lunedì 19 agosto 2019

I 5 Stelle difendano il reddito. Con chiunque. - Luisella Costamagna



Scoperte - Una gita al parco, l’incontro con una disoccupata salvata dall'assegno: ecco su cos'è la crisi.
L’altro giorno, al parco con i miei cani, ho incontrato una signora vista mille volte. Di solito i nostri dialoghi si limitavano ai quattrozampe, mai mi aveva raccontato cosa facesse nella vita, né avevamo mai parlato di politica pur sapendo che sono giornalista. Questa volta, invece, mi ha chiesto preoccupata: “Ma che succede con ‘sta crisi? Si torna a votare?”. Interdetta per la domanda inaspettata, ho improvvisato un barlume di riflessione sulla pagliacciata ferragostana: “Mah, bisogna vedere… se Salvini riesce ad andare fino in fondo… magari i 5 Stelle riescono a trovare un accordo col PD… Boh, tocca aspettare…”. Lei ha tagliato i miei (molti) punti di sospensione un po’ politichesi con una lama: “Sai, sono disoccupata. Lavoravo in uno studio medico, poi mia madre si è ammalata e io ho dovuto occuparmi di lei, per cui ho mollato”.
Breve attimo di esitazione e imbarazzo. “Ora che lei non c’è più vivo grazie al reddito di cittadinanza: 500 euro al mese. Un sollievo, senza non saprei come fare”. Accenna un sorriso, e io con lei. “Sto cercando lavoro, spero di trovarlo. Se senti qualcosa fammelo sapere”. “Certo!”, dico io ripromettendomi di darle una mano, ma con la consapevolezza che a 50 anni non nutrire grandi speranze, di questi tempi, non è pessimismo… E sono tornata ai miei punti di sospensione. A casa ho ripensato a quella confessione, a quanto le sarà costata e alla sua sacrosanta preoccupazione. E ho capito: questa crisi-buffonata, partorita da un vicepremier che fa il dj a torso nudo al Papeete Beach, che approfitta di Ferragosto per tentare di prendere tutto, che manda in visibilio gli opinionisti in servizio effettivo permanente, i quali non vedevano l’ora di mollare moglie e figli sotto l’ombrellone per tornare all’esegesi delle mosse di palazzo… be’, questo show di mezza estate di nani e ballerine è fatto sulla pelle delle persone.
Ve ne siete accorti? Ci pensate? Persone come quei 922.487 italiani (ogni numero è uno come noi, in carne e ossa) che al 31 luglio hanno già ricevuto un importo medio mensile di 526 euro e a cui si potrebbero aggiungere altri 170mila che hanno fatto domanda ma devono aspettare ulteriori verifiche. Oltre 1 milione di persone – poco meno degli abitanti di Milano, appena più di Napoli – che ora sono nel panico all’ipotesi di perdere di nuovo tutto con un nuovo governo a traino Salvini. Non ha mai fatto mistero della sua contrarietà al reddito e l’ha digerito solo perché, con il suo 17% alle Politiche, si era sposato con un Di Maio al 33, ma in queste ore è riemersa la volontà della Lega di abolirlo: possiamo star certi che, se mai diventerà premier, sarà uno dei suoi primi atti.
I Cinquestelle hanno più che mai il dovere di fare da argine e difendere il loro provvedimento: hanno fatto tanti errori, hanno permesso a Salvini di diventare quello che è, ma il reddito (e non solo) resta una misura di civiltà e di aiuto concreto che gli fa onore. Valutino tutte le opzioni, stringano accordi con chi credono, ma restino “templari” del reddito di cittadinanza. E con loro lo siano anche tutte le forze politiche e i leader di buona volontà e moralità, che in queste ore non ballano sul bagnasciuga della crisi alla faccia degli italiani, aspettando solo l’onda giusta che li porti a Palazzo Chigi.

domenica 18 agosto 2019

I 5 Stelle hanno deciso: si va alla crisi in Senato. - Ilaria Proietti e Marco Palombi



Game over – Niente appigli alla Lega: il M5S presenterà una risoluzione che sosterrà la posizione di Conte su Ong e migranti: piacerà a sinistra e sarà invotabile per Salvini.

Le telefonate accorate dei pontieri leghisti non si sono fermate neanche in questo sabato di metà agosto, nonostante il gran capo Matteo Salvini - in relax bucolico a casa Verdini - abbia interrotto i contatti anche coi suoi: mentre lui riflette, ministri e dirigenti vari del fu Carroccio provano a capire se c’è uno spazio per ricucire con “l’Italia del no” a 5 Stelle.
Dalle parti del Movimento, anche se continuano gli attacchi all’ex alleato (“ha provato a fregarci tutti, ma si è fregato da solo: pare che persino Berlusconi gli abbia risposto picche”), non è ancora arrivata una chiusura formale: questo perché ogni posizione dovrà essere espressa in Parlamento e Salvini dovrà intestarsi una crisi di governo che lui stesso ha scelto di aprire dieci giorni fa. Problema: ormai la Lega barcolla e non è nemmeno più chiaro se voglia sfiduciare Giuseppe Conte o persino votargli contro nell’Aula del Senato dopodomani. “Vedremo se avranno il coraggio di schierarsi contro il premier”, dice il ministro grillino Riccardo Fraccaro.
Insomma, volendo, il duello all’ultimo sangue annunciato a Palazzo Madama potrebbe persino diventare un minuetto senza risultati, che dia agli ex gialloverdi il tempo di restare compatti. Non andrà così e non solo perché il capo dello Stato ha fatto sapere che M5S e Lega non potranno rimettersi insieme facendo finta di niente, ma pure perché i grillini hanno deciso che - comunque vada a finire - si dovrà passare per una vera crisi politica in Parlamento con la spaccatura della ex maggioranza.
È questa la linea che si è andata delineando in questi giorni e che dovrebbe trovare una sua veste tecnica nella riunione della “cabina di regia” grillina convocata in serata a Roma: al tavolo, oltre a Luigi Di Maio, siederanno i ministri Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro, il presidente della commissione Antimafia Nicola Morra, la vicepresidente del Senato Paola Taverna, i due capigruppo in Parlamento Francesco D’Uva e Stefano Patuanelli, il “casaleggiano” Massimo Bugani e Alessandro Di Battista.
Saranno loro - in stretto contatto col premier, Grillo e lo stesso Casaleggio - a definire la strategia parlamentare. Funzionerà così: martedì Conte farà le sue “comunicazioni” nell’aula del Senato e, a quel punto, i vari gruppi potranno presentare una “risoluzione” sull’intervento. Quelle importanti, ovviamente, sono quelle che presenteranno la Lega (che ancora non sa cosa fare) e il Movimento.
Quest’ultima la firmerà, com’è normale, il capogruppo Patuanelli e dovrà avere due caratteristiche: pur appoggiando il presidente del Consiglio da un lato dovrà consentire alle opposizioni “democratiche” (Pd, LeU e altri) di non votare contro, dall’altro alla Lega di non votare a favore. Insomma, non dovrà rivendicare troppo l’esperienza gialloverde e attaccare la Lega su un terreno sul quale sia impossibile la pacificazione.
Conte, come detto, lavora in stretto contatto col gruppo dirigente grillino e ha sostanzialmente già da solo creato la perfetta occasione di scontro: le letterine e letteracce (“l’ossessione dei porti chiusi”, “non firmo il divieto per una questione di umanità”) scambiate negli ultimi giorni tra il premier e la ministra della Difesa Trenta da un lato e Salvini dall’altro sulla vicenda della nave della Ong spagnola Open Arms e il relativo sbarco dei migranti (finora solo i minorenni) è il boccone amaro, tra i molti possibili, che il cosiddetto “capitano” proprio non può mandare giù. Una risoluzione che elogi la recentissima linea dell’accoglienza di Palazzo Chigi su questo tema sarebbe indigesta per i leghisti.
A quel punto, con una spaccatura della maggioranza evidente anche in Parlamento, la crisi sarebbe aperta: “In piena trasparenza”, come aveva promesso il premier neanche un mese fa. È quel che si augurano al Quirinale, dove aspettano e sperano che la sfiducia più pazza del mondo trovi finalmente una strada istituzionale: l’ipotesi che va per la maggiore sul Colle più alto, diciamo quasi scontata, è che Conte - che ha la fiducia di Sergio Mattarella - salga a palazzo dopo il dibattito in Parlamento per rassegnare le sue dimissioni. Solo allora, con l’avvocato del popolo in carica per gli affari correnti, inizierà la partita del nuovo governo, qualunque esso sia. Solo una è l’avvertenza che il presidente della Repubblica ha già fatto pervenire ai partiti: se c’è un accordo politico (nuovo o vecchio) si procede, ma se l’idea è mettere in piedi un accordicchio per qualche mese, allora sarà lui a costruire un esecutivo che faccia la manovra e guidi il Paese alle elezioni.

Grecia: la caccia ai giovani ribelli è aperta. - Yannis Youlountas



Il nuovo governo sta per mettere in pista un offensiva senza precedenti contro il movimento libertario ed autogestito, che è diventato fastidioso e popolare nel corso degli anni.

Il primo ministro di fresca nomina e capo della destra, Kyriakos Mitsotakis, ha promesso di “pulire Exarcheia (1)” nel corso dell’estate e di “farla finita con Rouvikonas (2)”. Aldilà del celebre quartiere libertario e dell’imprendibile gruppo anarchico, è tutta la nebulosa rivoluzionaria e la rete squat che sono presi di mira con sistemi e procedimenti repressivi di vario tipo.
Una volta in più ciò che succede in Grecia fa riflettere su ciò che si prepara ugualmente altrove in Europa, in quanto l’esempio Greco nel recente passato ha chiaramente indicato la direzione del nuovo irrigidimento del capitalismo sul continente e di una società sempre più autoritaria.
Il governo comincerà col ripristinare le leggi scellerate già messe in atto durante gli anni venti che prendevano di mira allora tanto il Partito Comunista greco come gli antiautoritari.
Questa volta l’obiettivo è per prima cosa ostacolare la propaganda anarchica considerando letteralmente il suo progetto politico rivoluzionario come una minaccia immediata, dunque passibile sotto questo aspetto di repressione giudiziaria. In breve una censura, non della propaganda anarchica in quanto tale, ma in quanto “parola di minaccia” ogni volta che rappresenterà un “pericolo per l’ordine sociale e la pace civile”.
In particolare, nel preciso caso di Rouvikonas, si tratta di qualificare le sue azioni dirette, anche senza spargimento di sangue, nella categoria delle “azioni terroriste” (articolo 187A del Codice Penale greco), con gravi conseguenze giuridiche per tutti i membri del gruppo.
Peggio ancora, lo Stato greco si appresta a considerare tutti i membri di Rouvikonas sistematicamente responsabili della minima azione portata a termine anche solo da un membro del gruppo. In altre parole, se domani mattina l’ufficio che raccoglie le pratiche delle persone eccessivamente indebitate (Tiresias) (3) fosse di nuovo distrutto, per esempio da 5 membri del gruppo, il centinaio circa di altri membri sarebbe anch’esso incriminato, rimettendo in discussione la sottile strategia giuridica del gruppo che finora procedeva abilmente per rotazione.
Non solo il codice penale sta per essere cambiato per irrigidire questa offensiva imminente annunciata da un mese, ma i mezzi dello Stato si stanno rafforzando per colpire Exarcheia e tutto il movimento “squat” e antiautoritario in Grecia.
2000 poliziotti motorizzati Stanno per essere reclutati (1500) o richiamati (500) da altri incarichi nella polizia, per partecipare ad azioni di repressione nelle famose zone che lo Stato vuole riconquistare, cominciando dal celebre quartiere ribelle e solidale di Atene.
Del materiale di spionaggio prodotto in Francia dovrebbe essere ugualmente messo a disposizione dei servizi segreti Greci (grazie Macron), come accaduto spesso negli ultimi anni in tutto il bacino del Mediterraneo. Tra le altre cose ricordiamo il sostegno dato dal dirigenti politici ed economici francesi al regime tunisino alla fine degli anni 2000, cosa che non aveva impedito la caduta di Ben Ali all’inizio del 2011, nonostante l’arrivo di ingenti forniture. Michèle Alliot-Marie aveva anche proposto in seguito, il 12 gennaio 2011, di inviare i poliziotti antisommossa e la “Celere” francese ad aiutare la polizia tunisina a domare i manifestanti, proprio quando questa cominciava a sparare pallottole vere.
La zona di ripiego che è la Scuola Politecnica, ad ovest di Exarcheia, conosciuta per il suo ruolo storico nell’insurrezione contro la dittatura dei colonnelli nel 1973 e in varie altre occasioni seguenti, in particolare nel 2008 e nel 2014, sta per essere sottoposta al controllo di polizia con la promulgazione della fine del diritto di asilo universitario e l’inizio dei lavori per trasformare il sito in museo dell’antichità, come parte del museo vicino.
Un segnale forte viene anche inviato dallo Stato ai suoi poliziotti, un vero incoraggiamento a colpire violentemente: Epaminonda Korkoneas, il poliziotto che aveva assassinato freddamente con la sua arma di servizio Alexis Grigoropoulos, un giovane anarchico di 15 anni, il 6 dicembre 2008 nel quartiere di Exarcheia, è stato liberato ieri sera (pur essendo condannato all’ergastolo). Questo omicidio aveva provocato tre settimane di tafferugli clamorosi che rasentavano l’insurrezione, nel dicembre del 2008, e poi degli scontri dopo di allora ogni anno ad ogni 6 dicembre. Non si tratta certamente di appoggiare il sistema carcerario, ma proprio mentre si promulgano delle leggi scellerate antianarchiche e si fanno delle pesanti minacce contro Exarcheia e Rouvikonas, questa liberazione è percepita in Grecia come una provocazione ed un messaggio di impunità mandato a tutti i poliziotti che si preparano a colpire.
Stasera i libertari ancora presenti malgrado il periodo (uno dei rari periodi che procura un po’ di lavoro specialmente nel turismo e spesso nelle isole), ed anche tutto il movimento sociale rivoluzionario, si riuniranno alle ore 20 a Exarcheia, nel punto preciso dove il giovane anarchico è stato assassinato il 6 dicembre 2008.
Dopo il crepuscolo, la notte nel centro di Atene sarà calda, da Charilaou Trikoupi a Stournari e tutto intorno a Exarcheia avranno certamente luogo degli scontri. Anche se Atene è per tre quarti deserta come ogni anno in questa stagione. Ma l’autunno sarà senza dubbio più caldo dell’estate, se i ribelli decidono di tenere duro contro questo nuovo attacco storico dello Stato.
Mentre tutto il mondo diventa fascista, in Grecia come in Francia, gli pseudo democratici cavalcano l’onda mondiale di estrema destra irrigidendo tanto il capitalismo quanto il suo apparato di autoconservazione.
Niente di strano che i peggiori nemici dell’autoritarismo siano i primi della lista. Di fronte a questo sono possibili due scelte: o lasciar fare e non dire nulla, sperando di non essere i prossimi, o reagire e divulgarlo. Per esempio Rouvikonas propone tra le numerose forme di azione possibili, a quelle e a quelli che vorrebbero sostenerci, di fare pressione in vari modi sulle ambasciate, i consolati e le istituzioni ufficiali greche nel paese in cui si trovano. Altre informazioni o suggerimenti seguiranno nei prossimi giorni, specialmente da parte dei numerosi nuclei di Exarchia che ne stanno discutendo.

Grazie del vostro appoggio, al di là delle frontiere e delle nostre differenze politiche.

https://comedonchisciotte.org/grecia-la-caccia-ai-giovani-ribelli-e-aperta/


Note a cura del traduttore  GIAKKI49:
(1) Exarcheia (Greek: Εξάρχεια) è un quartiere nel centro di Atene nei pressi dello storico edificio del Politecnico Nazionale di Atrene. Il quartiere prese il nome dall’uomo di affari Exarchos (Greco: Έξαρχος) che nel secolo scorso vi aprì un grande supermercato. Exarcheia è noto per essere storicamente il centro dell’attivismo politico e intellettuale radicale in Atene. (Wikipedia)
(2) Rouvikonas (Rubicon, in Greek Ρουβίκωνας) è un collettivo anarchico in Atene, basato in Exarcheia,creato nel 2013 nel corso della crisi finanziaria che ha finora fatto più di cento azioni dimostrative, la maggior parte dei quali di scarso impatto, su obiettivi poco importanti, come il lancio di vernici, la rottura di vetrine, l’occupazione di monumenti, l’attacco ai Bancomat.Ci sono state azioni nelle quali Rouvikonas effettivamente è sembrato agire come un gruppo di vigilantes o una milizia privata.
Fonti della Polizia stimano che il gruppo conti 120/150 membri.
(Wikipedia)
(3) Tiresias – Una specie di “Centrale del credito” che raccoglie dati su Aziende e Privati circa la solvibilità e quindi l’affidabilità finanziaria dei soggetti. È presente anche in altri paesi oltre la Grecia.

Caporalato, viaggio tra i campi del Ragusano: migranti pagati 2,5 euro all’ora. Nelle serre anche ragazzini (che non vanno a scuola). - Carmelo Riccotti, La Rocca

Caporalato, viaggio tra i campi del Ragusano: migranti pagati 2,5 euro all’ora. Nelle serre anche ragazzini (che non vanno a scuola)

Marina di Acate, minuscolo borgo marinaro tra Vittoria e Gela, è una sorta di capitale del caporalato. Qui lavorano migliaia di persone, soprattutto di origine romena e magrebina: in quattro anni la Caritas ne ha censite circa duemila, ma i numeri sono probabilmente superiori. Secondo un report pubblicato nel 2018 dalla diocesi di Ragusa, nella piccola frazione marinara un'azienda agricola su due utilizza lavoratori in modo illegale e paga gli operai con paghe comprese tra i 2,5 e i 3 euro l’ora.
Ha solo 15 anni ma non passerà un’estate come gli altri. Niente mare o serate con gli amici per Giulia (nome di fantasia), una ragazzina di origine rom che ogni giorno passa dieci ore nelle serre a raccogliere pomodori. Anzi ogni notte, visto che d’estate in Sicilia fa molto caldo: la raccolta, quindi si fa dopo il tramonto. In cambio riceverà una trentina di euro: meno di tre per ogni ora lavorata.
Lavoratori sfruttati da un’azienda su due – È una storia di miseria e sfruttamento quella che ogni giorno si ripete nei campi in provincia di Ragusa. Marina di Acate, minuscolo borgo marinaro tra Vittoria e Gela, è una sorta di capitale del caporalato. Qui lavorano migliaia di persone, soprattutto di origine romena e magrebina: in quattro anni la Caritas ne ha censite circa 2mila, ma i numeri sono probabilmente superiori. Secondo un report pubblicato nel 2018 dalla diocesi di Ragusa, nella piccola frazione marinara un’azienda agricola su due utilizza lavoratori in modo illegale e paga gli operai con paghe comprese tra i 2,5 e i 3 euro l’ora. Rispetto ad altre zone del Paese, dove il lavoro nelle campagne ha soprattutto caratteristiche stagionali, nel Ragusano il fenomeno del caporalato è più strutturale: ogni anno, infatti, nelle serre ci sono due o tre campagne produttive per le quali servono agricoltori attivi per almeno 250 giorni all’anno. È per questo motivo che da queste parti sono arrivati tantissime persone dalla Romania, dalla Tunisia e dal Marocco. Spesso hanno portato con loro l’intera famiglia: nonni, genitori, e figli.
Niente scuolabus: ragazzini restano in campagna – Anche a casa di Giulia sono in tanti: nove persone, tutte impiegate nelle serre, a parte la nonna e la mamma, che ha da poco avuto un bambino. I soldi in casa li gestisce il padre: quasi tutti se ne vanno per mantenere la famiglia, qualche spicciolo viene risparmiato per poter ritornare un giorno nel suo paese di origine. “Quando avrò 18 anni ritornerò ad inseguire i miei sogni e forse continuerò gli studi”, racconta Giulia. Che fino a poco tempo fa poteva permettersi il lusso di andare a scuola. Faceva parte di un gruppo di 15 ragazzini – tra i 6 e i 15 anni – che erano rientrati in un progetto di trasporto scolastico finanziato dalla Chiesa Valdese di Palermo. Avevano iniziato un percorso all’interno dell’Istituto Giovanni XXIII di Vittoria, partecipando alle attività scolastiche ed extrascolastiche, integrandosi perfettamente con gli altri bambini. Si parlava di allargare il servizio ad altri bambini, invece, nel luglio 2018 il progetto è terminato e di quei 15 ragazzini oggi solo in tre continuano ad andare a scuola. Il servizio di scuolabus, infatti, non copre le zone in cui abitano, così hanno dovuto interrompere gli studi. E adesso passano l’intera adolescenza tra i campi di pomodoro e le abitazioni fatiscenti .”Non mi rassegno al fatto che questi ragazzini hanno dovuto lasciare la scuola. Sto cercando di fare il possibile, ma serve una rete tra Istituti e Comuni”, dice la dirigente scolastica Vittoria Lombardo. “Abbiamo posto la questione alla Prefettura che si è sempre mostrata molto attenta e sensibile a questa tematica. Occorre potenziare i servizi, quei ragazzini hanno il diritto di vivere pienamente l’infanzia oggi negata”, spiega Domenico Leggio, direttore della Caritas di Ragusa.
Latrine affittate a caro prezzo, vestiti bruciati da prodotti chimici – Ed è proprio la Caritas a documentare quello che succede nelle campagne del Ragusano. Dove molte famiglie – a volte composte anche da più di dieci persone – vivono all’interno di catapecchie, con i bagni che generalmente si trovano all’esterno e sono delle vere e proprie latrine. Le case, che sono poi dei magazzini, vengono concesse in cambio di somme esorbitanti se paragonati allo stato in cui si trovano: alcuni arrivano a pagare anche 400 euro di affitto. Senza acqua e luce, confort che hanno un costo a parte, decurtato direttamente dal salario. I proprietari in questo caso giocano sul fatto che gli affittuari hanno bisogno di fissare in quei casolari la propria residenza, condizione fondamentale per i non comunitari per aver rinnovato il permesso di soggiorno. “In queste zone c’è un caporalato con delle caratteristiche più sfumate rispetto al resto d’Italia, nel senso che la gestione del lavoro in serra, con l’impiego di poche persone per un periodo di tempo ampio, fa sì che nei campi di lavoro vi siano anche i caporali, ma che assumono spesso il ruolo di caposquadra. Quindi i caporali lavorano con le stesse persone che reclutano. In passato abbiamo registrato anche forme di caporalato più pesanti soprattutto nei confronti dei rom che venivano reclutati in patria e privati dei documenti e, addirittura, anche della paga”, spiega Vincenzo La Monica, responsabile immigrazione della Caritas. Il direttore Leggio racconta anche altro: richieste continue di indumenti da parte dei migranti. Il motivo? “I prodotti chimici utilizzati in agricoltura bruciano letteralmente i vestiti, quindi ne hanno bisogno in gran quantità. A molti diamo poi anche le scarpe da lavoro, visto che entrano nelle serre con calzature non adatte e spesso il nostro medico ha riscontrato delle ferite ai piedi”.
Il caporalato dei trasporti – Al caporalato per lavorare in serra, si aggiunge poi quello “dei trasporti”: sono quelli che si fanno pagare a caro prezzo per portare i lavoratori da casa a lavoro e viceversa. I prezzi salgono poi quando occorre raggiungere il centro abitato per fare la spesa o altri luoghi, come ad esempio l’ospedale: per andare da Vittoria a Ragusa possono volerci anche 50 euro, un giorno e mezzo di lavoro. La Monica spiega poi come esiste un tariffario diverso a seconda dell’origine del lavoratore: ai rom spettano 30 euro al giorno, mentre negli ultimi anni si è registrato un aumento per magrebini e albanesi, che arrivano a prendere anche a 40-45 euro. “Ma siamo ancora lontani dalla paga sindacale di 57 euro”, dice l’esponente della Caritas. A dare una scossa all’ambiente sono state negli ultimi anni anche le tante operazioni delle forze dell’ordine culminate con decine di arresti per sfruttamento della manodopera e, a volte, proprio dei bambini costretti a lavorare per qualche spicciolo. E senza studiare.
Questi poveretti vengono sfruttati tre volte: la prima da chi gestisce i campi di accoglienza, la seconda dai caporali e la terza da chi li assume in nero pagandoli una miseria. Io spero che tutto ciò finisca il più presto possibile. Noi diamo a questi poveretti lo stesso trattamento che ricevono da chi li maltratta in Libia, ve ne rendete conto? A me non interessa che si faccia qualcosa per farli sbarcare, a me interessa che vengano trattati come persone ovunque essi vadano!
by Cetta

Doha, Qatar







Salvini s’è pentito e propone premier Di Maio. Che dice no. - Tommaso Rodano



Salvini s’è pentito e propone premier Di Maio. Che dice no

Capitan mojito – D’incanto il Carroccio non è più tanto sicuro di volere la crisi: “Sfiducia a Conte? Non è detto” M5S gioca d’attesa: “Vediamo che succede in Parlamento…”

Dalla crisi di Ferragosto alla farsa di Ferragosto il passo è clamorosamente breve. In due giorni Matteo Salvini si è rimangiato quasi tutto. La retromarcia salviniana è iniziata all’improvviso durante la conferenza stampa di giovedì a Castel Volturno: l’esecutivo è davvero finito? Boh. E di conseguenza, che fa la Lega martedì, vota la sfiducia a Conte oppure no? Chissà. Ieri, poi, sui giornali online sono circolati i dettagli di una presunta, clamorosa offerta della Lega ai Cinque Stelle: facciamo fuori Conte e ripartiamo insieme, magari (addirittura) con Di Maio premier. Ipotesi immediatamente respinta. Insomma, si direbbe che il caldo abbia fatto evaporare di colpo l’indiscusso genio strategico di capitan Mojito (copyright di Piero De Luca). Ma andiamo con ordine.
LO SCENARIO.
E ora cosa faranno i senatori della Lega? Non lo sanno nemmeno loro
La retromarcia/primo giorno. Con la stessa rapidità con cui aveva gettato in mare un anno di governo gialloverde, Salvini è tornato sui suoi passi – barcollando – proprio a Ferragosto. Dopo un vivace scambio epistolare con Conte sulla questione Open Arms, il capo della Lega ha riaperto le porte al Movimento Cinque Stelle. Così, all’improvviso, come se nulla fosse: “Il mio telefono è sempre aperto e acceso, se qualcuno vuole dialogare io sono qua, sono la persona più paziente del mondo”. E poi: “È una bugia che io abbia mai detto al presidente Conte di voler capitalizzare il consenso”. E ancora: “È davvero finita? Vedremo. Sono orgogliosamente ministro dell’Interno e spero di esserlo ancora a lungo”. In serata, parole ancora più esplicite su Twitter: “Sventeremo con ogni mezzo possibile un nuovo sciagurato patto della mangiatoia e dell’invasione. Farò tutto quello che è umanamente e democraticamente possibile perché Renzi e la Boschi non governino più”.
Il “Capitano” che camminava sulle acque dei sondaggi e volava sulle ali del voto europeo, per la prima volta sta sbandando sul serio. Possibile che pensasse di aprire la crisi e filare dritto al voto senza intoppi? Possibile non avesse previsto questo scenario?
Il clima intorno a lui è abbastanza chiaro: il suo numero due Giancarlo Giorgetti continua a ripetere in giro – in particolare a beneficio dei ricchi retroscena politici del Corriere della Sera – che Matteo si è sbagliato a fare la crisi adesso, che lui glielo aveva detto… Persino Gian Marco Centinaio, ministro leghista a lungo tra i più intransigenti sostenitori della fine dell’alleanza, tradisce chiari segnali di confusione: “A Salvini consiglierei di aspettare il 20 agosto e sentire che cosa ha da dire il presidente Conte alla Lega, il premier avrà da dire qualche cosa…”
La retromarcia/secondo giorno. La mattinata di Salvini si apre con un altro cinguettio dedicato agli “amici” 5Stelle: “A differenza del Pd, noi abbiamo già votato e voteremo ancora per il taglio dei parlamentari. Bene il risparmio di mezzo miliardo di euro per gli Italiani”.
La riapertura della Lega al governo gialloverde è oramai un fatto conclamato. La linea è quella riassunta dal sottosegretario Claudio Durigon dalla sua (breve) vacanza a Ponza: “Vediamo cosa succede nei prossimi giorni. Abbiamo fatto ottime cose insieme ai Cinque Stelle per 11 mesi, non va dimenticato. L’ultimo mese invece è stato un attacco continuo. Se si ritrovasse lo spirito di prima…”.
Nel pomeriggio su Repubblica compare un retroscena piuttosto clamoroso: “Prove di pace Lega-M5s, ipotesi Di Maio a Palazzo Chigi”. Sempre sul gruppo Gedi, una fonte leghista “di primissima linea” confessa all’Huffington Post che “il vero problema è Conte”. In sostanza il nuovo sodalizio gialloverde, secondo queste ricostruzioni, potrebbe partire facendo fuori l’attuale premier (risarcendolo con una poltrona europea, che peraltro a lui nemmeno dispiacerebbe) e con una squadra di governo rinnovata (e un presidente del Consiglio non necessariamente del Carroccio).
Il Movimento Cinque Stelle questa proposta non la considera nemmeno. Fonti grilline ritengono sia stato Giorgetti in persona a “suggerirla” ai giornalisti: sarebbe solo un tentativo imbarazzante per mettere una pezza al salto del vuoto di Salvini. La risposta pubblica di Di Maio è sdegnosa: “Su giornali leggo solo fake news su incarichi e strategie. Non c’è stato nemmeno un contatto. Aspettiamo il 20 agosto in aula, chi sfiducerà Conte lo farà per evitare che si voti il taglio dei parlamentari (calendarizzato due giorni dopo alla Camera, ndr)”. Traduzione: il destino di questa crisi si delinea martedì al Senato; se Salvini è “pentito”, si vedrà sul campo.
E ora che succede? Che faranno il 20 agosto i senatori leghisti? Non si sa. Anzi: non lo sanno nemmeno loro. Il capogruppo Massimiliano Romeo sceglie il no comment: “Non ho notizie al riguardo”. Soldati semplici del Carroccio al Senato sono ancora più sperduti: ora come ora la strategia non la conosce forse neanche Salvini. Tale è l’ottimismo negli ambienti grillini, che in serata circola questo pronostico: alla fine dalla Lega arriverà addirittura un clamoroso voto a favore di Conte.
Di certo la crisi (o la farsa) di Ferragosto ha prodotto un paradosso. I Cinque Stelle, agonizzanti fino all’altroieri, sono tornati al centro del tavolo: possono trattare da un lato con la Lega e dall’altro con il Pd. È il risultato dell’errore di Salvini e della spregiudicatezza di Renzi. Per citare una fonte del Movimento, ora può accadere di tutto: “C’è il 33% delle probabilità per ognuna delle tre ipotesi”. Voto subito, nuovo governo giallorosso oppure governo gialloverde “bis”.



venerdì 16 agosto 2019

Giustizia, Bonafede: “Tempi brevi e riforma prescrizione. Questo interessa ai cittadini”.

Giustizia, Bonafede: “Tempi brevi e riforma prescrizione. Questo interessa ai cittadini”

La crisi di governo voluta da Salvini ha fatto saltare il banco anche sulla riforma che il ministro M5s aveva elaborato. Ora è lui stesso a sottolineare le priorità e i rischi: "La riforma della prescrizione è già un traguardo di giustizia e civiltà rispetto al quale non si può e non si deve tornare indietro".
Il Guardasigilli Alfonso Bonafede mette sul piatto anche i rischi sul fronte giustizia. La crisi di governo voluta da Matteo Salvini ha fatto saltare il banco anche sulla riforma che il ministro M5s aveva elaborato: anzi, è stato l’ultimo scontro consumato tra M5s e Lega prima della rottura. “Tempi brevi della giustizia ed eliminazione delle isole di impunità” che la prescrizione può creare: “È questo quello che interessa ai cittadini ed è su questi obiettivi che lo Stato deve continuare a lavorare senza un attimo di sosta”, scrive Bonafede in un post su Facebook.
La sua riforma, bloccata dal Carroccio, prevede di accorciare i tempi dei processi, con un limite massimo fissato a 6 anni. Ora quel progetto è finito nel cestino. Resta solamente l’entrata in vigore a gennaio 2020 della riforma della prescrizione che però un nuovo governo contrario potrebbe facilmente bloccare per decreto. Per questo il Guardasigilli avverte: “I cittadini hanno diritto alla verità e alla giustizia e non accettano che la tagliola della prescrizione possa creare isole di impunità”. La riforma della prescrizione “chiaramente si applicherà ai fatti commessi successivamente ma è già un traguardo di giustizia e civiltà rispetto al quale non si può e non si deve tornare indietro“.
Salvini e la Lega hanno a lungo osteggiato il testo di riforma della giustizia chiedendo separazione delle carriere e il bavaglio alle intercettazioni. Ma lo stesso Bonafede aveva accusato il Carroccio di voler fermare tutto proprio perché “il vero nodo” era la prescrizione. Nel suo post su Facebook di oggi, il ministro ricorda quindi le parole di Egle Possetti, presidente del comitato dei familiari delle vittime del ponte Morandi: “Ha chiesto pubblicamente alle autorità che hanno partecipato alle cerimonia ‘di modificare le norme affinché i processi siano brevi e le famiglie possano trovare pace‘. Poi ha anche parlato della prescrizione dicendo che ‘crediamo che nessun reato grave come questo possa essere prescritto‘”.