Per attaccare il governo e provare a dividere la maggioranza il leader d'Italia viva ha tirato fuori la prescrizione, che nelle bozze del piano Next generation Ue è citata solo 4 volte visto che è in vigore dal gennaio scorso. A chiederci la riforma è stata per anni la Commissione Europea ma l'argomento è fonte di attrito tra il Pd e i 5 stelle. Come il Mes, altro argomento sul quale l'ex premier sta puntando per provare a creare crepe nell'esecutivo.
Matteo Renzi sostiene che il Recovery plan preparato dal governo di Giuseppe Conte sia un piano “impregnato di cinquestellismo giustizialista nel momento in cui si parla della prescrizione”. Un attacco a testa bassa quello del leader d’Italia viva, che al Senato ha presentato una sorta di piano alternativo preparato dal suo partito. “Noi partiamo dalla cultura: no al manettarismo di seconda mano di alcuni membri di questa coalizione”, dice il senatore di Firenze. Ma a cosa si riferisce? La bozza del Recovery cosa c’entra col “cinquestellismo giustizialista“? E perché il leader d’Italia viva parla ancora di prescrizione, che è una riforma approvata nel gennaio del 2019 ed entrata in vigore in quello successivo, quindi prima dell’esplosione della pandemia?
E infatti la prescrizione con il Recovery plan c’entra davvero poco. A chiederci di riformare l’istituto giuridico che fava evaporare processi dopo un certo periodo di tempo è da anni l’Europa. Il motivo? Sono più di uno. “Il termine della prescrizione ostacola la lotta contro la corruzione”, perché “incentiva tattiche dilatorie da parte degli avvocati” e il risultato è che “un’alta percentuale di cause cade in prescrizione dopo la condanna di primo grado“. E quindi se “la questione non sarà affrontata, la fiducia dei cittadini e degli investitori nello Stato di diritto potrebbe diminuire”, scriveva la Commissione Europea nell’ultimo richiamo formale al nostro Paese. Era il 2017, Paolo Gentiloni sedeva a Palazzo Chigi e per l’Italia arrivava l’ultima grande bocciatura sul tema della prescrizione. L’anno dopo il primo esecutivo guidato da Conte ha iniziato a studiare una riforma che rispondesse a quanto da Bruxelles chiedevano da anni. Una legge che tra mille polemiche sarebbe poi entrata in vigore durante il secondo governo di Conte, quello dei 5 stelle e del Pd. E del quale farebbe parte lo stesso Renzi.
Il condizionale è d’obbligo visti i toni usati negli ultimi giorni dal leader d’Italia viva. Che forse non a caso ha tirato fuori la prescrizione per creare divisioni all’interno della maggioranza: si tratta infatti di una riforma che ha creato più di qualche attrito tra i 5 stelle e il Pd tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020. Un po’ come il Mes, altro argomento che divide le due principali forze di governo, e sul quale Renzi ha furbamente puntato nelle ultime settimane. Lo stesso si può dire per la giustizia. La miccia che ha infiammato l’ex segretario del Pd è rappresentata da un paragrafo del piano Next generation Ue. Una parte neanche troppo estesa: solo undici di pagine (su 125) sono dedicate alla riforma della giustizia. Non c’entra niente il “manettarismo” ma invece il fatto che tutti i Recovery plan dei Paesi Ue devono rispettare i rigidi paletti fissati dalla Commissione europea. Regole necessarie per assicurare che i 750 miliardi del Next generation Eu raggiungano gli obiettivi stabiliti da Bruxelles. Ma non si tratta solo di “paletti” generali: ogni Paese è anche tenuto a proporre misure con cui “affrontare efficacemente” i punti deboli rilevati dal Consiglio nelle sue raccomandazioni specifiche pubblicate ogni anno. Per l’Italia la lista è lunga: al primo posto c’è la lentezza della giustizia, soprattutto quella civile. Secondo l’ultima stima del Cepej, la commissione europea per l’efficacia della giustizia del consiglio d’Europa, in alcuni casi i processi più lenti dell’intera Unione sono quelli che si celebrano nei tribunali italiani.
E infatti nel Recovery plan di Conte la riforma della giustizia è considerata una riforma “abilitante” di sistema. “Vogliamo rimuovere i principali ostacoli che impediscono al Paese e al suo ricco tessuto imprenditoriale di crescere come sa e può fare. Questo vuol dire innanzitutto affrontare con determinazione alcune riforme essenziali: quella della giustizia civile e penale, per garantire un’effettiva tutela dei diritti e degli interessi attraverso procedimenti snelli e processi rapidi”, è il preambolo del dossier preparato dall’esecutivo. Il governo spiega che “la tempestività delle decisioni giudiziarie è elemento essenziale per le imprese, per gli investitori e per i consumatori. Nelle loro decisioni di investimento, le imprese hanno bisogno di informazioni certe sul quadro regolamentare, devono poter calcolare il rischio di essere coinvolte in contenziosi commerciali, di lavoro, tributari o in procedure d’insolvenza; devono poter prevedere tempi e contenuti delle decisioni. Ad essere svantaggiate sono soprattutto le imprese di minori dimensioni, particolarmente esposte agli effetti negativi di una giustizia inefficiente”. Vuol dire che una giustizia veloce attrae investimenti, mentre una lenta, farraginosa e che non funziona li respinge.
Nella bozza dell’esecutivo si riportano i dati di uno studio condotto da Cer-Eures: “Si evidenzia che lentezze ed inefficienze della giustizia ci costano 2,5 punti Pil, pari a circa 40 miliardi di euro. Alcuni autori ritengono che una riduzione della durata delle procedure civili del 50 per cento accrescerebbe le dimensioni medie delle imprese manifatturiere di circa il 10 per cento. Una giustizia più rapida creerebbe anche 130mila posti di lavoro in più e circa mille euro all’anno di reddito pro-capite”. Ma non solo. “Altri studi – continua sempre la bozza del Recovery – mostrano che i ritardi nei tempi di consegna dei lavori pubblici crescono laddove la giustizia è più inefficiente, a causa della riduzione del valore atteso della sanzione comminata. Una riforma efficace dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie è dunque una riforma per il Paese e per il sistema economico europeo”. Insomma di “manettarismo” c’è ben poco, anzi è proprio grazie a una seria riforma giudiziaria che i lavori pubblici potranno ripartire ed essere completati nei tempi previsti.
D’altra parte quelle 11 pagine dedicate alla giustizia non sono solo un’idea di Conte ma rispondono alle raccomandazioni della Commissione Ue per il 2019-2020, che per l’ennesima volta chiedeva al nostro Paese un intervento su alcuni aspetti del nostro sistema giudiziario. A cominciare dalla “riduzione della durata dei processi civili e penali nei tre gradi di giudizio” per proseguire con la “riduzione del carico della sezione tributaria della Cassazione” la “necessità di semplificazione delle procedure“, fino alla “repressione della corruzione“. È l’Europa che chiede a Roma la riforma della giustizia come condizione fondamentale per avere i fondi del Recovery.
Fin qui si parla di riforma della giustizia e velocizzazione dei processi. Cosa c’entra dunque la prescrizione?Per presentare il piano Ciao, come Italia viva ha battezzato la sua proposta al governo, Renzi ha più volte ripetuto una frase usata come fosse uno slogan: “No alla prescrizione, sì alla cultura. Io parto dalla cultura, chi vuole partire dal giustizialismo può farlo ma io voglio partire dalla cultura possiamo discuterne”. Ma è davvero così? Per la verità nella bozza del Recovery di Conte la parola “prescrizione” compare solo quattro volte e tutte nello stesso breve periodo. Viene usata per spiegare che tra i punti a favore di una giustizia più veloce (quella che l’Europa ci chiede di realizzare coi fondi del Recovery) c’è anche quello di “massimizzare gli effetti della riforma del regime della prescrizione introdotta dalla legge n. 3 del 2019 (entrata in vigore, in questa parte, nel gennaio 2020) che, stabilendo il blocco del corso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado o l’emissione del decreto penale di condanna, ha restituito competitività ai procedimenti speciali (patteggiamento e giudizio abbreviato)”. Cosa vuol dire? “Nel nostro sistema – prosegue il documento – la scelta di queste forme più rapide di definizione del processo era scoraggiata – soprattutto per i reati sanzionati con pene detentive meno gravi e perciò assoggettati a più brevi termini di prescrizione – dalla prospettiva concreta di fruire ‘gratuitamente’ dell’estinzione del reato per effetto della prescrizione, una prospettiva evidentemente più appetibile degli ‘sconti di pena‘ collegati alla scelta dei riti alternativi”.
Tradotto: con la scure della prescrizione sempre in agguato, per gli imputati era conveniente far durare i processi il più a lungo possibile e non fare ricorso ai riti speciali che garantiscono pene più miti in cambio di un processo più veloce. Con la riforma della prescrizione in vigore – seppur tra le polemiche – dal gennaio scorso – resta dunque da rendere più agili i procedimenti per avere un sistema funzionante, celere e che garantisce la certezza della pena. E che quindi attrae anche gli investimenti. È quello che chiedono tutte le forze politiche, spesso solo a parole. Lo fanno da anni, come da anni l’Europa ci chiedeva di riformare la prescrizione mentre continua a chiederci di velocizzare i processi. Renzi, però, pare non essersene accorto.