaco si rende conto di non poter più pagare i debiti, alza la mano e chiede aiuto allo Stato.

Chi paga?
Fino a qualche anno fa era proprio lo Stato a coprire direttamente il buco, una procedura che poteva rendere il dissesto addirittura conveniente. Roma paga e via da capo: uno scherzo che negli anni ci è costato un miliardo e mezzo di euro. Capito l'inconveniente le regole sono state cambiate: chi dichiara il dissesto deve rialzarsi con le proprie gambe e se lo Stato concede un aiuto sotto forma di mutuo agevolato i soldi li deve tirare fuori il Comune. O meglio i suoi cittadini pagando nuove tasse. Il giochino non funzionava più. «L'inevitabile innalzamento della pressione fiscale - scrive la Corte dei conti nell'ultima relazione sulla gestione finanziaria degli enti locali - ha reso sindaci e presidenti di provincia meno propensi a dichiarare lo stato di dissesto, rendendo più difficile un duraturo risanamento». E infatti. Da quando esiste la legge sul dissesto, era il 1989, i Comuni che hanno imboccato questa strada sono stati 461, con Calabria e Campania che coprono da sole la metà della torta. Ma dopo il boom dell'esordio, 125 casi solo il primo anno quando a pagare era Roma ladrona, i numeri sono scesi, crollati anche a un solo dissesto l'anno. E sono tornati a crescere solo con la crisi: 4 nel 2009, 8 nel 2010, 10 nel 2011, per il 2012 il dato è ancora parziale ma siamo fermi a 6.

37 in dissesto
In questo momento sono 37 i Comuni ancora in dissesto. La procedura di rientro, con l'aumento delle tasse locali come compito da fare a casa, dura cinque anni. L'ultima arrivata nel club è Alessandria che quest'estate ha spento l'aria condizionata negli uffici e ritirato i cellulari a tutti i dipendenti. È il secondo capoluogo di Provincia dopo Caserta, zona dove il dissesto si sente nell'aria visto che ci sono due comuni, Casal Di Principe e Roccamonfina, che l'hanno dichiarato due volte. Cosa rischiano tutti questi sindaci?

Incandidabili?
Dice il decreto del governo che non si può ricandidare chi è stato giudicato responsabile per il dissesto finanziario dell'ente che amministrava. In realtà la norma già c'era da un anno, il governo ha aggiunto una «multa» che può arrivare fino a venti volte lo stipendio guadagnato all'epoca dei fatti. E il suo valore si limita al deterrente. Per far scattare l'incandidabilità è necessaria la condanna della Corte dei conti, anche solo in primo grado, per dolo o colpa grave. Finora non è mai successo. Certo, diversi sindaci sono stati condannati a rimborsare un danno causato alle casse pubbliche. Ma il fatto non è mai stato legato al dissesto finanziario come dice il decreto del governo. Un esempio? L'ex sindaco di Catania Umberto Scapagnini è stato condannato dal tribunale in primo grado a due anni e nove mesi per aver truccato i bilanci del suo Comune. Così aveva evitato di dichiarare il dissesto, aspettando che il debito venisse ripianato dal governo Berlusconi con un assegno di 140 milioni. Scapagnini è ricandidabile.


giovedì 4 ottobre 2012

Tagli a Comuni e Regioni, ok in Cdm Monti: «Scandali danno incalcolabile» Stop a vitalizi e indennità del caso Lazio.


Il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, con Mario Monti


Via libera in Cdm. Ridotte poltrone, fondi e stipendi. Sciolti enti che violano norme. Stop a indennità e vitalizi facili: Fiorito rimane senza pensione. Incandidabili i sindaci che sperperano.

ROMA - Gli scandali legati allo sperpero di spese per la politica fanno parte di «un'Italia vecchia che preferiremmo non vedere in futuro».Dice il premier Mario Monti in conferenza stampa a Palazzo Chigi illustrando i decreti sui costi della politica e sullo sviluppo, su cui oggi il Cdm ha dato il via libera. «Oggi presentiamo due provvedimenti molto diversi fra loro ma che hanno in comune l'obiettivo di trasformare l'Italia», sottolinea il premier.

Gli scandali.
 «Possiamo immaginare quale effetto può avere sull'immagine dell'Italia quando si verificano episodi di evasione fiscale o corruzione» ha sottolineato Monti. Il governo, con questi provvedimenti, intende risolvere una situazione diventata insostenibile, sull'onda degli scandali che colpiscono le Regioni, a partire dallo scandalo dei fondi del Lazio. E a tal proposito il premier ha rincarato la dose: «Che può pensare un cittadino straniero quando vede scorrere certe immagini di festini inqualificabili sulla televisione? Per l'Italia è un danno incalcolabile», ha detto.

Sviluppo. Agenda digitale, nascita e sviluppo di startup innovative, strumenti fiscali per agevolare la realizzazione di grandi opere con capitali privati, attrazione di investimenti esteri, credito alle Pmi e liberalizzazioni in campo assicurativozioni: sono le principali aree di intervento del "Decreto Crescita 2.0" approvato dal Cdm. (CONTINUA A LEGGERE)

I tagli alla politica. Secondo quanto detto dal premier Monti dopo il Cdm, il decreto approvato taglia, entro sei mesi dalla sua entrata in vigore, regioni chiamate al voto escluse, il numero di consiglieri e assessori applicando il decreto anticrisi 138 del 2011. Ridotti anche i compensi dei consiglieri e degli assessori, regolati in modo che non eccedano il livello di retribuzione riconosciuto dalla Regione più virtuosa. Il provvedimento vieta poi il cumulo di indennità ed emolumenti (come ad esempio nel caso Fiorito). 
I finanziamenti e le agevolazioni in favore dei gruppi consiliari, dei partiti e dei movimenti politici vengono decurtati del 50% e adeguati ai livello della Regione più virtuosa. Aboliti i finanziamenti ai gruppi composti da un solo consigliere. Le Regioni che non introdurranno il sistema di controllo di spesa previsto dal decreto varato oggi dal governo saranno sanzionate con un taglio fino all'80% dei trasferimenti dello Stato, eccetto che su sanità e trasporto.

Niente pensione per "Er Batman". Il decreto conferma l'eliminazione dei vitalizi e l'applicazione del metodo contributivo per il calcolo della pensione. Nelle more, si legge nel comunicato di Palazzo Chigi, potranno essere corrisposti trattamenti pensionistici o vitalizi in favore di coloro che abbiano ricoperto la carica di presidente della Regione, di consigliere regionale o di assessore regionale solo se i beneficiari abbiano compiuto 66 anni d'età e ricoperto la carica, anche se non continuativamente, per almeno 10 anni. La norma sembra colpire proprio l'ex consigliere del Lazio Franco Fiorito che avrebbe preso la pensione a cinquant'anni.

Le sanzioni. Per le Regioni che si rifiutano di attuare le misure di taglio ai costi della politica è previsto lo «scioglimento del Consiglio per gravi inadempienze di legge», ha detto il sottosegretario Antonio Catricalà.

Anticorruzione. «Temi come la lotta alla corruzione dovrebbero far parte del Dna di ogni partiti e spero che si raggiunga presto accordo perchè tassello essenziale per il Paese», ha detto il premier Monti.

Amministratori spendaccioni incandidabili. Sindaci e presidenti di provincia che hanno contribuito al dissesto «non sono candidabili per 10 anni» a numerose cariche tra cui quelle nelle Giunte e nei consigli e nel Parlamento. In arrivo anche pesanti sanzioni.

La bozza. «Gli amministratori - si legge nella bozza del dl - che la Corte dei conti ha riconosciuto, anche in primo grado, responsabili di aver contribuito con condotte, dolose o gravemente colpose, sia omissive che commissive, al verificarsi del dissesto finanziario non possono ricoprire, per un periodo di dieci anni, incarichi di assessore, di revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici e privati. I sindaci e i presidenti di provincia ritenuti responsabili ai sensi del periodo precedente, inoltre, non sono candidabili, per un periodo di dieci anni, alle cariche di sindaco, di presidente di provincia, di presidente di Giunta regionale, nonché di membro dei consigli comunali, dei consigli provinciali, delle assemblee e dei consigli regionali, del Parlamento e del Parlamento europeo. Non possono altresì - prosegue il decreto legge - ricoprire per un periodo di tempo di dieci anni la carica di assessore comunale, provinciale o regionale nè alcuna carica in enti vigilati o partecipati da enti pubblici. Ai medesimi soggetti, ove riconosciuti responsabili, le sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti irrogano una sanzione pecuniaria pari ad un minimo di cinque e fino ad un massimo di venti volte la retribuzione dovuta al momento di commissione della violazione».

Spese delle Regioni, controlli della Corte dei conti e della Finanza. La Corte dei conti e la Ragioneria dello Stato effettueranno il «controllo preventivo di legittimità» sulle spese delle Regioni, compreso «il piano sanitario regionale ed il piano di riparto delle risorse destinate al finanziamento del Servizio sanitario regionale» e potrà avvalersi della Gdf. Lo prevede la bozza del dl su costi della Politica all'esame del Cdm.

Modifiche Imu, termini prorogati al 31 ottobre. Le aliquote Imu potranno essere modificate dai Comuni fino al 31 ottobre, il termine ultimo per l'approvazione dei bilanci previsionali comunali. Si riaprono così i termini scaduti a settembre. Lo prevede la bozza del decreto, che fa slittare al 30/11 il termine per la dichiarazione Imu.

Controlli enti locali su società esterne. 
Gli enti locali, prevede la Bozza del decreto, dovranno attuare un sistema di controlli sulle società partecipate, definendo gli obiettivi gestionali, gli standard qualitativi e quantitativi, ma anche la siutazione contabile, i contratti di servizio e il rispetto dellenorme di legge sui vincoli di finanza pubblica. I risultati delle societa «sono rilevati mediante bilancio consolidato, secondo la competenza economica».
Giovedì 04 Ottobre 2012 - 17:21
Ultimo aggiornamento: 23:26