mercoledì 13 gennaio 2021

Liguria, il pasticcio della giunta Toti sui ristori: nell’elenco di beneficiari un centinaio di attività fallite, doppie o chiuse da anni. - Paolo Frosina

 

In ballo ci sono oltre 7 milioni che la Regione vorrebbe dividere tra 6.300 piccole imprese. Ma Pd e M5s denunciano: "La presenza di attività cessate e/o inattive riduce l'aspettativa dell’ammontare destinato alle imprese bisognose". Anche Forza Italia presenta un'interrogazione. La replica dell'assessore: "Fase di puro screening, poi l'elenco verrà scremato". La Camera di Commercio: "Contatteremo le aziende una per una, fondi solo dopo autocertificazione".

C’è il Vanilla, discoteca genovese un tempo assai in voga tra i giovanissimi, chiusa dai primi anni Duemila. Ci sono il teatro Cantero di Chiavari, fuori uso da inizio 2018, e la pizzeria ‘La Capannina’, sul lungomare di Ventimiglia, che non si chiama più così da un decennio. Sono oltre un centinaio i bar, ristoranti, palestre, centri benessere, locali da ballo, cinema e teatri liguri che, pur avendo cessato l’attività, compaiono nell’elenco dei potenziali beneficiari dei fondi del decreto Ristori quater, approvato il 23 dicembre scorso dalla giunta guidata da Giovanni Toti. Una torta da 7 milioni e 750mila euro che la Regione vorrebbe dividere tra 6.300 piccole imprese: quelle di “prima classe”, che nella seconda ondata sono rimaste chiuse, ne porteranno a casa 3mila a testa, quelle di “seconda classe”, che hanno subito “restrizioni parziali”, appena mille. Quest’ultima somma, poi, è riservata a una platea ristretta: bar e ristoranti otterranno il bonus solo se impiegano non più di un addetto, catering, agenzie di viaggio e organizzatori di eventi non devono averne più di nove.

Eppure, scorrendo l’elenco allegato alla delibera di giunta, si trova di tutto. Imprenditori falliti o con licenza ritirata, centri massaggi durati lo spazio d’un mattino, cinema di quartiere che non esistono più. Addirittura, in vari casi, le attività passate di mano compaiono due volte, con la nuova ragione sociale e con la vecchia: per esempio una sala giochi di Rapallo, registrata allo stesso indirizzo come “Kursaal Star Casinò srl” e “New Kursaal Srl”, o una storica sala a luci rosse di Genova, presente sia come “Cinema Eldorado di Baglietto Sabrina” che come “Cinema Eldorado di Vincenzo di Vara”. In teoria, entrambi hanno diritto al ristoro. Ma a chi si deve imputare il pasticcio? La lista approvata dalla Regione è quella fornita dalla Camera di Commercio di Genova, scelta come soggetto attuatore della misura. “Non spetta a noi cancellare le imprese inattive dal registro, devono essere loro a fare domanda”, spiega il segretario generale Maurizio Caviglia, raggiunto da Ilfattoquotidiano.it. “Poiché i tempi sono stretti, la giunta ci ha chiesto gli elenchi delle attività raggruppate per codici Ateco (che identificano il settore economico, ndr), per avere un’idea di quanti sarebbero stati i beneficiari. Ma è un elenco dinamico, non statico: contatteremo le aziende una per una, ed erogheremo i fondi soltanto dopo autocertificazioneDichiarare il falso è un reato che, immagino, nessuno vorrà commettere per mille euro”, chiosa.

Nel frattempo, però, le opposizioni hanno buon gioco a cavalcare il paradosso: Pd e Movimento 5 Stelle hanno presentato sulla questione due diverse interrogazioni in consiglio regionale. Ripulendo gli elenchi dalle imprese-fantasma, è il ragionamento, si potrebbe ampliare la platea dei beneficiari o aumentare l’entità dei rimborsi. “Toti sui giornali chiede ristori certi e immediati per le attività colpite – attacca il capogruppo M5S Fabio Tosi –, ma nel frattempo li vuole destinare a imprese chiuse anche da dieci anni. Le lezioncine al governo, in particolare dopo questa vicenda, suonano inaccettabili”. “La presenza di attività cessate e/o inattive nell’elenco delle imprese beneficiarie dei ristori riduce l’aspettativa dell’ammontare destinato alle imprese realmente bisognose, inducendo a previsioni errate nella programmazione del futuro della propria attività imprenditoriale”, scrivono invece i consiglieri Pd, chiedendo “quali saranno i criteri utilizzati per escludere esplicitamente dal novero dei beneficiari le ditte in posizione inattiva”. I dem suggeriscono, poi, di inserire al loro posto “quelle categorie che sono state ingiustamente escluse, come i circoli ricreativi, che spesso rappresentano gli unici centri di aggregazione in piccoli comuni o quartieri periferici”. Ma per la Camera di Commercio, in ogni caso, non c’è il rischio che avanzino fondi: “Le imprese cessate, non più di 150, saranno sostituite da altre imprese che per i motivi più vari non sono rientrate nel primo elenco, pur avendone diritto, e hanno presentato domanda. La platea rimarrà invariata”, assicura il segretario Caviglia.

Una versione identica la fornisce l’assessore regionale allo Sviluppo economico, Andrea Benveduti: “In una fase successiva alla prima di puro screening, verrà scremato il numero delle imprese da quelle che sono sì iscritte, ma che non sono più in attività, o non come lavoro primario. E compensato da quelle che, pur avendo i requisiti, non figurano erroneamente in elenco”. Ma richieste ufficiali di chiarimenti arrivano persino dalla maggioranza: in un’altra interrogazione, il capogruppo di Forza Italia Claudio Muzio invita la giunta “a una puntuale verifica delle liste di assegnatari”, sollecitando “iniziative urgenti per garantire che i danari pubblici vadano a beneficio di attività non cessate e aventi quindi pieno titolo per il ristoro”. “Solo tra i beneficiari di Ventimiglia ho notato una decina di esercizi chiusi da anni, tra cui un ristorante a cui avevo personalmente dato lo sfratto”, racconta al Fatto.it il consigliere Pd Enrico Ioculano, ex sindaco della città di confine. “È grave che la giunta approvi senza verifiche elenchi non aggiornati, e non si capisce perché il lavoro di scrematura non potesse essere fatto prima”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/01/13/liguria-il-pasticcio-della-giunta-toti-sui-ristori-nellelenco-di-beneficiari-un-centinaio-di-attivita-fallite-doppie-o-chiuse-da-anni/6063136/

martedì 12 gennaio 2021

Conte alla rovescia. - Marco Travaglio


I retroscena del Giornale Unico, sempre più simili alle “bombe di Mosca” al processo di Biscardi, danno per certo uno sbocco “pilotato” della crisi di governo che più ridicolo non si può: Conte si dimette dopo l’approvazione del Recovery Plan, perché Bettini ha parlato con l’Innominabile, che gli ha garantito l’appoggio a un “Conte-ter”, dunque c’è da fidarsi. Dopodiché 5Stelle, Pd, LeU e Iv si siedono al tavolo per spartirsi i ministeri all’insegna di un “riequilibrio” in base a fantomatici “nuovi rapporti di forze”. Magari con Orlando e Di Maio vicepremier, e/o Bettini sottosegretario a Palazzo Chigi, e tre ministri Iv al posto di due, compresi la Boschi, Rosato e magari pure l’Innominabile (sempreché vinca la naturale ritrosia alle “poltrone”). In cambio di queste radiose prospettive, Conte cederebbe la responsabilità sui Servizi (che gli spetta per legge) e rinuncerebbe alla fondazione sulla cybersicurezza (e ai 2 miliardi che l’Ue ci mette a disposizione). Così Messer Due Per Cento, ora isolato all’angolo, potrà resuscitare e cantare vittoria (“Mi han dato ragione su tutto, quindi avevano torto tutti gli altri”). Poi ricomincerà subito a ricattare e minacciare il nuovo governo sul Mes, il ponte, la prescrizione, il rapporto Barr e altre puttanate prêt-à-porter.

Ora, può darsi che Conte sia così fesso da accettare questo suicidio: nel qual caso, peggio per lui. Ma siccome a noi importa poco delle sorti dei singoli e molto di quelle dell’Italia, rivolgiamo qualche domandina facile facile agli strateghi di questa ideona. 

1. Gli italiani quale beneficio ne trarrebbero? 

2. Perché mai un premier che ha sempre teorizzato e praticato la parlamentarizzazione delle crisi, dovrebbe dimettersi senza essere stato sfiduciato dalle Camere? 

3. Chi può fidarsi della parola di un bugiardo matricolato, detto il Bomba fin dalla più tenera età, che in vita sua ha sempre fregato chiunque avesse stretto accordi con lui? 

4. Che senso ha buttare giù un governo che gode della fiducia del Parlamento per farne un altro con la stessa maggioranza? 

5. Hanno idea, i giallorosa, di quanti voti regalerebbero alle destre con qualche settimana di mercato delle vacche su ministri, viceministri e sottosegretari mentre gl’italiani pensano al virus, ai vaccini, alle aziende chiuse, ai posti di lavoro in fumo? 

6. Lo sanno lorsignori, 5Stelle in primis, che l’Innominabile e la Boschi sono indagati per illecito finanziamento e, quando finirà l’inchiesta Open, rischiano di diventare imputati? E che il Conte 2, come l’1, vantava il raro pregio di non avere ministri inquisiti? E che Conte ha cacciato dal governo gialloverde il sottosegretario Siri perché indagato in uno scandalo di soldi? 

7.Quale mente malata può pensare di rimpiazzare una ministra competente come Lamorgese con un Rosato o una Boschi, fra l’altro molto più molesti e destabilizzanti di quanto oggi non siano la Bellanova e la Bonetti? 

8. Per quale strano algoritmo un partitucolo del 2 virgola qualcosa per cento dovrebbe avere tre ministeri, mentre l’equivalente LeU ne ha uno solo (Speranza)? 

9. Chi l’ha detto che è meglio farsi ricattare per tutto il resto della legislatura da quel pelo superfluo, anziché cercare in Parlamento i voti necessari per liberarsene per sempre? 

10. Perché mai, in una democrazia parlamentare con sistema proporzionale, i voti di quei “transfughi” (purché gratuiti, diversamente da certi “responsabili” di B.) sarebbero più indesiderabili di quelli di Iv, tutta formata da transfughi dal Pd, da FI, da LeU, dall’Udc e dal M5S?

La via maestra è una sola: quella costituzionale. Conte non ha alcun motivo di dimettersi, a meno che non venga sfiduciato dal Parlamento. Ed è improbabile che ciò accada, sempreché M5S, Pd e LeU dicano la verità quando assicurano che, se cade lui, si vota. Ergo, non sono disponibili ad altre formule con altri premier. Nel qual caso altri governi non ne possono nascere perché non avrebbero la maggioranza. Basterà dunque tenere il punto “O Conte-2 o elezioni” per indurre i “responsabili gratuiti”, cioè interessati soltanto a completare la legislatura, a uscire allo scoperto nel voto di fiducia, quando Conte lo chiederà in Parlamento. Senza neppure l’imbarazzo di contattarli prima. Lì tra l’altro si vedrà quanti di Iv seguiranno il loro capetto al macello, o se se ne sganceranno all’ultima occasione utile. Così l’Innominabile e i suoi quattro guastatori andranno a cuccia fino alle elezioni del 2022, data della loro agognata estinzione.

Se invece qualcuno gioca sporco – e una parte del Pd che ancora tiene bordone all’Innominabile ne è gravemente indiziata – quella sarà l’occasione per smascherarlo in Parlamento. Il governo cadrà, Conte andrà a casa (tanto un mestiere ce l’ha) e chi avrà licenziato “il politico più popolare d’Italia per darla vinta al più impopolare” (copyright D’Alema) lo spiegherà ai suoi eventuali elettori, se troverà le parole. Noi ci ciucceremo per qualche mese un’ammucchiata con Pd, FI, Iv, Calenda e frattaglie poltroniste di Lega e M5S guidata dai premier preferiti dai giornaloni (Cottarelli, Cartabia, Amato, Cassese, robe così: Draghi non è fesso). Una sbobba talmente immangiabile che molta gente urlerà: “Ridateci Conte”. E lo costringerà a tornare in pista, come capo dei 5Stelle o di una lista al loro fianco. Allora sì che ci sarà da divertirsi. Perché si voterà prima che gl’italiani si scordino chi ha fatto cosa.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/12/conte-alla-rovescia/6062543/

lunedì 11 gennaio 2021

Recovery plan, ok di Renzi dopo la spinta del Colle: “Approviamo questo benedetto piano, ma spendiamo bene i soldi”.

 

L'ex premier, intervenuto a Rtl, non smentisce la telefonata del capo dello Stato, ma continua a minacciare la crisi: prima dice che la maggioranza deve "correre" su fondi Ue e ristori, poi insiste: "Non si buttino via i soldi che non torneranno mai più. O li spendiamo bene o spendeteli senza di noi". Orlando accoglie le sue parole come un via libera al Piano di ripresa. Gelo di Rosato: "Da quando il vice di Zingaretti è il nostro portavoce?"

Alla vigilia del decisivo Consiglio dei ministri sul Recovery plan, durante il quale Italia viva dovrebbe sciogliere le riserve sulla ventilata crisi di governo, Matteo Renzi sembra voler accogliere gli appelli arrivati da più parti per non mettere a rischio i 209 miliardi di fondi Ue destinati all’Italia. “Approviamo questo benedetto Recovery. Ma mettiamo questi soldi per le cose utili”, ha dichiarato in mattinata in un’intervista a Rtl. “A Conte diciamo: ‘Corri, presenta il Recovery, presenta i ristori“. Parole che suonano come un passo avanti nelle trattative con la maggioranza, o comunque come un congelamento della crisi per poter approvare in tempo il Piano di ripresa – che deve arrivare entro fine mese a Bruxelles – lo scostamento di bilancio e il nuovo decreto per gli indennizzi alle partite iva chiuse causa Covid. Cosa è cambiato nelle ultime 24 ore? Come riportano diversi quotidiani, tra cui RepubblicaCorriere e La Stampa, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha esercitato ancora una volta la sua moral suasion sui leader dei partiti. La spinta del Colle, ragiona il quirinalista di via Solferino, non va nella direzione di interferire nelle dinamiche politiche (anche perché non è tra le sue prerogative), ma nel dare precedenza alle vere priorità del Paese, spostando un po’ più in là l’eventuale caduta dell’esecutivo.

Renzi, interpellato sul punto, non smentisce la telefonata ricevuta dal capo dello Stato. Anzi: “Il presidente della Repubblica ha detto parole che condividiamo”, dice. Poi però rimarca l’indipendenza delle sue scelte: Mattarella “non va tirato per la giacchetta: in Italia il presidente è un arbitro, non dice a un dirigente politico quello che deve fare“. Il fondatore di Iv ribadisce quindi di non essere interessato alle “poltrone“: per lui l’importante è che “non si buttino via i soldi che non torneranno mai più. O li spendiamo bene o spendeteli senza di noi. Io voglio avere la coscienza a posto”. In sostanza tira un colpo al cerchio e uno alla botte, non escludendo fino all’ultimo l’opzione di far saltare il banco. “Una cosa sono i post, i tweet e le storie su Instagram”, dice, riferendosi al post pubblicato su Facebook dal presidente Conte nella serata di sabato. “Una cosa sono i documenti. Io non so dire se ci hanno dato ragione, lo saprò quando ci daranno i documenti“. Infine l’ennesimo attacco al portavoce del premier: “L’idea di essere “asfaltato” da Rocco Casalino era una cosa che non avevo considerato quando ho cominciato a fare politica, non mi preoccupa né mi esalta come prospettiva”, conclude, citando le parole che Repubblica ha attribuito allo stesso Casalino in un retroscena. “Smentisco categoricamente i virgolettati e le ricostruzioni che mi vengono attribuiti oggi in un articolo”, la reazione del portavoce.

Il vicesegretario del Pd, Andrea Orlando, venuto a sapere delle dichiarazioni di Renzi mentre è in diretta televisiva su Rai3, sembra leggerle come un primo via libera: “Sul Recovery siamo contenti che sia passata la nostra linea. Non è una cosa di questo governo e di questa maggioranza, è fondamentale che si metta in sicurezza e che non si intralci il percorso per portarlo in Parlamento”. L’ex ministro però avverte: “L’accordo in generale non lo darei per fatto, ci sono molte questioni aperte”. L’appuntamento decisivo è fissato per martedì, ma già in serata i partiti che sostengono il governo riceveranno il testo completo del Recovery plan, modificato secondo le loro stesse indicazioni. Già prima del Cdm, quindi, i renziani potrebbero far sapere quale sarà il loro orientamento. E che tutto sia ancora in forse lo sottolinea il presidente di Iv Ettore Rosato, che a sua volta replica piccato al vicesegretario dem: “Orlando è diventato il portavoce di Italia Viva? Ci faccia sapere quando gli dobbiamo dare la nostra tessera“.

Sullo sfondo restano le trattative sotterranee portate avanti da pezzi del Pd per ricucire lo strappo. Tra i principali registi c’è sempre il braccio destro di Zingaretti Goffredo Bettini, a cui lo stesso Renzi il giorno dell’Epifania ha mandato una nota in 30 punti sulle “questioni politiche aperte” in maggioranza. In un’intervista rilasciata oggi al Corriere, l’esponente dem ribadisce che “si deve andare presto al sodo: decidere, lavorare, rinunciare alle ripicche e alle tattiche estenuanti. Si deve dare una guida serena e solida agli italiani”. Per Bettini “si sono compiuti passi in avanti decisivi sul Recovery plan. Approvato questo provvedimento importantissimo per la vita degli italiani, si tratta di stabilire un accordo solenne, vincolante e chiaro circa le priorità di un programma di fine legislaturaAltro che rimpastino. Stiamo parlando di cose da fare, non di qualche ministero da distribuire”. Argomento che comunque resta sul tavolo. E Bettini, che nel settembre 2019 ha contribuito alla nascita dell’esecutivo giallorosso, indica ancora una volta qual è la strada da seguire: “Un governo più politico è una garanzia per la stabilità dello stesso Conte”, dice, riferendosi alla possibilità che i leader di partito entrino a far parte della squadra di governo.

Alcuni big dei 5 stelle, escluso il reggente Vito Crimi, hanno già ruoli di peso, come Luigi Di Maio alla casella degli Esteri e Alfonso Bonafede alla giustizia. Stessa cosa per la sinistra, dal momento che Roberto Speranza è saldamente alla guida del ministero della Salute. Per i renziani si ventila l’ipotesi che lo stesso Renzi o il suo braccio destro Maria Elena Boschi possano strappare un ministero. Poi c’è il Pd: tra i suoi capi-corrente l’esecutivo può contare solo su Dario Franceschini, che è anche capodelegazione del partito a Palazzo Chigi. Lo scenario di un ingresso di Nicola Zingaretti sembra escluso, visto che in tal caso dovrebbe lasciare la guida della Regione Lazio, mentre resta in piedi l’opzione Orlando. Il diretto interessato, posto di fronte alla questione ad Agorà su Rai3, risponde sibillino: “Secondo gli accordi iniziali io nel Governo in carica dovevo fare il ministro degli Esteri. Se dico se sto bene dove sto potreste crederci…”, dice, escludendo l’ipotesi. Poi però aggiunge: “Ne discuteremo, ma la mia propensione è questa”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/01/11/recovery-plan-dopo-il-pressing-del-quirinale-renzi-dice-si-approviamo-questo-benedetto-piano-ma-spendiamo-bene-i-soldi/6061488/

Recovery, Ponte, Mes e Servizi: ogni giorno un penultimatum di Iv. - Giacomo Salvini

 

Telenovela - È dall’8 dicembre che l’ex premier minaccia di far cadere il governo con vari pretesti: dal Cashback al Covid, dal turismo a Barr, alla “visione”.

All’inizio il problema erano la governance e la task force del Recovery Fund. Poi i soldi da spendere su Sanità e Turismo, le chiusure per le feste e perfino il cashback. E ancora, alla vigilia di Natale, il Mes, a Capodanno il ponte sullo Stretto di Messina, la mancanza di “visione” del governo e la legge di Bilancio approvata in quattro e quattr’otto da una sola Camera.

Il 2021 ha portato il sereno? Macché, giù di nuovo missili: la campagna vaccinale in ritardo, gli insegnanti da vaccinare in una settimana, la delega ai servizi segreti da cedere e poi di nuovo il Mes. Queste, a prima vista, sembrerebbero le critiche di un partito di opposizione al governo Conte. Invece no: sono i tantissimi fronti aperti, nell’ultimo mese, da Matteo Renzi e dal suo partito Italia Viva che ha deciso di aprire (quasi) la crisi di governo. Dall’8 dicembre a oggi il partito renziano ogni giorno ha incalzato il premier Conte con un nuovo motivo di dissenso, sempre condito dalle minacce di ritirare le due ministre Teresa Bellanova ed Elena Bonetti e aprire formalmente la crisi. “La nostra è una battaglia di idee e non di contenuti” continua a ripetere Renzi, ma nel frattempo proseguono le trattative sotterranee per ottenere qualche ministero e, se possibile, far uscire Conte da Palazzo Chigi.

Per questo, e per i continui rilanci dell’ex premier su argomenti diversi, in molti ormai ritengono le critiche di IV solo strumentali. Obiettivo: voler aprire una crisi a tutti i costi. Tutto era iniziato l’8 dicembre quando, in un’intervista a Repubblica, l’ex premier aveva anticipato qualche dettaglio del suo discorso in Senato durante il dibattito sul Mes: “Serve un governo che funzioni, non 300 consulenti” diceva riferendosi alla task force, chiesta dall’Ue, per supervisionare la gestione dei 209 miliardi del Recovery Fund. Il giorno dopo, lo show a Palazzo Madama in cui Renzi aveva aggiunto critiche sul piano: “Nove miliardi per la Sanità sono troppo pochi, ce ne vuole il quadruplo. Vi sembra normale che ci siano 3 miliardi sul turismo?”. Poi era arrivato il primo penultimatum sulle dimissioni delle ministre: “Noi non vogliamo qualche poltrona, se vuole ce ne sono tre a sua disposizione in più”. E giù applausi dal centrodestra.

Il 15 dicembre nella sua e-news Renzi attaccava la maggioranza per la presunta contraddizione tra il cashback (invogliando agli acquisti natalizi) e le chiusure sotto le feste parlando di “indecisione costante” del governo: “Bisogna avere una posizione e mantenerla, non cambiarla ogni tre giorni” scriveva il senatore di Scandicci. Poi, prima il 21 dicembre con un video su Facebook e il 23 a L’Aria che Tira, Renzi rilanciava sul Mes, sapendo di spaccare la maggioranza perché il M5S è da sempre contrario: “Bisogna prendere il Mes, sono 36 miliardi per i nostri ospedali – diceva l’ex premier – Il M5S dice no perché sono populisti antieuropei”. Peccato che un anno fa, durante la ratifica del trattato Mes, Renzi disertò il vertice di maggioranza perché “se la vedessero loro” (Pd e M5S). Non solo, Renzi all’epoca criticava quel trattato: “Aiuta le banche tedesche”. Oggi invece vuole farvi ricorso a tutti i costi.

A ridosso di Capodanno poi, durante la conferenza stampa per presentare il suo piano Ciao, l’ex premier ritirava fuori dal cilindro il ponte sullo Stretto di Messina (“va fatto”) anche se non si può finanziare coi soldi del Recovery – rilanciato venerdì sera da Davide Faraone – ma anche la mancanza di “anima” del piano del governo. Nel discorso di due giorni dopo in Senato Renzi denunciava lo “svuotamento del Parlamento” perché la legge di bilancio approvata dalla Camera era arrivata in Senato già bloccata. Lui che nel 2016 voleva abolire il bicameralismo perfetto.

Il 2021 non ha portato un rasserenamento degli animi tra i giallorosa, anzi. Il 2 gennaio sul Corriere l’ex premier attaccava sul ritardo del governo sulla campagna vaccinale (“Bisogna correre”), poi giovedì scorso, il giorno dopo i fatti di Capitol Hill, coglieva l’occasione per chiedere al premier di cedere la delega sui servizi segreti: “È una questione di sicurezza nazionale” prima di ripescare il “caso Barr”, in cui non c’è alcuna prova del coinvolgimento del governo italiano nel Russiagate. Nelle ultime ore il muro alzato dall’ex premier è il Mes: “Senza di quello non c’è accordo”. Sono finiti gli argomenti possibili, si ricomincia da capo. La chiusura la lasciamo alle parole dello stesso Renzi ieri alla Stampa: “Ora basta con questa telenovela”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/11/recovery-ponte-mes-e-servizi-ogni-giorno-un-penultimatum-di-iv/6061417/

Ma mi faccia il piacere. - Marco Travaglio

 

Lo stratega. “Gli ultrà di Trump accusano l’Italia: ‘Avete rubato le elezioni a Donald’. Per i complottisti l’incontro Obama-Renzi del 2016 servì a preparare il piano. Complici in ambasciata e satelliti Leonardo per assegnare il voto a Biden” (Stampa, 10.1). Tranquilli, ragazzi: quello non riesce nemmeno a far prendere il 2% a Scalfarotto in Puglia.

Lo sciamano. “Salvini grida: ‘Ora basta, andiamo in piazza’” (Libero, 7.1). Avete visto qualcuno?

Congiuntivite. “Conte nel pallone. Da una parte, pensa che sia l’uomo della Provvidenza. Dall’altra, ha paura che lo fottono” (Dagospia, 10.1). Fantocci, batti lei.

Censura buona. “Twitter silenzia Donald: non chiamatela censura” (Gianni Riotta, Stampa,10.1). Giusto: chiamatela Johnny.

L’amico dei clochard. “Mi autodenuncio. Se la scelta del governo sarà che il giorno di Natale non si può neanche portare una coperta o un piatto caldo a chi dorme in strada e ha freddo, io lo farò lo stesso, come da anni sono abituato a fare: portare dei doni ai bambini, pranzare insieme ai clochard. Non potete chiudere in casa il cuore degli italiani” (Matteo Salvini, Lega, Facebook, 25. 12). “Alessandra Locatelli, salviniana di ferro, è il nuovo assessore lombardo alle Politiche sociali. Nota per le posizioni intransigenti contro migranti e senzatetto, fece parlare di sé per l’ordinanza che proibiva di dar da mangiare ai clochard” (Fanpage, 8.1). È la volta buona che Salvini finisce dentro.

Record cioè flop. “Un Arcuri è per sempre.Il super commissario all’emergenza infinita che riesce a sempre a evitare ogni responsabilità dei flop” (Domani, 10.1). Tipo il flop dell’Italia al primo posto in Europa per le vaccinazioni.

Senza parole. “Arcuri ha commissariato il deep state americano. La spiegazione del golpe” (Fabio Vassallo, autore, Domani, 8.1). Questi non stanno per niente bene.

Compagni che inciuciano. “Il centrodestra disposto a un ‘esecutivo di scopo’” (Giornale, 10.1). “Pisapia: ‘Un governo di scopo con un presidente del Consiglio diverso. Così si può uscire dalla crisi. Ci sono molte persone che possono avere la fiducia di una maggioranza molto più ampia’” (Corriere della sera, 19.1). Riuscirà il compagno Pisapia a riportare al governo B. e Salvini? Vai, Giuliano, sei tutti loro!

Il poliglotta. “Boris è fuori dall’Europa: ‘Salutame a soreta’” (Pietro Senaldi, Libero, 2.1). Mi sa che Senaldi è madrelingua.

Paesi normali. “Christine Aschbacher, ministra austriaca del Lavoro, si è dimessa: è accusata di avere copiato parti della sua tesi di master e di quella di dottorato” (Corriere della sera, 10.1). Mica si chiama Marianna Madia.

I morti a galla. “Il premier ha tardato ad agire, se avesse assunto l’iniziativa quando noi lo chiedemmo e quando Iv non aveva posto questioni, i problemi avrebbero potuto essere risolti in modo meno traumatico” (Andrea Orlando, vicesegretario Pd,Stampa, 10.1). È un peccato che Conte non abbia l’argento vivo e lo sfrenato dinamismo di un Orlando.

Chi conosce i fatti. “Alla storia della cosiddetta Trattativa non crede nessuno e nessuno che conosce i fatti può credervi. Si era incaricato di smentirla Giovanni Falcone” (Alfonso Giordano, giudice del maxiprocesso,Riformista, 9.1). Diavolo d’un Falcone: la trattativa Stato-mafia partì subito dopo la strage di Capaci, ma lui riuscì a smentirla anche da morto: forse apparendo in sogno al collega Giordano, forse in una seduta spiritica.

Giorgio Covid. “Bergamo, inchiesta Covid. Il sindaco Gori: ‘Il Comune è parte civile’” (Giornale, 29.12). Si chiede i danni da solo.

Il virus dei Pollari/1. “Merkel ha parlato alla nazione. Giuseppi molto cauto: perché?” (Claudia Fusani, Riformista, 8.1). Chiedilo a Pio Pompa.

Il virus dei Pollari/2. “Dopo aver perso la sponda degli Usa il premier saluta l’ombrello tedesco” (Claudio Antonelli, Verità, 9.1). Te l’ha detto Pio Pompa?

Il virus dei Pollari/3. “Adesso il Russiagate rischia di mettere Conte nei guai” (Luca Fazzo, Giornale, 8.1). L’hai saputo da Pio Pompa?

Nostalgia canaglia. “Trump, ecco cosa succede quando si uccidono i partiti” (Fabrizio Cicchitto, Riformista, 8.1). E ci si iscrive alla P2.

Paga Pantalone. “Intanto le mie offese non sono gratuite: mi pagano per farle” (F.F. a Rocco Casalino, Libero, 7.1). Trattandosi di Libero, le pagano i contribuenti, soprattutto quelli che non leggono Libero.

Formidabili quei danni. “Ufficiale, Davigo fuori dal Csm. Ora va a fare danni sul ‘Fatto’” (Verità, 8.1). Paura, eh?

Il titolo della settimana/1. “Per usare i fondi Ue il governo ricicla i piani di Monti” (Roberto Formigoni, pregiudicato per corruzione, Libero, 3.1). Invece di darli direttamente a lui.

Il titolo della settimana/2. “Muccioli dava fastidio a due chiese: quella cattolica e quella comunista” (Red Ronnie, Verità, 9.1). Alle porcilaie e alle macellerie, invece, un po’ meno.

Il titolo della settimana/3. “Renzi: ‘Basta con questa telenovela’” (Stampa, 10.1). Lo dice lui a noi.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/11/ma-mi-faccia-il-piacere-215/6061416/

domenica 10 gennaio 2021

Open, un altro no a Renzi: “Inchiesta rimane a Firenze”. - Antonio Massari e Valeria Pacelli

 

La Fondazione - Matteo accusato di finanziamento illecito. Le mail di Bianchi “Soldi di Toto schermati”.

L’inchiesta sulla Fondazione Open resta a Firenze. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione ai quali si erano rivolti anche i legali di Matteo Renzi, indagato nel capoluogo toscano per concorso in finanziamento illecito con gli ex ministri Luca Lotti e Maria Elena Boschi, con l’ex presidente della Fondazione Alberto Bianchi e con l’imprenditore Marco Carrai. Nei mesi scorsi i legali di Renzi e Boschi avevano sollevato la questione di competenza sostenendo che l’indagine dovesse essere trasferita a Roma o anche a Pistoia. La procura ha sostenuto che la compentenza fosse fiorentina e così anche la Cassazione.

Intanto un’altra novità arriva dal Tribunale del Riesame che ha confermato la legittimità della perquisizione e del sequestro di documenti a carico di Marco Carrai che la Cassazione aveva invece annullato con rinvio degli atti alla procura. Nell’ordinanza, depositata il 24 dicembre, i giudici del Riesame parlano anche del finanziamento alla Open da parte della “Toto costruzioni”. Contributo che definiscono “schermato” con un incarico all’avvocato Bianchi. L’incarico riguardava una accordo transattivo tra la Toto e la società Autostrade, finite in un contenzioso che si trascinava da anni. Nell’ordinanza dunque si fa riferimento a quanto ritrovato dalla Finanza durante la perquisizione a Bianchi del 26 novembre 2019. Si tratta di una dichiarazione dattiloscritta risalente al 4 aprile 2018, con la quale Bianchi comunica ai suoi colleghi di studio “le modalità con cui ha schermato l’operazione di finanziamento della ‘Toto costruzioni’ in favore della Open” e indica “la nuova procedura” che intende “seguire per schermare ulteriori finanziamenti in favore della Fondazione, provenienti ancora da ‘Toto Costruzioni’ e dalla srl ‘Utopia’”. Scrive Bianchi: “Come ricorderete, allo scopo di consentire a taluni soggetti lo svolgimento del loro desiderio di contribuire in una forma peculiare alle attività della Fondazione Open, convenimmo che figurasse un incarico di un nostro cliente direttamente a me senza ovviamente sottrarre alcunché allo studio, sia perché trattavasi di compenso ‘ulteriore’, sia perché il netto rilevato dal nostro commercialista Busi fu direttamente da me versato a Fondazione Open e al Comitato per il Sì al referendum (vi allego la scrittura che all’epoca firmammo, relativa ad un compenso lordo di euro 750.000 (…) e la copia dei due bonifici da me effettuati del relativo netto, pari a Euro 400.838 (…)”. Poi Bianchi spiega che “la questione si ripropone adesso” con “due soggetti”: “uno è lo stesso Toto, l’altro è la società romana ‘Utopia S.r.l.’”. E aggiunge: “Nel caso di Toto, mi ha espresso il desiderio di versare a Open (…) un importo pari al netto del 2% di quanto, a seguito della nostra attività professionale (attualmente in corso) sarà ricavato dai contenziosi/trattative con Anas s.p.a. relative a riserve presentate nel corso dell’appalto della variante SS Aurelia a La Spezia, e di corrispondere a noi 1% dello stesso ricavato. Trattasi di somme evidentemente incerte, visto che sia il contenzioso che le trattative sono in corso. Incerti sono anche i tempi, considerato che se definiamo un accordo con Anas è pensabile che esso si chiuda nel corrente anno, mentre se dobbiamo far conto sul contenzioso i tempi sono significativamente più lunghi”. Per quanto riguarda Utopia srl, Bianchi aggiunge che esistono “due fondamentali differenze: la prima è che la somma complessiva per due pareri (già redatti e inviati, ma si tratta di semplice rielaborazione lessicale di pareri già destinati ad altri clienti) è in questo caso già stata definita ed è complessivamente pari a 30.000 euro. La seconda è che in questo caso il ‘cliente’ vuole versare tutto (il netto) a Open, dunque come studio non c’è alcun incasso (così come non c’è stata nessuna prestazione, dato che ho semplicemente rielaborato mutatis mutandis pareri già esistenti)”. Il Riesame annota: “Emerge che Toto Costruzioni ha ritenuto di schermare il finanziamento in favore della Open per 400.838 euro mediante un incarico professionale a Bianchi”.

“La decisione del Riesame (…) ripete gli argomenti della prima ordinanza che era già stata oggetto di annullamento da parte della Cassazione. Verrà di nuovo proposto ricorso”, spiegano i legali di Carrai.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/10/open-un-altro-no-a-renzi-inchiesta-rimane-a-firenze/6060815/

Assalto al Congresso Usa, il ‘bivacco di manipoli’ è una farsa che non fa ridere per nulla. - Massimo Cavallini

 

Trümperdämmerung. Così, in articolo il cui titolo sarcasticamente richiamava quello dell’atto finale di Der Ring des Nibelungen – il Götterdämmerung, o “crepuscolo degli dei”, per l’appunto – Susan B. Glasser aveva raccontato sul New Yorker, mentre il 2020 stava uscendo di scena, gli ultimi giorni della presidenza di Donald J. Trump. E non pochi sono stati i commentatori che hanno ripreso questa molto teutonica espressione mercoledì sera, mentre sugli schermi televisivi scorrevano le immagini “dell’ultimo atto di quest’ultimo atto”. Vale a dire: le sequenze – storicamente inedite, ma più che prevedibili alla luce delle più recenti cronache politiche – dell’assalto delle orde trumpiane alla monumentale sede del Congresso. Scene tragiche, non v’è dubbio. Tragiche in sé e, allo stesso tempo, tragica (ed ancora non finale) parte d’una più grande tragedia: quella della crisi della “più antica democrazia del mondo”.

Davvero difficile è, tuttavia, trovare qualcosa di realmente wagneriano, o “nibelungico”, in questo molto particolare crepuscolo della presidenza di Donald J. Trump. Come in tutti i giorni che si sono susseguiti dopo il voto del 3 novembre – e come, per molti aspetti, lungo tutti i quattro anni della presidenza Trump – a prevalere, pur sullo sfondo d’una indiscutibile tragedia, sono infatti sempre stati (e gli eventi di mercoledì sera non hanno fatto eccezione) i toni ed i crescendo della peggior opera buffa.

O, ancor più spesso – evitando il rischio di coinvolgere Mozart e Rossini in tanta bruttura – della più sgangherata commedia degli equivoci, quella che, in ogni sua parte, si nutre di flatulenze e di grevi doppi sensi sessuali. Il tipo di commedia – se state pensando al Pierino di Alvaro Vitali siete sulla strada giusta – che, a tutti gli effetti, più assomiglia a Donald J. Trump.

L’ormai ex presidente lo ha ribadito anche ieri – “We had an election that was stolen from us” queste elezioni ci sono state rubate – , mentre ridicolmente invitava a “tornare pacificamente a casa” le folle che lui stesso aveva mobilitato. Prima però di quest’ultima, inalterata (ed inalteratamente ridicola) denuncia di frode – e prima della “insurrection”, dell’insurrezione come viene troppo benignamente chiamata la truce pagliacciata sovversiva di mercoledì – molte altre ridicole cose erano accadute.

C’erano stati gli oltre 60 esposti – un paio arrivati fino alla Corte Suprema – presentati di fronte alla Giustizia dal team legale di Donald Trump, guidato da uno dei più visibili ed esilaranti protagonisti della rappresentazione: l’ex sindaco di New York, Rudy Giuliani. Oltre sessanta e tutti – con una sola ed ininfluente eccezione – respinti dalle più varie corti (molte presiedute da giudici che lo stesso Trump aveva nominato) con le più varie motivazioni. Varie, ma tutte facilmente riassumibili nella seguente frase: non fateci perder tempo con queste buffonate.

Tutta la campagna anti-frode di Trump-Giuliani ha avuto, in clownesco crescendo, un semplicissimo e grottesco meccanismo “circolare”, basato, in prima istanza, su denunce di frode che, per la loro totale assenza di merito (o perché già ampiamente dimostrate false), neppure potevano essere esaminate dalla giustizia. E in seconda istanza sulla indignata lamentela per il fatto che la giustizia, parte d’una cosmica congiura, quelle denunce si fosse rifiutata di giudicare nel merito. Questo è stato il canovaccio, il comico tormentone seguendo il quale si è giunti, infine, al gran finale dell’assalto al Congresso. E davvero splendidi sono stati – in termini di sceneggiatura, ambientazione e recitazione – i siparietti lungo i quali s’è dipanata la tragicommedia.

Molti ricorderanno. Tutto era cominciato con una conferenza stampa convocata per errore, non nei lussuosi saloni del Four Season Hotel di Filadelfia, ma alla periferia della città, giusto tra un porno-shop ed una impresa di pompe funebri, nel parcheggio del Four Season Total Landscaping, un negozio di giardinaggio. E tutto, frottola dopo frottola, disfatta legale dopo disfatta legale, era finito (o era ricominciato, dato che, per l’appunto, tutto in questa vicenda è “circolare”) con un un’altra conferenza stampa dalle cronache subito ferocemente archiviata come “la conferenza dello scioglimento (melt down) di Rudy Giuliani”. Perché scioglimento? Perché nel momento cruciale della sua filippica anti-frode, Giuliani era davvero parso liquefarsi di fronte alle telecamere, allorquando un rivolo nerastro – presumibilmente la tintura per capelli – aveva cominciato, discendendo implacabile dalle basette, a rigargli le due guance.

Per quanto del tutto correttamente descritto – riecheggiando quel che Franklin Delano Roosevelt disse dopo Pearl Harbour – come “a day that will live in infamy”, un giorno destinato ad esser ricordato come un’infamia, l’assalto al Congresso non è stato, in fondo, che l’ultima scena, in ordine di tempo, di questa farsesca rappresentazione. Uno spettacolo, in realtà, molto più volgare che sovversivo del quale nella memoria storica probabilmente resteranno – come nel caso del “melt down” di Giuliani – soltanto le immagini più triviali.

Nel caso specifico: quella di Richard Barnett, il sessantenne miliziano trumpista fotografato spaparanzato nell’ufficio della presidente della House of Representatives, la democratica Nancy Pelosi, mentre, con gli stivaloni poggiati sulla scrivania, mostra al mondo un biglietto (da lui vergato) che elegantemente dice: “Nancy, Bigo (il proprio soprannome, nda) was here, you bitch”. Bigo è stato qui, cagna.

Bigo è stato qui. E qui resterà, perché tra due settimane, su questo non ci piove, Donald Trump lascerà la Casa Bianca, ma il trumpismo – un virus le cui origini sono molto più antiche di Trump – continuerà a scorrere nelle vene d’una democrazia in crisi. Pressoché l’intero partito repubblicano ha, fino al “bivacco di manipoli” consumatosi ieri, accompagnato Trump nel suo grottesco assalto alla democrazia. E i sondaggi dicono che il 39 per cento degli americani (e l’80 per cento della base repubblicana) credono alla storia della frode.

Tutto è ridicolo in questa storia. E, proprio per questo, non c’è assolutamente nulla da ridere.

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