C’è un pregnante odore del ‘metodo Castellucci’ nelle carte dell’arresto dell’ex amministratore delegato di Autostrade per l’Italia. Il metodo del massimo risparmio sulle manutenzioni a scapito della sicurezza, già visto intorno all’inchiesta madre della Procura di Genova per il crollo del ponte Morandi che causò la morte di 43 persone, di cui i sei provvedimenti cautelari di ieri per le barriere antirumore ‘incollate col Vinavil’, come si ascolta in una intercettazione, sono uno spin off. Finiscono ai domiciliari l’ex ad Giovanni Castellucci, Michele Donferri Mitelli e Paolo Berti, rispettivamente ex responsabile manutenzioni e direttore centrale operativo dell’azienda. Provvedimenti interdittivi per altri tre manager: Stefano Marigliani, responsabile del tronco autostradale di Genova all’epoca del crollo del ponte Morandi, Paolo Strazzullo, responsabile delle ristrutturazioni pianificate sul ponte Morandi, per l’accusa mai eseguite, distaccato a Roma, e Massimo Miliani di Spea, consociata di Aspi. Le accuse ipotizzate dai pm di Genova, vagliate dal giudice Paola Faggioni, sono attentato alla sicurezza dei trasporti e frode in pubbliche forniture.
Riguardano le installazioni di barriere fonoassorbenti su 30 chilometri di rete autostradale: Aspi, secondo le accuse, sapeva che la progettazione era difettosa, che cadevano al primo colpo di vento, perché progettate con una resina non omologata dall’Unione Europea; ma i suoi massimi dirigenti lo nascosero al Ministero, mettendo a rischio la sicurezza degli utenti. Tra novembre 2016 e gennaio 2017 due di queste barriere posizionate sui viadotti Rio Rezza e Rio Castagna cedettero a causa del forte vento. Ed altre barriere di quel tipo ebbero la stessa sorte sull’autostrada Adriatica. I tecnici scoprirono che le barriere “Intergautos” soffrivano di un difetto di progettazione degli ancoraggi e dell’installazione. La resistenza al vento ligure era stata sottostimata anche del 50%. Insomma, sbragavano alle intemperie, costringendo i tecnici di Aspi ad alzarne e abbassare le cerniere delle protezioni. Ridotte di un metro di altezza grazie a queste speciali ‘cerniere’, le barriere – oltre a rimanere comunque a rischio crollo – perdevano la funzione di insonorizzazione. Per l’infelicità di chi abitava lì intorno, fino a quando il frastuono insopportabile non si traduceva in centinaia di mail di protesta, alle quali Aspi replicava con risposte preconfezionate. Occorreva cambiarle, ma costava troppo. Più facile addossare la colpa ai subappaltatori, idea “aziendalista” di Donferri. “Michele, ma ti rendi conto che non tiene il vento quella barriera?”. E ancora: “Il tirafondo è nella barriera. È incollato col Vinavil”. La sintesi della filosofia aziendale di Aspi, secondo chi indaga, è tutta in un’intercettazione di Gianni Mion, Ad di Edizione Holding, che controlla a sua volta Atlantia: “Le manutenzioni le abbiamo fatte in calare, più passava il tempo meno facevamo … cosi distribuiamo più utili … e Gilberto e tutta la famiglia erano contenti”. Gilberto Benetton è scomparso il 22 ottobre 2018. Secondo gli investigatori ci sono“60 chilometri di barriere fonoassorbenti potenzialmente pericolose” solo nel tratto genovese.
Per un problema emerso “nel luglio 2017”. I lavori di adeguamento erano andati a rilento perché pagarli sarebbe stato “un bagno di sangue”: “’Ndo chiappi i sordi?”, sintetizza Donferri. Anche il nuovo ad di Aspi Roberto Tomasi è indagato, ma la sua posizione è prossima all’archiviazione.
Aspi fa sapere tramite una nota di aver eseguito i lavori tra la fine del 2019 e il 2020 dopo aver appreso dell’indagine. “Stupore e preoccupazione per un provvedimento che non si giustifica in sé e che non si vorrebbe veder finire a condizionare una vicenda, quella del crollo del Ponte Morandi, che con quella odierna non ha nulla a che vedere” scrivono i legali di Castellucci.