martedì 19 maggio 2020

Francia e Germania ci copiano anche sul Recovery fund. Sì a un piano per la ricostruzione da 500 miliardi a fondo perduto. - Laura Tecce

MERKEL MACRON

Sul tavolo dell’Eurogruppo, che la scorsa settimana ha dato il via libera definitivo al piano Sure per la cassintegrazione e alle linee di credito del Mes, era rimasto il “piatto” più “gustoso” in termini di reale potenza economica: il Recovery Fund, vale a dire il nuovo fondo europeo per contrastare la crisi post pandemia finanziato attraverso l’emissione di obbligazioni garantite dal bilancio Ue aggiuntivo rispetto al Piano Finanziario pluriennale 2021-27. La proposta in merito della Commissione Ue è attesa tra dieci giorni, ma intanto dalla cancelliera Angela Merkel e dal presidente francese Emmanuel Macron è arrivata ieri una proposta congiunta di un piano di ricostruzione da 500 miliardi di euro. Che non dovranno essere rimborsati dai destinatari del prestito, bensì “dagli Stati membri”, come ha tenuto a precisare Macron.
Costituirà un supplemento straordinario, integrato nella decisione sulle risorse proprie del bilancio Ue, con un volume e una data di scadenza chiaramente specificati e sarà collegato a un piano di rimborso vincolante: si tratta di una vera e propria condivisione del debito. Ha vinto dunque linea dei “Nove”, cioè di quei Paesi che, con Francia e Italia in testa, sin dall’inizio avevano prospettato questa soluzione, riscontrando però la rigidità dei rigoristi del Nord, con l’Olanda – noto paradiso fiscale – sul piede di guerra. Ma la Germania, l’unico vero temibile ostacolo, alla fine ha fatto un passo indietro e Merkel, in video collegamento insieme al collega francese, ha parlato di “uno sforzo straordinario e unico che abbia come obiettivo la coesione dell’Europa”, ribadendo che la crisi del coronavirus ha colpito in modo diverso i Paesi europei e che dunque il Recovery Fund dovrà dare un contributo alla tenuta dell’Europa, assicurando che questa esca dalla crisi insieme e più forte di prima”.
In ogni caso l’ampliamento della cornice del bilancio europeo dovrà essere ratificata dai parlamento nazionali, ma rispetto alle nebbie che qualche giorno fa sembravano addensarsi all’orizzonte, quella di ieri è decisamente più che una schiarita. Creare un coordinamento più forte in Europa nell’ambito della salute “deve diventare una nostra priorità” ha affermato Macron, “I 500 miliardi di euro sono lì per rispondere alla crisi sanitaria ed economica e andranno a settori non solo tecnologici. È una forte risposta economica che aiuterà a combattere la disoccupazione nelle regioni più vulnerabili”. Finalmente si dà un valore reale alle parole “solidarietà” e “coesione”, finora rimaste abbastanza sulla carta, e anche Von der Leyen rassicura: “Accolgo con favore la proposta costruttiva fatta da Francia e Germania. Riconosce la portata e le dimensioni della sfida economica che l’Europa deve affrontare e giustamente pone l’accento sulla necessità di lavorare su una soluzione con il bilancio europeo al centro.
Ciò va nella direzione della proposta su cui sta lavorando la Commissione, che terrà conto anche delle opinioni di tutti gli Stati membri e del Parlamento europeo”. Grande soddisfazione, ovviamente, da parte del governo italiano: “Quanto appena dichiarato dal presidente Macron e dalla Cancelliera Merkel rappresenta un buon passo in avanti che va nella direzione sin dall’inizio auspicata dall’Italia per una risposta comune ambiziosa alla pandemia. Questa posizione è evidentemente il frutto del lavoro congiunto con altri partner europei, in primis l’Italia, in vista della proposta della Commissione Ue sul Recovery Fund e più in generale sugli altri temi evocati come salute, investimenti, ricerca, politica industriale e concorrenza, che rappresentano obiettivi prioritari”.

Una nuova stagione per l’Europa. - Gaetano Pedullà

CONTE VON DER LEYEN

Può servire più tempo e coraggio, ma le buone idee vincono sempre sugli egoismi e gli steccati ideologici. Così oggi dall’Europa arriva un segnale impensabile fino a un anno fa, quando proprio a maggio 2019 veniva eletto il nuovo Parlamento Ue e la mossa sorprendete e decisiva del premier Giuseppe Conte e della piccola pattuglia M5S permetteva la nascita della Commissione von del Leyen. Con bei programmi e inconsuete scuse all’Italia quando l’azione di sostegno ai popoli è risultata insoddisfacente, l’Unione ha comunque invertito la rotta rispetto all’ultimo ventennio, in tempi in cui il nostro Paese in difficoltà sui conti spediva il ministro Tremonti col cappello in mano a chiedere gli Eurobond oppure in anni più recenti il presidente Juncker ci negava più flessibilità sui bilanci.
Con il nuovo corso le cose non sono state tutte rose e fiori, ma l’attenzione ai temi dell’occupazione, della solidarietà e della sostenibilità green non hanno precedenti. Dunque abbiamo fatto bene, anzi benissimo, a non accodarci al più becero euroscetticismo di Lepen, Orbàn, Salvini e Meloni, tutto protesta e niente proposta. Nel nuovo clima più costruttivo adesso Francia e Germania aprono all’idea italiana del Recovery Fund, ipotizzando un plafond di 500 miliardi di euro in parte a fondo perduto, da garantire con il debito comune. Si tratta di una rivoluzione copernicana, che seppure meno ambiziosa di quanto chiede lo stesso Parlamento Ue (2mila miliardi) o l’Italia (mille miliardi) ci proietta in una stagione nuova: dall’Europa degli Stati a quella dei cittadini.

Perché la ex Fiat sorride grazie al mega-prestito. - Cdf

Perché la ex Fiat sorride grazie al mega-prestito

Il Lingotto non paga tasse sui dividendi e risparmia quasi mezzo miliardo senza attingere alla sua liquidità.
L’affaire Fiat Chrysler Automobiles agita la maggioranza giallorosa. I fatti: Fca Italia chiederà all’assicurazione pubblica Sace la garanzia sull’80% di un credito da 6,3 miliardi erogato da Intesa SanPaolo per le sue attività italiane. Come previsto dal “decreto Liquidità”, la garanzia dovrà essere autorizzata da un decreto del ministro dell’Economia. Per i giornali di proprietà dell’ex Lingotto (il gruppo Gedi che edita, tra gli altri Repubblica e La Stampa) è una grande operazione che salva l’indotto permettendo di pagare i fornitori. Per gli addentellati padronali nella politica, a partire da Italia Viva, le polemiche sono strumentali. Questo, per dire, è Matteo Renzi: “Bene Fca. Sbagliato evocare ‘poteri forti’ e ‘interessi dei padroni’. È un prestito che serve a investire in Italia: che male c’è? Mi sarei preoccupato se non lo avesse fatto”. Le cose però sono un po’ più complesse.
Problema fiscale. Fca dal 2014 ha sede legale in Olanda e fiscale nel Regno Unito. Sulle attività italiane (a cui sono destinati i prestiti garantiti) paga le tasse in Italia (solo mezzo miliardo nel 2019 perché sono in perdita da anni). Diverso è il caso dei dividendi, cioè la parte degli utili distribuita agli azionisti. Di per sé, non sono tassati molto neanche in Italia: viene applicata un’aliquota Ires del 24% solo sul 5% dell’ammontare, cioè un’aliquota effettiva dell’1,2%. Su un dividendo di 2 miliardi parliamo di 25 milioni sottratti all’erario italiano. Poi ci sono gli utili prodotti all’estero. Il fisco olandese di fatto rende esentasse i dividendi, ma permette anche di ridurre l’aliquota formale sugli utili abbattendo gli imponibili. Nel 2019, per dire, Fca ha fatto ricavi per 108 miliardi, e utili per 6,6 miliardi, pagando imposte per soli 1,3 miliardi. Un “tax rate” dell’1,5%, assai invidiabile in Italia e forse dovuto anche alle perdite assorbite negli anni precedenti dall’acquisto di Chrysler.
C’è poi un altro aspetto: anche se è difficile che Fca riesca a portare molti profitti generati dall’Italia fuori dal nostro Paese con i meccanismi elusivi del transfer pricing è pure vero che non sappiamo se nel 2014 siano stati trasferiti all’estero anche beni poco tangibili come marchi, brevetti e ricerca scientifica. A ogni modo tutte le multinazionali concentrano servizi sulla casa madre, cosa che genera utili finanziari (su cui il fisco olandese chiede imposte assai basse). Vale la pena poi di ricordare che a fine 2019 Fca ha riconosciuto 730 milioni all’amministrazione fiscale italiana per aver sottostimato il valore di Chrysler pagando meno tasse.
Il regalo. Fca e la sua controllata Exor ha liquidità sufficiente per garantire prestiti infragruppo senza dover ricorrere alla garanzia pubblica, tanto più che ha in pancia ancora parte dei ricavi della vendita di Magneti Marelli. Se vi ricorre è perché così si tiene la liquidità e, avendo lo Stato italiano un rating migliore di quello dell’ex Fiat (è mantenuto sul livello “investment” solo dall’agenzia Fitch), risparmia sui costi di finanziamento. Considerato il merito di credito tra Stato italiano e Fca è verosimile che su un prestito a 3 anni il risparmio sia anche superiore al mezzo miliardo (e questo al netto dei costi della garanzia pubblica, che sono a carico di Fca). Il divieto di distribuire dividendi vale solo per 12 mesi: significa che Fca nel 2021 potrà staccare agli azionisti 5,5 miliardi del dividendo straordinario previsto dalla fusione con Peugeot, somma pari al prestito garantito dallo Stato. Per l’ex Lingotto è un’operazione perfetta. I soldi verranno usati per saldare i fornitori italiani (che non è una gentile concessione, ma un dovere).
Gli investimenti. La speranza del governo italiano – che la garanzia sui debiti impegnerà Fca a investire davvero in Italia – è cosa buona e giusta. Finora, però, Fca non ha mai mantenuto gli impegni sugli investimenti previsti (gli ultimi annunci, risalenti al 2018, parlano di 5 miliardi nel quinquennio).
Le garanzie. Finora Sace ha effettivamente erogato garanzie su prestiti di una quarantina di milioni e ha operazioni “potenziali” in essere con circa 250 aziende per un totale di 18,5 miliardi. Da sola la garanzia a Fca vale un terzo dell’ammontare “potenziale”.

Razza predona. - Marco TRavaglio

Massimo Giannini/ Chi è il nuovo direttore La Stampa: già alla ...
Anche se ogni tanto litighiamo, sono un po’ amico di Massimo Giannini, specialmente da quando fu cacciato dalla Rai dell’Innominabile e lo difesi. E ieri il suo editoriale su La Stampa mi ha fatto male. Non per me, che non c’entro niente. Per lui. Dopo mezza vita passata a denunciare giustamente i conflitti d’interessi politico-affaristico-editoriali di B., tentava di negare il conflitto d’interessi politico-affaristico-editoriale dei suoi editori Agnelli-Elkann. E, così, senza volerlo, lo confermava. Diversamente da B, la Real Casa torinese non ha mai avuto bisogno di entrare direttamente in politica: fin dalla fondazione oltre un secolo fa, è sempre stata “governativa per definizione”, come diceva il capostipite Giovanni Agnelli. Perché ha sempre avuto ai suoi piedi quasi tutti i governi, convinti – anche in cambio di tangenti e buona stampa – che “quel che va bene alla Fiat va bene all’Italia” (Gianni Agnelli). E infatti anche La Stampa, salvo rare parentesi, è sempre stata governativa. Almeno fino a due anni fa, quando andarono al governo due partiti – 5Stelle e Lega – troppo selvaggi per piacere ai soliti salotti, anche se poi Salvini vi è stato subito cooptato. Intanto la Real Casa si comprava pezzo dopo pezzo pure Repubblica, fino alla brutale cacciata di Verdelli e all’arrivo di Molinari, sostituito a La Stampa da Giannini.
Così il giornale più vicino al Pd è passato all’opposizione del governo che ha riportato al potere il Pd, insieme al quotidiano governativo per definizione. Il tutto mentre l’editore incassava da Banca Intesa un assegno di 6,3 miliardi garantiti dallo Stato grazie al dl Liquidità dell’orribile governo Conte. Il vicesegretario del Pd Orlando ha fatto due più due, come chiunque osservi i movimenti dei grandi gruppi finanziari ed editoriali: lorsignori, con i loro media al seguito, non ne hanno mai abbastanza e ora vogliono rovesciare il governo per spartirsi comodamente gli 80 miliardi delle due manovre anti-Covid e quelli in arrivo dall’Ue. Nessuno ha mai parlato di ”complotto” o “congiura”, termini evocati da Giannini (che tira in ballo financo gli odiatori di Liliana Segre e di Silvia Romano) e da quel furbacchione di Mieli per ridicolizzare un tema serissimo: qui si tratta di interessi economici, che sarebbero legittimi se non usassero i media per i propri comodi. Conte, pur tutt’altro che ostile alle imprese, è inviso all’establishment lobbistico-finanziario perché non è un premier à la carte (come lo erano quasi tutti i predecessori). E per giunta non è stato scelto dai soliti noti, ma nientemeno che dai barbari 5Stelle.
Infatti viene attaccato ogni giorno con pretesti ridicoli (gli orari e la punteggiatura delle conferenze stampa) e fake news (nulla a che vedere con la legittima critica) da tutti i grandi quotidiani, fino all’altroieri sdraiati su governi infinitamente peggiori. “Nessuno ci ha mai ordinato alcunché”, “i giornalisti non prendono ordini dall’editore”, giura Giannini. Non ne dubitiamo: certe cose non c’è neppure bisogno di ordinarle. Si fanno col pilota automatico, conoscendo i desiderata dell’editore. Che, quando è vero, ha il solo interesse di vendere i giornali. Ma, quando è finto o “impuro”, usa la stampa per fare affari anche tramite la politica. Vale per gli Elkann, Caltagirone, gli Angelucci, Cairo e anche i De Benedetti. Quando scoppiò lo scandalo della soffiata dell’Innominabile all’Ingegnere sul dl Banche, Repubblica non scrisse una riga: censura dell’editore o autocensura dei giornalisti? E le recenti cronache da Coppa Cobram fantozziana dei due giornali della megaditta sul prestito garantito a Fca erano frutto di ordini superiori o di spontanee obbedienze inferiori?
La Razza padrona descritta da Scalfari prim’ancora di fondare Repubblica e poi di venderla a CdB, non è un’invenzione. Giannini assicura che questa è “un’idea rozza” che “non esisteva neanche negli anni 50, quando a Torino la Fiat e il Pci costruivano la trama delle relazioni industriali del Paese”. Sarà, ma allora e anche molto dopo la Fiat (“la Feroce”) aveva “reparti confino”, schedava gli operai per le loro idee e, quando ne moriva uno in fabbrica, La Stampa, sotto dettatura della capufficiostampa Fiat, tota Rubiolo, scriveva che era “deceduto in ambulanza nel trasporto in ospedale”. Negli anni 90 era cambiato il mondo, Montanelli pregò Orlando di non dirmelo neppure e continuai a scrivere liberamente. Un anno dopo, siccome perseveravo, il capufficio stampa Fiat mi convocò per minacciare di stroncarmi la carriera. Me ne fregai, ma solo perché non lavoravo per giornali Fiat. Ne Il Provinciale, Giorgio Bocca racconta un aneddoto su un dirigente Fiat che rende bene l’idea: “Mi trovai in una villa del Monferrato in casa di un dirigente che un po’ brillo abbracciava alle spalle la sua tota segretaria e le diceva in piemontese: ‘Ninìn, lo senti l’acciaio?’. E lei brancicava nei suoi pantaloni con una mano, senza girarsi…”. Ecco, oggi la sede legale è in Olanda. Ma l’acciaio è sempre lì dietro, in Italia.

La teoria del Big Bang è in crisi. Siamo sul punto di assistere ad una rivoluzione cosmologica? - Oliver Melis



Quello che i cosmologi sanno, e neanche tanto bene, si riduce al 5% dell'universo osservabile, il restante 95% costituito da materia oscura e dall'energia oscura sfugge totalmente alla comprensione.

Gli astronomi grazie a una serie di osservazioni hanno stabilito che l’universo dopo essere emerso da uno stato ad alta temperatura e densità si espande da miliardi di anni. Nel corso dei decenni una serie di nuovi dati e nuove misurazioni ha permesso di perfezionare ancora di più l’evoluzione del cosmo. Il confronto delle misurazioni fatte fino ad ora sembrano confermare che il nostro universo si è evoluto proprio come prevede la Teoria del Big Bang.
Tuttavia, nonostante questo, i cosmologi non sono riusciti a spiegare alcune caratteristiche essenziali dell’universo. Quello che i cosmologi sanno, e neanche tanto bene, si riduce al 5% dell’universo osservabile, il restante 95% costituito da materia oscura e dall’energia oscura sfugge totalmente alla comprensione. Si brancola nel buio anche per quanto riguarda la materia ordinaria, protoni, elettroni e neutroni, non si sa perché si sono, per cosi dire, “salvati” dalla furia iniziale del Big Bang.
Per quanto i cosmologi e i ricercatori si sforzino, le leggi nella natura che hanno ricavato, sostengono che gli elementi che compongono tutto quello che osserviamo non dovrebbero esistere, semplicemente si sarebbero dovuti annullare con l’antimateria, comparsa secondo queste leggi nella stessa quantità della materia.
Inoltre, per spiegare quello che osservano, hanno dovuto introdurre un concetto che afferma che lo spaziotempo nei suoi primi istanti si è dilatato ad una velocità enorme in un minuscolo lasso di tempo, un concetto chiamato inflazione cosmica del quale non sappiamo nulla.
Forse questi enigmi, per quanto complessi un giorno verranno svelati. Tuttavia, nonostante la realizzazione di importanti esperimenti, l’obiettivo di catturare le particelle che compongono la materia oscura per ora è fallito. Anche il più potente acceleratore del mondo, il Large Hadron Collider non ha rivelato nulla che ci avvicini alla risoluzione di questi misteri.
Proprio per questo, alcuni cosmologi si stanno chiedendo se questi enigmi possono portare la ricerca verso un qualcosa di molto diverso dall’immagine che abbiamo del nostro universo e della sua nascita.
Abbiamo visto come i cosmologi hanno spiegato alcune osservazioni introducendo un qualcosa che le giustifichi, ad esempio, la materia oscura che sembra comporre gran parte della materia dell’universo e che sembra costituita da un qualcosa che non interagisce con i fotoni e interagisce debolmente con la materia ordinaria.
Pur non sapendo nulla della materia oscura, i cosmologi ritengono che le particelle che la compongono interagiscono per mezzo di una forza approssimativamente potente quanto la forza debole nucleare (che governa il decadimento radioattivo), allora il numero di queste particelle che avrebbero dovuto emergere dal Big Bang corrisponderebbe approssimativamente alla quantità di materia oscura trovata oggi nell’universo. Queste particelle sono state chiamate WIMP o Weakly Interacting Massive Particle (particelle massive debolmente interagenti).
I fisici si sono impegnati in un ambizioso programma sperimentale per identificare queste sfuggenti particelle “WIMP” per capire come si sono formate durante il Big Bang. La ricerca di queste particelle è stata implementata grazie alla realizzazione di rivelatori di materia oscura sempre più sensibili posti in laboratori sotterranei in grado di rilevare collisioni tra una particella di materia oscura e gli atomi che compongono il bersaglio. Questi esperimenti sofisticati pur avendo funzionato magnificamente, addirittura oltre quanto progettato, non hanno osservato le collisioni sperate. Un decennio fa, molti scienziati erano ottimisti sul fatto che questi esperimenti avrebbero dato frutti, tuttavia la materia oscura si è rivelata molto più sfuggente di quanto immaginato.
Sebbene la caccia alle WIMP non sia ancora stata abbandonata, la mancanza di segnali negli esperimenti sotterranei ha portato molti fisici a rivolgere la loro attenzione verso altri candidati in grado di spiegare la materia oscura. Una delle particelle candidate è chiamata assione, e dovrebbe essere un’ipotetica particella ultra leggera.
Gli assioni sono previsti dalla teoria proposta dai fisici delle particelle Roberto Peccei e Helen Quinn nel 1977. Sebbene gli scienziati stiano cercando assioni in esperimenti che utilizzano potenti campi magnetici per convertirli in fotoni, queste ricerche devono ancora porre vincoli molto rigidi alle proprietà delle particelle stesse.
Esiste una possibilità che tutte queste particelle si siano formate in modo diverso da quanto ipotizzato. Ad esempio, le WIMP dovrebbero essere state prodotte in grande numero nel primo millesimo di secondo dopo il Big Bang, raggiungendo l’equilibrio con il plasma che permeava l’universo composto da quark, gluoni e altre particelle subatomiche. Il numero di WIMP che avrebbero dovuto giustificare la materia oscura presente oggi dipende dalla frequenza delle interazioni. Nei calcoli gli scienziati ipotizzano che lo spazio si sia espanso costantemente durante la prima frazione di secondo, senza eventi inaspettati. Ma è del tutto plausibile che semplicemente non sia andata così.
Purtroppo, pur avendo una buona conoscenza generale dell’universo, i cosmologi non hanno adeguate conoscenze dei primissimi istanti della sua formazione e quasi nulla circa il primo trilionesimo di secondo. Quando si tratta di come il nostro universo potrebbe essersi evoluto, o agli eventi che potrebbero aver avuto luogo durante questi primi momenti, sostanzialmente non abbiamo osservazioni dirette su cui fare affidamento. Questa era è celata alla vista, sotto strati impenetrabili di energia, distanza e tempo.
La comprensione di questo effimero lasso di tempo è, per molti aspetti, poco più di un’ipotesi basata su inferenza ed estrapolazione. La materia e l’energia esistevano in forme diverse rispetto a oggi e potrebbero aver sperimentato forze che non sono state ancora rilevate. Potrebbero essersi verificati eventi e transizioni che la scienza deve ancora scoprire.
Per questo, molti cosmologi hanno iniziato a considerare la possibilità che il non aver trovato le particelle che compongono la materia oscura potrebbe dirci molto non solo sulla natura della materia oscura stessa, ma anche sull’era in cui è stata creata. Studiando la materia oscura, gli scienziati stanno imparando qualcosa sui primi momenti dopo il Big Bang.

L’Universo si espande.

L’espansione dell’Universo fu scoperta nel 1929 da Hubble che misurò la velocità di allontanamento delle galassie che più erano distanti, più velocemente si allontanano dalla Via Lattea. Da quella scoperta Hubble estrapolò il tasso di espansione che oggi è una costante che i cosmologi studiano. La costante di Hubble è stata di difficile calcolo e ancora oggi il suo valore non riscuote il consenso di tutti i cosmologi. I ricercatori combinando i dati più recenti, calcolano che l’universo si sta attualmente espandendo ad una velocità compresa tra 72 e 76 km / s / Mpc.
I cosmologi possono utilizzare un’altra strada per calcolare la costante di Hubble, studiando la luce primordiale emessa quando i primi atomi si formarono circa 380.000 anni dopo il Big Bang.
Questa luce, emessa in quei tempi lontani, è nota come sfondo cosmico a microonde e ci mostra come la materia era distribuita in tutto l’universo in quel momento rivelando alcuni dettagli interessanti, ad esempio quanta materia c’era e quanto rapidamente lo spazio si espandesse. Dallo sfondo si deduce anche un valore diverso della costante di Hubble, di circa 67 km / s / Mpc, un valore significativamente più piccolo di quello che i cosmologi hanno trovato attraverso misurazioni dirette. Una discrepanza tra i due sistemi che determinano la costante di Hubble che è incompatibile nel contesto del modello cosmologico standard.
Per rendere questi risultati coerenti, gli astronomi sarebbero costretti a cambiare il modo in cui pensano che il cosmo si sia espanso ed evoluto, o di riconsiderare le forme di materia ed energia nell’universo durante le prime centinaia di migliaia di anni dopo il Big Bang.
Nonostante decenni di sforzi, i misteri su materia ed energia oscura rimangono, come rimane da comprendere l’inflazione cosmica. Tuttavia i cosmologi ritengono di trovarsi davanti a una possibile rivoluzione, forse i primi momenti dell’universo sono molto diversi da come li hanno immaginati.
Secondo la teoria generale della relatività, la velocità con cui lo spazio si espande dipende dalla densità della materia e dall’energia che contiene. Quando i cosmologi deducono il valore della costante di Hubble dal fondo cosmico a microonde, devono fare ipotesi sulla quantità di materia oscura, neutrini e altre sostanze presenti.
Forse, per spiegare la discrepanza tra le diverse misurazioni della costante di Hubble si potrebbe ipotizzare che il cosmo contenesse più energia del previsto durante i primi centomila anni dopo il Big Bang. Questa energia potrebbe aver preso la forma di una specie esotica di luce e particelle debolmente interagenti, o di un qualche tipo di energia oscura associata al vuoto che è scomparsa da tempo dall’universo.
Allo stesso modo anche i fisici del 1904 non erano ancora stati capaci di risolvere problemi come l’etere luminifero, l’orbita di Mercurio o il funzionamento del Sole. Tuttavia questi problemi sono stati il punto focale della rivoluzione in fisica. E nel 1905, la rivoluzione arrivò, inaugurata da Albert Einstein e dalla teoria della relatività.
Quando gli scienziati hanno combinato la relatività con la teoria della fisica quantistica, è diventato possibile spiegare la longevità del Sole, nonché il funzionamento interno degli atomi. Queste nuove teorie hanno aperto le porte a nuove linee di indagine in precedenza inimmaginabili, compresa quella della cosmologia stessa.
Le rivoluzioni scientifiche possono trasformare profondamente il modo in cui vediamo e comprendiamo il nostro mondo. Ma un cambiamento radicale non è mai facile da osservare. Probabilmente non c’è modo di dire se i misteri affrontati oggi dai cosmologi siano i segni di una imminente rivoluzione scientifica o semplicemente gli ultimi pochi punti in sospeso di uno sforzo scientifico concluso.
Non c’è dubbio, i cosmologi hanno compiuto progressi incredibili nella comprensione dell’universo, della sua storia e della sua origine. Ma è innegabile che gli esseri umani rimangono disarmati e incerti quando la cosmologia affronta i primi istanti della storia dell’universo che nasconde i suoi segreti che se svelati  apriranno le porte a una rivoluzione scientifica senza precedenti.

La sindaca Raggi a Ostia bloccata dentro la sua auto: attacco squadrista di Casapound.

La sindaca Raggi a Ostia bloccata dentro la sua auto: attacco squadrista di Casapound

Con la mascherina tricolore sul volto Luca Marsella, il leader ostiense di Casapound e consigliere municipale, ha bloccato l'auto della sindaca e poi rivendicato il gesto: "Ed ora denunciatemi, multatemi, la mia risposta è sempre quella: me ne frego". L'indignazione dell'Anpi e il monito della presidente della Comunità ebraica di Roma. 

"State a fa' le passerelle, venga a piazza Anco Marzio o a Ostia non ci viene più. Perché qui non scende, non la facciamo scendere", ha minacciato il consigliere di CasaPound al municipio X, Luca Marsella. La sindaca Virginia Raggi ha incassato le invettive protetta dai vetri dell'auto di servizio ma intorno la tensione è stata alta e la scorta ha avuto il suo da fare per contenere Marsella ed altri militanti che continuavano ad agitare la piccola folla di commercianti e imprenditori del lido.
La sindaca Raggi contestata a Ostia da Casapund "State a fa' le passerelle". Coia: "Aggressione gravissima"


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È stato il leader ostiense di Casapound a guidare la protesta di questa mattina - con modalità da attacco squadrista-  nei confronti della sindaca di Roma, Virginia Raggi, durante la visita in un mercato per l'avvio della Fase 2. Mezz'ora di tensione, con la sindaca rimasta in auto, poi risolta dagli agenti di scorta della prima cittadina, con la mediazione della presidente del X Municipio, la pentastellata Giuliana Di Pillo. "È l'ennesimo episodio di violenza di cui si rende protagonista questo gruppo di squadristi. Ora basta, la misura è colma", il commento dell'Anpi. "La strumentalizzazione della crisi è un campanello d'allarme che ci impone di mantenere alta l'attenzione affinché la violenza e l'impunità non trovino spazio di imporsi", gli fa eco la presidente della comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello.

Non è certo la prima volta che il movimento di estrema destra va allo scontro con l'amministrazione a cinque stelle. Su tutte basti ricordare le polemiche nate ormai un anno fa quando la Raggi fece togliere la scritta "Casapound" dalla sede del movimento, un edificio occupato nel cuore della Capitale. Ne nacque un fitto botta e risposta con tanto di manifestazione da parte degli estremisti, scesi in strada per protestare contro la sindaca. Sul litorale a condurre la battaglia è sempre Luca Marsella, più volte protagonista di occupazioni dell'aula consiliare. Qualche settimana fa, invece, annunciò anche l'occupazione di ex palazzi militari da parte dei famiglie in difficoltà. Un'azione definita "irresponsabile" sia dal M5S che dal Partito Democratico. Oggi l'ennesima protesta, questa volta nel cuore di Ostia.

a mascherina tricolore sul volto, ha bloccato l'auto della sindaca, urlandole contro e invitandola a visitare i commercianti che stanno soffrendo per la crisi. "Basta passerelle, da 'sta macchina non vi facciamo scendere", ha urlato più volte. Il Movimento 5 Stelle fa quadrato attorno alla sindaca e, attraverso una nota dei parlamentari, parla di "intimidazione da parte degli estremisti di destra". "Non è possibile tollerare questa prepotenza da parte di chi evidentemente non è in grado di sostenere un dialogo diverso dalla violenza", le parole della minisindaca di Ostia, Giuliana Di Pillo. "Ma quali minacce - la replica di Marsella -, stamattina ad Ostia è esplosa soltanto la rabbia sacrosanta dei romani contro un sindaco inadeguato. E da consigliere mi sono fatto sentire anch'io, perché mi hanno votato per questo. Ed ora denunciatemi, multatemi, la mia risposta è sempre quella: me ne frego".

https://roma.repubblica.it/cronaca/2020/05/18/news/raggi_a_ostia_attacco_squadrista_di_casapound-257026162/

lunedì 18 maggio 2020

Vita di “Littorio” la Belva Umana e le giravolte da Di Pietro a Boffo. - Pino Corrias

Vita di “Littorio” la Belva Umana e le giravolte da Di Pietro a Boffo

Il “Giornale” poi “Libero” - B. lo sceglie al posto di Montanelli: lui nega tutto, poi innesta la baionetta. Idolatra il pm, lo impallina e infine (querelato) si scusa.
A tavola è vegetariano. Alla macchina per scrivere, carnivoro. Il suo giornalismo è una forma mentale di body building, che nutre con le frustrazioni dei suoi lettori trasformate in estrogeni. Fuma la pipa, le sigarette, ma specialmente tutti i rancori che trova, contro i più ricchi e insieme contro i più poveri. I primi li maneggia con cautela, i secondi senza. Ama i gatti e i cavalli più degli uomini, e i meridionali più dei negri, in quest’ordine.
È nato una prima volta a Bergamo, vantandosene. La seconda a Milano, nello stanzone Cronaca del Corriere della Sera, quando nei minuti concitati della chiusura serale, qualcuno gridò: “Colleghi voglio un sinonimo di assassino!”. E dal fondo del salone, il cronista più giovane e allampanato levò in alto la mano e rispose: “Comunista!”. Risero tutti, compresi i comunisti. E uno di loro chiese: “Chi sarebbe questo spiritoso?”. Feltri. Vittorio Feltri.
Era l’anno 1977. Feltri, 34 anni, sorriso e cravatta da sbarbato di prima classe, era appena arrivato dai cugini minori del Corriere d’Informazione. Lo aveva voluto Piero Ottone, ma era diventato il cocco del suo vice, Franco Di Bella, fuoriclasse di storiacce di nera, proprio come il mitico Nino Nutrizio, il direttore della Notte, che aveva allevato il primissimo Feltri alla scuola dei titoli a scatola tipo: “Ecco la belva umana!”.
Al Corriere sbriga in fretta il suo lavoro di inviato speciale. Frequenta sarti, signore e ippodromi. Coltiva ambizione maggiori. E siccome gli viene facile semplificare il genere umano in amici e nemici, ha sufficienti attitudini per fare il direttore. Il suo primo successo è l’Europeo, settimanale di sinistra che a fine anni 80 viaggia ormai anonimo sulla scia di due corazzate, l’Espresso e Panorama. Lui cambia rotta, lo trasforma in un motoscafo armato silurante e in tre anni di polemiche e battaglie – anche contro la vecchia redazione – lo porta da 70 a 120 mila copie.
Stessa apoteosi quando sale in groppa a un cavallo quasi morto, l’Indipendente, quotidiano diretto da un educatissimo Ricardo Franco Levi che a forza di fingersi inglese stava perdendo gli ultimi lettori italiani. Al ronzino gli toglie il fieno e ci mette la birra. E siccome è l’anno 1992, quello dei portenti di Tangentopoli, costruisce, in nome del popolo, altari per Di Pietro e forche per tutti gli altri. Specie Bettino Craxi, che rinomina “il Cinghialone”, appena è sicuro che sia davvero caduto in trappola.
Il quotidiano supera le 100 mila copie, un miracolo editoriale. E anche un buon investimento visto che quando Silvio Berlusconi si toglie i guanti per scendere in politica e riempire il vuoto lasciato dai fuggiaschi della Prima repubblica, anno 1994, sceglie proprio Feltri per sostituire Montanelli alla guida de Il Giornale.
Un minuto prima dell’assalto, Vittorio fa l’offeso: “Io! Proprio io dovrei fare la pelle a Montanelli? È una cazzata!” Un minuto dopo innesterà la baionetta sul nuovo campo di battaglia, che è proprio l’opposto di quello di prima, stavolta accanto a Berlusconi, a Craxi, a “tutte le vittime di Tangentopoli”, contro Di Pietro torturatore, contro il presidente Scalfaro moralista, contro i giudici golpisti e i loro oscuri mandanti. Chi? Sempre loro, i “comunisti!”.
E siccome con la baionetta non ci taglia i tartufi, i titoli rotolano un tanto al chilo, da “Norberto Bobbio mandante morale dell’omicidio Calabresi”, fino a “La lebbra sbarca in Sicilia”, colpa dei negri invasori venuti a rubarci donne e salute. Tutti capolavori di sobrietà: “Velina ingrata” per Veronica Lario, “Patata bollente” per Virginia Raggi, ma anche “Veltroni paraculo” o “Renzi, per fermarlo bisogna sparargli”.
Per quanto si dichiari anarchico, monarchico, radicale, libertario e presidenzialista, Vittorio Feltri è un campione del giornalismo reazionario. Ogni epoca ha avuto i suoi e suonano più o meno tutti la stessa musica: spezzare le reni al nemico, qualunque sia il nemico. Nel suo caso con un imbattibile fiuto per i lettori: “Ho sempre scelto i più arrabbiati”. Ne ha trovati così tanti da raddoppiare quelli del Giornale, per poi fondarne uno in proprio, Libero, nell’anno 2000, col quale supererà le 220 mila copie, ma sempre facendo a pugni qualche volta con la legge, più spesso con la deontologia “dei parrucconi”, cioè l’Ordine dei giornalisti che lo radia e lo assolve ad anni alterni. Tutte medaglie per i suoi fan e per i suoi eredi, Maurizio Belpietro, Alessandro Sallusti e l’agente segreto Betulla, il patriota Renato Farina, l’eroe dei Due Stipendi.
Insensibile alla coerenza, ogni volta che si è trovato a corto di argomenti o con troppe querele per quelli malamente usati, Feltri è stato capace di clamorose giravolte. La migliore con Di Pietro a cui aveva attribuito un “tesoro nascosto” di 5 miliardi di lire: tutti i dettagli in cronaca per settimane. Salvo concludere lo scoop in un giorno solo con una lettera di scuse in prima pagina, più altre due per smentire la lunga serie di bugie. Stesso copione nel caso Dino Boffo, il direttore del quotidiano cattolico Avvenire, contro il quale pubblica una falsa informativa della polizia, montando uno scandalo sessuale che pretendeva speculare a quello delle Olgettine di Berlusconi. Per poi smentire tutto, scusarsi, e per le dimissioni di Boffo, dirsi “addolorato”. Da allora “metodo Boffo” è diventato sinonimo di macchina del fango, il prototipo analogico degli odiatori digitali.
Col tempo Littorio è diventato un’icona del cattivismo: guai alla lagna del bene pubblico se interferisce con i miei privilegi privati. E man mano che la sua prosa si è fatta più greve e ripetitiva – come capitò al ringhio di Oriana Fallaci, sua somma ispirazione – è diventato più iracondo e insieme più fragile nelle sue sfuriate in pubblico, dove offre a spallate la sua dottrina del me ne frego. Dichiarandosi ricco, cinico e felice. L’eroe di un giornalismo carognone, il feltrismo, che narra l’Italia agli italiani, avvelenandoci ogni giorno un po’.