venerdì 12 marzo 2021

AstraZeneca, l’Aifa vieta un lotto in Italia. Draghi chiama Von der Leyen. - Nicola Barone

Per Bruxelles «nessuna evidenza di un nesso tra i casi di trombosi registrati in Europa e la somministrazione del vaccino». Sequestri del Nas.

I carabinieri del Nas stanno sequestrando in tutta i Italia dosi del lotto ABV2856 del vaccino anti Covid prodotto da AstraZeneca, per il quale l’Agenzia italiana del farmaco Aifa ha disposto in via precauzionale il divieto di utilizzo sul territorio nazionale, dopo la segnalazione di alcuni eventi avversi gravi in concomitanza temporale con la somministrazione. L’uso del vaccino è stato sospeso cautelativamente in Danimarca, Norvegia e Islanda.

Draghi sente Von der Leyen, nessuna evidenza del nesso

Il premier Mario Draghi ha avuto un colloquio telefonico con la presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen. Dalla conversazione, secondo quanto riferiscono fonti di Palazzo Chigi, è emerso che «non c’è alcuna evidenza di un nesso tra i casi di trombosi registrati in Europa e la somministrazione del vaccino Astrazeneca». Von der Leyen ha comunicato che l’Ema ha avviato un’ulteriore review accelerata.

Ema: i benefici restano superiori a rischi.

«I benefici del vaccino attualmente superano ancora i rischi». È quanto dichiara l’Agenzia europea del farmaco Ema in riferimento al prodotto scudo di AstraZeneca, sotto i riflettori da quando alcuni casi di trombosi sono stati segnalati dopo la somministrazione in diversi Paesi europei. «Il comitato di valutazione rischi Prac dell’Ema sta indagando su questi casi», spiega l’autorità Ue in un aggiornamento, intervenendo anche in merito alla decisione della Danimarca di sospendere la campagna di immunizzazione con il vaccino AstraZeneca. Una decisione «precauzionale mentre è in corso un’indagine completa sulle segnalazioni di coaguli di sangue nelle persone che hanno ricevuto il vaccino, incluso un caso in Danimarca in cui una persona è morta». Anche altri Stati europei hanno deciso uno stop.

L’azienda: da dieci milioni di somministrazioni nessuna prova

In una nota la stessa azienda anglo-svedese esclude un legame con i casi sospetti sotto osservazione. «Da un'analisi dei nostri dati di sicurezza su oltre dieci milioni di somministrazioni non è emersa alcuna prova di un aumento del rischio di embolia polmonare o trombosi venosa profonda in qualsiasi gruppo di età, sesso, lotto o in qualsiasi Paese in cui è stato utilizzato il vaccino AstraZeneca contro Covid-19».

Si indaga su due morti sospette in Sicilia.

In Sicilia esplode il caso delle morti sospette di un poliziotto e di un militare subito dopo la somministrazione della prima dose del vaccino Astra Zeneca il cui lotto è stato sequestrato su decisione della magistratura. Due inchieste sono state aperte dalle Procura di Siracusa e Catania. Sono una decina le persone che la Procura di Siracusa ha iscritto nel registro degli indagati per la morte di Stefano Paternò, 43 anni, sottufficiale della Marina militare ad Augusta, morto ieri mattina per un arresto cardiaco nella sua abitazione. Il giorno prima si era sottoposto alla prima dose di vaccino dello stesso lotto di cui oggi l’Aifa ha chiesto il sequestro. Il procuratore capo Sabrina Gambino c ha iscritto tutta la catena di distribuzione del vaccino dalla società AstraZeneca che lo produce, fino al personale sanitario dell’ospedale militare che si è occupato dell’inoculazione. L’accusa per tutti è di omicidio colposo.

https://www.ilsole24ore.com/art/astrazeneca-l-aifa-vieta-lotto-italia-draghi-chiama-von-der-leyen-ADRoMYPB

I “re” delle scommesse: società, ristoranti e ville sotto sequestro. - Riccardo Lo verso

 

Uomini d'oro a disposizione di diversi mandamenti mafiosi di Palermo. I beni valgono 5 milioni.

PALERMO – Con gli incassi delle agenzie di scommesse Salvatore Rubino si era concesso il lusso di una bella villa a Favignana. Ora la villa e altri beni, il cui valore viene stimato in cinque milioni di euro, finiscono sotto sequestro. Secondo la Direzione distrettuale antimafia di Palermo, sarebbero stati accumulati grazie ai soldi sporchi.

Il provvedimento di sequestro, firmato dal giudice per le indagini preliminari Walter Turturici, si basa sulle indagini dei finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Palermo.

Il video dell’operazione della guardia di finanza

L’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Salvo De Luca e dai sostituti Amelia Luise e Dario Scaletta, è il seguito del blitz denominato “All in” che poco meno di un anno fece emergere il grande affare dei boss della scommesse. Erano riusciti a ottenere le licenze di gioco dai Monopoli di Stato per aprire decine di agenzie. Accanto al gioco tracciato scorreva un fiume di puntate in nero. Nel corso delle indagine è venuto a galla un volume di affari da 2,5 milioni di euro al mese, oltre cento milioni di scommesse.

Il provvedimento di sequestro raggiunge non solo Rubino, ma anche Francesco Paolo Maniscalco, già condannato per mafia e uomo dai mille interessi economici fra Palermo e Roma, Vincenzo Fiore e Christian Tortora.

Maniscalco faceva parte del commando che la notte del 13 agosto 1991 ripulì il Monte dei Pegni della Sicilcassa a Palermo. Fu un colpo miliardario. Leggi: “Cosa Nostra rubò l’oro dei poveri”.

Tra i beni sequestrati anche imprese e quote di capitale di 10 società, con sede nelle province di Roma, Salerno e Palermo che gestiscono agenzie di scommesse, ma anche imprese di logistica e servizi. Ci sono pure le quote di un noto ristorante palermitano in cui aveva investito Maniscalco, una gelateria-yougurteria, immobili e macchine. Maniscalco e Rubino avrebbero messo a disposizione di diversi mandamenti mafiosi della città di Palermo la loro rete di agenzie per ripulire denaro di provenienza illecita.

L’indagine patrimoniale ha incrociato le risultanze investigative con i dati patrimoniali. Utilizzando il software “Molecola” in dotazione alla finanza si è scoperto che gli indagati e i rispettivi nuclei familiari, nell’ultimo decennio, non avevano dichiarato redditi leciti o altre forme di finanziamento che potessero giustificare le spese e gli acquisti sostenuti nel tempo.

Il colonnello Gianluca Angelini, comandante del nucleo di polizia economico finanziaria di Palermo spiega: “I sequestri di oggi rappresentano il completamento sotto il profilo economico patrimoniale di una lunga indagine. Il nostro obiettivo è come sempre quello di sottrarre ai criminali ogni beneficio economico derivante dalle condotte delittuose, andando a individuare tutti i beni acquisiti nel tempo. I patrimoni illecitamente accumulati devono essere tolti ai criminali e messi a disposizione della collettività, per sostenere i cittadini onesti e il tessuto economico sano del nostro territorio”.

Oggi il Cdm sulla nuova stretta, 16 regioni verso il rosso.

 

Zaia, siamo sul filo del rasoio. Assessore in Emilia Romagna: mi aspetto tutta la regione rossa. E tutta Italia è sempre più rossa nella mappa Ecdc.

Dovrebbe svolgersi domattina alle 9.30 un incontro tra il governo e le Regioni sulle nuove misure anti-contagio. E' stata poi convocata per le 11.30 la riunione del Consiglio dei ministri sulle nuove misure per il contrasto al Covid. Alle 15 invece è atteso l'intervento del premier Mario Draghi al centro vaccinale di Fiumicino.

Diverse le regioni che rischiano la stretta. Il Piemonte si avvia verso la zona rossa.

L'Istituto Superiore di Sanità, in attesa del pre report che non è ancora arrivato, ha comunicato alla Regione il dato dell'Rt, che è salito all'1,41. Lo ha reso noto il governatore Alberto Cirio oggi a Cuneo per la tappa del tour di ascolto e condivisone del territorio sulla programmazione dei fondi europei 2021-2027 e sul Recovery Plan.
In base alle ultime disposizioni, una regione passa in zona rossa quando l'indice del contagio, appunto l'Rt, supera l'1,25.

"Per quanto riguarda la classificazione siamo sul filo del rasoio tra arancione e rosso, come molte altre regioni, risetto ai numeri". Lo dice il Presidente del Veneto Luca Zaia, ricordando che la zona rossa scatta con un Rt a 1.25.

Friuli Venezia Giulia verso zona rossa - Il Friuli Venezia Giulia dovrebbe passare in zona rossa da lunedì in base ai parametri che ufficialmente verranno resi noti nelle prossime ore, dei quali sono filtrate alcune indiscrezioni. Infatti il Friuli Venezia Giulia mostrerebbe dei dati che fanno scattare le misure previste per la zona rossa. Tra questi figurerebbe un indice Rt intorno a 1,3.

Lazio possibile zona rossa - "Il valore RT è a 1.3 la zona rossa è possibile per il superamento del valore 1.25, anche se l'incidenza è sotto soglia e anche i tassi di occupazione dei posti letto sono entro la soglia di allerta". Così l'assessore regionale alla Sanità Alessio D'Amato

Assessore Emilia-Romagna, mi aspetto la regione tutta zona rossa - "Con i dati che stanno emergendo" che passi tutta la regione in zona rossa "è nelle cose". Lo ha spiegato l'assessore regionale alla Salute in Emilia-Romagna Raffaele Donini, a Timeline su Skytg24, ricordando i provvedimenti regionali che hanno già aumentato le restrizioni per Modena, Bologna e la Romagna, mentre il resto delle province è ancora arancione, a parte Reggio Emilia che è arancione scuro. "L'incidenza dei casi è sopra 250 per 100mila abitanti per settimana e nei reparti abbiamo una saturazione al 45% in terapia intensiva e 49% nei reparti covid".

Italia sempre più rossa nelle mappe Ecdc - Campania, Marche e Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna e province autonome di Trento e Bolzano sono le aree colorate in rosso scuro nella mappa aggiornata del Centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie (Ecdc). La settimana scorsa le aree a più alta incidenza Covid in Italia erano le province autonome e l'Emilia Romagna. Nel resto d'Europa la situazione continua a migliorare nella Penisola iberica, in Irlanda e Danimarca, peggiora in Ungheria e nel nord della Polonia.

https://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2021/03/11/covid-rt-piemonte-141-regione-verso-zona-rossa-_db3aa626-04ca-4a59-8c74-8ba3fb5abedd.htmlF

giovedì 11 marzo 2021

La mossa di Letta segretario: un centrosinistra con Conte. - Wanda Marra

 

Continua a fare il lavoro che si è costruito in questi anni a Sciences Po, a Parigi, Enrico Letta, mentre passano le 48 ore che si è dato per sciogliere la riserva, per decidere se accettare la guida del Pd. Anche se lui ancora non si sbilancia, il sì sembra quasi scontato: troppa la voglia di tornare alla vita politica, troppo appassionante la sfida.

Anche per uno che ha dovuto e voluto “disintossicarsi” rispetto agli effetti collaterali di quella che di base è una passione bruciante. Dunque, le 48 ore sembrano necessarie più che altro a costruire le condizioni politiche per la sua segreteria. La garanzia che Letta sta cercando si riassume nella formula “mandato pieno”. Che significa niente data di scadenza, niente congresso ravvicinato. Ed è proprio su questo punto che chi non può dire di no, si organizza per cercare di contrastarlo. E dunque, la richiesta di un congresso entro l’autunno arriva da Base Riformista, ma pure dai Giovani Turchi di Matteo Orfini, mentre un confronto vero lo chiede Goffredo Bettini. Sempre da Br arriva l’istanza di una donna vice. Se qualcuno volesse preparare un trappolone, partirebbe da qui. Se invece sa di non riuscirci, prova a garantirsi la presenza nella stanza dei bottoni quando si fanno le liste. In realtà è molto più forte la spinta per il sì che arriva dalla maggioranza. Nicola Zingaretti sta portando su Letta anche i più refrattari tra i suoi: ne considererebbe l’elezione un suo capolavoro politico, con scacco matto finale a Renzi. Dario Franceschini garantisce i numeri. Alcuni, come Enzo Amendola che ha con lui un dialogo costante sull’Europa, sono francamente entusiasti. Andrea Orlando non si mette di traverso. Paolo Gentiloni benedice. Roberto Gualtieri approva. Ieri è arrivato il sì dei sindaci, a partire da Dario Nardella, e quello del candidato ombra, il governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini. Magari alla fine sarà un’elezione non all’unanimità, ma a maggioranza larga. La costruzione dell’operazione passa per l’interlocuzione con vari capi corrente.

La convinzione più diffusa nel Pd è che a Letta non si possa dire di no. Al netto dello standing, è piuttosto complicato politicamente: gli ex renziani non possono accusarlo di voler rifare la “Ditta”, lui un cattolico democratico, nato nella Dc. E da sinistra non possono attribuirgli spinte centriste. Un programma definito ancora non c’è, ma Letta crede nello schema del centrosinistra fino a Conte. Anche l’allargamento del Pd è nelle sue corde: non è da escludere che riporti dentro gli ex “compagni” di LeU.

Hanno contato anche gli anni fuori dalla politica attiva. Tante le sue prese di posizione per certi versi innovative rispetto al suo stesso profilo: ha definito giusto il Reddito di cittadinanza, pur dicendo che andava fatto meglio, come si è speso per il sì al taglio dei parlamentari. Dietro c’è anche un lavoro di studio sulla democrazia moderna. Per cui, su alcune forme di democrazia deliberativa si trova d’accordo con il Grillo delle origini. Così come sull’ecologismo integrale di Papa Francesco, sulla necessità di una sostenibilità ambientale e sociale. Nella sua biografia c’è anche quell’incarico mancato a presidente del Consiglio europeo: il veto arrivò da Matteo Renzi (dopo averlo defenestrato da Palazzo Chigi). L’agenda Letta – che comprendeva, in tempi meno caldi di questi, il superamento del principio di unanimità nelle decisioni sulle politiche fiscali della zona euro – è compatibile con quella del governo Draghi. Ministero della Transizione ecologica e interlocuzione “alla pari” con l’Europa compresi. Che poi tutto ciò l’ex premier riesca a realizzarlo è da vedere. Tra i suoi più sfegatati supporter di queste ore c’è chi ricorda che sul congresso non bisogna decidere adesso.

Tra i dem, l’affondamento è sempre dietro l’angolo.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/11/la-mossa-di-letta-segretario-un-centrosinistra-con-conte/6129493/

La “vittoria” di Renzi: i suoi arcinemici a capo di Dem e M5S. - Fabrizio d'Esposito

 

Tre ex premier capi di partito. E lui, Matteo Renzi, è quello che ce l’ha più piccolo. Al punto che il professore Enrico Letta, il 15 gennaio scorso, dettò da Parigi parole affilate sulla crisi provocata dagli italoviventi in odio a un altro docente, l’avvocato Giuseppe Conte: “Trovo incomprensibile e incredibile che l’Italia e in parte anche l’Europa debbano andare dietro le follie di una sola persona. Oggi è il capo di una cosa che è più piccola del Psdi”. Che affronto: Renzi che vale meno di Longo o Cariglia, senza offesa per i padri del sol nascente, simbolo del vecchio Psdi.

Era sempre metà gennaio, ma di sette anni prima, quando invece il Rottamatore era capo del Pd. E in tv da Daria Bignardi sillabò quello che è diventato uno dei più citati avvisi di sfratto in politica: “Enrico stai sereno”. A Palazzo Chigi c’era infatti Enrico Letta, presidente del Consiglio di un governo di larghe intese. Un mese dopo, il 14 febbraio, non c’era più. Sostituito da Renzi, of course.

Accade ora che i due premier fatti fuori dal Cariglia di Italia Viva siano pronti per diventare leader dei due partiti principali dell’alleanza giallorossa che fu: Letta nel Pd, Conte nel Movimento Cinque Stelle.

E pensare che nei giorni cruenti della crisi del Conte II, Renzi spiegava felice e ghignante ai suoi interlocutori il decisivo corollario del veniente governo di Mario Draghi: disarticolare, meglio far implodere sia i democratici sia i pentastellati. Disegno riuscito ma che adesso rischia di trasfigurarsi in una vittoria di Pirro per il senatore del Rinascimento arabo. Ché proprio le sue due vittime più illustri – Letta nel 2014 e Conte nel gennaio scorso – adesso si ritroveranno insieme contro di lui. Un capolavoro, sul serio.

Dell’inimicizia, chiamiamola così, di Letta con Renzi il quadro principale raffigura la scena della campanella tra i due a Palazzo Chigi, il 22 febbraio di quel fatidico e infausto Quattordici. Il premier uscente guardava altrove, tutto tranne che il premier entrante, e rispettò un distanziamento ante litteram. Fu un passaggio veloce, glaciale, con Letta disgustato che consegnava a Renzi il simbolo delle riunioni del consiglio dei ministri. La campanella, appunto. E il disgusto è il sentimento che meglio esprime la considerazione lettiana per il capetto degli italoviventi. Renzi, per esempio, si è spesso difeso dalle accuse di golpe nel 2014 (anche lui era un premier non parlamentare) e Letta una volta rispose: “Il silenzio esprime meglio il disgusto e mantiene meglio le distanze. Da tempo ho deciso di guardare avanti”.

Sette anni dopo la storia si è ripetuta tragicamente con il secondo governo di Giuseppe Conte. E anche stavolta Letta non ha mancato di fare la sua diagnosi spietata all’ex sindaco di Firenze: “Già a febbraio dell’anno scorso Renzi stava facendo cadere il governo Conte e la crisi fu impedita dall’arrivo del Covid a Codogno. Questa è la storia, la dimostrazione del fatto che le sue critiche al Recovery sono strumentali“.

Ancora: “Nelle elezioni del 2018 ha fatto lui le liste elettorali del Pd. Si tratta di un potere inerziale di interdizione, con il quale ha messo in ginocchio la politica italiana e ci fa fare nel mondo la figura del solito Paese inaffidabile, pizza, spaghetti, mandolino”.

Da par suo lo stesso Conte custodisce e coltiva sentimenti uguali a quelle di Letta. Quando il Cariglia di Rignano ha aperto la crisi, l’avvocato con genuina indignazione fece sapere: “Mai più con Italia Viva”. E quando poi venne costretto dal Colle e da Zingaretti a un mezzo passo indietro per tentare di ricucire, Conte si rifiutò comunque di pronunciare il nome del traditore dal due per cento nei sondaggi.

Per tutto questo oggi Matteo Renzi è il politico meno amato (o più odiato) del Paese, senza più alcun futuro di grandezza. E il disgusto per lui dei due probabili leader di Pd e M5S è la risposta migliore alla serenità che l’ex Rottamatore offre ciclicamente.

ttps://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/11/la-vittoria-di-renzi-i-suoi-arcinemici-a-capo-di-dem-e-m5s/6129495/

Vaccino Covid ed effetti collaterali: AstraZeneca fa venire la febbre dopo la prima dose? E gli altri? - Laura Cuppini

 

A molti di noi capita di parlare con qualcuno che si è vaccinato contro Covid.

Ed è frequente sentirsi dire che dopo la prima dose di Pfizer o Moderna non ci sono stati problemi, mentre con AstraZeneca è andata peggio: febbre e dolori, soprattutto il giorno dopo. Tanto che si sta diffondendo l’idea di prendere uno o due giorni di malattia dopo la data fissata per la vaccinazione con AstraZeneca. E c’è purtroppo chi rifiuta tout court il vaccino AstraZeneca. Non solo: la «vulgata comune» vuole anche che i vaccini a mRna (Pfizer e Moderna) causino reazioni avverse (sempre lievi e facilmente trattabili) dopo la seconda dose. Per quanto riguarda AstraZeneca, in Italia probabilmente nessuno sa cosa succede dopo il richiamo, dato che va fatto dopo 3 mesi.

Quanto c’è di vero in queste «voci»?

La premessa — necessaria e fondamentale — è che si tratta per lo più di effetti collaterali comuni a tutti i vaccini, in misura minore o maggiore, che non devono preoccupare. Nella stragrande maggioranza dei casi è sufficiente stare a riposo e assumere paracetamolo.

Il documento dell’Aifa.

Ci aiuta a fare chiarezza un report appena pubblicato dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), il secondo «Rapporto sulla Sorveglianza dei vaccini Covid-19» (dati dal 27/12/2020 al 26/2/2021), che conferma l’elevato profilo di sicurezza dei vaccini attualmente usati in Italia e in Europa.

Dunque, da fine dicembre (somministrazione dei primi vaccini) a fine febbraio ci sono state 729 segnalazioni di eventi avversi ogni 100mila dosi somministrate, indipendentemente da tipo di vaccino.
Le segnalazioni riguardano soprattutto il vaccino Pfizer/BioNTech «Comirnaty» (96%), che è stato il più utilizzato, e solo in minor misura il vaccino Moderna (1%) e il vaccino AstraZeneca (3%).
Si tratta per lo più di eventi avversi non gravi: febbre, cefalea, dolori muscolari/articolari, dolore in sede di iniezione, brividi e nausea.
La febbre è stata segnalata con maggior frequenza dopo la seconda dose rispetto alla prima, seguita da cefalea e astenia. I minori tassi di segnalazione dei vaccini Moderna e AstraZeneca rispetto a Comirnaty sono attribuibili al minore o più recente utilizzo, pertanto — sottolinea Aifa nel rapporto — andranno monitorati nel tempo.
Gli eventi (febbre, mal di testa, dolori, brividi, nausea) insorgono prevalentemente lo stesso giorno della vaccinazione o il giorno successivo.
In termini assoluti, fino al 26 febbraio, sono state complessivamente inserite nella Rete nazionale di farmacovigilanza 30.015 segnalazioni, su un totale di 4.118.277 dosi somministrate per tutti i vaccini. Il tasso di segnalazione è di 907/100.000 dosi per le donne e di 424/100.000 per gli uomini. L’età media delle persone che hanno avuto effetti indesiderati è di 46 anni.
Le segnalazioni gravi sono il 6,1% del totale, con un tasso di 44 eventi gravi ogni 100mila dosi somministrate. La valutazione del ruolo causale dei vaccini in queste segnalazioni è in corso e richiede un approfondimento specifico per ogni singolo caso.


Pfizer, Moderna e AstraZeneca.

Per quanto riguarda Comirnaty (Pfizer), la maggior parte degli effetti indesiderati è riferita a febbre (soprattutto dopo la seconda dose), dolore in sede di iniezione, astenia/stanchezza e brividi, classificati come non gravi nel 95% dei casi. Seguono in ordine di frequenza cefalea e parestesia, dolori muscolari e articolari diffusi, nausea e diarrea. Complessivamente sono presenti 1.700 segnalazioni gravi relative al vaccino Comirnaty: febbre alta, cefalea intensa, dolori muscolari/articolari diffusi e astenia, reazioni di tipo allergico, linfoadenopatia, parestesia, tachicardia, crisi ipertensiva e paralisi facciale.

Le segnalazioni relative a Moderna riguardano febbre, astenia/stanchezza e dolore in sede di iniezione, per il 94% non gravi. Seguono dolori muscolari e articolari diffusi, mal di testa, nausea e vomito. In 32 schede di segnalazione relative al vaccino Moderna sono riportati eventi avversi considerati gravi: febbre alta, mialgie ed artralgie diffuse.


AstrZeneca provoca febbre?

Anche per AstraZeneca la maggior parte degli eventi riguarda febbre, brividi, astenia/stanchezza e dolore in sede di iniezione. Il 90% di queste segnalazioni sono classificate come non gravi. Seguono dolori muscolari e articolari diffusi, mal di testa, nausea e vomito. Per le seconde dosi del vaccino AstraZeneca (previste dopo 12 settimane dalle prime) non è possibile fare valutazioni in quanto non sono ancora state somministrate. La maggior parte delle 79 segnalazioni di eventi avversi gravi si riferisce a febbre alta, tremore, vertigine, sudorazione eccessiva, sonnolenza, difficoltà di respirazione, dolore generalizzato.


Anafilassi e fallimento vaccinale.

Al 26 febbraio 2021 sono state inserite 40 segnalazioni con esito «decesso». Le valutazioni dei casi indicano l’assenza di responsabilità del vaccino perché si tratta di persone che presentavano patologie pregresse e che assumevano più farmaci contestualmente. L’età media dei casi ad esito fatale è di 86 anni.


Non ci sono casi di decesso a seguito di shock anafilattico o reazioni allergiche importanti.

Molto spesso il decesso è legato a cause cardiovascolari in pazienti che avevano patologie cardiovascolari di base. L’anafilassi da vaccino è un evento grave, potenzialmente pericoloso per la vita e raro, che si presenta in media con la frequenza di circa 1 caso per milione, con sintomi che compaiono rapidamente a carico delle vie respiratorie o dell’apparato cardio-circolatorio, molto spesso associate a sintomi a carico della cute e delle mucose. Con l’introduzione dei nuovi vaccini contro Covid, come atteso, sono emersi alcuni casi di anafilassi. Attualmente, in base ai dati statunitensi pubblicati, il tasso di segnalazione per i vaccini a mRna è risultato di 4,7 casi di anafilassi ogni milione di dosi somministrate per il vaccino Pfizer e 2,5 casi ogni milione di dosi per il vaccino Moderna, la maggior parte dei quali si sono verificati dopo la prima dose, entro 30 minuti dalla somministrazione, quasi totalmente nel sesso femminile e nella maggior parte dei casi, in persone con storia di allergie o reazioni allergiche ad altre sostanze o precedenti di anafilassi. Il principale imputato è stato il polietilenglicole (PEG), denominato anche macrogol, una delle componenti presenti nei lipidi che avvolgono l’mRna.


Tutte le persone vaccinate devono restare in osservazione per almeno 15 minuti dopo la vaccinazione, ma in presenza di fattori di rischio per reazioni allergiche gravi devono essere osservate per un tempo maggiore (60 minuti). Da fine dicembre a fine febbraio sono state inserite 25 segnalazioni di casi di shock/reazione anafilattico/anafilattoide, tutte relative al vaccino Comirnaty. Al momento non sono state inserite segnalazioni di anafilassi/shock anafilattico ai vaccini Moderna e AstraZeneca, verosimilmente in relazione al limitato numero di dosi somministrate.


Ci sono inoltre 20 segnalazioni riferibili a una possibile mancanza di efficacia della vaccinazione, tutte successive alla somministrazione di due dosi del vaccino Comirnaty. Si parla di fallimento vaccinale quando una vaccinazione completa e appropriata non comporta una risposta immunitaria adeguata (fallimento vaccinale immunologico) o non protegge dalla malattia che intende prevenire (fallimento vaccinale clinico),


Bassetti: no ai farmaci prima del vaccino.

C’è chi, prima di ricevere il vaccino AstraZeneca, prende dei farmaci sperando di evitare di ammalarsi. Un comportamento indifendibile, secondo Matteo Bassetti, direttore dell’Unità di Malattie infettive all’Ospedale San Martino di Genova: «È sbagliato prendere un farmaco in profilassi per evitare che un effetto avvenga, se questo effetto avviene in una percentuale ridotta di casi. Può avere un senso utilizzare il paracetamolo, così come l’ibuprofene, l’aspirina o altro, nel momento in cui ci sono degli effetti collaterali, ma assumerlo prima che ragione ha? In questo modo rischiamo di trattare molte più persone di quante realmente ne abbiano bisogno».


https://www.corriere.it/salute/muscoli-ossa-articolazioni/21_marzo_10/vaccini-covid-ed-effetti-collaterali-astrazeneca-fa-venire-febbre-25659b58-8032-11eb-a06c-fddde4eb7de2.shtml?cx_testId=11&cx_testVariant=cx_1&cx_artPos=0#cxrecs_s

Bancarotta delle cooperative, i genitori di Renzi a processo. - Valeria Pacelli

 

Non solo Consip per T. - Padre e madre di Matteo in aula il 1° giugno.

Il 1º giugno, i genitori di Matteo Renzi si ritroveranno ad affrontare un nuovo processo. Quello che li vedrà imputati a Firenze con l’accusa di bancarotta fraudolenta di tre cooperative di cui, secondo i magistrati, Laura Bovoli e Tiziano Renzi sono stati, ma per anni passati, amministratori di fatto. Il decreto che dispone il rinvio a giudizio è stato emesso ieri mattina dal giudice dell’udienza preliminare, Giampaolo Boninsegna. È l’epilogo di un’inchiesta che a febbraio del 2019 portò Renzi senior e la moglie agli arresti domiciliari (misura revocata dal Tribunale del Riesame dopo 18 giorni).

Ieri il gup ha disposto il processo anche per altri 14 imputati, tra legali rappresentanti delle coop, componenti dei cda e imprenditori. E durante l’udienza preliminare, ha patteggiato una pena a 6 mesi di reclusione l’imprenditore ligure Mariano Massone, accusato di bancarotta fraudolenta.

Al centro del processo dunque ci sono tre cooperative: la “Delivery Service”, la “Europe Service” e la “Marmodiv”. Secondo la Procura – come ha ricostruito il pm Luca Turco nella memoria depositata in udienza preliminare – si tratta di “società cooperative” che “sono state costituite essenzialmente per consentire alla srl ‘Chil Post/Eventi6’ di avere a disposizione manodopera, senza essere gravata di oneri previdenziali ed erariali, tutti spostati in capo alle cooperative stesse”. “Il modus operandi adottato da Tiziano Renzi e Laura Bovoli – si legge ancora nella memoria del pm – (…) è consistito nel costituire e nell’avvalersi” delle tre cooperative, “sorte in successione temporale e ciascuna destinata all’abbandono con il proprio carico debitorio, non appena raggiunto uno stato di difficoltà economica, sostituita da una nuova cooperativa, all’uopo costituita”.

Ma vediamo quali sono le accuse mosse dalla Procura.

La bancarotta fraudolenta è il reato contestato anche ai coniugi Renzi e ad altri imputati: per quanto riguarda la Delivery Service, secondo l’impianto della Procura, con altri – tra cui Roberto Bargilli, l’autista del camper di Matteo Renzi per le primarie del 2012 e dal 2009 al 2010 componente nel Cda della cooperativa – “cagionavano il fallimento della società per effetto di operazione dolosa consistita nell’aver omesso sistematicamente di versare gli oneri previdenziali e le imposte”. Nel caso della Europe Service, dichiarata fallita nel 2018, invece, per l’accusa i Renzi con altri, “sottraevano, con lo scopo di procurarsi un ingiusto profitto e di recare pregiudizio ai creditori, i libri e altre scritture contabili”. In entrambe le cooperative il padre e la madre di Matteo Renzi sono ritenuti, ma per gli anni passati, amministratori di fatto.

C’è poi il capitolo Marmodiv, dichiarata fallita nel marzo 2019. In questo caso ai genitori dell’ex premier è stata contestata la dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture per operazioni inesistenti e poi l’emissione di fatture per operazioni inesistenti per “consentire alla srl ‘Eventi6’ l’evasione delle imposte sui redditi”. Inoltre, secondo i pm, Renzi, Bovoli, Giuseppe Mincuzzi (presidente del Cda della Marmodiv dal 2016 al 2018) e Daniele Goglio (“amministratore di fatto dal 15 marzo 2018”) “concorrevano a cagionare il dissesto” della Marmodiv “esponendo, al fine di conseguire un ingiusto profitto, nel bilancio di esercizio al dicembre 2017, (…) nell’attivo patrimoniale, crediti per ‘fatture da emettere’ non corrispondenti al vero” per più di 370 mila euro.

E questo è il quadro accusatorio, che la difesa dei Renzi ritiene completamente infondato. “La decisione del gup era attesa visto il tipo di vaglio a cui questo è chiamato per legge – hanno affermato ieri i legali dei genitori dell’ex premier –. È però emersa già dalle carte la prova della infondatezza del castello accusatorio, il cui accertamento necessariamente dovrà avvenire in dibattimento. Confidiamo quindi di poter confutare la tesi inquisitoria in tale sede”.

Quello che dunque inizierà il 1º giugno non è l’unico processo che Tiziano Renzi e Laura Bovoli dovranno affrontare. Dovrà essere infatti discusso in Appello un altro processo in cui sono imputati: nell’ottobre del 2019 entrambi sono stati condannati a un anno e nove mesi di reclusione. L’accusa è di aver emesso tramite due società – la Eventi6 e la Party Srl – due fatture per operazioni inesistenti. Sentenza contro la quale i legali dei Renzi hanno fatto ricorso.

Il solo Tiziano Renzi ha poi un’altra grana giudiziaria da risolvere, stavolta a Roma. Il 26 aprile si terrà l’udienza preliminare di uno dei filoni dell’inchiesta Consip. Il padre del leader di Italia Viva, è accusato di traffico di influenze e turbativa d’asta in merito a due gare: l’appalto Fm4 indetto da Consip (del valore 2,7 miliardi di euro) e la gara per i servizi di pulizia bandita da Grandi Stazioni.

Per Tiziano Renzi la Procura aveva chiesto l’archiviazione, respinta dal gip. In primavera si saprà se nella Capitale il “babbo” sarà prosciolto o dovrà affrontare un processo. Come a Firenze.

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