domenica 18 agosto 2019

I 5 Stelle hanno deciso: si va alla crisi in Senato. - Ilaria Proietti e Marco Palombi



Game over – Niente appigli alla Lega: il M5S presenterà una risoluzione che sosterrà la posizione di Conte su Ong e migranti: piacerà a sinistra e sarà invotabile per Salvini.

Le telefonate accorate dei pontieri leghisti non si sono fermate neanche in questo sabato di metà agosto, nonostante il gran capo Matteo Salvini - in relax bucolico a casa Verdini - abbia interrotto i contatti anche coi suoi: mentre lui riflette, ministri e dirigenti vari del fu Carroccio provano a capire se c’è uno spazio per ricucire con “l’Italia del no” a 5 Stelle.
Dalle parti del Movimento, anche se continuano gli attacchi all’ex alleato (“ha provato a fregarci tutti, ma si è fregato da solo: pare che persino Berlusconi gli abbia risposto picche”), non è ancora arrivata una chiusura formale: questo perché ogni posizione dovrà essere espressa in Parlamento e Salvini dovrà intestarsi una crisi di governo che lui stesso ha scelto di aprire dieci giorni fa. Problema: ormai la Lega barcolla e non è nemmeno più chiaro se voglia sfiduciare Giuseppe Conte o persino votargli contro nell’Aula del Senato dopodomani. “Vedremo se avranno il coraggio di schierarsi contro il premier”, dice il ministro grillino Riccardo Fraccaro.
Insomma, volendo, il duello all’ultimo sangue annunciato a Palazzo Madama potrebbe persino diventare un minuetto senza risultati, che dia agli ex gialloverdi il tempo di restare compatti. Non andrà così e non solo perché il capo dello Stato ha fatto sapere che M5S e Lega non potranno rimettersi insieme facendo finta di niente, ma pure perché i grillini hanno deciso che - comunque vada a finire - si dovrà passare per una vera crisi politica in Parlamento con la spaccatura della ex maggioranza.
È questa la linea che si è andata delineando in questi giorni e che dovrebbe trovare una sua veste tecnica nella riunione della “cabina di regia” grillina convocata in serata a Roma: al tavolo, oltre a Luigi Di Maio, siederanno i ministri Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro, il presidente della commissione Antimafia Nicola Morra, la vicepresidente del Senato Paola Taverna, i due capigruppo in Parlamento Francesco D’Uva e Stefano Patuanelli, il “casaleggiano” Massimo Bugani e Alessandro Di Battista.
Saranno loro - in stretto contatto col premier, Grillo e lo stesso Casaleggio - a definire la strategia parlamentare. Funzionerà così: martedì Conte farà le sue “comunicazioni” nell’aula del Senato e, a quel punto, i vari gruppi potranno presentare una “risoluzione” sull’intervento. Quelle importanti, ovviamente, sono quelle che presenteranno la Lega (che ancora non sa cosa fare) e il Movimento.
Quest’ultima la firmerà, com’è normale, il capogruppo Patuanelli e dovrà avere due caratteristiche: pur appoggiando il presidente del Consiglio da un lato dovrà consentire alle opposizioni “democratiche” (Pd, LeU e altri) di non votare contro, dall’altro alla Lega di non votare a favore. Insomma, non dovrà rivendicare troppo l’esperienza gialloverde e attaccare la Lega su un terreno sul quale sia impossibile la pacificazione.
Conte, come detto, lavora in stretto contatto col gruppo dirigente grillino e ha sostanzialmente già da solo creato la perfetta occasione di scontro: le letterine e letteracce (“l’ossessione dei porti chiusi”, “non firmo il divieto per una questione di umanità”) scambiate negli ultimi giorni tra il premier e la ministra della Difesa Trenta da un lato e Salvini dall’altro sulla vicenda della nave della Ong spagnola Open Arms e il relativo sbarco dei migranti (finora solo i minorenni) è il boccone amaro, tra i molti possibili, che il cosiddetto “capitano” proprio non può mandare giù. Una risoluzione che elogi la recentissima linea dell’accoglienza di Palazzo Chigi su questo tema sarebbe indigesta per i leghisti.
A quel punto, con una spaccatura della maggioranza evidente anche in Parlamento, la crisi sarebbe aperta: “In piena trasparenza”, come aveva promesso il premier neanche un mese fa. È quel che si augurano al Quirinale, dove aspettano e sperano che la sfiducia più pazza del mondo trovi finalmente una strada istituzionale: l’ipotesi che va per la maggiore sul Colle più alto, diciamo quasi scontata, è che Conte - che ha la fiducia di Sergio Mattarella - salga a palazzo dopo il dibattito in Parlamento per rassegnare le sue dimissioni. Solo allora, con l’avvocato del popolo in carica per gli affari correnti, inizierà la partita del nuovo governo, qualunque esso sia. Solo una è l’avvertenza che il presidente della Repubblica ha già fatto pervenire ai partiti: se c’è un accordo politico (nuovo o vecchio) si procede, ma se l’idea è mettere in piedi un accordicchio per qualche mese, allora sarà lui a costruire un esecutivo che faccia la manovra e guidi il Paese alle elezioni.

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