Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
martedì 17 maggio 2011
Fede affranto: oltre 4 minuti per dare la notizia di Milano
Nicola Cosentino, indagato per Camorra, nella Commissione Ecomafie?
Nicola Cosentino, “ancora” sottosegretario all’Economia e coordinatore regionale del PDL per la Campania, è indagato per associazione camorristica e dalla Corte di Cassazione è stato giudicato “socialmente pericoloso”. E potrebbe mettere le mani sulla Commissione Ecomafie.
Uno dei suoi, Gennaro Coronella, deputato PDL, potrebbe essere nominato vicepresidente dell’organo parlamentare di inchiesta sulle ecomafie. Coronella era insieme con Cosentino nei fascicoli di indagini su Consorzio Ce4, la più grande inchiesta sulle infiltrazioni dei Casalesi nella gestione dei rifiuti.
Ma ulteriore beffa è data dal fatto che, “attualmente”, Nicola Cosentino gestisce a Napoli per il PDL, l’iniziativa “liste pulite”.
Redazione YouFOCUS.TV
http://www.youfocus.tv/nicola-cosentino-indagato-per-camorra-nella-commissione-ecomafie
L'accusa, poi l'assoluzione Ecco cosa c'è in quelle carte.
L'iter processuale per Pisapia è iniziato nel 1980. Chiuso 8 anni dopo.
Moratti richiama un verdetto d'Assise del 1984 per affermare che solo un'amnistia aveva salvato il rivale da una condanna per furto, ma tace che Pisapia in Appello era poi stato assolto nel merito nel 1986 «per non aver commesso il fatto». E anche solo restando alla sentenza di primo grado del 1984, fa credere che alla base dell'applicazione dell'amnistia vi fosse da parte dei giudici un'affermazione di responsabilità di Pisapia per il furto del 1978, mentre invece nella motivazione la Corte d'Assise esplicitamente scriveva che, se non fosse intervenuta l'amnistia, avrebbe comunque «assolto per insufficienza di prove» Pisapia.
Tre pentiti e un furto: chi decise?
«Anche Pisapia». «No, non c'era».
La storia vera comincia la sera del 19 settembre 1978, quando a Milano i terroristi di «Prima Linea» Massimiliano Barbieri, Roberto Sandalo e Marco Donat Cattin rubano un furgone Fiat, e Barbieri viene arrestato. Due anni e mezzo dopo, Sandalo, "pentito" come anche gli altri due, spiega il furto come finalizzato a un progetto (poi mai attuato) di sequestro di William Sisti, capo del servizio d'ordine del «Movimento lavoratori per il socialismo» che aveva avuto violenti scontri con l'«Autonomia operaia» cittadina, e al quale il «Collettivo» studentesco della libreria di via Decembrio, nel quale all'epoca militavano attivamente Massimiliano Trolli (ex di Lotta Continua) e suo cugino Giuliano Pisapia, addebitava pestaggi di "compagni", come un disegnatore di murales ridotto in fin di vita. Barbieri, che secondo Sandalo e Donat Cattin voleva colpire Sisti «come carta di credito per entrare in Prima Linea», nell'estate 1978 li porta dunque in una casa di benestanti nel centro di Milano, dove vivevano Trolli e «il cugino», cioè Pisapia. Tutti e tre i pentiti collocano nella casa alcune riunioni di luglio 1978 nelle quali «venne avanzata la proposta di compiere un'azione punitiva contro Sisti» da sequestrare, picchiare e liberare con la colla nei capelli. Ma i tre pentiti divergono sul ruolo di Pisapia: per Sandalo era presente; lo stesso dice Barbieri, che però per la riunione operativa indica una data in cui Pisapia era a Santa Margherita Ligure bloccato da un'ulcera, attestata sul ricettario milanese del medico Carlo Agnoletto (zio di Pisapia); invece Donat Cattin esclude Pisapia fosse alla riunione.
Cade la banda armata. Per il furto
a giudizio per «concorso morale»
E' notorio che per questa vicenda Pisapia nel 1980 fu arrestato con due accuse: partecipazione alla banda armata «Prima Linea», e concorso morale (luglio 1878) nel furto del furgone poi commesso (settembre 1978) da Sandalo-Barbieri-Donat Cattin. Resta 4 mesi in carcere, ma per la banda armata neppure viene processato, direttamente prosciolto su richiesta del pm Armando Spataro. E' invece rinviato a giudizio in Corte d'Assise per il concorso morale nel furto del furgone, anche qui noto negli archivi (es. Ansa dell'11 giugno 1982).
Primo grado: l'amnistia prevale
sull'assoluzione dubitativa
Finisce con una amnistia. Nella motivazione di primo grado la Corte d'Assise tende a escludere «sovrapposizione di ricordi» nella versione di Sandalo, ritiene «poco verosimile che Barbieri abbia clamorosamente errato», appare dubbiosa rispetto a Donat Cattin che dice che Pisapia non c'era, e svaluta il certificato medico. Tuttavia la Corte prende atto che anche Sandalo e Barbieri «non hanno esplicitamente parlato di uno specifico apporto di Trolli e Pisapia all'episodio del furto». E conclude che, «nell'irrisolto contrasto» tra le dichiarazioni di Donat Cattin e quelle «non meno rilevanti deponenti in contrario di Barbieri e Sandalo, nei confronti di Pisapia potrebbe essere emessa solamente una pronuncia di assoluzione per insufficienza di prove». Poiché però nel 1978 era intervenuta una amnistia, «per giurisprudenza consolidata l'amnistia prevale» tranne nel caso di assoluzione piena: quindi il dispositivo della terza Corte d'Assise il 22 ottobre 1984 ritiene «amnistiato il reato ascritto» a Pisapia e dichiara «il non doversi procedere».
Secondo grado: «Neanche indizi»
Assolto, non ha commesso il fatto
Pisapia rinuncia all'amnistia e fa ricorso alla Corte d'Assise d'Appello, che lo assolve nel merito. I giudici scrivono che dalla «coabitazione di Pisapia con il cugino Trolli» e dall'«adesione di Pisapia all'ideologia di sinistra» possono «sorgere al più soggettivi sospetti» ma non certo «la prova di un coinvolgimento che connoti estremi di rilevanza penale». In più, i giudici di secondo grado, diversamente da quelli di primo, ritengono la presenza di Pisapia alla riunione di fine luglio 1978 «del tutto smentita» dal certificato medico che lo indicava fermo a Santa Margherita Ligure, per la stessa ulcera per la quale ulteriore «documentazione sanitaria» lo mostrava «ricoverato in ospedale a Santa Margherita dal 12 al 18 giugno e dal 24 giugno al 3 luglio». La conclusione della terza Corte d'Assise d'Appello l'8 marzo 1986 è dunque che «non vi è prova, nè vi sono apprezzabili indizi, di una partecipazione di Pisapia al furto, sia pure sotto il profilo di un concorso morale: va pertanto assolto per non aver commesso il fatto».
Giudice errato, Cassazione annulla
E l'Appello-bis riassolve nel merito
Finita? Non ancora. Neppure l'accusa impugna l'assoluzione di Pisapia, ma il 3 marzo 1987 la Cassazione rileva un errore nella formazione del collegio d'Appello, annulla la sentenza per tutti gli imputati e quindi fa ricelebrare il processo di secondo grado. E' solo un formalità: infatti sia la Procura generale sia le difese chiedono ai giudici del processo-bis d'Appello di confermare le statuizioni riguardanti ciascun imputato, e la nuova Corte lo fa per tutti gli imputati (compreso Pisapia) nelle ordinanze del 3 dicembre 1987, 25 febbraio, 28 marzo e 14 aprile 1988. A chiudere lo svuotato Appello-bis resta il «non doversi procedere non potendo essere proseguita l'azione penale» già definita dalle ordinanze sui vari imputati; e cioè, nel caso di Pisapia, dall'assoluzione passata in giudicato per non aver commesso il fatto. Un dato definitivo che relega in secondo piano la scelta del sindaco di connotare negativamente l'amnistia attribuita (erroneamente) al rivale nonostante di un'amnistia vera abbia usufruito, per fatti parimenti datati, il capolista della sua lista Pdl, Silvio Berlusconi, per il quale 21 anni fa la Corte d'Appello di Venezia dichiarò nel 1990 l'amnistia della «falsa testimonianza» imputatagli per aver negato l'iscrizione alla loggia P2 di Licio Gelli.
Luigi Ferrarella
Moratti rilancia le accuse a Pisapia. Ma tra i due candidati a Milano è lei la condannata. - di di Thomas Mackinson
Nel 2010 la Corte dei Conti l'ha costretta, in Appello, a pagare 125mila euro per la vicenda degli incarichi d'oro. Sempre l'anno scorso è arrivata la sentenza della Corte dei Conti del Lazio per un contratto inutile siglato quando era ministro dell'Istruzione
Sì, perché se la fedina di Giuliano Pisapia e di Manfredi Palmeri resta specchiata, è proprio quella della “moderata” Letizia ad avere due vistose macchie. Due condanne collezionate in epoche diverse per aver sprecato soldi pubblici attribuendo consulenze e incarichi ad amici e conoscenti violando le leggi che regolano la materia. Proprio a Milano la Corte dei Conti l’ha condannata due volte insieme ad alcuni membri della giunta di centrodestra per “danno erariale con colpa grave”. La vicenda è quella dei cosiddetti “incarichi d’oro” che risale al 2006. Prese le leve del comando a Palazzo Marino la Moratti fa assumere sei persone come dipendenti (e con gli stipendi dirigenziali) senza verificare le loro competenze né la presenza nell’ente pubblico di analoghe capacità. Uno spoil system che premia i manager esterni e allinea il Comune a un’azienda privata. Il danno dell’operazione, in primo grado, era stato calcolato in 887mila euro, poi ridotto nel processo di Appello che si conclude quattro anni dopo (9 gennaio 2010) con la conferma della condanna e la richiesta di 125mila euro di risarcimento. Una cifra certo simbolica per la moglie del magnate che spende sei milioni di euro e più per la campagna elettorale ma non meno importate sul fronte politico-giudiziario.
C’è poi una seconda inchiesta ha travolto la Moratti nei panni di primo cittadino. Si tratta dell’indagine su 80 contratti di consulenza e presunte azioni di mobbing per i quali il 29 novembre del 2007 erano stati indagati Letizia Moratti e quattro ex dirigenti dell’amministrazione comunale. A indagare sono ancora i magistrati contabili che infliggono una condanna a risarcire l’erario comunale per 261mila euro per il danno che avrebbero provocato all’erario nell’assegnare ben 80 consulenze in modo del tutto arbitrario e violando ancora una volta la normativa in materia. Finisce invece con una archiviazione la parte penale di questa vicenda. L’accusa per la Moratti era di abuso di ufficio. Ma le parole scritte nere su bianco due anni dopo (27 agosto 2010) dal GipMaria Grazia Domanico lasciano zone d’ombra sull’operato del primo cittadino che viene definito ancora una volta “grave e colposo”: «Si deve ritenere che le modalità di rimozione dei dirigenti, per quanto censurabili sotto diversi profili, non abbiano travalicato il limite dell’illecito penale».
Non è la prima volta che Letizia scambia un ente pubblico per un’azienda privata. Quando Letizia era Ministro dell’Istruzione aveva già incassato una condanna e una richiesta di indennizzo. Nel 2001 infatti aveva affidato alla società mondiale leader nei servizi di revisione-fiscalità-advisory uno studio da 180mila euro per l’accorpamento dei ministeri della pubblica amministrazione e ricerca. Un incarico che la Corte dei Conti del Lazio ha ritenuto del tutto inutile visto che uno studio sulla “fusione” era già stato condotto internamente. In pratica, un’altra consulenza esterna non necessaria. Risultato: il 20 aprile 2010 è stata condannata a risarcire l’importo del contratto da 50mila euro.
La pazienza dei comuni è finita l'Anci fa causa al governo.
Dai municipi sede delle vecchie centrali azione legale contro Palazzo Chigi per ottenere le compensazioni pattuite per lo smaltimento degli impianti: "Sconcertati dalle 'menzogne' che ci vengono raccontate"
In una nota, l'Anci ricorda che le compensazioni per i municipi sedi di servitù nucleari (non solo le vecchie centrali, ma anche deposito di stoccaggio di materiale radioattivo), sono previste dal decreto Scanzano del 2003. "In virtù della legge finanziaria, nel 2005 - spiega Fabio Callori, presidente della Consulta e sindaco di Caorso - tali risorse sono state decurtate del 70% per destinare gli introiti che i cittadini pagano con la bolletta elettrica alla fiscalità generale". Si tratta, tra l'altro, di quegli "oneri di sistema" che rendono il costo dell'elettricità in Italia uno dei più alti d'Europa e che nelle settimane scorse il governo ha propagandisticamente cercato di attribuire 1 esclusivamente al peso degli incentivi per le fonti rinnovabili.
Una scelta bocciata anche dall'Autorità per l'Energia, ricorda l'Anci, dato che in via generale non si possono destinare a un'entrata dello Stato delle cifre che hanno una precisa destinazione, quella di riqualificare i territori sui quali ha gravato la vecchia generazione del nucleare. "Finora - sottolinea Callori - l'Anci si è impegnata con tutte le iniziative possibili a livello di emendamenti e di proposte per il recupero delle somme, fino ad arrivare alla proposta al Governo del rilascio di attestati per il riconoscimento dei crediti. Ad oggi, da parte del Governo, non c'è stato nessun riscontro". Come se non bastasse, l'esecutivo ad oggi non ha adempiuto però neppure al pagamento del restante 30%.
"Oggi - denuncia ancora il presidente della Consulta Anci - ci ritroviamo poi a dover anche inseguire l'erogazione di quello che rimane, ovvero il 30% che è stato già deliberato dal ministero dell'Ambiente per le annualità 2008-2009 e contabilizzato dalla Cassa conguaglio per il settore elettrico, ma ad oggi il Cipe non si è ancora espresso per le ripartizione del fondo e probabilmente ciò comporterà oggettive difficoltà per il completamento delle opere in corso di realizzazione sul territorio".
"Siamo letteralmente sconcertati dalle 'menzogne' che ci vengono raccontate - conclude Callori - le carte e le risorse per le delibere Cipe ci sono tutte e oggi ne abbiamo avuto conferma; ancora una volta non riusciamo proprio a capire il perché di queste negligenze". Secondo Callori la mancanza di risorse potrebbe determinare gravi conseguenze: "A fronte del perdurare della situazione i nostri Comuni potrebbero vedersi costretti a bloccare i processi di smantellamento dei vecchi impianti".
All'iniziativa dell'Anci ha risposto a nome del governo il sottosegretario allo Sviluppo Economico Stefano Saglia. "Ho partecipato personalmente alla riunione del pre-Cipe della settimana scorsa che recava all'ordine del giorno la delibera sulle compensazioni per i Comuni sedi di impianti nucleari - ha spiegato - Pertanto posso affermare che è pronta per l'approvazione. Il rinvio è stato dovuto solo a questioni formali".
Se restano quindi ancora da saldare i conti per il nucleare di oltre 20 anni fa, rischiano di avere un costo salato anche i sogni per il futuro. "Il piano nucleare del governo potrebbe pesare sulle tasche degli italiani anche dopo lo stop a seguito del disastro di Fukushima", denunciano i parlamentari del Pd Ermete Realacci e Luigi Zanda in un'interrogazione congiunta presentata a Camera e Senato ai Ministeri dello Sviluppo Economico e degli Affari esteri e alla Presidenza del Consiglio. "Il governo - chiedono i due esponenti democratici - venga in Parlamento e renda noto quali siano gli accordi previsti dal protocollo Italia-Francia sul nucleare sottoscritto nel febbraio 2010 e se contemplino eventuali clausole di rescissione e rimborso in caso di arresto del piano di cooperazione energetica in materia di nucleare tra Italia e Francia". "Su questo tema - prosegue il documento - da mesi abbiamo già chiesto chiarimenti al governo con altre interrogazioni, ma non c'è stata mai nessuna risposta. E' un fatto molto grave sul quale è indispensabile chiedere la massima chiarezza e trasparenza. La beffa nucleare non può diventare comunque un danno per le tasche dei cittadini e un affare per pochi".
SPOT REFERENDUM 12 e 13 giugno 2011
Occorre il voto di 25 MILIONI di ITALIANI perchè il Referendum sia valido e il Governo NON ci privatizzi l'acqua, NON ci imponga Centrali Nucleari sul nostro paese, perchè NON passi il Leggittimo Impedimento, che favorirebbe ancor di più l'illegalità nel nostro paese.
HANNO GIA' FATTO PASSARE IL PROCESSO BREVE ora NON PERMETTIAMO CHE SCHIACCINO ANCOR DI PIU' LE NOSTRE VITE !
INFORMIAMO NOI SUI REFERENDUM LA GENTE CHE GUARDA SOLO LA TV!!! Ricordiamoci che meno del 30 % degli italiani ha internet!
4 SI PER FERMARLI !! Divulgate questi due SPOT, fateli vedere a TUTTI !!!
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