sabato 26 settembre 2020

Quel quarto di secondo tra fusione e buco nero. - Marco Malaspina


 










Un articolo pubblicato su ApJL offre per la prima volta una descrizione completa del meccanismo di espulsione di materia guidata dal campo magnetico nella fase tra il merging e il collasso a buco nero dell’oggetto risultante. Ottenuta grazie a una simulazione di durata record, la descrizione è in grado di spiegare la cosiddetta “componente blu” della kilonova poi osservata. Media Inaf ha intervistato il primo autore dello studio, Riccardo Ciolfi dell’Inaf di Padova.

Avete presente la prima storica fusione fra due stelle di neutroni, osservata il 17 agosto 2017 da telescopi a terra e nello spazio e, contemporaneamente, dagli interferometri per onde gravitazionali Ligo e Virgo? Subito dopo la fusione vennero prodotti un lampo di raggi gamma “corto” e una kilonova. Esattamente come previsto dai modelli, si disse all’epoca. In realtà, analizzando con calma i dati, gli astrofisici hanno in seguito individuato alcuni aspetti che i modelli non riescono a spiegare. Per esempio, restano incerti i meccanismi fisici che hanno portato all’espulsione del materiale all’origine della kilonova. In particolare, a essere complessa e controversa è la spiegazione della cosiddetta “componente blu” della kilonova: quella emersa per prima, nell’arco di un giorno dalla fusione, osservata nelle bande blu e ultravioletta e associata a una quantità di materiale pari a circa 0.02 masse solari espulso a una velocità elevatissima, attorno al 20-30 per cento della velocità della luce.

Ora uno studio firmato da Riccardo Ciolfi dell’Inaf di Padova e dallo studente di dottorato Jay Vijay Kalinani dell’Università di Padova, pubblicato il 10 settembre scorso su The Astrophysical Journal Letters, offre la prima descrizione completa di un potente meccanismo di espulsione di materiale guidato dal campo magnetico, attivo nella fase tra la fusione delle due stelle di neutroni e l’inevitabile collasso a buco nero dell’oggetto risultante. Ed è un meccanismo in grado di espellere la quantità di materiale ad alta velocità necessaria a spiegare la kilonova “blu”. Per arrivare a questo risultato, Ciolfi e Kalinani hanno realizzato quella che è, a oggi, la più lunga simulazione di coalescenza di stelle di neutroni in presenza di campi magnetici. Una simulazione in grado di coprire il primo fondamentale quarto di secondo di evoluzione dopo la fusione.

Ciolfi, cos’è accaduto in quel quarto di secondo? Provi a spiegarcelo come se fosse la telecronaca di una partita. Il fischio d’inizio è l’istante zero, quello in cui i nuclei delle due stelle di neutroni si sono fusi in unico oggetto. Poi?

«Nei primi 50 millisecondi, la forte rotazione differenziale della stella di neutroni massiva – quella prodotta dalla fusione – amplifica il campo magnetico fino al punto in cui quest’ultimo ha un effetto diretto sulla dinamica del sistema».

Cioè?

«Se prima il campo magnetico era passivo, si limitava a essere trascinato e gradualmente amplificato dalla rotazione, a partire dai 50 millisecondi partecipa attivamente all’evoluzione e l’energia magnetica non cresce più. Nei 50 ms successivi, dunque fino a circa 100 ms dalla fusione, il campo magnetico è abbastanza forte da indurre una lenta e continua espulsione di materiale dagli strati più esterni della stella di neutroni. Poiché fino a questo momento la geometria del campo magnetico è ancora relativamente disordinata, il materiale viene espulso in modo quasi isotropo: una densa nuvola di materiale in lenta espansione circonda quindi la stella di neutroni».

Ed è passato il primo decimo di secondo… A questo punto che succede?

«Da circa 100 a 250 millisecondi, il campo magnetico, per l’effetto del continuo twisting dovuto alla rotazione differenziale nel core della stella di neutroni, acquisisce gradualmente una forma elicoidale lungo l’asse di rotazione. Nel frattempo, gradienti radiali di pressione magnetica spingono e accelerano ulteriormente lungo l’asse il materiale strappato alla gravità della stella. Questo risulta in una crescente espulsione di materiale nella regione polare [vedi figura in apertura, ndr], con aumento sia della massa espulsa che della velocità di espansione del materiale stesso».

Ormai siamo in zona Cesarini…

«Sì, a questo punto – attorno ai 250 ms dopo la fusione – la rotazione differenziale nel nucleo della stella di neutroni, vero motore di tutto ciò che è accaduto finora, è praticamente consumata e la spinta tende gradualmente a cessare. Questo implica che anche il materiale espulso emerge, per il 90 per cento, nell’intervallo tra i 50 e i 200 ms dopo la fusione. Ma non tutto il materiale espulso avrà la velocità necessaria ad allontanarsi all’infinito. La porzione che sfugge potrà poi contribuire a dare origine al fenomeno noto come kilonova, mentre un’altra parte resterà legata alla gravità della stella, e sarà quindi destinata a ricadere su di essa. A questo riguardo, il fatto che il campo magnetico, una volta sviluppata la forte spinta lungo l’asse, sia in grado di impartire un’accelerazione aggiuntiva al materiale fa tutta la differenza».

Riccardo Ciolfi, ricercatore all’Inaf di Padova

Perché?

«Perché la quantità – dunque la massa – e la velocità del materiale che riuscirà ad arrivare ad infinito aumentano sensibilmente rispetto al caso in cui il campo magnetico non è presente, raggiungendo i livelli richiesti per spiegare la kilonova “blu” osservata nell’agosto 2017».

Ecco, a proposito del “colore” della kilonova: nel vostro studio leggo che distinguete fra una componente rossa ad alta opacità e una blu a bassa opacità. Cosa sono queste componenti?

«L’opacità del materiale indica quanto la radiazione al suo interno trova resistenza nel diffondersi, e dipende dal tipo di elementi in esso sintetizzati. Se le condizioni di alta temperatura e densità di neutroni – condizioni che dipendono dalla cosiddetta “frazione elettronica”, vale a dire dal rapporto fra elettroni e barioni – sono tali da spingere la catena di reazioni nucleari r-process abbastanza avanti da formare gli elementi più pesanti (tipo oro e platino, ma anche e soprattutto il gruppo dei lantanidi), allora quel materiale avrà un’alta opacità, causata proprio da questi elementi. E un’alta opacità implica che la radiazione emerge più tardi, circa una settimana dopo, e appare più “rossa” (in realtà, arriva addirittura nell’infrarosso). In questo caso si parla di componente “rossa” della kilonova. Se, al contrario, la frazione elettronica non consente la formazione degli elementi più pesanti, l’opacità del materiale resterà relativamente bassa. In questo caso il segnale emergerà prima, circa un giorno dopo la fusione, e apparirà più spostata verso il blu e l’ultravioletto. In questo caso si parla di componente “blu” della kilonova».

La kilonova da voi studiata, quella dell’agosto 2017, era rossa o blu?

«Nel caso della kilonova associata all’evento Gw 170817 si vedono sia una componente blu che una componente rossa. Quella blu è difficile da spiegare, perché richiede un meccanismo in grado di espellere materiale in quantità e velocità entrambe piuttosto elevate. Ebbene, il meccanismo che mostriamo noi, basato sulla spinta del campo magnetico, è in grado di farlo. Dunque si tratta di un meccanismo molto promettente per risolvere il puzzle».

https://www.media.inaf.it/2020/09/23/campo-magnetico-kilonova/?fbclid=IwAR32uNbTqQO6mxocTfmNsMgwuFzrBWJPKFxyTE67miIfISFolagw0rJH560

Spazzatura cosmica nascosta. - Giulia Bonelli

 



Detriti spaziali non identificati. Secondo un nuovo studio dell’Università di Warwick, oltre il 75% della space junk che vaga attorno alla Terra non sarebbe riconducibile all’insieme di oggetti conosciuti e schedati. Una stima preoccupante, che moltiplica i rischi  già considerati alti dalle agenzie spaziali – legati al numero crescente di detriti in orbita.

Tra satelliti in disuso, frammenti rilasciati da lanci spaziali e scontri tra oggetti avvenuti in orbita, sono milioni i detriti che minacciano di danneggiare gli altri satelliti o la Stazione spaziale internazionale. Giusto pochi giorni fa, la Iss ha dovuto effettuare una manovra di emergenza per schivare un oggetto in avvicinamento.

La nuova ricerca, recentemente pubblicata su Advances in Space Research, suggerisce ora che intorno al nostro pianeta ci siano molti più frammenti potenzialmente pericolosi di cui ignoriamo l’esistenza. Gli scienziati sono partiti dal più grande catalogo pubblico degli oggetti spaziali, quello prodotto dallo Space Surveillance Network (Ssn) statunitense. Questa rete utilizza oltre 30 radar terrestri e telescopi ottici e 6 satelliti in orbita per monitorare, tra le altre cose, il numero di detriti spaziali in orbita. Un numero che però è ben lontano dall’essere esaustivo, affermano gli autori del nuovo studio. Analizzando i dati raccolti dallo Ssn con uno specifico software, i ricercatori hanno visto che la “curva di luce” della rete non forniva le informazioni necessarie a identificare gli oggetti meno luminosi o più piccoli di un metro di diametro. Oggetti che possono comunque costituire un grande rischio, date le alte velocità con cui si muovono nello spazio.

A questo punto gli scienziati si sono rivolti a un altro colosso dell’osservazione del cielo, il telescopio Isaac Newton alle Canarie. Analizzando i dati raccolti nella regione geosincrona – a circa 36.000 chilometri sopra l’equatore – il team di ricerca ha scoperto che il 75% degli oggetti individuali non era in alcun modo riconducibile al database Ssn.

Servono dunque indagini più dettagliate per mappare i detriti spaziali, concludono i ricercatori di Warwick. Raccomandazioni che si uniscono a quelle del report Satcon1 pubblicato ad agosto, che raccoglieva un insieme di “buone pratiche” per regolamentare il futuro lancio di satelliti.

In un momento in cui l’orbita bassa è in continuo affollamento – si pensi alle megacostellazioni in crescita, prima tra tutte Starlink di SpaceX – e i lanci di razzi sono diventati operazione quasi di routine, tenere sotto controllo la spazzatura cosmica è diventata un’assoluta priorità per le agenzie. A tal proposito, l’Esa inaugurerà la prima missione dedicata ai detriti spaziali, ClearSpace-1, il cui lancio è attualmente previsto nel 2025.


https://www.globalscience.it/22565/spazzatura-cosmica-nascosta/?fbclid=IwAR0MgWN1OCDtUSSRvlUS8kBEQzf_lgL89OyE04ljG6GvbW1wtXWr579VtIU

Toh! sommosse per il reddito di cittadinanza. - Antonio Padellaro













In giro per festival estivi noto che c’è sempre un momento in cui l’oratore, a corto di argomenti e di pubblico, tira fuori il Reddito di cittadinanza citato come l’esempio più esecrabile del populismo del piffero. Quello dell’incompetenza bovina, della stupidità politica, frutto avvelenato della peronospora grillina da debellare al più presto. A questo punto il copione prevede (in un crescendo rossiniano di toni) la nota romanza del “sono gli stessi che annunciarono dal balcone la fine della povertà”. Applausi. Onestamente la povertà abolita per decreto continua a sembrarmi, come dire, un tantino sopra le righe. Anche se poi l’occhio mi è caduto su questo titolo dell’edizione siciliana di Repubblica: “In centomila senza più Reddito. Allarme alla Regione: “Rischio sommossa”.

In un documentato articolo, il collega Antonio Fraschilla scrive che l’erogazione dell’assegno sarà sospesa per due mesi “come previsto dalla legge manifesto del Movimento 5 Stelle per verifiche” e per ripresentare quindi la domanda nei Centri per l’impiego o nei Caf. “Uno stop – leggiamo – che coinvolgerà comunque tutti i 560mila beneficiari del sussidio in Sicilia. Un’intera grande comunità perché molti non possono fare lavoretti, in nero o meno”. Si parla di circa 400mila persone “inabili, o che non hanno alcuna qualifica oppure hanno in carico parenti e figli con handicap”. Una deplorevole condizione umana che, probabilmente, farebbe storcere il naso all’oratore di cui sopra, che a questo punto potrebbe invocare maggiori controlli per debellare furbi e furbetti (applausi). Il fatto è che l’assessore regionale Antonio Scavone ha scritto alla ministra del Lavoro Nunzia Catalfo, anche lei siciliana: “Parliamoci chiaro, rischiamo una sommossa nelle nostre città se non ci saranno garanzie sul ripristino dell’assegno”. Apprendiamo infatti che in Sicilia il sostegno varia dai 560 ai 1.000 euro al mese, in base a numero di figli a carico e affitto di casa. Che problemi analoghi li ha pure la Campania, dove i beneficiari del reddito sono più di 600mila. E che l’indigenza che soffoca il Sud impone di accelerare le pratiche visto che l’emergenza Covid rende di difficile accesso uffici e strutture. In un prossimo dibattito proverò a sfidare l’impopolarità ponendo all’uditorio due semplici domande. Come saremmo messi oggi in Italia se con la pandemia, il lockdown e la catastrofe economica non ci fosse stato il Reddito di cittadinanza? E pure se l’abolizione della povertà è un vasto programma, non potremmo accontentarci di abolire le sommosse?

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/26/toh-sommosse-per-il-reddito-di-cittadinanza/5944598/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=commenti&utm_term=2020-09-26

Tutti gli errori di Madrid e Londra “Ritardi e sbagli nei tracciamenti”. - Marco Pasciuti


Lo studio sui Paesi più in difficoltà. The Lancet. L’analisi. Tra le carenze di Spagna e Regno Unito la rivista indica l’assenza di criteri pubblici per le restrizioni.

Ora assistono a una nuova impennata delle curve epidemiche e stanno procedendo a nuovi lockdown, ma entrambe hanno “avuto problemi” nel mettere in piedi un efficace sistema di contact tracing. Hanno revocato e ripristinato le restrizioni “senza seguire criteri espliciti e pubblici”. Non è chiaro, poi, se nel farlo Londra utilizzi i propri “sistemi di allerta”. Madrid, invece, ha usato gli indicatori scelti “senza alcuna ponderazione esplicita nel processo decisionale”. Uno studio pubblicato su The Lancet ha passato in rassegna i modelli di risposta all’epidemia di Covid-19 utilizzati in 9 Paesi. Nel quadro che ne emerge Regno Unito e Spagna hanno commesso diversi errori.

Lo studio, pubblicato su una tra le più importanti riviste scientifiche a livello internazionale, ha analizzato la situazione di 5 Stati nella regione Asia-Pacifico (Sud Corea, Hong Kong, Giappone, Nuova Zelanda e Singapore) e 4 in Europa (Germania, Norvegia, Spagna e Regno Unito), questi ultimi in un contesto in cui “più di un decennio di misure di austerità hanno indebolito sistemi sanitari e protezione sociale”: esperti provenienti da ognuno di questi Stati hanno analizzato la risposta data dai rispettivi governi al virus e le loro scelte in materia di allentamento delle restrizioni. Allentamento che sarebbe dovuto avvenire in base a 5 prerequisiti: “Conoscenza dello stato dell’infezione”, “grado di coinvolgimento della comunità”, “capacità del sistema di salute pubblica”, “capacità del sistema sanitario” e “controlli alle frontiere”.

Il primo problema è comune: sia a Londra che a Madrid “i politici, avvalendosi della consulenza di esperti, decidono quando e quali restrizioni ridurre, ma senza criteri espliciti e pubblici”. Il governo Sanchez (che ieri ha avuto altri 12.272 contagi a 120 morti) in particolare “ha pubblicato un pannello di indicatori, inclusi parametri epidemiologici, di mobilità, sociali ed economici, senza alcuna ponderazione esplicita nel processo decisionale”. Senza cioè spiegare quale peso abbia ognuno di questi nelle decisioni. La mancanza di coordinamento è stato, invece, uno dei principali errori di Boris Johnson, che ieri ha dovuto registrare un nuovo record di contagi, 6.874 contro i 6.634 di giovedì: Inghilterra, Galles, Nord Irlanda e Scozia, “le 4 nazioni del Regno si sono allineate nella loro strategia fino a metà marzo, quando ognuna si è discostata nei suoi approcci specifici ed è uscita dal blocco”. Rompendo l’uniformità di misure che avrebbero potuto limitare la circolazione del SarsCov2 nel Paese. Esempio: in Inghilterra, “la distanza consigliata tra le persone è di almeno un metro, mentre in altre aree di due”. Quindi la comunicazione “è stata confusa e incoerente”.

Come le decisioni: a partire da giugno, sottolinea lo studio, il Regno ha adottato il modello della “bolla sociale” introdotto dalla Nuova Zelanda, che “consente a un gruppo di persone di avere uno stretto contatto fisico tra loro e praticare il distanziamento con soggetti esterni”. Il punto è che “a quelle che erano nate come bolle domestiche bloccate è stato lentamente consentito di estendersi a piccoli gruppi di familiari e amici, e poi di fondersi con altre bolle”. Tutte e 4 le nazioni britanniche “hanno avviato una simile strategia”. In questo momento, poi, in cui la Gran Bretagna sta “revocando o ripristinando le restrizioni sulla base di soglie epidemiologiche” (da ieri sono 16 milioni su 66 i britannici sottoposti a un lockdown bis localizzato) lo fa in maniera confusa: sebbene questi tre Paesi “dispongano anche di sistemi a livello di allerta, il collegamento a particolari contromisure non è stato altrettanto esplicito e non è chiaro se il sistema del Regno Unito venga effettivamente utilizzato”.

Il problema in diversi casi è a monte: “Sembra intuitivo che uno Stato non debba aprirsi finché non dispone di un sistema di sorveglianza di alta qualità” che opera attraverso le fasi di “ricerca, test, tracciamento, isolamento e supporto”. “Questo principio è stato spesso ignorato” e anche sotto questo punto di vista Londra e Madrid “si sono mosse con fatica”. La seconda, a corto di medici di base e personale nei distretti sanitari, ha dovuto far ricorso ai militari. Problemi anche nel proteggere i sanitari per la carenza di guanti e mascherine: in Spagna “il personale medico ha rappresentato oltre il 10% dei casi totali di Covid-19”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/26/tutti-gli-errori-di-madrid-e-londra-ritardi-e-sbagli-nei-tracciamenti/5944571/

I rivoltosi dell’(ex) buvette: “Basta con il caffè ciofeca”. - Ilaria Proietti

 


Protesta bipartisan - Sugli standard alimentari.

E va bene che non è più tempo di lusso sfrenato, che la crisi morde e c’è pure l’emergenza coronavirus. Ma a Palazzo c’è chi è pronto a fare le barricate per tornare all’antico con pasti degni di ristoranti stellati e trasporti al top della comodità, altro che risparmi. Ché, per dirla con il vicepresidente della Camera, Ettore Rosato di Italia Viva, ne va “della giusta considerazione per la funzione parlamentare”. E così, come tollerare i disservizi della caffetteria? E che dire del nuovo corso che imporrebbe, quando possibile, di ripiegare su biglietti per aerei e treni meno costosi o comunque a miglior prezzo? Giammai.

Ora va detto che Montecitorio è già orfano della buvette, tempio indiscusso della politica della Prima e pure della Seconda Repubblica: il bar adiacente al Transatlantico dove gustare spuntini veloci, frutta prelibatissima, dolci di fine pasticceria e gli intramontabili supplì e che era un must ha chiuso i battenti a causa della riorganizzazione degli spazi imposti dall’epidemia. Ora i deputati devono addirittura scendere al ristorante anche solo per il caffè. Che però, stando alle lamentele di Palazzo, manco quello è come una volta. Anzi, qualcuno, sotto la garanzia dell’anonimato, dice proprio che “è una ciofeca”. Ma la rivolta è ormai affiorata, come è successo qualche settimana fa in Ufficio di presidenza impegnato con l’approvazione del Bilancio interno: nessuna accusa personale, per carità. Ma sulla graticola sono finiti Roberto Fico (“manidiforbice”) e pure il Collegio dei questori accusati implicitamente di voler cedere a una certa demagogia anti-casta. Certo, i tempi in cui il servizio di ristorazione veniva svolto in house con camerieri e cuochi della Camera disposti a tutto per accontentare gli onorevoli inquilini, grazie a una possibilità di spesa in menu da mille e una notte, sono lontani. Ma c’è chi teme che vada sempre peggio: il pesce surgelato anziché la spigola appena pescata come un tempo è il segno tangibile del declino e non è l’unico. La società che ha vinto l’appalto per la ristorazione è stata formalmente diffidata dal proporre prodotti non previsti dal contratto, ossia non italiani o comunque di provenienza non europea: l’incidente diplomatico si è verificato al banco della frutta che in passato riservava solo primizie doc. E quelli che vanno a combinare? Hanno provato a rifilare agli onorevoli commensali arance egiziane “ed erano pure cattive”. Lapidario il commento di un salviniano doc. “Gli attuali standard di qualità non sono soddisfacenti”, ha tuonato Marzio Luini della Lega facendo eco al renzianissimo Rosato. Che proprio non si dà pace che alla Camera, dove è appunto vicepresidente, vengono calpestati così alti principi. “Le politiche di contenimento dei costi dell’Istituzione siano state perseguite nella più ampia condivisione tra le forze politiche, ma non si può cedere alla demagogia”, ha detto il suonando la carica per rivendicare innanzitutto il diritto a condizioni di viaggio confortevoli, “non trattandosi in questo caso di uno spreco, ma della giusta considerazione per la funzione parlamentare”. Per tacere delle disfunzioni negli orari dei servizi di ristorazione e caffetteria “non più collegabili all’emergenza da Covid-19 e dovute a logiche di risparmio che non possono essere condivise”.

Già, il Covid: a causa del morbo, per un po’ i deputati si sono dovuti accontentare del cestino con i panini e poi di pasti preincartati come in aereo e già questo ha scombinato radicalmente le abitudini, anche se nessuno ha fiatato. Ma poi, quando le cucine della Camera si sono rimesse in funzione, qualcuno si è lamentato del menu comunque stringato e pure del servizio non garantito nei giorni di lunedì e venerdì: per placare le rimostranze, si è deciso che il ristorante resta aperto anche in quei giorni in cui però obiettivamente c’è poco afflusso di deputati, mentre garantire i coperti ha un costo. Per starci dentro con le spese, le porte dell’onorevole desco sono state allora spalancate anche ai consiglieri parlamentari che tutti gli altri giorni della settimana devono accontentarsi della mensa per il personale dell’amministrazione.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/25/i-rivoltosi-dellex-buvette-basta-con-il-caffe-ciofeca/5943313/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=ore-19&utm_term=2020-09-25

“Sì, Vincenzo m’è padre a me”: quanti figli di papà per De Luca. - Antonello Caporale

 



“Vincenzo m’è pate a me”. Sono tanti i Peppiniello di Totò, i figli d’arte destinati alla politica. Preferiti ed eletti a furor di popolo. È questo un bell’esempio, per chi dovrà occuparsi della nuova legge elettorale, di capire a fondo ciò che significa il voto di preferenza. Se esso sia il miglior modo di dare valore alla rappresentanza, o piuttosto titolo dinastico, potere delegato e rendita parassitaria. Dalla Campania di De Luca padre (da qui la trasposizione dal teatro del Totò di Miseria e nobiltà alla realtà fattuale del “Vincenzo m’è pate a me”) che giustamente ha preteso per i suoi due figlioli un accesso immediato e riservato all’impegno pubblico, destinando un maschio, Piero, a Montecitorio, e un altro maschio, Roberto, al Comune di Salerno, le ultime elezioni restituiscono il valore assoluto del pater familias.

Cosicché con 11.147 voti la giovanissima Vittoria Lettieri, 21 anni spesi nella spensieratezza del mondo karaoke, si ritrova votatissima e al primo posto degli eletti della sua lista. In un memorabile video avverte che confida nella “speranza”. Conduce questa prova per realizzare un piano di resistenza contro i cattivi, coloro che hanno sgovernato e tolgono speranza. Sarà consigliere regionale. Per un caso provvidenziale Vittoria è figlia di Raffaele, sindaco di Acerra e trascinatore di passioni nell’urna. Solo il papà, per dire, è riuscito a consegnarle nel suo comune 7.152 voti di preferenza conducendo la lista della speranzosa e giovanissima Vittoria (De Luca Presidente) al primo podio assoluto e a stracciare il Pd. Trentasei per cento dei voti totali contro un misero 12 per cento dell’intero apparato di Zingaretti.

Favole? Fantasie? Lettieri, al tempo nell’Udc di Pier Ferdinando Casini, quindi convintamente nel centrodestra, era legatissimo a Stefano Caldoro, al tempo in cui quest’ultimo guidava la Regione, e a un assessore della sua giunta, anzi al vero uomo forte: Pasquale Sommese.

Mutatis mutandis. E così anche Sommese ha cambiato cavallo e anche a Sommese, ora con De Luca, è venuta voglia – visto che improvvisi guai giudiziari gli consigliavano di stare fermo almeno questo giro – di capire quanto valesse il suo giovane erede Giuseppe. Prova magnifica. Il Peppiniello di Sommese ha sbaragliato, in una lista fabbricata ad hoc (Liberaldemocratici-Moderati) i concorrenti ottenendo ben 5.554 voti di preferenza. Eletto e urrà! E Gianpiero Zinzi, figlio di Domenico, ex presidente della Provincia di Caserta, ex assessore regionale, ex eurodeputato, noto esaminatore democristiano di schede elettorali, è ora un cavallo vincente della Lega, salviniano di grande appeal. E Bruna Fiola, figlia di Ciro, presidente della Camera di Commercio? Eletta! E Mario Casillo, figlio di Franco, un potente di ieri e di oggi? Eletto! E Andrea Volpe, figlio di Mimmo, acchiappavoti di Bellizzi, nella cintura salernitana, di cui è sindaco da anni? Eletto!

Non c’è trucco e non c’è inganno. I “figli di” oltre a essere piezz ’e core risultano anche cavalli vincenti. Sorrisi smaglianti e un abbraccio virtuale. “Una campagna bellissima!” dice su facebook Andrea Volpe. “Ma quanto vi voglio bene?”, domanda ai suoi elettori Bruna?

Quanto ci vuole bene, e quanto vuole bene alla realtà, che si dimostra anche generosa, Giovanni Mensorio, diecimila voti nel nome del defunto papà Carmine, deputato di fattura democristiana e poi di grandissima stagionatura mastelliana, caduto nel vortice di Tangentopoli e morto suicida pur di protestare la sua innocenza (si lanciò dal traghetto Patrasso-Ancona il 16 agosto 1996).

E cosa vogliamo dire di Annarita Patriarca, undicimila voti raccolti nel mare magnum del mondo di mezzo dell’area stabiese, da Gragnano fino a Castellammare, in cui per buoni vent’anni ha regnato suo papà Francesco, prima deputato, poi senatore, devoto di Antonio Gava, il grande possidente dello scudocrociato napoletano? Papà Francesco fu condannato in via definitiva a nove anni di reclusione per concorso esterno in associazione di stampo mafioso. Ma Annarita, senza perdersi d’animo, volle testimoniare il valore e la figliolanza. Si fece eleggere al municipio di Gragnano, il feudo paterno, ne fu sindaco, ufficio che purtroppo dovette abbandonare nel marzo 2012, giacché il ministero dell’Interno stava valutando lo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose, e suo marito, Enrico Martinelli, a sua volta sindaco di San Cipriano d’Aversa, fu arrestato nel corso di un’indagine su Antonio Iovine, il boss dei Casalesi.

Oggi Annarita è più forte di prima, più preferita che mai. È l’anima e il vessillo del centrodestra. Stupirsene? Così è se vi pare.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/25/si-vincenzo-me-padre-a-me-quanti-figli-di-papa-per-de-luca/5943274/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=ore-19&utm_term=2020-09-25


I Nominati e le porcate: chi ha vietato di scegliere. - Giacomo Salvini

 












Luglio 1993. Mentre i partiti della Prima Repubblica venivano spazzati via dalle inchieste di Mani Pulite (il 30 aprile Bettino Craxi veniva ricoperto di monetine davanti all’hotel Raphael), i due deputati Lucio Magri (ex Pci) e Sergio Mattarella (Dc) si incontrarono in Transatlantico davanti alla sala della Lettura e, dopo un breve conciliabolo, si scambiarono un bigliettino enigmatico: “75-25”. Nacque così la legge elettorale “Minotauro” – poi coniata (con disprezzo) da Giovanni Sartori come “Mattarellum” dal nome del suo relatore – perché per la prima volta nella storia repubblicana si mettevano insieme due sistemi elettorali diversi: tre quarti del Parlamento (il 75%) sarebbe stato eletto con i collegi maggioritari, il restante 25% con il proporzionale. E, per abolire le preferenze che nella Prima Repubblica erano diventate il ricettacolo della mafia e delle correnti Dc, per la prima volta i partiti decisero di inserire le liste bloccate. Da quel momento i cittadini non poterono più scegliere i propri rappresentanti.

Un passo indietro. Per quarant’anni – dal 1948 al 1993, con la breve parentesi della “Legge Truffa” abrogata nel 1953 – i cittadini hanno sempre potuto scegliere i propri parlamentari. Anche troppo. La Camera era eletta con un sistema proporzionale puro, senza soglie di sbarramento, ma soprattutto liste che permettevano all’elettore di esprimere fino a un massimo di 5 preferenze. E allora era un profluvio di santini, ambi, terne, quaterne (specializzati erano i ras della Dc), date (Clemente Mastella invitava i suoi elettori a votare l’anno 1976, dove 1 era De Mita, 9 lui, 7 Bianco e 6 Gargani), fino ai ministri democristiani che per mantenere il proprio pacchetto di voti arrivarono a far costruire intere autostrade per arrivare nella propria città natale: il potente doroteo e sedici volte ministro Remo Gaspari (detto anche il “Duca degli Abruzzi”) spinse per due autostrade per collegare Pescara e l’Aquila a Roma con uno svincolo apposito nella sua Gissi (poco più di 3mila abitanti). Lo stesso fece il sei volte presidente del Consiglio Amintore Fanfani che ideò la “curva Fanfani” per far deviare la A1 nella sua Arezzo. Ad ogni tornata, quindi, gli elettori li premiavano generosamente. Le preferenze multiple ormai non erano più un esercizio di democrazia ma la certezza dell’elezione del micronotabile più clientelare.

Così si decise di abolire le preferenze. Mariotto Segni e il Movimento dei 31 (da Carlo Bo a Umberto Agnelli fino a Rita Levi Montalcini) promossero un referendum per abolire le preferenze multiple passando a una unica. Il quesito fu approvato con una maggioranza bulgara, nonostante Craxi avesse invitato gli elettori ad “andare al mare”: il 96% disse Sì. Le prime liste bloccate furono inserite per la prima volta con il “Mattarellum”: per il 25% dei collegi assegnati con il sistema proporzionale i candidati a Camera e Senato erano nominati dai partiti. Anche il “Mattarelllum” si portava dietro molte distorsioni come le liste civetta create ad arte per superare il meccanismo dello scorporo dei voti maggioritari per determinare la quota dei seggi nel proporzionale, ma anche altri effetti indesiderati: alle elezioni del 1996 l’Ulivo fece il pieno in Campania con tutti i suoi candidati nei collegi senza far eleggere il primo nel listino proporzionale, Giorgio Napolitano, poi paracadutato al Viminale nel primo governo Prodi.

Il “minotauro” durò nove anni fino al 2005, quando il premier Silvio Berlusconi arrivò a minacciare la crisi di governo se il Parlamento non avesse approvato una legge proporzionale: lo scopo era quello di rendere più difficile la maggioranza assoluta all’Ulivo alle elezioni dell’aprile 2006. E così fu. Il quindicesimo Parlamento fu eletto con una legge che il suo padrino, il leghista Roberto Calderoli, definì apertamente “una porcata”: un sistema proporzionale con lunghe liste bloccate (tutti nominati dai partiti) e un premio di maggioranza del 55% alla coalizione che avesse ottenuto il maggior numero di voti. Quella legge, che a parole non piaceva a nessuno, è stata applicata per le elezioni del 2006, 2008, 2011 e 2013. Tutti i partiti se ne dissociavano ma poi se la tenevano. A fine 2012, a pochi mesi dalle elezioni politiche del febbraio successivo, il redivivo Berlusconi e Bersani affidarono la partita della legge elettorale ai propri sherpa, Denis Verdini e al senatore piacentino Maurizio Migliavacca. Dopo settimane di trattative, si decise di non modificare il “Porcellum” per non toccare le liste bloccate. Fabrizio Cicchitto arrivò a gridare al “pactum sceleris à la Ribbentrop-Molotov”, il celebre patto di non aggressione del 1939 tra la Germania nazista e l’Unione Sovietica. Non proprio un complimento. Ci fu bisogno della Corte Costituzionale per eliminare la “porcata”: incostituzionale sia l’abnorme premio di maggioranza, sia le liste bloccate.

Dopo il Consultellum, un proporzionale puro con preferenze, Matteo Renzi decise che abolire le liste bloccate sarebbe stato troppo anche se da Rottamatore si diceva favorevole “alle preferenze”. Prima arrivò il “Toscanellum” o anche “Verdinellum” (ancora una volta lo zampino era del macellaio di Fivizzano): nel 2014 il consiglio regionale della Toscana approvò un sistema che prevedeva un premio del 57% se uno dei candidati avesse raggiunto la soglia del 40%. Poi il mantra del renzismo fu rispettato anche sulla legge elettorale: dalla Toscana al Paese. L’Italicum approvato nel maggio 2015 era una brutta copia del “Toscanellum”: oltre al premio, i capilista erano tutti bloccati. Ma questa legge, primo caso nella storia repubblicana, non è mai stata applicata: bocciata anch’essa dalla Consulta nel 2017. Alle politiche del 2018 gli italiani sono andati a votare con una nuova legge, il “Rosatellum” dall’idea di Ettore Rosato, in parte maggioritaria e in parte proporzionale. Ma ancora una volta, gli elettori non hanno potuto scegliere: le liste erano più corte, ma tutte bloccate e con le pluricandidature. Dopo il Sì al referendum, chissà se il prossimo Parlamento sarà più snello e soprattutto eletto dai cittadini.

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