martedì 29 dicembre 2020

Recovery, Renzi: “Piano di Conte giustizialista, no alla prescrizione”. Ma è l’Europa che ha chiesto più volte all’Italia di riformarla. -

 

Per attaccare il governo e provare a dividere la maggioranza il leader d'Italia viva ha tirato fuori la prescrizione, che nelle bozze del piano Next generation Ue è citata solo 4 volte visto che è in vigore dal gennaio scorso. A chiederci la riforma è stata per anni la Commissione Europea ma l'argomento è fonte di attrito tra il Pd e i 5 stelle. Come il Mes, altro argomento sul quale l'ex premier sta puntando per provare a creare crepe nell'esecutivo.

Matteo Renzi sostiene che il Recovery plan preparato dal governo di Giuseppe Conte sia un piano “impregnato di cinquestellismo giustizialista nel momento in cui si parla della prescrizione”. Un attacco a testa bassa quello del leader d’Italia viva, che al Senato ha presentato una sorta di piano alternativo preparato dal suo partito. “Noi partiamo dalla cultura: no al manettarismo di seconda mano di alcuni membri di questa coalizione”, dice il senatore di Firenze. Ma a cosa si riferisce? La bozza del Recovery cosa c’entra col “cinquestellismo giustizialista“? E perché il leader d’Italia viva parla ancora di prescrizione, che è una riforma approvata nel gennaio del 2019 ed entrata in vigore in quello successivo, quindi prima dell’esplosione della pandemia?

E infatti la prescrizione con il Recovery plan c’entra davvero poco. A chiederci di riformare l’istituto giuridico che fava evaporare processi dopo un certo periodo di tempo è da anni l’Europa. Il motivo? Sono più di uno. “Il termine della prescrizione ostacola la lotta contro la corruzione”, perché “incentiva tattiche dilatorie da parte degli avvocati” e il risultato è che “un’alta percentuale di cause cade in prescrizione dopo la condanna di primo grado“. E quindi se “la questione non sarà affrontata, la fiducia dei cittadini e degli investitori nello Stato di diritto potrebbe diminuire”, scriveva la Commissione Europea nell’ultimo richiamo formale al nostro Paese. Era il 2017, Paolo Gentiloni sedeva a Palazzo Chigi e per l’Italia arrivava l’ultima grande bocciatura sul tema della prescrizione. L’anno dopo il primo esecutivo guidato da Conte ha iniziato a studiare una riforma che rispondesse a quanto da Bruxelles chiedevano da anni. Una legge che tra mille polemiche sarebbe poi entrata in vigore durante il secondo governo di Conte, quello dei 5 stelle e del Pd. E del quale farebbe parte lo stesso Renzi.

Il condizionale è d’obbligo visti i toni usati negli ultimi giorni dal leader d’Italia viva. Che forse non a caso ha tirato fuori la prescrizione per creare divisioni all’interno della maggioranza: si tratta infatti di una riforma che ha creato più di qualche attrito tra i 5 stelle e il Pd tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020. Un po’ come il Mes, altro argomento che divide le due principali forze di governo, e sul quale Renzi ha furbamente puntato nelle ultime settimane. Lo stesso si può dire per la giustizia. La miccia che ha infiammato l’ex segretario del Pd è rappresentata da un paragrafo del piano Next generation Ue. Una parte neanche troppo estesa: solo undici di pagine (su 125) sono dedicate alla riforma della giustizia. Non c’entra niente il “manettarismo” ma invece il fatto che tutti i Recovery plan dei Paesi Ue devono rispettare i rigidi paletti fissati dalla Commissione europea. Regole necessarie per assicurare che i 750 miliardi del Next generation Eu raggiungano gli obiettivi stabiliti da Bruxelles. Ma non si tratta solo di “paletti” generali: ogni Paese è anche tenuto a proporre misure con cui “affrontare efficacemente” i punti deboli rilevati dal Consiglio nelle sue raccomandazioni specifiche pubblicate ogni anno. Per l’Italia la lista è lunga: al primo posto c’è la lentezza della giustizia, soprattutto quella civileSecondo l’ultima stima del Cepej, la commissione europea per l’efficacia della giustizia del consiglio d’Europa, in alcuni casi i processi più lenti dell’intera Unione sono quelli che si celebrano nei tribunali italiani.

E infatti nel Recovery plan di Conte la riforma della giustizia è considerata una riforma “abilitante” di sistema. “Vogliamo rimuovere i principali ostacoli che impediscono al Paese e al suo ricco tessuto imprenditoriale di crescere come sa e può fare. Questo vuol dire innanzitutto affrontare con determinazione alcune riforme essenziali: quella della giustizia civile e penale, per garantire un’effettiva tutela dei diritti e degli interessi attraverso procedimenti snelli e processi rapidi”, è il preambolo del dossier preparato dall’esecutivo. Il governo spiega che “la tempestività delle decisioni giudiziarie è elemento essenziale per le imprese, per gli investitori e per i consumatori. Nelle loro decisioni di investimento, le imprese hanno bisogno di informazioni certe sul quadro regolamentare, devono poter calcolare il rischio di essere coinvolte in contenziosi commerciali, di lavoro, tributari o in procedure d’insolvenza; devono poter prevedere tempi e contenuti delle decisioni. Ad essere svantaggiate sono soprattutto le imprese di minori dimensioni, particolarmente esposte agli effetti negativi di una giustizia inefficiente”. Vuol dire che una giustizia veloce attrae investimenti, mentre una lenta, farraginosa e che non funziona li respinge.

Nella bozza dell’esecutivo si riportano i dati di uno studio condotto da Cer-Eures: “Si evidenzia che lentezze ed inefficienze della giustizia ci costano 2,5 punti Pil, pari a circa 40 miliardi di euro. Alcuni autori ritengono che una riduzione della durata delle procedure civili del 50 per cento accrescerebbe le dimensioni medie delle imprese manifatturiere di circa il 10 per cento. Una giustizia più rapida creerebbe anche 130mila posti di lavoro in più e circa mille euro all’anno di reddito pro-capite”. Ma non solo. “Altri studi – continua sempre la bozza del Recovery – mostrano che i ritardi nei tempi di consegna dei lavori pubblici crescono laddove la giustizia è più inefficiente, a causa della riduzione del valore atteso della sanzione comminata. Una riforma efficace dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie è dunque una riforma per il Paese e per il sistema economico europeo”. Insomma di “manettarismo” c’è ben poco, anzi è proprio grazie a una seria riforma giudiziaria che i lavori pubblici potranno ripartire ed essere completati nei tempi previsti.

D’altra parte quelle 11 pagine dedicate alla giustizia non sono solo un’idea di Conte ma rispondono alle raccomandazioni della Commissione Ue per il 2019-2020, che per l’ennesima volta chiedeva al nostro Paese un intervento su alcuni aspetti del nostro sistema giudiziario. A cominciare dalla “riduzione della durata dei processi civili e penali nei tre gradi di giudizio” per proseguire con la “riduzione del carico della sezione tributaria della Cassazione” la “necessità di semplificazione delle procedure“, fino alla “repressione della corruzione“. È l’Europa che chiede a Roma la riforma della giustizia come condizione fondamentale per avere i fondi del Recovery.

Fin qui si parla di riforma della giustizia e velocizzazione dei processi. Cosa c’entra dunque la prescrizione?Per presentare il piano Ciao, come Italia viva ha battezzato la sua proposta al governo, Renzi ha più volte ripetuto una frase usata come fosse uno slogan: “No alla prescrizione, sì alla cultura. Io parto dalla cultura, chi vuole partire dal giustizialismo può farlo ma io voglio partire dalla cultura possiamo discuterne”. Ma è davvero così? Per la verità nella bozza del Recovery di Conte la parola “prescrizione” compare solo quattro volte e tutte nello stesso breve periodo. Viene usata per spiegare che tra i punti a favore di una giustizia più veloce (quella che l’Europa ci chiede di realizzare coi fondi del Recovery) c’è anche quello di “massimizzare gli effetti della riforma del regime della prescrizione introdotta dalla legge n. 3 del 2019 (entrata in vigore, in questa parte, nel gennaio 2020) che, stabilendo il blocco del corso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado o l’emissione del decreto penale di condanna, ha restituito competitività ai procedimenti speciali (patteggiamento e giudizio abbreviato)”. Cosa vuol dire? “Nel nostro sistema – prosegue il documento – la scelta di queste forme più rapide di definizione del processo era scoraggiata – soprattutto per i reati sanzionati con pene detentive meno gravi e perciò assoggettati a più brevi termini di prescrizione – dalla prospettiva concreta di fruire ‘gratuitamente’ dell’estinzione del reato per effetto della prescrizione, una prospettiva evidentemente più appetibile degli ‘sconti di pena‘ collegati alla scelta dei riti alternativi”.

Tradotto: con la scure della prescrizione sempre in agguato, per gli imputati era conveniente far durare i processi il più a lungo possibile e non fare ricorso ai riti speciali che garantiscono pene più miti in cambio di un processo più veloce. Con la riforma della prescrizione in vigore – seppur tra le polemiche – dal gennaio scorso – resta dunque da rendere più agili i procedimenti per avere un sistema funzionante, celere e che garantisce la certezza della pena. E che quindi attrae anche gli investimenti. È quello che chiedono tutte le forze politiche, spesso solo a parole. Lo fanno da anni, come da anni l’Europa ci chiedeva di riformare la prescrizione mentre continua a chiederci di velocizzare i processi. Renzi, però, pare non essersene accorto.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/28/recovery-renzi-piano-di-conte-giustizialista-no-alla-prescrizione-ma-e-leuropa-che-ha-chiesto-piu-volte-allitalia-di-riformarla/6049875/

Recovery: Renzi fa Ciao a Conte, ma non molla ancora le poltrone. - Wanda Marra

 

Sempre Appesi a italia viva. Il “piano”. Nuovo show in Senato del leader di Iv: attacca il governo, prende tempo sull’addio. Pd preoccupato: “Bisogna rispondergli”.

Indossa la cravatta rossa, fa proiettare delle slide, non evita la locuzione “io da premier” (come se il tempo non fosse passato), Matteo Renzi in conferenza stampa in Senato. Ma il messaggio più esplicito è il titolo del suo documento con ben 61 punti di critica al Recovery Plan di Giuseppe Conte: si chiama “Ciao”. Quello che è ufficialmente un acronimo (Cultura, Infrastrutture, Ambiente, Opportunità) evoca tanto i “Ciaone” dei (suoi) bei tempi che furono, lanciato all’indirizzo di “Giuseppi”.

Naturalmente, lui smentisce l’interpretazione, ma alla fine dello show in tono minore, visto che evidentemente c’è una pandemia, lo esplicita: “Non si può tirare troppo per le lunghe, se non c’è accordo sul Recovery faranno senza di noi e le ministre e il sottosegretario si dimetteranno”.

Parla di “settimane” per arrivare a un accordo Renzi. Una tempistica inquietante: più si va per le lunghe, più l’Italia rischia il ritardo nella presentazione del Piano alla Commissione per ricevere i fondi europei. Cosa che potrebbe davvero mettere all’angolo Conte e a rischio il governo. Anche per la reazione delle Cancellerie del Vecchio Continente. Tanto è vero che ieri al Nazareno commentano con un unico concetto: “Conte deve rispondere a lui e al Pd. Deve fare il capo della maggioranza”.

Ma intanto, l’ex premier procede per step. Se Conte recepirà un numero di proposte sufficienti, si va avanti, altrimenti, si dichiara pronto ad aprire la crisi, dopo la Befana. Il punto è: quali proposte? Perché, la critica è feroce e radicale: “Il piano manca di ambizione, è senz’anima, si vede che non c’è un’unica mano che scrive. È un collage talvolta raffazzonato di pezzi di diversi ministeri”. La frecciatina – implicita – è anche al ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, “reo” di non ricordare esattamente ogni locuzione riferita alla giustizia. “Serve un salto di qualità”, precisa Renzi.

Ma oltre a smontare nel dettaglio vari capitoli (dai 2,1 miliardi per i giovani considerati troppo pochi, alla proposta di dare 6 miliardi ai Comuni), l’ex premier tira fuori esattamente le questioni più ostiche per il M5S. Tanto per cominciare chiede di implementare i fondi per la sanità con il Mes. E poi propone al governo di fare lo ius culturae, mentre boccia senza mezzi termini il reddito di cittadinanza. Così come attacca il M5S che ha votato contro il parere del governo sul Tav. Poi ribadisce un altro tema per lui essenziale: “Il presidente del Consiglio affidi la delega ai servizi ad una persona terza”. Conte non ha intenzione di cedere. Ma in queste ore, in casa dem, riappare il nome di Marco Minniti come candidato. Almeno sulla carta, potrebbe andar bene anche al leader di Iv.

Ma poi sono più d’uno i temi su cui renziani e dem sono d’accordo: dalla struttura di governance, che deve tenere conto dei ministeri, ad alcune debolezze del piano. “I punti che Renzi può portare a casa sono potenzialmente tutti, tranne il Mes”, commenta un senatore dell’ala più governista del Pd.

La palla è di nuovo nella metà campo di Conte. Renzi si è indispettito rispetto alla sua performance a Porta a Porta. Troppo poco disposto a prenderlo in considerazione. La trattativa si preannuncia complessa. “Io non ho paura di niente”, dice il senatore di Scandicci, commentando Bettini, che parla di elezioni con una lista Conte e un’alleanza Pd-M5S. Cosa in parte vera: con il 2% ha poco da perdere. E il suo obiettivo reale resta il Conte-ter, magari con un ministero in più non per se stesso, ma per Maria Elena Boschi o Ettore Rosato.

Ieri sera, intanto, ha avuto una riunione con i suoi parlamentari. Gli stessi che continuano a giurare ai colleghi Pd che non hanno intenzione di aprire una crisi. Nel rispondere a una domanda sul tema fatta da Daniela Preziosi del Domani, Renzi equivoca e le risponde definendola giornalista del Fatto. Un’occasione per scagliarsi contro questa testata e le esortazioni a Conte a “sfancularlo”.

Il prossimo round domani, quando la delegazione di Iv si recherà al tavolo al Mef.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/29/recovery-renzi-fa-ciao-a-conte-ma-non-molla-ancora-le-poltrone/6049992/

Ciaone. - Marco Travaglio

 

Un sogno tira l’altro. Quello di Padellaro era Conte che sfancula Messer Duepercento in Senato come fece con l’altro Matteo. La mia variante era il premier che trova una dozzina di senatori centristi disposti a votargli la fiducia per salvare la legislatura e il posto, dimezzando Iv, consacrando quel che ne resta come pelo superfluo della politica e liberandoci delle molestie quotidiane delle Bellanova, Bonetti e Scalfarotto. Ma a Natale ho fatto un sogno ancor più liberatorio: Conte saluta e se ne va, rubando il titolo del piano-fuffa dell’Innominabile, “Ciao”. Se ne torna ai suoi mestieri di professore e avvocato, fra gli applausi dei giornaloni e dei loro padroni che finalmente hanno trovato l’”anima” (de li mortacci loro). Così lascia ai suoi veri nemici, cioè mezzo Pd e Iv, i capaci e i competenti, apprezzatissimi all’estero e popolarissimi in Italia, il pallino della crisi. Quelli mettono subito le grinfie sui servizi segreti, scannandosi come fiere tra chi vuol darli all’Innominabile e chi preferisce l’usato sicuro di Pollari, Mori e De Gennaro. Affondano le ganasce nei 209 miliardi del Recovery e se li spartiscono alla vecchia maniera, senza task force di controllo a disturbare le mangiatoie. Chiedono per l’Italia – unico paese Ue ad ammettere la bancarotta – i 36 miliardi del Mes, lottizzandoli fra i governatori che ne fanno un sol boccone coi rispettivi cognati. Cacciano quell’incapace di Arcuri e fanno gestire i vaccini a De Luca, che se li inietta tutti i giorni, prima e dopo i pasti.

Via anche quell’impiastro della Azzolina: l’Istruzione va alla Boschi, così impara (l’Istruzione). Gli Esteri a B., gli Interni a Salvini, l’Economia a Giorgetti, gli Affari Ue a Borghi o a Bagnai, la Giustizia a Verdini grazie all’indulto speciale per svuotare le carceri (così i radicali e gli scrittori al seguito rimangiano), lo Sviluppo a Bertolaso (come sviluppa lui nessuno mai), il Lavoro a Brunetta, l’Antimafia a Siri. Resta da decidere il premier. Draghi risponde: “Fossi matto”. E parte la mattanza fra i pretendenti, che sommati insieme non fanno un terzo di Conte nei sondaggi. Poi iniziano le ricerche di una maggioranza: uno spasso, visto che i 5Stelle si fanno incredibilmente furbi e non prestano all’ammucchiata un solo voto. Passano le settimane e l’Ue, stufa di aspettare il Recovery Plan, ci cancella la prima rata. Così Mattarella manda tutti a votare, tranne i leader che han causato la crisi, barricati in casa per paura del linciaggio. Conte, visti i sondaggi bulgari, è costretto a tornare in pista. Ma, anziché farsi un partito, accetta l’offerta di guidare il nuovo direttorio dei 5Stelle. E li riporta al 30%, rubando voti a destra, FI e Pd e mandando Iv sottozero, con una campagna elettorale di un solo slogan: “Ciaone”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/29/ciaone/6049975/

lunedì 28 dicembre 2020

Ma mi faccia il piacere. - Marco Travaglio

 

Un americano a Roma. “Le voci di un incarico negli Usa per Renzi” (Repubblica, 10.12). Oddìo, volesse il cielo: dove si firma?

Braccia rubate. “La verifica prosegue. Per durare bisogna avere una visione” (Teresa Bellanova, Iv, ministro delle Politiche Agricole e Forestali, Stampa, 23.12). Hai mai provato a Lourdes?

Valori aggiunti. “É un dato di fatto: la Lombardia è il motore di tutto il Paese. Quindi se si ammala un lombardo vale di più che se si ammala una persona di un’altra parte d’Italia” (Angelo Ciocca, eurodeputato Lega, Antenna3, 18.12). Se invece muoiono col Covid 25mila lombardi su 70mila in tutta Italia, valgono meno?

Col fiato sospeso. “L’avvertimento di Renzi agli alleati: Conte 2 già finito, parliamo del dopo. Contatti col Pd sull’ultimo intervento tv del premier. E si lavora a una road map della crisi. Pronte le osservazioni di Italia viva sul piano per i fondi Ue” (Francesco Verderami, Corriere della sera, 27.12). Non stiamo più nella pelle.

Tu scendi dalle stelle. “Il governo galleggerà, ma meglio un governo Draghi. Si può fare” (Paolo Mieli, Foglio, 22.12). “Il premier è un pirata. Conte usurpa i poteri di ministri e governatori. Un governo Draghi? Avrebbe autorevolezza” (Sabino Cassese, Libero, 22.12). “Il ‘modello italiano’ ha fatto vittime e danni. Draghi? Ci può salvare” (Luca Ricolfi, sociologo, il Giornale, 27.12). “Una intera generazione di politici dovrebbe saper ricorrere a uomini di esperienza come Prodi e Draghi” (Marco Damilano, Espresso, 27.12). Draghi, Draghi, Draghi, paraponziponzipò.

Il grande umorista. “Un centrodestra di governo guidato da noi liberali. Siamo nati nel ‘94 e abbiamo sempre lavorato per tradurre le idee e i valori cristiano, europeisti, garantisti in un credibile progetto politico e di leadership del Paese” (Silvio Berlusconi, presidente FI, pregiudicato, Corriere della sera, 27.12). Ogni parola, una battuta.

L’esperto. “Flop di una stagione politico-giudiziaria. Assolti Filippo Penati… Cota… Pietro Vignali… E poi, per non dimenticare: assolto Nicola Cosentino… Assolti Raffaele Fitto… Beppe Sala… Renato Schifani” (Pierluigi Battista, Corriere della sera, 14.12). A parte il fatto che l’articolo è identico a uno del 16 novembre (prendi uno, paghi due), ne avesse azzeccata una. Penati è stato per metà assolto e per metà prescritto dopo aver giurato che avrebbe rinunciato alla prescrizione. Cota è imputato nel secondo processo d’appello. Vignali ha patteggiato 2 anni e risarcito 1 milione. Cosentino condannato definitivamente a 4 anni. Fitto in parte assolto e in parte prescritto. Sala condannato e poi prescritto in appello dopo aver giurato di non volere la prescrizione. E Schifani non è stato mai assolto per la semplice ragione che non è stato mai processato.

L’esperto/2. “Ora si rifletta sui pm che arrestano innocenti” (Enrico Costa, deputato ex FI e ora Azione, Il Dubbio, 22.12). Cioè su nessuno, visto che gli arresti li fanno i gip.

L’Innominato. “L’atteso risveglio della politica” (Luigi Manconi a proposito dell’annuncio della Farnesina sul ritorno in Italia di Chico Forti, condannato all’ergastolo negli Usa e detenuto da 20 anni in Florida, Stampa, 24.12). Quella politica chiamata Di Maio.

Ritirare l’apposito numeretto. “Sbagliato aumentare i posti in cella. Sì alle liste di attesa. Il modello sono Germania e California: si entra in carcere quando c’è posto” (Davide Mosso, avvocato dell’Osservatorio carceri, Stampa, 24.12). Oppure si avvertono i gentili delinquenti di astenersi dal commettere reati finchè non si libera un posto.

Cuperlusconi. “Credo che la separazione delle carriere non debba essere un tabù e credo non lo sia già da tempo, ma tanto più andrebbe affrontata senza scorciatoie o manicheismi” (Gianni Cuperlo, Riformista, 27.11). Meno male che Silvio c’era.

Riccihard/1. “Il nuovo Covid è a Roma. Ricciardi: ‘Ora serve il lockdown. Dobbiamo chiudere tutto’” (Messaggero, 21.12). Soprattutto la bocca di Ricciardi.

Riccihard/2. “Australia e Nuova Zelanda hanno fatto un lockdown precocissimo per un periodo breve e lì in questo momento il Natale si celebra normalmente” (Walter Ricciardi, consulente ministero Salute, L’aria che tira, La7, 20.12). Non sarà che lì in questo momento è estate e qui è inverno?

Le colpe dei figli. “Esposito via dalla magistratura. Il padre condannò Berlusconi” (Giornale, 22.12). E quindi?

Il titolo della settimana/1. “Il virus è mutato. Il governo incapace no. La variante inglese era nota, ma nessuno ha fatto nulla. Impreparati a tutto” (Giornale, 22.12). “Virus cinese, variante inglese, follia italiana” (Verità, 22.12). Variante inglese, governo (italiano) ladro.

Il titolo della settimana/2. “Bertolaso può lanciare il centrodestra di governo” (Nicola
Porro, Giornale, 24.12). Uahahahahahah.

Il titolo della settimana/3. “L’Agenda Draghi e la necessità di riformare il diritto fallimentare” (Foglio, 23.12). Ma una normale agenda Nazareno Gabrielli no?

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/28/ma-mi-faccia-il-piacere-214/6049031/

domenica 27 dicembre 2020

Air Force Renzi: “Voli abusivi, mancano le certificazioni Ue”. - Vincenzo Bisbiglia

 

Voluto dall’ex premier - L’inchiesta dei pm di Civitavecchia. 

L’Airbus voluto dall’ex premier Matteo Renzi per i voli di Stato non aveva le necessarie certificazioni di marca europea per decollare. E dunque non avrebbe dovuto essere autorizzato a compiere nessuno degli 88 viaggi effettuati fra il 2016 e il 2018. Voli a cui hanno partecipato in due anni le massime autorità governative italiane, e non solo. È quanto emerge da una nuova relazione consegnata nel mese di dicembre al Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza di Roma, che indaga su delega della Procura di Civitavecchia, sul crac Alitalia.

Il filone (che non conta nessun iscritto nel registro degli indagati) è quello relativo all’Airbus A340/500, l’aereo di Stato preso in leasing da Etihad nel 2015 con un costo totale previsto di 168 milioni di euro, operazione portata a termine dal governo italiano guidato dall’allora premier Matteo Renzi. In particolare, secondo il documento tecnico redatto da Gaetano Intrieri, il difetto di documentazione riguarda i servizi di continuous airworthiness, operazioni di certificazione e controllo dei parametri di sicurezza che devono essere erogati da una Camo organization, una società certificata dalle autorità aeronautiche. Intrieri, già consulente dell’ex ministro dei Trasporti Danilo Toninelli, è il tecnico che nel 2018 spinse per la chiusura anticipata del contratto assai oneroso per lo Stato.

Già più volte ascoltato dalla Procura come persona informata sui fatti, i finanzieri lo reputano attendibile e stanno verificando punto per punto la bontà della relazione attraverso vari accessi effettuati nelle scorse settimane presso la sede di Alitalia e degli enti governativi collegati.

Dunque secondo il documento redatto da Intrieri, controlli e certificazioni di sicurezza sull’Airbus venivano effettuati e rilasciati da una società araba non registrata in Europa. Il caso viene spiegato nel dettaglio al paragrafo due della relazione. “Non essendo Alitalia una Camo certificata su quel tipo di macchina – si legge nel documento – non poteva erogare quei servizi previsti dal Lotto 2. Ecco quindi che nel main lease agreement (l’accordo di leasing, ndr) tra Alitalia ed Etihad tali servizi sono resi in concreto dalla Camo organization di Etihad”.

E qui sorge l’inghippo. Perché questa fattispecie “non è conforme alle regole emesse dalle autorità̀ aeronautiche – si legge – secondo il Regolamento Europeo part. Camo n.1321/14 Amc2 305(b)”, in quanto la continuous airworthiness di un aereo europeo registrato in Europa, “come nel caso dell’Airbus A340” deve essere “garantita solo ed esclusivamente da una Camo organization europea, ovvero, certificata Easa (l’agenzia europea per i servizi aerei, ndr)”. Ma, conclude Intrieri, “questo non è chiaramente il caso della Camo organization di Etihad”.

Servizi, fra l’altro, erogati a peso d’oro. Nella relazione viene citato un preventivo di una Camo maltese che avrebbe assicurato le stesse erogazioni, per la durata del contratto di leasing, a un prezzo totale di mercato di circa 528.000 dollari, contro i 31.751.718 dollari previsti dall’accordo con Etihad. Sessanta volte di più.

Nella relazione allo studio della Guardia di Finanza e della Procura di Civitavecchia, titolare del fascicolo, emergono poi altri rilievi potenzialmente utili agli investigatori. Il primo è che dei 34 aerei “gemelli” prodotti da Airbus nello stesso periodo, a oggi ne risultano effettivamente operativi soltanto 7, di cui 6 posseduti da Stati arabi e uno da una società statunitense proprietaria di una catena alberghiera nel segmento del lusso.

“Gli altri 27 esemplari prodotti – si legge – sono stati o messi definitivamente a terra (stored) o smontati (scrapped) allo scopo di riciclare componenti utilizzati anche da altri aeromobili”. Tre agenzie di rating, interrogate dai periti, hanno stabilito che il valore attuale dell’aereo è compreso appena fra 1,7 e 3,5 milioni di dollari. “Chi stava negoziando il velivolo sapeva o comunque doveva sapere quale era il tasso di svalutazione dei valori di mercato dell’aeromobile”, conclude il documento.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/27/air-force-renzi-voli-abusivi-mancano-le-certificazioni-ue/6048467/

La pandemia affonda Salvini e Renzi. SuperConte Meloni boom Altalena 5S. - Lorenzo Giarelli

 

Un anno fa, la Lega si affacciava al 2020 con oltre 11 punti di vantaggio sul Pd. Ora quel vantaggio si è ridotto a 3 punti, dopo una discesa inesorabile iniziata durante il lockdown di marzo e arginata in parte – non a caso – soltanto nei mesi estivi. È questo l’aspetto più vistoso dello storico dei sondaggi di quest’anno, che nel grafico a fianco mettiamo in correlazione con i più importanti eventi del 2020.

Basta il colpo d’occhio alle curve dei partiti – basate sui dati della Supermedia Youtrend – per capire che in un anno i rapporti di forza sono profondamente cambiati. Nel frattempo, la popolarità del governo Conte ha visto percentuali del tutto anomale per i precedenti governi, complice soprattutto la gestione della prima ondata. Come ben mostrano i dati di Demos, a inizio 2020 la fiducia nell’esecutivo era poco sopra il 40 (si intende che 40 intervistati su 100 assegnavano almeno la sufficienza al governo), ovvero su percentuali ben più basse rispetto al Conte 1, oscillanti tra il 50 e il 60, e in linea con l’ultima parte del governo Renzi e col governo Gentiloni. Poi, a marzo, ecco l’improvviso balzo: nell’emergenza gli italiani si stringono intorno a Conte e ai suoi ministri, che raggiungono una popolarità del 71 per cento (+27 per cento in un mese). Da lì in avanti il consenso diminuisce, restando però su percentuali più alte rispetto a quelle pre-Covid. Poi, nell’ultimo mese, dopo le ultime decisioni sulla seconda ondata, una nuova inversione di tendenza verso l’alto: dal 55% di ottobre al 57% di dicembre.

Salvini flop, Meloni vola. Nella prima rilevazione del 2020, la Lega ha il 30,8 per cento. La discesa fino al 23,7 di oggi ci dice che la fiducia nel Carroccio ha seguito – per contrasto – l’andamento dell’emergenza Covid. La Lega arriva alla scoperta del “paziente 1” – 20 febbraio – ancora sopra il 30 per cento, ma da marzo la dura opposizione al governo non paga e il partito scende di oltre un punto al mese. A fine marzo la Lega è al 28,9; a fine aprile al 27,2 e a fine maggio, quando si torna alla normalità, è al 26,4 per cento.

In estate la Lega tiene, tant’è vero che il 3 settembre, ultima Supermedia prima delle Regionali e del referendum sul taglio dei parlamentari, torna al 25,2. Poi, con la batosta in Toscana e la seconda ondata, il trend cambia. Alle prime restrizioni di ottobre la Lega è al 24,3, ma quando l’Italia viene divisa in zone (3 novembre) e le misure iniziano a dare risultati (26 novembre) Salvini tocca il punto più basso (23,4).

Ben diverso è il percorso di Fratelli d’Italia. Il partito di Giorgia Meloni cresce da inizio a fine anno, salendo dal 10,7 di gennaio al 16,2 attuale, che vale il sorpasso nei confronti del M5S. Sono 5 punti e mezzo e i dati, come ci spiega il fondatore di Youtrend Lorenzo Pregliasco, indicano che si tratta in gran parte di leghisti delusi: “Dalle Europee a oggi c’è un travaso di circa un leghista su sette in favore della Meloni, dunque siamo intorno a un 5 per cento”. Eppure FdI, durante l’emergenza, ha avuto toni simili a quelli della Lega: “Una possibile spiegazione è che Salvini fosse più esposto rispetto alla Meloni, anche in quanto leader della coalizione”. Negli ultimi due mesi il boom di FdI si è stabilizzato: dall’8 ottobre al 17 dicembre il partito oscilla tra il 16 e il 16,2.

Meno netta è invece la risalita di Forza Italia, che nel 2020 rimane più o meno stabile – dal 6,6 di inizio anno al 7 per cento finale – ma che ha buoni motivi per esultare, se si pensa che nel 2018 e nel 2019 aveva perso 5 e 3 punti. L’emorragia si è fermata forse proprio grazie ai continui distinguo rispetto all’alleato Salvini, come ci indica il fatto che il punto più basso per FI – 6 per cento – arriva la settimana prima del lockdown di marzo e da lì in poi il partito recupera. Non molto, ma abbastanza per sopravvivere: “Non credo possa ambire a molto di più – riflette Pregliasco – ma mantenere un 6 o 7 per cento consente a B. di essere ancora decisivo”.

M5S: Pesano le divisioni interne. L’anno del Movimento non è certo esaltante. Dopo aver iniziato la legislatura con ampio margine su tutti gli altri partiti, oggi il M5S è la quarta forza, ferma al 14,8 – a inizio 2020 era al 15,7 – e un punto e mezzo dietro FdI. La curva ci dice che il Movimento ha avuto una buona risalita durante il primo lockdown, iniziato poco sopra il 14 per cento e finito al 16. Una tendenza stabile in estate e che forse poteva portare a una ripresa. E invece, da settembre in poi, la curva si inverte e i 5 Stelle crollano di nuovo perdendo un paio di punti nonostante il successo al referendum sul taglio dei parlamentari. Sono le settimane in cui si esaspera lo scontro interno tra i governisti e i “duri e puri”, con tanto di lite sul ruolo di Rousseau. Neanche il buon apprezzamento per Conte, secondo Pregliasco, aiuterà il M5S a risollevarsi: “In un nostro sondaggio estivo era emerso come il premier fosse ormai percepito quasi come equidistante tra Pd e M5S”.

Il Pd tiene, il bluff Renzi. Pregliasco definisce il Pd come “il partito di gran lunga più stabile negli ultimi due anni e mezzo”. Guardando al 2020, i dem passano dal 19,3 iniziale a un 20,6 finale, oscillando per dodici mesi tra il 20 e il 21 per cento. Pur restando immobile – un merito, da un certo punto di vista – il calo della Lega giustifica i brindisi: un anno fa il distacco era di 11 punti, oggi di 3. A pesare, oltre alla segreteria conciliante di Zingaretti, c’è uno zoccolo duro che non ha abbandonato la Ditta neanche nel momento peggiore, dopo le elezioni del 2018.

Chi invece ha poco di cui festeggiare è Matteo Renzi. Ambiva “alla doppia cifra”, ma finora sondaggi e urne sono impietosi: partita dal 4,4 per cento di inizio anno, Italia Viva adesso è al 3,2. Secondo Pregliasco, il trend non migliorerà: “I dati delle Regionali dimostrano che Iv ha poco margine. Il caso della Toscana è emblematico, il fatto che lì Renzi sia al 4,4 dà l’idea di un progetto con poco appeal”. Nelle ultime settimane Iv è finita dietro ad Azione e Leu.

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