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giovedì 11 marzo 2021

Bancarotta delle cooperative, i genitori di Renzi a processo. - Valeria Pacelli

 

Non solo Consip per T. - Padre e madre di Matteo in aula il 1° giugno.

Il 1º giugno, i genitori di Matteo Renzi si ritroveranno ad affrontare un nuovo processo. Quello che li vedrà imputati a Firenze con l’accusa di bancarotta fraudolenta di tre cooperative di cui, secondo i magistrati, Laura Bovoli e Tiziano Renzi sono stati, ma per anni passati, amministratori di fatto. Il decreto che dispone il rinvio a giudizio è stato emesso ieri mattina dal giudice dell’udienza preliminare, Giampaolo Boninsegna. È l’epilogo di un’inchiesta che a febbraio del 2019 portò Renzi senior e la moglie agli arresti domiciliari (misura revocata dal Tribunale del Riesame dopo 18 giorni).

Ieri il gup ha disposto il processo anche per altri 14 imputati, tra legali rappresentanti delle coop, componenti dei cda e imprenditori. E durante l’udienza preliminare, ha patteggiato una pena a 6 mesi di reclusione l’imprenditore ligure Mariano Massone, accusato di bancarotta fraudolenta.

Al centro del processo dunque ci sono tre cooperative: la “Delivery Service”, la “Europe Service” e la “Marmodiv”. Secondo la Procura – come ha ricostruito il pm Luca Turco nella memoria depositata in udienza preliminare – si tratta di “società cooperative” che “sono state costituite essenzialmente per consentire alla srl ‘Chil Post/Eventi6’ di avere a disposizione manodopera, senza essere gravata di oneri previdenziali ed erariali, tutti spostati in capo alle cooperative stesse”. “Il modus operandi adottato da Tiziano Renzi e Laura Bovoli – si legge ancora nella memoria del pm – (…) è consistito nel costituire e nell’avvalersi” delle tre cooperative, “sorte in successione temporale e ciascuna destinata all’abbandono con il proprio carico debitorio, non appena raggiunto uno stato di difficoltà economica, sostituita da una nuova cooperativa, all’uopo costituita”.

Ma vediamo quali sono le accuse mosse dalla Procura.

La bancarotta fraudolenta è il reato contestato anche ai coniugi Renzi e ad altri imputati: per quanto riguarda la Delivery Service, secondo l’impianto della Procura, con altri – tra cui Roberto Bargilli, l’autista del camper di Matteo Renzi per le primarie del 2012 e dal 2009 al 2010 componente nel Cda della cooperativa – “cagionavano il fallimento della società per effetto di operazione dolosa consistita nell’aver omesso sistematicamente di versare gli oneri previdenziali e le imposte”. Nel caso della Europe Service, dichiarata fallita nel 2018, invece, per l’accusa i Renzi con altri, “sottraevano, con lo scopo di procurarsi un ingiusto profitto e di recare pregiudizio ai creditori, i libri e altre scritture contabili”. In entrambe le cooperative il padre e la madre di Matteo Renzi sono ritenuti, ma per gli anni passati, amministratori di fatto.

C’è poi il capitolo Marmodiv, dichiarata fallita nel marzo 2019. In questo caso ai genitori dell’ex premier è stata contestata la dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture per operazioni inesistenti e poi l’emissione di fatture per operazioni inesistenti per “consentire alla srl ‘Eventi6’ l’evasione delle imposte sui redditi”. Inoltre, secondo i pm, Renzi, Bovoli, Giuseppe Mincuzzi (presidente del Cda della Marmodiv dal 2016 al 2018) e Daniele Goglio (“amministratore di fatto dal 15 marzo 2018”) “concorrevano a cagionare il dissesto” della Marmodiv “esponendo, al fine di conseguire un ingiusto profitto, nel bilancio di esercizio al dicembre 2017, (…) nell’attivo patrimoniale, crediti per ‘fatture da emettere’ non corrispondenti al vero” per più di 370 mila euro.

E questo è il quadro accusatorio, che la difesa dei Renzi ritiene completamente infondato. “La decisione del gup era attesa visto il tipo di vaglio a cui questo è chiamato per legge – hanno affermato ieri i legali dei genitori dell’ex premier –. È però emersa già dalle carte la prova della infondatezza del castello accusatorio, il cui accertamento necessariamente dovrà avvenire in dibattimento. Confidiamo quindi di poter confutare la tesi inquisitoria in tale sede”.

Quello che dunque inizierà il 1º giugno non è l’unico processo che Tiziano Renzi e Laura Bovoli dovranno affrontare. Dovrà essere infatti discusso in Appello un altro processo in cui sono imputati: nell’ottobre del 2019 entrambi sono stati condannati a un anno e nove mesi di reclusione. L’accusa è di aver emesso tramite due società – la Eventi6 e la Party Srl – due fatture per operazioni inesistenti. Sentenza contro la quale i legali dei Renzi hanno fatto ricorso.

Il solo Tiziano Renzi ha poi un’altra grana giudiziaria da risolvere, stavolta a Roma. Il 26 aprile si terrà l’udienza preliminare di uno dei filoni dell’inchiesta Consip. Il padre del leader di Italia Viva, è accusato di traffico di influenze e turbativa d’asta in merito a due gare: l’appalto Fm4 indetto da Consip (del valore 2,7 miliardi di euro) e la gara per i servizi di pulizia bandita da Grandi Stazioni.

Per Tiziano Renzi la Procura aveva chiesto l’archiviazione, respinta dal gip. In primavera si saprà se nella Capitale il “babbo” sarà prosciolto o dovrà affrontare un processo. Come a Firenze.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/11/bancarotta-delle-cooperative-i-genitori-di-renzi-a-processo/6129485/

giovedì 21 gennaio 2021

Cuneo, acquisite le mail di Renzi sr. - Marco Grasso

 

Laura Bovoli imputata. La madre di matteo accusata di bancarotta. Ieri l’udienza.

Il Tribunale di Cuneo ha acquisito alcuni scambi di email che collegano i genitori di Matteo Renzi alla Direkta srl, impresa al centro di un crac da quasi 2 milioni di euro. Direkta per diversi anni è stata subappaltante della Eventi 6, amministrata da Laura Bovoli, madre dell’ex premier, indagata per concorso in bancarotta fraudolenta. La corrispondenza è stata trasmessa alla Procura di Firenze, che indaga su altri fallimenti di aziende satellite dei Renzi. Il processo di Cuneo è entrato nel vivo e ieri i giudici hanno sentito alcuni testimoni ritenuti centrali: Mirko Provenzano, ex amministratore della Direkta, e la compagna Erika Conterno, entrambi già condannati e sentiti come testimoni assistiti. Al centro dell’attenzione dei giudici ci sono fatture che mostrano come le campagne pubblicitarie affidate alla Direkta, fossero “gonfiate”: “Fino al 70%” dei volantini stampati – ammette Provenzano – finivano al macero”. La sua azienda, in altre parole, “veniva pagata per 100, ma distribuiva 30”. Pratiche che, dice, erano “note ai clienti” (tra quelli citati Ipercoop Liguria). Sul perché accettassero tale pratica, l’imprenditore invita a chiedere altrove: “A questo non so rispondere”.

Dalla mancata distribuzione c’era ancora modo di ricavare qualcosa. “I soldi ottenuti dalla vendita al macero – domanda il pm Pier Attilio Spea – che fine facevano?”. La versione di Provenzano è che quel denaro veniva incamerato da Direkta. È a questo punto che il magistrato produce la corrispondenza: “Io ho mail che dicono il contrario”. La prima è datata 28 agosto 2013 e firmata da Bovoli: “Ti ricordo che questo è il quarto bilico di carta e non ci è stato riconosciuto ancora nulla”. In quello stesso periodo le fatture certificano carta consegnata al macero lombardo gestito dalla Maresca srl. Direkta (il cui fallimento è rappresentato dall’avvocato Vittorio Sommacal) versa già in grave condizioni, non riesce più a pagare le cooperative che distribuiscono i volantini che a loro volta salteranno in aria. L’11 settembre Erika Conterno propone ai Renzi di mettersi in diretto contatto con la Maresca srl. Le risponde Tiziano Renzi: “Per la carta preferiamo non apparire, per quanto riguarda il passato. Per il futuro, se non ritenete di continuare, provvederemo in altra maniera”.

Laura Bovoli è imputata per quello che agli occhi dell’accusa è un “favore” che al momento non trova spiegazione: su richiesta di Provenzano avrebbe modificato a posteriori le note di accompagnamento di alcune fatture, 80mila euro, trasformando costi concordati in penali per lavori svolti male. Una contestazione che avrebbe consentito a sua volta a Provenzano di ribaltare le accuse sulle cooperative. Il 3 febbraio saranno sentiti gli imputati. Laura Bovoli ha già fatto sapere che non ci sarà.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/21/cuneo-acquisite-le-mail-di-renzi-sr/6073174/#

domenica 21 giugno 2020

Embraco, “spese personali e auto di lusso coi fondi per gli operai”: così i vertici di Ventures hanno svuotato le casse invece di investire. - Giovanna Trinchella e Andrea Tundo

Embraco, “spese personali e auto di lusso coi fondi per gli operai”: così i vertici di Ventures hanno svuotato le casse invece di investire

Almeno 3 milioni di euro, sostiene la procura di Torino, sono stati usati per pagare finte consulenze d'oro a proprietari e manager della società, comprare 5 auto di lusso ed estinguere sofferenze bancarie personali. Così mentre buona parte dei 417 operai di Riva di Chieri restava in cassa integrazione e la fabbrica non è mai tornata operativa, i conti di Ventures sono stati prosciugati. Il "disegno criminoso" partito subito dopo il via libera del ministero dello Sviluppo Economico. Tibaldi (Fiom-Cgil) al Fatto.it: "Vicenda paradigmatica di come si fanno le reindustrializzazioni in Italia. Invitalia e Mise parlavano di piano grandioso".
robot per pulire i pannelli solari sono rimasti solo sulle slide del piano industriale, mentre i soldi che sarebbero dovuti servire per rilanciare l’ex Embraco e salvare i quasi 500 operai dal licenziamento finivano sui conti esteri dei manager di Ventures srl. Avevano iniziato pochi giorni dopo l’accodo firmato nel giugno di due anni fa con il gruppo Whirlpool per farsi carico della reindustrializzazione dello stabilimento di Riva di Chieri, nel Torinese, a fronte di 49mila euro di contributo per ogni dipendente assunto dopo l’annuncio della multinazionale di voler licenziare tutti e delocalizzare la produzione dei compressori per frigoriferi.
Almeno 3 milioni di euro dei 20 al centro dell’intesa, sostiene la procura di Torino, sono invece stati usati per pagare finte consulenze d’oro a proprietari e manager della società, comprare 5 tra Bmw Serie 5, Audi A4 e A6 ed estinguere sofferenze bancarie personali. Mentre buona parte dei 417 operai restava in cassa integrazione, la fabbrica non è mai tornata operativa e i conti di Ventures sono stati prosciugati. Tanto che il procuratore aggiunto di Torino Marco Gianoglio ha depositato istanza di fallimento sulla scorta di quanto ricostruito dagli uomini della Guardia di finanza guidati dal comandante provinciale Guido Mario Geremia.
E ora sono scattati sequestri e perquisizioni nei confronti dei 5 indagati in questa vicenda che racconta l’ennesimo fallimentare epilogo di una reindustrializzazione che dentro Invitalia e al ministero dello Sviluppo Economico, prima retto da Carlo Calenda e poi da Luigi Di Maio, davano tutti per risolta. Mentre Ronen Goldstein e Gaetano Di Bari brindavano di fronte ai fotografi e ora si ritrovano indagati per bancarotta per distrazione insieme a Carlo NosedaLuigi e Alessandra Di Bari.
Le 9 pagine del decreto di sequestro preventivo eseguito dai finanzieri raccontano nel dettaglio come, ad avviso degli inquirenti, i cinque della Ventures abbiano “distratto”“occultato” e “dissipato” una parte dei milioni che avrebbero dovuto assicurare un futuro agli operai, che nel gennaio scorso hanno dato nuovo impulso alle indagini con un esposto presentato in procura. Il “disegno criminoso” finalizzato al “drenaggio” delle risorse per scopi personali, stando a quanto ricostruito dagli investigatori, inizia poco dopo l’11 luglio di due anni, giorno in cui Ventures perfeziona la cessione del ramo d’azienda al prezzo simbolico di 10 euro.
L’accordo prevedeva che Embraco avrebbe dovuto versare poco più di 20 milioni di euro con uno “scopo preciso”, ricorda il procuratore aggiunto di Torino: “Evitare il licenziamento dei dipendenti e una grave crisi occupazionale”. Con Ventures che, a sua volta, si sarebbe dovuto dotare delle risorse finanziarie per “attuare” e “sostenere” il piano industriale sulla base del quale aveva ottenuto il via libera dei sindacati e del ministero dello Sviluppo Economico, che aveva accordato anche la cassa integrazione – in scadenza tra un mese – in attesa del riavvio della produzione. La sintesi della procura è tranchant: “Lo stabilimento di Riva di Chieri mai ha iniziato l’attività produttiva, il progetto industriale è rimasto sulla carta, non vi è stato il minimo investimento di capitale. Dunque: una provvista certa in entrata, a cui non ha fatto seguito alcunché”.
Quali strade abbiano preso i primi bonifici arrivati sui conti di Ventures, invece, è ritenuto accertato dagli investigatori che ricostruiscono al centesimo di euro il vorticoso giro di denaro, spesso finito su conti all’estero e poi rientrato in Italia anche per ripianare debiti personali. Tra il 16 luglio 2018 e il 2 dicembre scorso, ha accreditato sui conti di Ventures la “considerevole somma” di 12.680.758,88 euro ma, a fronte di uno stallo totale sotto il profilo industriale eccetto il pagamento degli stipendi decurtati dalla cassa integrazione, il 2 marzo scorso la società “ha completamente esaurito la liquidità” mentre fioccavano i primi pignoramenti.
Intanto “gran parte dei bonifici in uscita” finiva sui conti di Gaetano Di Bari e Carlo Noseda, giustificata come “pagamento fatture” sulle quali per la procura è “lecito dubitare” vista “l’assoluta inoperosità” di Ventures e il poco tempo passato tra i versamenti di Embraco e il giro sui conti personali, a volte questione di ore. Agli occhi dei pm, quindi, “risulta evidente” come il denaro sia stato “quasi interamente distratto” verso “attività estranee alla sua originale destinazione” finendo sui conti personali e “disperdendosi in rivoli che nulla hanno a che vedere con la continuità aziendale” e “con la salvaguardia dei livelli occupazionali”.
I finanzieri hanno accertato come 250mila euro finiti su un conto corrente tedesco intestato a Di Bari hanno in buona parte fatto rientro in Italia venendo “redistribuiti” in favore anche dei figli e della moglie. Altri 92mila euro trasferiti su un conto aperto in una filiale tedesca della Deutsche Bank, sempre secondo gli inquirenti, sono stati “esclusivamente per spese personali” e per estinguere una sofferenza bancaria di oltre 49mila euro conseguente a finanziamenti ed esposizioni degli stessi e di una società a loro riferibile. Movimenti simili sono stati ricostruiti dalla Guardia di finanza anche sui conti di Noseda e in favore di due società riferibili ad Alessandra e Luigi Di Bari che avevano sofferenze per quasi mezzo milione di euro. Mentre 1,38 milioni di euro sono stati trasferiti alla G.R. Consumer System Ltd, società “riferibile” a Goldstein.
Non solo: la terza tranche dei pagamenti di Embraco era legata da contratto all’aumento di capitale di Ventures, ma ad avviso degli inquirenti la ricapitalizzazione sarebbe stata effettuata con una triangolazione. Dai conti partirono due bonifici da 600mila e 230mila in favore della Lad, società amministrata da Alessandra Di Bari, che li utilizzò per sottoscrivere l’aumento. “Ventures eroga a Lad soldi per sottoscrivere il proprio aumento di capitale”, sintetizza la procura che ora ha messo un punto a quella che la Fiom Cgil definisce “una vicenda paradigmatica di come funzionino le reindustrializzazioni” in Italia.
“Se quanto ipotizzano dalla magistratura sarà confermato, quella di Embraco non è un’avventura finita male – spiega Barbara Tibaldi, membro della segreteria generale della Fiom a Ilfattoquotidiano.it – ma nata, con il bollino di Invitalia e del ministro Carlo Calenda, con questi presupposti”. Per la sindacalista ora “è il momento che ognuno si assuma le sue responsabilità, compresa Whirlpool”. La Fiom chiede quindi una “convocazione urgente” per “chiarire il futuro di oltre 400 lavoratori che lottano e aspettano da oltre due anni”.

martedì 31 dicembre 2019

Banca Etruria, Pier Luigi Boschi e altri 13 ex dirigenti a processo per bancarotta colposa.

Banca Etruria, Pier Luigi Boschi e altri 13 ex dirigenti a processo per bancarotta colposa

Secondo la procura di Arezzo i membri del cda e i dirigenti citati a giudizio - compreso il padre dell'ex ministra Maria Elena - non avrebbero vigilato sulla redazione di consulenze che in procura ritengono in gran parte inutili e ripetitive, nonché tali da contribuire all’aggravamento del dissesto dell’istituto di credito.
Pier Luigi Boschi e altri 13 tra ex dirigenti e membri dell’ultimo consiglio d’amministrazione di Banca Etruria affronteranno un processo con l’accusa di bancarotta colposa. La procura di Arezzo ha infatti esercitato la citazione diretta a giudizio nei loro confronti. Questo filone riguarda consulenze per dare un partner alla banca, ma tali da causare il crac, ed è costola autonoma rispetto al maxi-processo per bancarotta già in corso con altri 25 imputati.
Tra le consulenze contestate dalla procura ci sono i 4 milioni di euro pagati per incarichi affidati a grandi società (Mediobanca e Bain) e importanti studi legali, come Grande Stevens a Torino e Zoppini a Roma. Secondo la procura di Arezzo i membri del cda e i dirigenti citati a giudizio – compreso il padre dell’ex ministra Maria Elena – non avrebbero vigilato sulla redazione di consulenze che in procura ritengono in gran parte inutili e ripetitive, nonché tali da contribuire all’aggravamento del dissesto dell’istituto di credito.
Su questo filone risultavano 17 indagati. Ai 14 per cui la procura ha esercitato la citazione diretta a giudizio – e che per le stesse consulenze erano indagati insieme agli altri – si aggiungono l’ex presidente Lorenzo Rosi, l’ex direttore generale Luca Bronchi e l’ex vicepresidente Alfredo Berni: ma questi, già coinvolti nel processo per bancarotta fraudolenta tuttora in corso (Rosi vi è imputato, Bronchi e Berni furono condannati in rito abbreviato in coda all’udienza preliminare), la procura non li ha citati essendo già a processo anche per gli stessi fatti.

martedì 24 settembre 2019

Thomas Cook, salta l'accordo sul salvataggio: dichiarata la bancarotta.

Thomas Cook, salta l'accordo sul salvataggio: dichiarata la bancarotta

A rischio 22 mila posti di lavoro nel mondo e 9 mila nel Regno Unito. Oltre mezzo milione di viaggiatori da riportare a casa: il rimpatrio dei soli cittadini britannici potrebbe costare fino a 600 milioni di sterline.

MILANO - Dopo 178 anni di storia il colosso dei viaggi britannico Thomas Cook alza bandiera bianca. Nella notte sono saltate le trattative con i creditori e la compagnia ha dichiarato bancarotta annunciando con una nota che "sono cancellati tutti i futuri voli e le future vacanze".

Mezzo milione di turisti in viaggio.
Il collasso della società mette a rischio sia 22.000 posti di lavoro a livello globale, di cui 9.000 in Gran Bretagna, ma anche il ritorno a casa dei 150 mila vacanzieri britannici che avevano prenotato il volo  con Thomas Cook e che ora vedono a rischio il proprio rientro, in quella che la Bbc definisce come "la più grande operazione di rimpatrio in tempi di pace". Un'operazione che secondo le prime stime potrebbe costare fino a 600 milione di sterline, finanziata attraverso il fondo di garanzia Atol, il sistema di protezione amministrato dall'ente dell'aviazione civile britannico e finanziato dalle industrie del settore. Secondo il Financial Times però oltre ai 150 mila britannici ci sarebbero altri 350 mila viaggiatori stranieri all'estero e il numero complessivo di persone da riportare a casa potrebbe raggiungere il mezzo milione.

Le accuse di Johnson ai manager.
Sulla questione è intervenuto anche il premier britannico Boris Johnson. "C'è da chiedersi quanto i dirigenti di queste società fossero adeguatamente incentivati a risolvere i loro problemi", ha detto criticando i manager dell'azienda. "E' una situazione molto difficile e ovviamente i nostri pensieri sono rivolti ai clienti di Thomas Cook, i vacanzieri che ora potrebbero avere difficoltà a tornare a casa. Faremo del nostro meglio per riportarli a casa", ha aggiunto. "In un modo o nell'altro lo Stato dovrà intervenire per aiutare i vacanzieri bloccati ".

Lo stop ai nuovi finanziamenti.
L'azienda -  il cui principale azionista è la cinese Fosun Tourism Group - non è riuscita a a raccogliere gli ulteriori finanziamenti per 200 milioni di sterline che servivano per evitare il collasso.  Fosun il mese scorso aveva già iniettato 450 milioni di sterline nella società all'interno di un pacchetto di salvataggio di 900 milioni di sterline. In cambio di quell'investimento Fosun aveva acquisito una quota del 75% della divisione operativa di Thomas Cook e un 25% della sua compagnia aerea. "Fosun - si legge in un altro comunicato - è delusa del fatto che Thomas Cook non sia riuscita a trovare una soluzione per la sua ricapitalizzazione con altre entità, i suoi creditori core e gli azionisti senior".

Guai finanziari, nuove abitudini e Brexit: le origini dela crisi.
Il crollo della compagnia non arriva però come un fulmine a ciel sereno. A maggio Thomas Cook aveva messo in evidenza nei propri conti trimestrali una perdita da 1,45 miliardi di sterline, a causa soprattutto della svalutazione di MyTravel, con cui si era fusa nel 2017, costata da sola quasi 1 miliardo. Inoltre un report di Citigroup negli stessi giorni aveva consigliato di vendere il titolo fissando un target di prezzo a zero.

Guai finanziari a parte, l'azienda ha in generale accusato la sempre maggiore propensione dei viaggiatori ad organizzare autonomamemente le proprie vacanze, facendo così meno ricorso ai tour operator. Come se non bastasse, su Thomas Cook si è abbattuta anche l'incognita Brexit. "Non c'è ormai alcun dubbio che abbia spinto molti clienti britannici a rinviare i piani per le loro vacanze", si era difeso il ceo Peter Frankahauser a maggio, rilevando di avere venduto soltanto il 57% dei pacchetti di viaggio per l'estate 2019, con un calo del 12% sull'anno precedente.

https://www.repubblica.it/economia/2019/09/23/news/thomas_cook_salta_l_accordo_sul_salvataggio_dichiarata_la_bancarotta-236703370/

mercoledì 7 novembre 2018

Verdini condannato per bancarotta

Verdini condannato per bancarotta


Il Tribunale di Firenze ha condannato a 4 anni e 4 mesi l'ex senatore Denis Verdini, imputato in un processo in cui era accusato di concorso in bancarotta preferenziale di un'impresa edile che aveva rapporti con il Credito Cooperativo Fiorentino, la banca di cui Verdini è stato presidente per un ventennio. La Procura, con il pm Luca Turco, aveva chiesto una condanna a sei anni.

Condannati anche i due imprenditori titolari della ditta, Ignazio e Marco Arnone, padre e figlio, di Campi Bisenzio. A Ignazio Arnone è stata inflitta una pena di 3 anni e 4 mesi e al figlio Marco una pena di 2 anni e 4 mesi. L'accusa aveva chiesto un anno e tre mesi per il padre e il figlio, titolari dell'impresa edile che effettuò lavori per conto della banca all'epoca presieduta da Verdini.

Prima della requisitoria del pm, Verdini, presente in aula, aveva rilasciato dichiarazioni spontanee per giustificare la linearità del suo operato, ricordando che i fatti sono avvenuti mentre era in corso al Credito Cooperativo Fiorentino un'ispezione di Banca d'Italia con il successivo commissariamento.

Secondo l'accusa, Verdini, da presidente del Credito Cooperativo Fiorentino, avrebbe pianificato un'operazione che portò la banca a rientrare in possesso di parte dei soldi prestati a una delle due imprese edili degli Arnone ma al tempo stesso a portare alla bancarotta della stessa ditta. Un'operazione che, secondo la Procura, recò inoltre svantaggio agli altri creditori dell’impresa edile. Da qui la condanna per bancarotta preferenziale.


Fonte: adnkronos del 7 novembre 2018

mercoledì 30 maggio 2018

Alitalia, indagati tre ex amministratori delegati Cassano, Montezemolo e Cramer per bancarotta.

Alitalia, indagati tre ex amministratori delegati Cassano, Montezemolo e Cramer per bancarotta

La settimana scorsa la Guardia di Finanza aveva perquisito la sede e acquisito la documentazione degli ultimi bilanci. La gestione Etihad è finita nel mirino della procura di Civitavecchia che indaga sul buco da 400 milioni che ha portato la compagnia al commissariamento.

Come si sa da una settimana c’è un’indagine per bancarotta sull’era Etihad di Alitalia. Oggi La Stampa e Il Secolo XIX scrivono che nel registro degli indagati sono indagati gli ultimi tre amministratori delegati della compagnia di bandiera: Silvano CassanoLuca Montezemolo e Mark Ball Cramer. La settimana scorsa la Guardia di Finanza aveva perquisito la sede e acquisito la documentazione degli ultimi bilanci. La gestione Etihad è finita nel mirino della procura di Civitavecchia che indaga sul buco da 400 milioni che ha portato la compagnia al commissariamento.
La “visita” delle Fiamme Gialle è stata decisa dalla magistratura sulla base dalla sentenza del Tribunale di Civitavecchia che l’11 maggio 2017 ha dichiarato l’insolvenza dell’ex compagnia di bandiera. Dall’analisi dei documenti depositati, secondo la procura, sono, infatti, emerse una serie di criticità e anomalie nella vecchia gestione Alitalia in cui Etihad, fra il primo gennaio 2015 e il 2 maggio 2017, aveva un ruolo di primo piano con 49% del capitale, ma il controllo era in mano ai soci della Cai-Midco (51%) fra cui Unicredit, Intesa, Mps, Poste e altri azionisti privati come Atlantia.
In particolare nel provvedimento del tribunale di Civitavecchia viene preso come punto di partenza “l’ultimo bilancio depositato che registra una perdita d’esercizio pari 408 milioni di euro e un rapporto di 1 a 2 tra attivo circolante e debiti”. Inoltre si tiene conto di una “situazione patrimoniale aggiornata al 28.2.2017 che riporta un patrimonio netto negativo di 111 milioni di euro, perdite – solo nel periodo che va dall’ 1 gennaio 2017 al 28 febbraio 2017 – per 205 milioni di euro e un rapporto di 2 a 5 tra attività e passività correnti, evidenziando il perdurare di una situazione di oggettiva impotenza economica di natura non transitoria”. Quando un anno fa i commissari avevano messo le mani sui conti della ex compagnia di bandiera, subito era partita una segnalazione su presunte irregolarità. La responsabilità, secondo gli inquirenti, di questa situazione “non transitoria e di oggettiva impotenza economica” era da attribuire agli amministratori.
I militari hanno sequestrato documenti ma anche computer con migliaia di file che dovrebbero fare luce sui conti degli ultimi anni e su alcune operazioni non chiare come la cessione di diversi slot (le finestre di tempo entro i quali l’aeromobile ha il permesso di decollo) pregiati che sarebbero stati ceduti alla casa madre dell’epoca, Etihad.
“Premesso che non sono al corrente di nulla”, è il commento di Montezemolo, “posso dire che nel breve periodo di interregno tra i due amministratori, nel quale ho dovuto svolgere le funzioni di a.d., l’ho fatto sempre con grandissima attenzione e senso di responsabilità”.
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venerdì 3 marzo 2017

Processo Credito Fiorentino, Denis Verdini condannato a nove anni. Tribunale dispone l’interdizione perpetua.


Processo Credito Fiorentino, Denis Verdini condannato a nove anni. Tribunale dispone l’interdizione perpetua

I pubblici ministeri Luca Turco e Giuseppina Mione lo scorso 12 gennaio, dopo una requisitoria andata avanti per cinque udienze, avevano chiesto per il senatore di Ala, imputato tra l’altro per bancarotta e truffa ai danni dello Stato, la condanna a 11 anni.

Il Tribunale di Firenze ha condannato Denis Verdini a 9 anni nell’ambito del processo per il crac del Credito cooperativo fiorentino. La pena, 7 anni per la bancarotta e 2 per la truffa, è stata decisa dal collegio presieduto dal giudice Mario Profeta. I giudici che, non hanno riconosciuto l’associazione a delinquere assolvendo tutti per questo reato, hanno inflitto cinque anni e sei mesi ciascuno agli imprenditori Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei. Condannato anche il deputato di Ala Massimo Parisi

Il Tribunale ha disposto l’interdizione perpetua dai pubblici uffici per Verdini, Fusi e Bartolomei. All’ex direttore generale del Ccf Piero Italo Biagini, sono stati inflitti sei anni Condannati a pene che vanno da 4 anni e sei mesi a 5 anni di reclusione anche i componenti del consiglio di amministrazione dell’istituto e tutti i componenti del collegio sindacale. Pene da un anno e sei mesi e 4 anni e mezzo anche per gli amministratori della Ste, la società che pubblicava il Giornale della Toscana, e della Sette Mari che mandava nelle edicole il settimanale Metropolis. Il collegio ha invece assolto alcuni imprenditori che avevano ottenuto finanziamenti dal Ccf, “perché il fatto non sussiste”, mentre per tutti i reati di truffa ai danni dello Stato per i contributi all’editoria legati agli anni 2005, 2006 e 2007, è scattata la prescrizione. I pubblici ministeri Luca Turco e Giuseppina Mione lo scorso 12 gennaio, dopo una requisitoria andata avanti per cinque udienze, avevano chiesto per il senatore di Ala, imputato tra l’altro per bancarotta e truffa ai danni dello Stato, la condanna a 11 anni.

“Non è finita, rispettiamo la sentenza ma siamo pronti a combattere e attendiamo le motivazioni per andare in appello” dice Ester Molinaro, legale di Verdini. “Per ora commentando la condanna abbiamo dimostrato che non esiste alcuna associazione tra Verdini e i suoi presunti sodali, in appello dimostreremo che non sussistono neppure le altre accuse”. “Ci aspettavamo ben altra sentenza considerando quanto il processo aveva posto in luce in favore del senatore Verdini e non ci consola certamente la pur giusta assoluzione dall'accusa di associazione per delinquere. Per fortuna il nostro ordinamento prevede ancora il giudizio di appello ed attendiamo con impazienza di leggere la motivazione della sentenza per proporre contro di essa impugnazione” dice in una nota l’avvocato Franco Coppi.

“Questa sentenza è una grande ingiustizia perché noi non abbiamo fatto nulla – commenta Fusi -. Si accetta quello che dicono i giudici ma noi siamo innocenti. Abbiamo lavorato sempre per il bene dell’azienda, non abbiamo mai portato via un soldo all’azienda, ma grazie a questa indagine mi sono state portate via anche le mie aziende. Oggi è stata distrutta una delle imprese di costruzioni più grandi della Toscana, mentre chi paga le tangenti continua a lavorare”.

Provvisionale da 2 milioni e mezzo a favore della Presidenza del Consiglio.
Verdini, Parisi, e altri nove condannati sono stati condannati dal Tribunale di Firenze “al pagamento a favore della Presidenza del Consiglio dei ministri di una provvisionale immediatamente esecutiva nella misura di euro 2.500.000,00″ per i reati relativi alla truffa ai danni dello Stato. I giudici hanno disposto che il risarcimento danni siano liquidati “in separata sede”. I condannati dovranno pagare anche le spese legali sostenute dalla Presidenza del Consiglio dei ministri stabilite in 20mila euro e i danni alla Banca d’Italia, parte civile nel processo, quantificati in 175mila euro come “provvisionale immediatamente esecutiva. Dovranno essere risarcite anche le spese legali sostenute dalla Banca d’Italia calcolate in 20 mila euro. Il Tribunale ha ordinato anche “nei confronti di Verdini, Parisi e di altri sei condannati la confisca della somma di euro 5.061.277,62, ovvero i beni per un valore pari all’importo corrispondente ai contributi erogati dalla Presidenza del Consiglio dei ministri alla società Toscana di Edizioni srl, per i danni di competenza 2008-2009″. Il Tribunale ha ordinato anche nei confronti di Verdini, Parisi e di altri cinque condannati “la confisca della somma di euro 4.049.022,00, corrispondenti ai contributi erogati dalla Presidenza del Consiglio dei ministri alla Sette Mari scarl per gli anni di competenza 2008-2009”.


L’accusa: “Banca come bancomat”, la difesa: “Fatto non sussiste”
Per l’accusa il parlamentare era il dominus della banca (che usava come “un bancomat”) e di tutte le attività le attività editoriali organizzate per ottenere contributi pubblici e nei confronti degli “amici di affari”. Tutte accuse che i difensori del senatore, gli avvocati Franco Coppi e Ester Molinaro, hanno poi respinto con forza nelle loro arringhe. In particolare, spiegò Coppi, “i pm hanno travisato la sua personalità” definendolo “assetato di potere e di denaro. Una rappresentazione che non corrisponde a quello che Verdini già era in quegli anni, ossia un politico di spicco e un uomo senza problemi di denaro”. Assoluzione piena, “perché il fatto non sussiste”, era stata chiesta anche dai difensori di Parisi e degli altri imputati, compresi quelli degli imprenditori Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei.


L’indagine, pm: “Finanziamenti senza garanzie”
Denis Verdini era stato rinviato a giudizio per associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta, appropriazione indebita, truffa ai danni dello Stato il 15 luglio del 2014. Secondo l’accusa finanziamenti e crediti milionari sarebbero stati concessi senza “garanzie”, sulla base di contratti preliminari di compravendite ritenute fittizie. Soldi che, per la Procura di Firenze venivano dati a “persone ritenute vicine” a Verdini stesso sulla base di “documentazione carente e in assenza di adeguata istruttoria”. In totale, secondo la magistratura il volume d’affari, ricostruito dai carabinieri dei Ros di Firenze, sarebbe stato pari a “un importo di circa 100 milioni di euro” di finanziamenti deliberati dal cda del Credito i cui membri, secondo la notifica della chiusura indagini “partecipavano all’associazione svolgendo il loro ruolo di consiglieri quali meri esecutori delle determinazioni del Verdini”. In sintesi secondo l’accusa, Verdini decideva a chi dare, e quanto, mentre gli altri si limitavano a ratificare “senza sollevare alcuna obiezione”. A dare il via all’indagine, la relazione dei commissari di Bankitalia che in 1.500 pagine, allegati compresi, avevano riassunto lo stato di salute della banca di Verdini. E le anomalie riscontrate. Altro capitolo quello dei fondi per l’editoria, che secondo la Procura di Firenze, avrebbe percepito illegittimamente per la pubblicazione di “Il Giornale della Toscana”.

Lo scorso ottobre Verdini era uscito indenne dal processo di secondo grado nell’ambito del processo per la Scuola Marescialli di Firenze. Verdini, che era stato condannato in primo grado a due anni di reclusione, era stato prosciolto con una sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/03/02/processo-credito-fiorentino-denis-verdini-condannato-a-nove-anni/3426926/

martedì 19 aprile 2016

Denis Verdini rinviato a giudizio per bancarotta. Insieme a lui gli amministratori del "Giornale della Toscana".

DENIS VERDINI

Tutti a giudizio per bancarotta gli amministratori della società Ste, tra cui il senatore di Ala Denis Verdini. La Società Toscana di edizioni pubblicava il Giornale della Toscana. Lo ha deciso il gup di Firenze Anna Limongi in un procedimento bis dell'inchiesta sulle attività editoriali che facevano capo a Verdini. Tra i rinviati a giudizio anche l'on. Massimo Parisi, il professor Girolamo Strozzi, gli amministratori Pierluigi Picerno e Enrico Luca Biagiotti.
Il senatore Denis Verdini è stato presente in aula stamani per l'ultima fase dell'udienza preliminare e poi per aspettare la decisione del gup. Questo procedimento è scaturito da un'inchiesta più ampia riguardante sempre la Ste e società collegate che pubblicavano altre testate a Firenze, per truffa allo Stato sull'assegnazione di fondi all'editoria.
L'accusa di bancarotta su cui oggi il gup ha deciso di rinviare a giudizio 5 imputati è relativa in particolare alla presunta distrazione di una somma di 2,6 milioni di euro che sarebbe andata, in parti uguali, a Verdini e Parisi. Verdini si è difeso in aula stamani dicendo che la somma non era stata distratta dalla Ste, ma faceva parte di un'operazione corretta legata alle attività patrimoniali della società. In generale i vari difensori hanno sostenuto che si tratta di un caso di bancarotta "riparata", quindi non ci sarebbe reato poiché i denari sarebbero comunque rientrati nella disponibilità della società. La Ste è una società che è stata dichiarata fallita nel 2014.

venerdì 6 novembre 2015

Bancarotta Chil Post, chiesta nuova archiviazione per Tiziano Renzi. -

Bancarotta Chil Post, chiesta nuova archiviazione per Tiziano Renzi

Per la procura di Genova, il padre del premier non ha nessuna responsabilità per il crac del 2013 della società di distribuzione e marketing fallita nel 2013. E' questo l'esito dell'approfondimento di indagini disposto dal gip.

Tiziano Renzi, padre del premier, è estraneo al crac della Chil post, la società di distribuzione e marketing fallita nel 2013, tre anni dopo la vendita da parte sua. Ne è convinta la procura di Genova, che ha chiesto nuovamente l’archiviazione, dopo l’approfondimento di indagini disposto dal gip Roberta Bossi.
Tiziano Renzi era stato accusato di bancarotta fraudolenta per quel fallimento, ma alla chiusura delle indagini il pubblico ministero Marco Airoldi non aveva ravvisato responsabilità in capo al padre del capo del governo e così ne aveva chiesto l’archiviazione. Il giudice per le indagini preliminari, accogliendo la richiesta di uno dei creditori della società, aveva chiesto altri approfondimenti dando un mese di tempo, come ricorda l’Ansa. Adesso il giudice potrà chiedere altre indagini, oppure accogliere la richiesta di archiviazione o, ancora, disporre l’imputazione coatta.
Sotto la lente degli investigatori, dopo l’ordinanza del gip, erano finiti i rapporti contrattuali tra il gruppo Tnt e la Chil post. La Chil post era stata dichiarata fallita il 7 febbraio 2013, tre anni dopo il passaggio di proprietà da Tiziano Renzi ad Antonello Gambelli eMariano Massone. Renzi senior era stato accusato di bancarotta fraudolenta per 1,3 milioni di euro. Il curatore fallimentare aveva ravvisato alcuni passaggi sospetti nella cessione di rami d’azienda ‘sani’ alla Eventi Sei, società intestata alla moglie di Tiziano Renzi, Laura Bovoli, per poco più di tre mila euro, cifra non ritenuta congrua. Subito prima della cessione della Chil post, Tnt aveva ridotto la collaborazione con l’azienda e successivamente l’aveva implementa con la Eventi 6. Dalle nuove indagini non sarebbe emerso che questo avrebbe comportato un depauperamento della Chil e così il pm ha chiesto una nuova archiviazione.
Ad ostacolare la chiusura definitiva della vicenda giudiziaria potrebbe essere anche una nuova opposizione all’archiviazione da parte del proprietario dei locali affittati a suo tempo alla Chil che vanta un credito di 5000 mila euro. In tal caso il gip dovrebbe fissare una nuova udienza per ascoltare le parti. Prima della cessione della società, Matteo Renzi, insieme alle sorelle, ne era stato amministratore e dal 1999 al 2004 era stato anche dipendente della Chil spa. Quando l’attuale capo del governo venne eletto presidente della provincia di Firenze (2004), aveva avuto il ‘distacco’ dall’azienda dopo averne ceduto il 40 per cento delle quote e continuò a percepire i contributi lavorativi per nove anni.

venerdì 19 dicembre 2014

I frati francescani e le spese milionarie per l’hotel in centro. - Maria Antonietta Calabrò

Terrazza con vista nell’Hotel «Il  Cantico»
Terrazza con vista nell’Hotel «Il Cantico»

Un albergo con vista sulla Cupola di San Pietro ha trascinato alla bancarotta l’Ordine dei frati minori: «Ristrutturazione dubbia». Indaga la magistratura.

«Il Cantico è un paradiso di eleganza, calore e benessere, in armonia con un ambiente salubre e sereno», recita il sito web che magnifica il «benessere totale della persona» e l’esperienza del dormire in quell’albergo come «solo uno dei piacevoli dettagli». 
«Il Cantico» però non è quello delle creature, composto da san Francesco, che dormiva appoggiato a un sasso. 
E anche se i contenitori dei bagnoschiuma nei bagni portano incisa la preghiera del poverello di Assisi, è stato proprio quest’albergo, con vista sulla Cupola di San Pietro, a trascinare alla bancarotta l’Ordine dei frati minori. «Una grave situazione di difficoltà finanziaria» della Curia generale è stata infatti denunciata, in una lettera choc a tutti i frati dell’Ordine, dal ministro generale, l’americano padre Michael Perry in seguito a un’indagine interna condotta a partire da settembre, che ha fatto emergere operazioni «dubbie», condotte dall’Economato. Sotto accusa l’intervento di acquisizione e ristrutturazione dell’hotel. L’ex economo generale, padre Giancarlo Lati, che gestiva direttamente l’albergo «Il Cantico» si è già dimesso dall’ incarico e da quello di Rappresentante legale dell’Ordine, ufficialmente per motivi di salute. Ma intanto, padre Perry ha anche puntato il dito contro «il ruolo significativo che alcune persone esterne, che non sono membri dell’Ordine, hanno avuto nella faccenda».

Si sente insomma odore di maxitruffa operata anche da laici in questo «buco» di svariati milioni. È emerso anche, ha spiegato il superiore, che «i sistemi di vigilanza e di controllo finanziario della gestione del patrimonio dell’Ordine erano o troppo deboli oppure compromessi, con l’inevitabile conseguenza della loro mancanza di efficacia rispetto alla salvaguardia di una gestione responsabile e trasparente». Inoltre «sembrano esserci state un certo numero di dubbie operazioni finanziarie, condotte da frati cui era stata affidata la cura del patrimonio dell’Ordine, senza la piena conoscenza e il consenso» del Definitorio generale, l’organismo collegiale che guida l’Ordine.

L’allarme è evidente. Per il superiore, «la portata e la rilevanza di queste operazioni hanno messo in grave pericolo la stabilità finanziaria della Curia generale». Per questi motivi, annuncia padre Perry, il Definitorio generale, «all’unanimità ha deciso di chiedere l’intervento delle autorità civili, affinché esse possano far luce in questa faccenda». Insomma è già partita la denuncia alla Procura di Roma. E infine padre Perry richiama come incoraggiamento l’esempio offerto da «Papa Francesco nel suo appello alla verità e alla trasparenza nelle attività finanziarie, sia nella Chiesa che nelle società umane».





http://www.corriere.it/cronache/14_dicembre_19/i-frati-francescani-spese-milionarie-l-hotel-centro-754474fa-8746-11e4-b343-7326607b3ce4.shtml