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venerdì 12 novembre 2021

Renzi, le carte – Un investigatore privato e notizie mirate (rilanciate da profili fake) per distruggere la reputazione di avversari politici e giornalisti: ecco il piano inviato da Rondolino all’ex premier. - Pierluigi G. Cardone e Giovanni Pipitone

 

L'INCHIESTA - Il 7 gennaio del 2017 l'ex Lothar di D'Alema invia una mail all'ex presidente del consiglio, con in allegato il piano per realizzare una "struttura di propaganda antigrillina". Tra le altre cose si propone di ingaggiare "un investigatore privato di provata fiducia e professionalità (a costo medio-alto)" per produrre un'operazione di "character assassination", cioè diffondere notizie, indiscrezioni, "rivelazioni mirate a distruggere la reputazione e l’immagine pubblica" di avversari politici ma pure cronisti come Travaglio e Scanzi. Dopo due minuti l'ex segretario del Pd inoltra la mail, senza alcun commento, a Carrai.

Una “piccola, combattiva redazione ad hoc” che lavori “nella massima riservatezza“, composta da due giornalisti d’inchiesta e un investigatore privato “di provata fiducia e professionalità“. Il costo? Medio-alto. L’obiettivo? Character assassination, cioè diffondere notizie, indiscrezioni, “rivelazioni mirate a distruggere la reputazione e l’immagine pubblica” degli avversari. Chi sono gli avversari? Beppe Grillo, Luigi Di Maio, Alessandro Di BattistaRoberto Fico, ma anche giornalisti come Marco Travaglio e Andrea Scanzi. Come si dovevano colpire? Attraverso materiale pubblicato su un sito specifico, “non riconducibile al Pd né tanto meno a Mr“, da costruire su “un server estero non sottoposto alla legislazione italiana”. Quei contenuti sarebbe stati rilanciati “una rete di fake”. Era questo il piano d’attacco che Fabrizio Rondolino e la moglie Simona Ercolani avevano elaborato per Matteo Renzi. Un documento di due pagine, intitolato “Tu scendi dalle stelle“, inviato via mail all’ex presidente del consiglio il 7 gennaio del 2016. Cosa fa Renzi? Dopo appena due minuti, gira il messaggio di posta elettronica – senza aggiungere alcun commento – all’amico Marco Carrai.

La “Bestiolina” del Giglio – Un piano che segna praticamente l’inizio della fase 2 della macchina di propaganda creata dai renziani sul web. Una Bestiolina creata dal Giglio magico che sembra essere anche più potente della Bestia leghista creata da Luca Morisi e più volte pubblicamente attaccata dallo stesso Renzi. È tutto ricostruito nelle carte depositato agli atti dell’inchiesta sulla fondazione Open. La procura di Firenze vuole dimostrare che la cassaforte della corrente renziana si muoveva come un’articolazione del Partito democratico. Per questo motivo gli investigatori della Guardia di Finanza documentano come Open finanziasse direttamente le campagne mediatiche del Giglio magico. Sia per la propaganda elettorale in vista del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, che in un periodo successivo. “Dopo il risultato referendario del dicembre 2016, in cui la Fondazione Open ha sostenuto, economicamente, le politiche promosse dal Presidente del Consiglio e Segretario del Partito Democratico Matteo Renzi, segnatamente a metà dicembre 2016, affiora la volontà di attuare una ‘strategia social‘ a sostegno di Matteo Renzi e, nei primi mesi del 2017, di realizzare una struttura di propaganda antigrillina“, scrive la Guardia di Finanza in una delle tante informative a disposizione delle parti.

Tu scendi dalle stelle – È il 7 gennaio del 2017, esattamente un mese dopo le dimissioni da Palazzo Chigi in seguito alla sconfitta al referendum costituzionale. Renzi aveva più volte annunciato di essere pronto a lasciare la politica, ma rimarrà segretario del Pd almeno fino a febbraio: poi si ricandiderà subito alle primarie. Intanto riceve una mail da parte di Rondolino, che scrive da un account di posta criptato (l’ex dalemiano ne consiglierà pure l’uso all’allora segretario del Pd). L’oggetto è “antiGrillo” mentre in allegato c’è un documento che si chiama “Tu scendi dalle stelle“. È importante sottolineare come ha reagito Renzi alla mail ricevuta da Rondolino: dopo appena due minuti la gira, senza alcun commento, a Marco Carrai. L’imprenditore toscano, indagato nell’inchiesta su Open per altre vicende, è un personaggio importante nella struttura di propaganda del Giglio magico. Nel gennaio del 2016 Renzi lo avrebbe voluto al vertice dell’unità di Cybersecurity del suo governo. Una nomina poi saltata a causa delle polemiche. In seguito sarà Carrai a curare l’acquisto dei due software israeliani da usare durante la campagna per il referendum. E sarà sempre Carrai a dare seguito alla mail di Rondolino con un “Progetto per ricostruire l’Italia“, dai toni molto più sfumati rispetto a quelli usati dall’ex Lothar di D’Alema. Ma andiamo con ordine.

Le tubature della rete – “Caro Matteo, eccoti un primo appunto sulla struttura di propaganda antigrillina che ho preparato con Simona in questi giorni. Siamo in contatto con Marco e Fabio per le ‘tubature‘ e gli altri aspetti pratici. Sarebbe utile vederci presto per approfondire e iniziare la Lunga Marcia…“, è il testo della mail inviata da Rondolino a Renzi, il giorno dopo l’epifania di quattro anni fa. Non si sa a cosa si riferisse l’ex dirigente dei Giovani comunisti con “lunga marcia“. Mentre proprio la parola “tubature” sarà utilizzata da Renzi nei mesi successivi quando dovrà attaccare Lega e 5 stelle: “Grillini e Lega escono con gli stessi codici nell’advertising dei social. Usano le stesse tubature della rete“, dirà alla Leopolda del novembre successivo, quella tutta dedicata alla lotta alle fake news e agli account fasulli sui social. Argomenti che occupano gran parte delle conversazioni dei suoi fedelissimi nei mesi precedenti. “Tu scendi dalle stelle” è il nome scelto da Rondolino per gli “appunti sulla contropropaganda antigrillina: contenuti, struttura, diffusione”. Sono due paginette che prevedono la creazione di due tipi di contenuti, creati da due tipi di strutture: da una parte meme, vignette e card per i social con messaggi ironici e strafottenti che “ridicolizzano questa o quella proposta, dichiarazione, personaggio” ma anche polemiche e provocazioni (Rondolino fa alcuni esempi: “Quanti avvisi di garanzia, quanto spendono i grillini in fondi pubblici, ecc”).

Character assassination - Del secondo gruppo di contenuti, invece, Rondolino inserisce “inchieste giornalistiche documentate ovvero, secondo lo stile del Fatto, ‘allusive’ e intrinsecamente diffamanti“. Non si capisce perché se un’inchiesta giornalistica è documentata per l’ex dalemiano debba per forza essere diffamante. Anche qui ci sono degli esempi: “I disastri delle amministrazioni grilline, da Roma al più piccolo dei comuni amministrati: scandali, dimissioni, inchieste giudiziarie, sperpero di fondi pubblici, rimborsi spese, stipendi ecc”. L’ex Lothar però va oltre e inserisce tra i contenuti da produrre anche quelli che chiama “character assassinationnotizie, indiscrezioni, rivelazioni mirate a distruggere la reputazione e l’immagine pubblica di Grillo, Di Maio, Di Battista, Fico, Taverna, Lombardi, Raggi, Appendino, Davide Casaleggio (e la sua società), Travaglio e Scanzi“. Somiglia tanto a un progetto di dossieraggio ai danni non solo di avversari politici ma anche di giornalisti che avevano criticato l’ex premier.

L’ispettore privato – Ancora più pesante è quello che Rondolino scrive in seguito, quando deve spiegare chi deve produrre i contenuti elencati sopra. Per quelli soft – meme, vignette, card – propone redattori digitali e un filmaker (a basso costo). Per le inchieste “allusive e intrinsecamente diffamanti”, invece, scrive che è “necessario creare una piccola, combattiva redazione ad hoc, che lavori esclusivamente sul progetto nella massima riservatezza: vanno individuati almeno 2 giornalisti d’inchiesta e un investigatore privato di provata fiducia e professionalità (a costo medio-alto)“. La domanda è: sono stati effettivamente ingaggiati investigatori privati per raccogliere notizie su avversari politici e giornalisti? Di sicuro c’è che Rondolino propone anche di utilizzare per i loro scopi pure due cronisti lontani dal Giglio magico: “Possono infine essere coinvolti, in forme più o meno indirette e sulla base di un rapporto personale e fiduciario, due giornalisti che professionalmente seguono il M5s e che non sempre possono pubblicare ciò che scoprono”.

La teoria del complotto – Nel documento, poi, l’ex Lothar di D’Alema tratteggia il presunto sistema messo su dagli avversari: “Il M5s ha costruito, o comunque gode di un ecosistema informativo pressoché perfetto: il Sacro Blog, la rete degli attivisti digitali, un quotidiano (il Fatto) e un network televisivo (La7). Ciò che scrive il Sacro Blog resterebbe confinato sui social network (e tutt’al più trattato come notizia fra le tante dai media tradizionali) se non diventasse l’ossatura della prima pagina del Fatto, che a sua volta determina la scaletta del Tg7 della sera e, a pioggia, quella dei talk show de La7 del giorno successivo”. Per fronteggiare questo inesistente ecosistema, scrive il renziano, le armi del Giglio magico sono spuntate: “Noi non abbiamo un giornale (a meno di non ripensare radicalmente l’Unità) né un canale televisivo. Anzi: l’arrivo di Telese su La7 e della Berlinguer su Rai3 in prima serata chiude definitivamente ogni spazio informativo. Tutto l’approfondimento politico tv, con l’eccezione di Vespa (che non sarebbe comunque utilizzabile per questa operazione), è saldamente integrato nell’ecosistema grillino”.

Il sito su server estero – E dunque come dovrebbe partire questa controffensiva? “In una prima fase – ragiona Rondolino – possiamo limitarci soltanto al web: va dunque creato un sito specificonon riconducibile al Pd né tantomano a MR, da costruire su un server estero non sottoposto alla legislazione italiana, che raccoglie e pubblica tutto il materiale (una specie di Breitbart, o di WikiLeaks antigrillina), da rilanciare poi sui social network (attraverso una rete di fake che agiscono su cluster specifici, da individuare con Fabio) e che, a seconda del valore e della qualità, potrà poi essere ripreso dai media tradizionali. Sarà poi utile individuare una serie di interlocutori, nei giornali e nelle tv, con cui costruire un rapporto personale e fiduciario, da coinvolgere nella diffusione dei contenuti. In prospettiva, però, un ragionamento strategico sui media è da considerarsi essenziale”. E in effetti la mail inviata quasi un anno dopo da Renzi a Carrai su come organizzare la campagna elettorale in tv e radio somiglierà parecchio al “ragionamento strategico sui media” invocato da Rondolino. Nel dicembre del 2017 l’allora segretario del Pd chiederà, tra le altre cose, ai suoi “una presenza televisiva molto più organizzata e massiccia” in vista delle elezioni politiche del 2018. D’altra parte lo stesso Rondolino, ex giornalista dell’Unità, aveva accompagnato il suo piano da una premessa tutta politica: “Dopo Grillo, per gli elettori grillini, c’è soltanto l’astensione: pensare di recuperare al Pd (o a qualsiasi altro partito) l’elettorato grillino è illusorio e irrealistico, almeno sul breve-medio periodo. Se così stanno le cose, non dobbiamo perdere tempo a ‘riconquistare’ l’elettorato: dobbiamo spingerlo a non votare più. Non dobbiamo rincorrere Grillo sul suo terreno (a cominciare dall’anti-Casta), ma dobbiamo dimostrare che anche Grillo è Casta. Non dobbiamo controargomentare sulle loro proposte, dobbiamo distruggere chi le ha avanzate”.

L’idea di Carrai: “Copiamo i 5 stelle” – Come reagiscono Renzi e il Giglio magico a questa proposta di piano di propaganda? Due minuti dopo aver ricevuto questa mail, Renzi la inoltra a Carrai, senza aggiungere alcun commento. Passano ventiquattro ore e l’imprenditore toscano invia una mail all’ex sindaco di Firenze, a Rondolino, a Ercolani, al docente universitario Fabio Pammolli, già consulente del governo Renzi, ad Andrea Stroppa, altro collaboratore della fondazione Open. “Questo è il mio cemento armato su cui partire. avevo fatto una cosa molto più lunga e articolata ma mi rendo conto che basta l’essenziale”, scrive Carrai firmandosi M. L’imprenditore non fa alcun cenno al documento di Rondolino. Il suo allegato si chiama “Progetto ricostruire Italia” che prevede tutta una serie di azioni: “Trasformazione della Pagina Fb e del sito di Basta un Sì e definizione delle azioni di comunicazione collegate”, la “costruzione, a partire da piattaforme esistenti, di un blog personale di MR”, e poi la “progettazione e costruzione di una rete informale, interna ed esterna, di influencers che s’impegnano ad alimentare pagine e piattaforma con propri contenuti”. In premessa Carrai scrive che “il movimento 5 stelle ha costruito una rete di propaganda e disinformazione. Noi dobbiamo invece basarci sull’informazione”. Alla fine del documento, però, sembra smentirsi visto che inserisce tra le “azioni da intraprende a tempo zero“, pure la “realizzazione della ns Dagospia (a Simona il compito di trovare il nome)”, la “trasformazione dell’Unità in un grande giornale di inchiesta” e la “realizzazione di siti civetta dove si copia il modello 5 stelle nel metodico sputtanamento dell’avversario”. Nel novembre successivo Renzi dedicherà l’edizione della Leopolda tutta alle fake news. Più volte si scaglierà pubblicamente contro quella che definisce “una vera industria del falso, con profili social altamente specializzati in diffusione di bufale, fake news, propaganda”. Un sistema che i renziani rinfacciano sistematicamente alla Lega e ai 5 stelle di usare. Lo stesso modello che, nel gennaio del 2017, Carrai invitava a copiare.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/11/11/renzi-le-carte-un-investigatore-privato-e-notizie-mirate-rilanciate-da-profili-fake-per-distruggere-la-reputazione-di-avversari-politici-e-giornalisti-ecco-il-piano-inviato-da-rondolino-allex/6388305/

Non ci fanno paura. - Marco Travaglio


Alle 19.36 del 7 gennaio 2017, un mese dopo aver perso referendum e governo e 13 mesi prima delle elezioni politiche, il segretario del Pd Matteo Renzi inoltra all’amico Marco Carrai un’email che gli ha inviato Fabrizio Rondolino, giornalista prima dalemiano poi berlusconiano infine renziano, nonché marito della produttrice tv Simona Ercolani, che mentre vince a man bassa appalti Rai, lavora pure lei alla sua campagna elettorale. Nel messaggio d’accompagnamento, Rondolino scrive a Renzi: “Eccoti un primo appunto sulla struttura di propaganda antigrillina che ho preparato con Simona in questi giorni… Ps. Se già non lo usi, ti consiglio questo sistema di posta criptata…”. Ed ecco il suo appunto che Renzi gira a Carrai, facendolo proprio senza prenderne minimamente le distanze: “Non dobbiamo controargomentare sulle loro proposte, dobbiamo distruggere chi le ha avanzate” con campagne “‘allusive’ e intrinsecamente diffamanti: a) i disastri delle amministrazioni grilline, da Roma al più piccolo dei comuni amministrati: scandali, dimissioni, inchieste giudiziarie”; “b) character assassination: notizie, indiscrezioni, rivelazioni mirate a distruggere la reputazione e l’immagine pubblica di Grillo, Di Maio, Di Battista, Fico, Taverna, Lombardi, Raggi, Appendino, Davide Casaleggio (e la sua società), Travaglio e Scanzi”.

Perciò “è necessario creare una piccola, combattiva redazione ad hoc, che lavori esclusivamente sul progetto nella massima riservatezza: vanno individuati almeno 2 giornalisti d’inchiesta e un investigatore privato di provata fiducia e professionalità (a costo medio-alto)” e “vanno coinvolti… gli ex grillini fuoriusciti o espulsi”. Raccolta la merda, per spararla nel ventilatore “va creato un sito specifico, non riconducibile al Pd né tantomeno a MR, da costruire su un server estero non sottoposto alla legislazione italiana, che raccoglie e pubblica tutto il materiale… da rilanciare poi sui social network (attraverso una rete di fake che agiscono su cluster specifici)” e far “riprendere dai media tradizionali” grazie a “una serie di interlocutori, nei giornali e nelle tv, con cui costruire un rapporto personale e fiduciario”. Interlocutori che non mancano: in altre email agli atti dell’inchiesta Open Renzi vanta un “accordo Agnoletti- Orfeo”, il primo suo portavoce e il secondo Ad e Dg della Rai (ora direttore del Tg3 in procinto di guidare con Fuortes la nuova Direzione Approfondimenti e talk), un “accordo con Brachino-Confalonieri” per Mediaset e vuole avvicinare il direttore di La7 Salerno. Il tutto per “conoscere le scalette” e dare “uno sguardo particolare su Gruber, Floris, Formigli, Giletti, Minoli”.

Sulle tv, il progetto collima con la Struttura Delta di B. in Rai; sui social, il sistema è la fotocopia della “Bestia” leghista, oggetto di strali anche dai renziani almeno fino al Patto dei 2 Matteo; sui quotidiani, a parte i pluricitati globetrotter Annalisa Chirico e Jacopo Iacoboni, c’era l’imbarazzo della scelta, visti i battaglioni di penne scatenate nella campagna elettorale pro Renzi e anti M5S senza bisogno di ordini. Nei mesi seguenti furono colpiti via, via, Grillo Fico, Raggi, Appendino, Taverna, Casaleggio, Di Maio, Di Battista.
Ora immaginate che accadrebbe se questo piano per “distruggere” e “diffamare” gli avversari politici con la “character assassination”, i “fake”, i dossieraggi di “investigatori privati” da “un server estero non sottoposto alla legislazione italiana”, usando vertici e appaltatori Rai e giornalisti da riporto, fosse uscito da un’email di Casaleggio o Casalino per ordine di Grillo o Conte: le piazze si riempirebbero di politici e supporter che invocano dimissioni e strillano al golpe populista, alla macchina del fango grillina; e rotolerebbero teste ovunque, dalla Rai all’Ordine dei giornalisti. Invece tutto tace. Anche fra i cacciatori di fake news russo-grilline che accusavano falsamente il M5S e la Casaleggio di fare ciò che invece fanno i loro amici renziani. Anche alla Rai, dove tutti sanno cosa facevano (e fanno) i renziani, occupando tutto l’occupabile e cacciando le poche voci stonate dal coro (Gabanelli, Giannini, Giletti).
Quanto a noi, pubblichiamo le carte di quest’indagine come di tutte le altre (su B., Salvini, Pd, Raggi ecc.). E siamo abituati a subire dossieraggi. Nel 2006, interrogato sullo scandalo della Security Telecom, il giornalista Guglielmo Sasinini confessò di aver redatto per il suo capo Luciano Tavaroli almeno 61 dossier su altrettanti personaggi ostili, incluso il sottoscritto. Nello stesso anno fu trovato l’archivio segreto del Sismi di Niccolò Pollari, con migliaia di schede compilate dal suo fido analista Pio Pompa, e anche lì, accanto a quelle di pm, politici e altri presunti nemici di B. da “disarticolare” con “azioni traumatiche”, ne saltò fuori una a mio nome. Figurarsi se oggi ci lasciamo impressionare o intimidire dai traffici dei renziani che volevano “distruggere” noi e han distrutto solo se stessi. Ci limitiamo a notare la perfetta continuità fra berlusconismo e renzismo, le due peggiori jatture che abbiano infestato la vita pubblica negli ultimi 30 anni. E ad augurarci che si estinguano al più presto, senza che nessuno osi più avvicinarli per accordarsi su governo, Quirinale e Rai. Continueranno a colpirci con i dossier? Finiranno come i Sasinini, i Pompa e i Rondolini: con un pugno di mosche. Non abbiamo nulla da nascondere, noi.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/11/12/non-ci-fanno-paura/6389285/

domenica 19 aprile 2020

“Io non mollo” - Intervista a il Giornale - 19/04/2020 - Alessandro Sallusti e Adalberto Signore

la ex moglie di Giuseppe Conte cosa fa? Somiglia un'attrice Oscar ...
Elogia Mario Draghi e Vittorio Colao, anche se non pensa di nominarlo ministro. Apre a Forza Italia. E a tutti quelli che ipotizzano la nascita di un governo "diverso" per la ricostruzione, Giuseppe Conte dice chiaramente che la soluzione, a suo giudizio, non è quella di rivolgersi ai tecnici perché «serve la politica con la "P" maiuscola».
Presidente, giovedì si terrà un Consiglio Ue decisivo per le sorti dell'Europa. Si sente ottimista rispetto alla possibilità di superare le resistenze dei Paesi del Nord (Germania, Olanda e Austria in testa) e trovare un'intesa accettabile su Mes e Recovery fund? In caso di mancato accordo, sta considerando la possibilità di esercitare il diritto di veto dell'Italia?
«Il negoziato si annuncia molto difficile, ma resto fiducioso. Nel corso degli scambi che ho avuto con gli altri leader europei sono stato chiaro: solo grazie a un ambizioso Fondo per la ripresa, con emissione di titoli comuni, riusciremo ad affrontare l'attuale, difficile situazione. Sul resto delle misure ci continueremo a confrontare fino al Consiglio europeo del 23 aprile».
A proposito di Mes, a prescindere da come finirà, non teme che una frattura come quella delle ultime settimane tra M5s e Pd con Di Maio sulle stesse posizioni di Salvini e Meloni - possa avere comunque degli strascichi in futuro? Può una maggioranza essere spaccata su un tema tanto centrale, soprattutto in un momento simile?
«Il governo e la maggioranza che lo sostiene sono compatti nel chiedere all'Europa di liberare la sua forza economica come fanno Cina e Stati Uniti, di mettere sul tavolo meccanismi nuovi per una condivisione e una risposta comune all'emergenza economica in atto. Non abbiamo da affrontare un semplice compitino di "matematica" o una questione meramente "contabile"».
Cosa intende?
«Dobbiamo confrontarci con una vera e propria prova di maturità per la nostra Unione. Bisogna dare tutto. Quello sul Mes è un dibattito che rimane al momento molto astratto. È un meccanismo che rimane affidato a un accordo intergovernativo che, all'origine, prevede finanziamenti con condizionalità molto severe anche di ordine macro-economico. Nasce per rimediare a crisi e tensioni finanziarie di singoli Paesi. È la ragione per cui l'ho giudicato inadeguato e insufficiente ad affrontare questa sfida epocale. Dal confronto europeo può però venire fuori qualcosa di molto diverso dal Mes attuale ed è anche questa la ragione per cui appoggiamo la battaglia di altri Paesi che, come la Spagna, hanno chiesto da subito di cambiarlo e di volerlo utilizzare. Valuteremo i dettagli di questa nuova linea di finanziamento al momento opportuno e sceglieremo la strada migliore per i nostri interessi nazionali, con una discussione trasparente in Parlamento».
Lei ha gestito l'emergenza in prima persona e mettendoci la faccia, al punto di essere accusato di volere fare l'uomo solo al comando. Sabino Cassese, esimio giurista e giudice emerito della Consulta, è stato molto critico, arrivando a dire che «una pandemia non legittima i pieni poteri al governo» oltre a criticare nel merito i vari Dpcm («norme scritte male, contraddittorie, incomprensibili»).
«Rispetto tutte le opinioni giuridiche. Io stesso provengo dal mondo accademico dei giuristi e nei rarissimi ritagli di tempo cerco di seguire l'ampio dibattito scientifico che sta sollevando questa emergenza, ad un tempo, sanitaria, economica e sociale. Esiste purtroppo una differenza tra la perfezione delle disquisizioni teoriche e la perfettibilità delle applicazioni pratiche. Il professore Cassese è il primo a conoscere bene questo divario avendo rivestito in passato incarichi di governo ed essendosi impegnato a fondo - anche attraverso il contributo di tantissimi suoi allievi dislocati in posizioni chiave - per riformare la pubblica amministrazione e rendere più rapidi e trasparenti i vari procedimenti amministrativi. Eppure ancora oggi la burocrazia compromette l'efficienza della pubblica amministrazione e costituisce un freno alla crescita economica e sociale del Paese. Gli atti di questo governo sono sicuramente perfettibili, ma la pandemia ci ha costretti all'urgenza dell'azione, perché in gioco c'era l'assoluta necessità di salvare vite umane. Ma pure nei momenti più critici, nessuno, a iniziare dal sottoscritto, ha mai perso di vista l'importanza del bilanciamento degli interessi in gioco e l'equilibrio dei poteri ripartito tra gli organi costituzionali che rappresentano garanzie irrinunciabili».
Al di là delle valutazioni tecniche, politicamente non teme che il suo approccio possa avere compromesso i rapporti con le opposizioni? Non pensa che dipenda anche da lei il fatto che l'invito di Mattarella al dialogo e alla coesione sia caduto nel vuoto?
«Il mio approccio è sempre stato trasparente e corretto con tutti. Il governo ha sinceramente aperto al confronto con le opposizioni e questo confronto rimane aperto anche adesso, confidando che ci sia la effettiva disponibilità delle opposizioni di raccogliere questo invito e di offrire il proprio contributo al Paese impegnato in questa difficilissima prova. Capisco che per una forza di opposizione questa sfida al confronto non sia semplice, ma esso può dare frutti utili nel comune interesse se si ha il coraggio di mettere da parte ambiguità e rinunciando ad alimentare il malcontento sociale. Quanto a me, non mi impressionano neppure gli insulti. Intervengo solo quando, come è successo da ultimo, vedo che alcuni esponenti delle opposizioni lanciano una campagna di false accuse che rischia di dividere l'Italia tra opposte tifoserie, danneggiando pericolosamente la credibilità del nostro Paese in Europa in una fase così drammatica. Il presidente Mattarella, nella sua saggezza, ha invitato tutti ad orientare il dialogo verso la coesione e la solidarietà nazionale, mettendo da parte in questa fase lo scontro politico. Continuerò, da parte mia, a offrire la massima disponibilità per confrontarmi su tutti i temi e su tutte le misure concrete, privilegiando le migliori strategie per risollevare il nostro Paese».
Pensa sia possibile riallacciare il filo del dialogo almeno con una parte dell'opposizione?
«Io sono sempre aperto al dialogo con tutti. Ho apprezzato l'atteggiamento costruttivo e responsabile di Forza Italia, tanto nell'emergenza coronavirus quanto nei rapporti con l'Europa. All'interno della Lega e di Fratelli d'Italia mi sembra non vi siano univoche visioni sugli atteggiamenti da tenere in questa fase. Attendiamo le posizioni definitive e i comportamenti conseguenti. A conferma della varietà di posizioni che questa emergenza sollecita, devo riconoscere che il vostro giornale - e soprattutto il suo direttore Sallusti - sta dimostrando di sapere distinguere quello che è un atteggiamento legittimamente critico da quello che è invece un approccio aprioristicamente prevenuto nei confronti delle misure del governo. E lo affermo nella consapevolezza che abbiamo quasi sempre opinioni divergenti».
Sulla «fase 2» c'è incertezza e confusione. Molte regioni del Nord (Lombardia, Piemonte, Veneto, ma anche la Sicilia) chiedono di ripartire dal 4 maggio. Qual è la posizione del governo? Sono ipotizzabili aperture «autonome» o per territorio?
«In questi giorni circolano numerose ipotesi, auspici e proposte con tanto di date, anche da parte di alcune Regioni, sulle possibili riaperture nel Paese. Proprio oggi pomeriggio (ieri, ndr) abbiamo avuto un confronto tra il governo e due delegazioni, una del comitato tecnico-scientifico, che già da tempo ci coadiuva, e una del comitato socio-economico. Stiamo lavorando su alcune proposte di allentamento delle misure, in modo da poter "convivere" con il virus nei prossimi mesi in condizioni di massima sicurezza, tenendo sotto controllo la curva epidemiologica e le condizioni di stress del sistema sanitario e ospedaliero locale. Tutte le notizie che filtrano, le ipotesi che si fanno in questi giorni sono prive di fondamento. Nei prossimi giorni saremo in condizione di offrire a tutti gli italiani un piano chiaro e, quindi, informazioni certe. Prima di questo momento faccio un appello, anche agli organi di informazione, affinché ci sia un atteggiamento di massima collaborazione e responsabilità da parte di tutti, in modo da evitare incertezze e confusione nei cittadini».
Che idea si è fatto di quanto accaduto in Lombardia? Pensa che la gestione delle Rsa abbia avuto un ruolo determinante? Pensa di andare di persona in Lombardia nei prossimi giorni come segno di vicinanza del governo?
«La Lombardia si è sicuramente trovata ad affrontare il fronte più caldo di questa battaglia. Credo che ogni discussione a proposito delle responsabilità andrà affrontato a tempo debito, nessuno si sottrarrà alle proprie. Adesso, però, la cosa importante è stare al fianco di chi ogni giorno combatte in corsia. Finora, purtroppo, ho potuto manifestare il mio sostegno e quello dell'intero governo solamente a distanza, con colloqui telefonici e videoconferenze anche con vari sindaci e responsabili sanitari. Ma non vedo l'ora di avere l'occasione di farlo di persona».
L'incertezza è anche su chi fa cosa in questa pletora di task force: compresa quella di Colao, sono almeno sei le commissioni di consulenti ed esperti attualmente operative. Non c'è il rischio che il moltiplicarsi degli esperti possa generare confusione oltre che deresponsabilizzare chi dovrebbe decidere?
«In un momento così delicato per il Paese abbiamo scelto la collaborazione di esperti capaci di programmare le migliori strategie per la ripartenza, tanto ad esempio negli ambienti di lavoro quanto nei trasporti pubblici. A parte alcuni gruppi di lavoro settoriali che rientrano nelle competenze dei vari dicasteri, sono due i comitati di esperti che stanno coadiuvando la nostra azione di governo: il comitato tecnico-scientifico, che sin dall'inizio elabora raccomandazioni soprattutto sul fronte sanitario, e il comitato di esperti, coordinato da Colao, che sta preparando proposte per gestire al meglio la ripresa delle attività economiche e sociali. Non stiamo percorrendo la via dell'incertezza, l'unione di più competenze sta generando importanti risultati, fondamentali per delineare i prossimi scenari e dare le risposte necessarie, nella trasparenza e nell'assunzione da parte del governo della piena responsabilità politica».
A proposito di Colao si è scritto e letto molto. Facciamo chiarezza: l'ha nominato lei o le è stato suggerito da Mattarella? Sarebbe pronto ad affidargli una responsabilità ministeriale?
«Vittorio Colao è un manager esperto che tutto il mondo ci invidia e la scelta di affidare a lui la guida della task force è stata condivisa da tutta la maggioranza. Per correttezza istituzionale ho informato anche il presidente della Repubblica, come faccio sempre per i passaggi più delicati che il Paese sta attraversando. Il compito del comitato è quello di elaborare analisi e proposte utili per la ripresa graduale dell'attività economica e di suggerire nuovi modelli organizzativi e relazionali che tengano conto di questa emergenza. Ma la valutazione delle analisi dei comitati tecnici di cui ci avvaliamo, la loro sintesi e le decisioni politiche spettano sempre al governo. Conoscendo Colao non credo che la sua aspirazione sia far parte della squadra di governo, per cui un allargamento della squadra ministeriale non è all'orizzonte».
In una fase critica come quella che stiamo vivendo e, soprattutto, quella che vivremo nei prossimi mesi, non pensa possa essere una buona idea coinvolgere - in qualunque forma - una personalità come Mario Draghi, certamente l'italiano con più autorevolezza nel mondo?
«Draghi è persona di grande autorevolezza e di elevata professionalità. Se il riserbo dei nostri rapporti personali non mi facesse velo, io stesso potrei rivelare un episodio che testimonia la grandissima stima che ho per lui. Ma proprio per questo non è persona che si lascia tirare per la giacchetta in polemiche che nascono in modo palesemente strumentale e sono frutto di manovre politiche estemporanee».
Guardando l'Italia in una prospettiva di medio periodo non pensa che per una ricostruzione come quella a cui dovremo andare incontro possa essere più efficace l'azione di un governo per così dire di «unità nazionale», il più ampio e condiviso possibile, piuttosto che un esecutivo in cui Pd e M5s sono sempre più distanti e conflittuali?
«Ormai ho alle spalle una discreta esperienza di governo. Quel che davvero serve al Paese è avere un governo sostenuto da forze che maturino la piena convinzione che l'opera di ricostruzione sarà tanto più efficace se tutti lavoreremo nella medesima direzione, con forte coesione e lungimiranza. Questo compito deve spettare alla politica, intesa con la "P" maiuscola, non può essere affidato a governi tecnici, sul presupposto che le forze politiche non siano disponibili ad assumersi la responsabilità delle scelte, anche molto difficili, che il Paese è chiamato a compiere. Io sono sempre per un governo politico che ci mette la faccia e dovrà risponderne agli elettori. Quanto ai governi di "unità nazionale", sono formule astratte, molto improbabili da perseguire in concreto. Basti considerare le divisioni che si sono manifestate evidenti anche nella fase più acuta dell'emergenza. In realtà, questo governo sta operando con coraggio e determinazione».
In verità, soprattutto sul fronte degli interventi economici per affrontare l'emergenza, ci sono state molte critiche e non solo dall'opposizione.
«In appena un mese abbiamo liberato circa 750 miliardi di euro a vantaggio delle imprese e del tessuto economico, messo in campo 50 miliardi di denaro fresco per il sistema sanitario, la macchina dell'emergenza e i lavoratori. Questa settimana sono iniziati ad arrivati i bonus sul conto corrente di tanti cittadini, nei prossimi giorni rafforzeremo il sostegno a famiglie, lavoratori e imprese con un'altra poderosa sterzata economica. Le forze di maggioranza, lavorando insieme, hanno messo in campo queste e varie altre misure. Ascoltando anche l'opposizione. All'estero sono molti che ci fanno i complimenti. Se questo governo non fosse forte e determinato, sarei il primo a sollecitare una nuova soluzione per non compromettere la realizzazione del bene comune, tanto più in questa difficilissima sfida».

domenica 18 agosto 2019

I 5 Stelle hanno deciso: si va alla crisi in Senato. - Ilaria Proietti e Marco Palombi



Game over – Niente appigli alla Lega: il M5S presenterà una risoluzione che sosterrà la posizione di Conte su Ong e migranti: piacerà a sinistra e sarà invotabile per Salvini.

Le telefonate accorate dei pontieri leghisti non si sono fermate neanche in questo sabato di metà agosto, nonostante il gran capo Matteo Salvini - in relax bucolico a casa Verdini - abbia interrotto i contatti anche coi suoi: mentre lui riflette, ministri e dirigenti vari del fu Carroccio provano a capire se c’è uno spazio per ricucire con “l’Italia del no” a 5 Stelle.
Dalle parti del Movimento, anche se continuano gli attacchi all’ex alleato (“ha provato a fregarci tutti, ma si è fregato da solo: pare che persino Berlusconi gli abbia risposto picche”), non è ancora arrivata una chiusura formale: questo perché ogni posizione dovrà essere espressa in Parlamento e Salvini dovrà intestarsi una crisi di governo che lui stesso ha scelto di aprire dieci giorni fa. Problema: ormai la Lega barcolla e non è nemmeno più chiaro se voglia sfiduciare Giuseppe Conte o persino votargli contro nell’Aula del Senato dopodomani. “Vedremo se avranno il coraggio di schierarsi contro il premier”, dice il ministro grillino Riccardo Fraccaro.
Insomma, volendo, il duello all’ultimo sangue annunciato a Palazzo Madama potrebbe persino diventare un minuetto senza risultati, che dia agli ex gialloverdi il tempo di restare compatti. Non andrà così e non solo perché il capo dello Stato ha fatto sapere che M5S e Lega non potranno rimettersi insieme facendo finta di niente, ma pure perché i grillini hanno deciso che - comunque vada a finire - si dovrà passare per una vera crisi politica in Parlamento con la spaccatura della ex maggioranza.
È questa la linea che si è andata delineando in questi giorni e che dovrebbe trovare una sua veste tecnica nella riunione della “cabina di regia” grillina convocata in serata a Roma: al tavolo, oltre a Luigi Di Maio, siederanno i ministri Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro, il presidente della commissione Antimafia Nicola Morra, la vicepresidente del Senato Paola Taverna, i due capigruppo in Parlamento Francesco D’Uva e Stefano Patuanelli, il “casaleggiano” Massimo Bugani e Alessandro Di Battista.
Saranno loro - in stretto contatto col premier, Grillo e lo stesso Casaleggio - a definire la strategia parlamentare. Funzionerà così: martedì Conte farà le sue “comunicazioni” nell’aula del Senato e, a quel punto, i vari gruppi potranno presentare una “risoluzione” sull’intervento. Quelle importanti, ovviamente, sono quelle che presenteranno la Lega (che ancora non sa cosa fare) e il Movimento.
Quest’ultima la firmerà, com’è normale, il capogruppo Patuanelli e dovrà avere due caratteristiche: pur appoggiando il presidente del Consiglio da un lato dovrà consentire alle opposizioni “democratiche” (Pd, LeU e altri) di non votare contro, dall’altro alla Lega di non votare a favore. Insomma, non dovrà rivendicare troppo l’esperienza gialloverde e attaccare la Lega su un terreno sul quale sia impossibile la pacificazione.
Conte, come detto, lavora in stretto contatto col gruppo dirigente grillino e ha sostanzialmente già da solo creato la perfetta occasione di scontro: le letterine e letteracce (“l’ossessione dei porti chiusi”, “non firmo il divieto per una questione di umanità”) scambiate negli ultimi giorni tra il premier e la ministra della Difesa Trenta da un lato e Salvini dall’altro sulla vicenda della nave della Ong spagnola Open Arms e il relativo sbarco dei migranti (finora solo i minorenni) è il boccone amaro, tra i molti possibili, che il cosiddetto “capitano” proprio non può mandare giù. Una risoluzione che elogi la recentissima linea dell’accoglienza di Palazzo Chigi su questo tema sarebbe indigesta per i leghisti.
A quel punto, con una spaccatura della maggioranza evidente anche in Parlamento, la crisi sarebbe aperta: “In piena trasparenza”, come aveva promesso il premier neanche un mese fa. È quel che si augurano al Quirinale, dove aspettano e sperano che la sfiducia più pazza del mondo trovi finalmente una strada istituzionale: l’ipotesi che va per la maggiore sul Colle più alto, diciamo quasi scontata, è che Conte - che ha la fiducia di Sergio Mattarella - salga a palazzo dopo il dibattito in Parlamento per rassegnare le sue dimissioni. Solo allora, con l’avvocato del popolo in carica per gli affari correnti, inizierà la partita del nuovo governo, qualunque esso sia. Solo una è l’avvertenza che il presidente della Repubblica ha già fatto pervenire ai partiti: se c’è un accordo politico (nuovo o vecchio) si procede, ma se l’idea è mettere in piedi un accordicchio per qualche mese, allora sarà lui a costruire un esecutivo che faccia la manovra e guidi il Paese alle elezioni.

lunedì 27 novembre 2017

ALL'ONU, L'INCAPACITA' DEGLI STATI UNITI DI AMMETTERE LA REALTA'. - Thierry Meyssan

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Quattro veti successivi sulla menzogna di Khan Shaykhun.
Mentre i presidenti Putin e Trump fanno progressi sulla questione siriana, gli alti funzionari statunitensi all’ONU sono impegnati in un braccio di ferro con la Russia. Rifiutandosi di indagare su un crimine, giudicato tale a priori, hanno provocato non uno, bensì quattro veti al Consiglio di Sicurezza. Secondo Thierry Meyssan, il comportamento schizofrenico degli Stati uniti sulla scena internazionale attesta la divisione dell’amministrazione Trump e, al tempo stesso, il declino dell’imperialismo americano.

Adottando lo stesso atteggiamento del suo lontano predecessore Adlai Stevenson durante la crisi dei missili cubani, Nikki Haley ha denunciato l’incidente di Khan Shaykhun mostrando come prova fotografie raccapriccianti. “Prove” la cui autenticità il Meccanismo d’inchiesta congiunto Onu-OPAC [Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche, ndt] si è tuttavia rifiutato di certificare. Si noti che il falco Jeffrey Feltman è seduto accanto all’ambasciatrice.
Indubbiamente poche cose sono cambiate dall’11 settembre 2001. Gli Stati Uniti continuano a manipolare l’opinione pubblica internazionale e gli organismi delle Nazioni Unite, sicuramente per ragioni diverse, mostrando però il medesimo disprezzo per la verità.

Nel 2001 i rappresentanti di Stati Uniti e Regno Unito, John Negroponte e Stewart Eldon, garantivano che i rispettivi Paesi avevano attaccato l’Afghanistan per legittima difesa, in seguito agli attentati di New York e Washinton [1]. Il segretario di Stato, Colin Powell, prometteva che avrebbe fatto avere al Consiglio di Sicurezza un dossier completo contenente le prove delle responsabilità afghane. Dopo sedici anni siamo ancora in attesa del documento.

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Il segretario di Stato Colin Powell mente al Consiglio di Sicurezza. Brandisce quel che presenta come fiala di antrace in grado di uccidere l’intera popolazione di New York e accusa l’Iraq di aver preparato la terribile arma per attaccare gli Stati Uniti. Washington non si è mai scusata per la pagliacciata.

Nel 2003, durante un intervento ripreso dalle televisioni del mondo intero, lo stesso Colin Powell spiegò al Consiglio di Sicurezza che anche l’Iraq era implicato negli attentati dell’11 settembre e stava preparando un nuovo attacco agli Stati Uniti con armi di distruzione di massa [2]. Tuttavia, il generale Powell, lasciando l’incarico governativo ammise, su una rete televisiva americana, che tutte le innumerevoli accuse del suo discorso erano false [3]. Dopo quattordici anni stiamo ancora aspettando che gli Stati Uniti si scusino davanti al Consiglio di Sicurezza.

Il mondo intero ha dimenticato le accuse americane sulla responsabilità del presidente Saddam Hussein negli attentati dell’11 settembre (in seguito Washington ha attribuito gli stessi attentati prima all’Arabia Saudita e, ora, all’Iran, senza mai portare alcuna prova). 
In compenso, tutti ricordano il dibattito, durato mesi, sulle armi di distruzione di massa. All’epoca, la Commissione di Controllo, Verifica e Ispezione delle Nazioni Unite (in inglese UNMOVIC) non trovò la minima traccia di queste armi. Un braccio di ferro oppose l’allora direttore di UNMOVIC, lo svedese Hans Blix, prima agli Stati Uniti, poi all’ONU e, infine, all’insieme del mondo occidentale. Washington sosteneva che Blix non aveva trovato le armi perché svolgeva male il proprio lavoro. Blix affermava invece che l’Iraq mai era stato in grado di fabbricare armi simili. Poco importa, gli Stati Uniti bombardarono comunque Bagdad, invasero l’Iraq, rovesciarono il presidente Saddam Hussein e lo impiccarono, occuparono il Paese e lo saccheggiarono.

Il metodo statunitense posteriore al 2001 non ha nulla a che vedere con quello che l’ha preceduto. Nel 1991 il presidente Bush padre si premurò, prima di attaccare l’Iraq, di avere il Diritto internazionale dalla propria parte. Spingendo Bagdad a invadere il Kuwait e Saddam Hussein a intestardirsi, ottenne il sostegno di quasi tutte le altre nazioni. Nel 2003 Bush figlio si limitò invece a mentire e a perseverare nella menzogna. Molti Stati presero le distanze da Washington e il mondo assistette alle manifestazioni pacifiste più imponenti della storia, da Parigi a Sydney, da Pechino a Città del Messico.

Nel 2012 l’Ufficio Affari Politici dell’ONU redasse un progetto contemplante la capitolazione totale e incondizionata della Siria [4]. Il suo direttore, lo statunitense Jeffrey Feltman, ex vice della segretaria di Stato Hillary Clinton, utilizzò ogni mezzo a sua disposizione per formare la più vasta coalizione della storia e accusare la Siria di ogni sorta di crimine, mai dimostrato.

Se gli Stati che sono in possesso del documento Feltman hanno deciso di non pubblicarlo è per tutelare le Nazioni Unite. È difatti inaccettabile che le risorse dell’ONU, un’istituzione creata per preservare la pace, vengano utilizzate per promuovere la guerra. Io, che sono libero dagli obblighi che vincolano uno Stato, ho invece pubblicato in Sous nos yeux [5] uno studio dettagliato di quell’ignobile documento.

Nel 2017 il Meccanismo d’Inchiesta congiunto ONU-OPAC, creato su richiesta della Siria per indagare sull’uso di armi chimiche sul suo territorio, è stato teatro dello stesso braccio di ferro che oppose Hans Blix a Washington. Però, questa volta, i fronti sono rovesciati. Nel 2003 l’ONU difendeva la pace. Oggi non più: Jeffrey conserva il proprio posto ed è ancora il numero due dell’ONU. E ora è la Russia che, in nome della Carta delle Nazioni Unite, si oppone a funzionari internazionali pro-USA.

I lavori del Meccanismo d’Inchiesta, oggetto di normale dibattito nel primo periodo, ossia da settembre 2015 a maggio 2017, sono diventati divisivi da quando, alla sua direzione, il guatemalteco Edmond Mulet è subentrato all’argentina Virginia Gamba. Una nomina voluta dal nuovo segretario generale dell’ONU, il portoghese Antonio Guterres.

Del Meccanismo d’Inchiesta fanno parte funzionari dell’ONU e dell’OPAC, la prestigiosa organizzazione internazionale che nel 2013 ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace per la sorveglianza sulla distruzione dell’arsenale chimico siriano da parte di Stati Uniti e Russia. Tuttavia, il suo direttore, il turco Ahmet Üzümcü, ha subito una trasformazione. A giugno 2015 è stato invitato a Telfs Buchen (Austria) per partecipare alla riunione del Gruppo Bilderberg, il club della NATO.

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A dicembre 2015 Ahmet Üzümcü è stato decorato della Legione d’Onore da Laurent Fabius, il ministro francese degli Esteri che ha affermato che il presidente al-Assad «non ha diritto di vivere» e che Al Qaeda «fa un buon lavoro».

La questione è ben più grave del 2003, quando lo scontro era tra Hans Blix e Stati Uniti, che minacciavano d’intervenire contro l’Iraq se l’ONU avesse dimostrato l’esistenza di armi di distruzione di massa. Nel 2017 il conflitto è invece tra la Russia ed Edmond Mulet, che potrebbe avallare a posteriori l’intervento americano contro la Siria. Senza esitare Washinton ha ritenuto infatti la Siria responsabile di un attacco al gas sarin a Khan Shaykhun e ha bombardato la base aerea di Sheyrat [6].

Qualora il rapporto del Meccanismo d’Inchiesta si scostasse in qualche modo dalla linea di condotta di Washington, gli Stati Uniti sarebbero costretti a chiedere scusa alla Siria e a indennizzarla. I funzionari internazionali pro-USA ritengono perciò sia loro dovere pervenire alla conclusione che la Siria ha bombardato il suo stesso popolo con il gas sarin, depositato illegalmente nella base aerea di Sheyrat.

Dal mese di ottobre la discussione tra alcuni funzionari ONU e la Russia ha iniziato a salire di tono. Contrariamente a quanto sostiene la stampa occidentale, il contenzioso non riguarda affatto l’esito del Meccanismo d’Inchiesta, ma esclusivamente i metodi utilizzati; Mosca rifiuta a priori ogni conclusione cui si sia giunti con metodi non conformi ai principi internazionali, stabiliti nel quadro della Convenzione sulle Armi Chimiche e dell’OPAC [7].

Il sarin è un gas neurotossico estremamente letale per l’uomo. Esistono varianti del prodotto, come il clorosarin e il ciclosarin, e una versione ancora più pericolosa, il VX. Tutti questi prodotti chimici sono assorbiti dalla pelle e passano direttamente nel sangue. In un periodo che può variare da qualche settimana a qualche mese si disperdono nell’ambiente, non senza conseguenze per la fauna con cui può entrare in contatto. Quando penetrano nel suolo il sarin e le sue varianti, in assenza d’ossigeno e luce, possono mantenersi attivi molto a lungo. Basta osservare le fotografie dell’attacco di Khan Shaykhun, dove si vedono persone prelevare campioni poche ore dopo l’attacco, senza indossare tute che proteggano la pelle, per avere la certezza che, se c’è stato uso di gas, non può trattarsi né di sarin né di alcuno dei suoi derivati. Maggiori dettagli si possono trovare nello studio del professor Theodore Postol, del Massachusetts Institute of Technology (MIT), che smonta una a una le argomentazione dei sedicenti esperti della CIA [8].

Ebbene, contravvenendo ai principi della Convenzione sull’Uso delle Armi Chimiche, il Meccanismo d’Inchiesta non si è recato sul posto per prelevare campioni, analizzarli e indentificare il gas eventualmente utilizzato. Rispondendo alle domande poste a tal proposito a maggio e giugno scorsi dalla Russia, l’OPAC ha dichiarato che stava esaminando le condizioni di sicurezza in cui si sarebbe svolto il sopralluogo, per giungere infine alla conclusione che non occorreva muoversi perché «non sussistono dubbi sull’utilizzo del sarin».

In compenso, il Meccanismo d’Inchiesta si è recato nella base di Sheyrat, dove, secondo Washington, il gas sarin era stato illegalmente immagazzinato e poi caricato sui bombardieri. Anche in questo caso, nonostante l’insistenza della Russia, non ha prelevato campioni.

Il Meccanismo d’Inchiesta si è anche rifiutato di prendere in esame quanto rivelato dalla Siria a proposito della fornitura di gas agli jihadisti da parte delle società statunitensi e britanniche Federal Laboratories, Non Lethal Technologies e Chenring Defence UK [9].
Nel progetto di risoluzione presentato il 16 novembre, gli Stati Uniti e i loro alleati riconoscono che i funzionari internazionali dovrebbero investigare «in modo appropriato allo svolgimento del loro mandato» [10].

La Russia ha respinto il rapporto del Meccanismo d’Inchiesta a motivo del suo carattere dilettantistico e ha rifiutato tre volte di rinnovarne il mandato. Ha opposto il veto il 24 ottobre [11], il 16 [12] e 17 novembre, così come aveva già fatto il 12 aprile [13] , allorquando Stati Uniti e Francia [14] tentarono di ottenere la condanna della Siria per questo preteso attacco al gas sarin. 
Queste sono state l’ottava, la nona, la decima e l’undicesima volta che la Russia è ricorsa al veto sulla questione siriana.
S’ignora per quale ragione Washington abbia presentato, o fatto presentare, al Consiglio di Sicurezza per quattro volte e per vie diverse lo stesso assunto. 
Un traballamento già verificatosi all’inizio della guerra contro la Siria, il 4 ottobre 2011, il 4 febbraio e il 19 luglio 2012, quando Francia e Stati Uniti cercarono di far condannare dal Consiglio di Sicurezza quella che chiamavano la repressione della primavera siriana. La Russia sosteneva invece che non si trattava di guerra civile, bensì di un’aggressione esterna. Ogni volta gli Occidentali replicavano che avrebbero alla fine «convinto» il partner russo.
È interessante osservare che oggi la doxa occidentale asserisce che la guerra in Siria è iniziata con una rivoluzione democratica, poi degenerata e, alla fine, strumentalizzata dagli jihadisti. 
Ebbene, contrariamente a quanto si disse, non esiste alcuna prova della benché minima manifestazione nel 2011-12 in Siria a favore della democrazia. Tutti i video dell’epoca mostrano manifestazioni a sostegno del presidente el-Assad o contro la Repubblica Araba Siriana, mai per la democrazia. 
Nessun video mostra slogan o cartelli pro-democrazia. Tutti i video delle sedicenti “manifestazioni rivoluzionarie” di quel periodo sono stati girati di venerdì, all’uscita dalle moschee sunnite, mai in un altro giorno della settimana e mai in un luogo d’incontro diverso da una moschea sunnita. 
È vero che in alcuni video si sentono frasi in cui c’è la parola “libertà”. Però, tendendo bene l’orecchio si capisce che i manifestanti non stanno rivendicando la “Libertà” nel senso occidentale, ma la “libertà di applicare la sharia”. Se qualche lettore riesce a rintracciare un documento affidabile di una manifestazione di più di 50 persone che mi contraddica, per favore me lo faccia avere, non mancherò di pubblicarlo.

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Benché, per non offrire l’opportunità all’opposizione di accusarlo di farsi dare ordini dall’uomo del KGB, Vladimir Putin, il presidente Trump non abbia incontrato privatamente il presidente russo, l’11 novembre 2017 a Da Nang i due capi di Stato esibiscono la loro intesa.
Si potrebbe interpretare l’ostinazione statunitense nel manipolare i fatti come un segno dell’allineamento dell’amministrazione Trump alla politica dei suoi quattro predecessori. Questa ipotesi è però contraddetta dalla firma, l’8 novembre ad Amman, di un Memorandum segreto tra Giordania [15], Russia e Stati Uniti, e dalla Dichiarazione comune dei presidenti Putin e Trump l’11 novembre a Da Nang, in margine al vertice dell’APEC [16].

Il primo di questi documenti non è stato pubblicato ma, grazie a indiscrezioni, sappiamo che non tiene in conto la richiesta israeliana di creare una zona neutrale in territorio siriano, a 60 chilometri al di là, non del confine israeliano, bensì della linea di cessate-il-fuoco del 1967. Senza mai perdere occasione per gettare benzina sul fuoco, il governo britannico ha reagito facendo pubblicare dalla BBC fotografie satellitari della base militare iraniana di El-Kiswah (a 45 chilometri dalle linea del cessate-il-fuoco) [17]. Com’era prevedibile, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha respinto immediatamente l’accordo tra le grandi potenze e annunciato che Israele si riserva il diritto d’intervenire immediatamente in Siria per salvaguardare la propria sicurezza [18]. 
Una dichiarazione che rappresenta una minaccia a uno Stato sovrano e, per questa ragione, vìola la Carta delle Nazioni Unite. Del resto, chiunque ha potuto vedere che, negli ultimi sette anni, il pretesto delle armi destinate al Libano ha sempre rappresentato una buona scusa. Per esempio, il 1° novembre Tsahal ha bombardato illegittimamente una zona industriale a Hassyié, col pretesto di distruggere armi destinate a Hezbollah. In realtà, l’obiettivo dell’attacco era una fabbrica che lavora il rame, indispensabile per il ripristino della rete elettrica siriana [19].
La Dichiarazione di Da Nang rappresenta un deciso progresso. Per esempio, stabilisce, per la prima volta, che tutti i siriani avranno diritto a partecipare alle prossime elezioni presidenziali. Ebbene, finora ai siriani in esilio è stato impedito dalla Coalizione Internazionale di votare, violando la Convenzione di Vienna. Da parte sua, la “Coalizione Nazionale delle Forze dell’Opposizione e della Rivoluzione” boicottava le elezioni perché era controllata dai Fratelli Mussulmani, secondo i quali «Il Corano è la nostra Legge», dunque in un regime islamista non c’è posto per elezioni.
Il contrasto tra il progresso dei negoziati Russia-USA sulla Siria, da un lato, e la testardaggine degli Stati Uniti nel volere negare i fatti davanti al Consiglio di Sicurezza, dall’altro, è sorprendente.
È interessante osservare il disagio della stampa europea, sia rispetto al lavoro dei presidenti Putin e Trump, sia nei confronti dell’ostinazione infantile statunitense al Consiglio di Sicurezza. Pressoché nessun media ha parlato del Memorandum di Amman e tutti hanno commentato la Dichiarazione Comune prima che fosse pubblicata, basandosi solo su una nota della Casa Bianca. Quanto alle bambinate dell’ambasciatrice Nikki Haley al Consiglio di sicurezza, i media europei si sono limitati a constatare unanimemente che i due Grandi non avevano trovato un accordo, ignorando le esaustive argomentazioni russe. Non si può non constatare che, mentre il presidente Trump cerca di chiudere con la politica imperialista dei predecessori, i funzionari internazionali pro-USA dell’ONU sono incapaci di adattarsi alla realtà. Dopo sedici anni di menzogne sistematiche non sono più in grado di pensare in funzione dei fatti, ma unicamente delle loro fantasie. Non riescono più a distinguere i propri desideri dalla realtà, tipico comportamento degli imperi in declino.

Traduzione 
Rachele Marmetti
Il Cronista

[1] Referenza: Onu S/2001/946 e S/2001/947.
[2] « Discours de M. Powell au Conseil de sécurité de l’ONU », par Colin L. Powell, Réseau Voltaire, 11 février 2003.
[3] “Colin Powell on Iraq, Race, and Hurricane Relief”, ABC, September 8, 2005.
[4] “La Germania e l’ONU contro la Siria”, di Thierry Meyssan, Traduzione Matzu Yagi, Megachip-Globalist(Italia) , Al-Watan (Siria) , Rete Voltaire, 28 gennaio 2016.
[5Sous nos yeux. Du 11-Septembre à Donald Trump, Thierry Meyssan, Demi-Lune, 2017.
[6] “Perché Trump ha bombardato Sheyrat?”, di Thierry Meyssan, Traduzione Matzu Yagi, Megachip-Globalist(Italia) , Rete Voltaire, 2 maggio 2017.
[7] « Observations émises par le Ministère russe des Affaires étrangères au sujet du dossier chimique syrien », Réseau Voltaire, 23 octobre 2017.
[8] “Il rapporto della CIA sull’incidente di Khan Shaykhun è grossolanamente menzognero”, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 18 aprile 2017.
[9] “Londra e Washington hanno fornito armi chimiche agli jihadisti”, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 16 agosto 2017.
[10] « Projet de résolution sur le Mécanisme d’enquête conjoint Onu-OIAC (Véto russe) », Réseau Voltaire, 16 novembre 2017.
[11] « Projet de résolution sur le renouvellement du Mécanisme d’enquête conjoint (Veto russe) », « Utilisation d’armes chimiques en Syrie (Veto russe) », Réseau Voltaire, 24 octobre 2017.
[12] « Projet de résolution sur le Mécanisme d’enquête conjoint Onu-OIAC (Véto russe) », Réseau Voltaire, 16 novembre 2017.
[13] « Débat sur l’incident chimique présumé de Khan Cheïkhoun (veto russe) », Réseau Voltaire, 12 avril 2017.
[14] « Évaluation française de l’attaque chimique de Khan Cheikhoun », Réseau Voltaire, 26 avril 2017.
[15] “La Giordania apporta il proprio sostegno alla Siria”, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 30 agosto 2017.
[16] « Déclaration commune des présidents russe et états-unien sur la Syrie », Réseau Voltaire, 11 novembre 2017.
[17] “Iran building permanent military base in Syria – claim”, Gordon Corera, BBC, November 10, 2017.
[18] “Israele respinge l’accordo russo-statunitense sulla Siria”, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 15 novembre 2017.
[19] « Israël bombarde une usine de cuivre en Syrie », par Mounzer Mounzer, Réseau Voltaire, 3 novembre 2017.

Fonte : “All’ONU, l’incapacità degli Stati Uniti di ammettere la realtà”, di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 24 novembre 2017, www.voltairenet.org/article198908.html

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