venerdì 8 ottobre 2021

Una grande lezione di giornalismo da leggere e rileggere. - Lorenzo Tosa (Fb)


In poche righe Corrado Formigli ha spiegato a Giorgia Meloni su “Elle” come funziona un’inchiesta e perché la richiesta delle 100 ore di girato è semplicemente folle e irricevibile.

Una grande lezione di giornalismo da leggere e rileggere.
“È sempre la solita storia: quando un leader politico legge o guarda qualcosa che non gli piace, se la prende spesso e volentieri con i giornalisti. E tira in ballo le inchieste “a orologeria”. Credo che quel servizio, che mostra atteggiamenti inaccettabili di candidati e alti dirigenti di Fratelli d’Italia sia sul fronte dell’apologia del fascismo che su quella del finanziamento illecito, svolga una funzione utile per informare i cittadini prima del voto. Le scene si svolgono nel pieno della campagna delle amministrative milanesi e riguardano nomi nelle liste elettorali.
Che cosa avremmo dovuto fare? Attendere l’esito del voto prima di segnalare impresentabili che inneggiano a Hitler? È questo che si vuole dai giornalisti? Che con l’abusatissima scusa del “silenzio elettorale”, regola che vale a 48 ore dal voto per i comizi e la propaganda, si spenga l’informazione politica?
Giorgia Meloni ha chiesto a Fanpage la consegna delle 100 ore di “girato”, il materiale grezzo servito per realizzare un’inchiesta in più puntate sulla destra sovranista italiana. E anche qui mi domando: in quale democrazia evoluta una pretesa simile verrebbe considerata normale? In quale capitale occidentale un leader politico chiederebbe con tale arroganza la consegna di materiale giornalistico grezzo? Solo la magistratura, laddove si profili qualche grave reato, con circospezione e molti limiti può agire in tal senso.
Eppure in Italia anche una richiesta così bislacca e lesiva della libertà di informare viene considerata ordinaria. E il rifiuto opposto dall’editore alimenta ironie e sospetti. Come se la mediazione giornalistica, con la conseguente assunzione di responsabilità del giornalista davanti alla legge e all’opinione pubblica, non fossero sufficienti. No, a certa politica l’idea che esista un’informazione indipendente che indaga solo per fare un servizio ai cittadini proprio non va giù. Ma ogni tanto occorre ricordarglielo.”
Corrado Formigli

Mancini insegna quel segreto di Stato che lo salvò due volte. - Gianni Barbacetto

 

Paradossale la lezione sul segreto di Stato tenuta ieri da Marco Mancini all’università di Pavia. Parlando di corda in casa dell’impiccato, l’ex agente segreto Mancini ha citato istituzioni, codici, articoli e commi, senza mai fare alcun riferimento esplicito al sequestro di persona per cui è stato condannato a 9 anni da una Corte d’appello, per poi essere prosciolto dalla Cassazione proprio grazie al segreto di Stato. E poi di nuovo salvato, sempre dal segreto di Stato, per i dossieraggi illegali Telecom.

Mancini, l’uomo che fu salvato due volte (dal segreto di Stato), diventa professore di segreto di Stato. Come se Franco Freda (assolto per la strage di piazza Fontana) fosse chiamato all’università a far lezione su piazza Fontana. Nell’aula non è mai risuonato il nome della vittima, Abu Omar, sequestrato nel 2003 a Milano da un gruppo della Cia con l’appoggio di Mancini e del Sismi (il servizio segreto militare) di Niccolò Pollari e poi portato in Egitto dove fu per mesi torturato.

Il pensiero va a un illustre docente della stessa università di Pavia, il professor Vittorio Grevi, che fino alla fine della sua vita criticò, con raffinati argomenti giuridici, l’allargamento dei confini del segreto di Stato che salvò Pollari e Mancini. Ma nessuno li ha ricordati ieri.

Ecco allora almeno i fatti, dimenticati nella lezione-autodifesa dell’ex agente del Sismi e poi dirigente del Dis (l’agenzia che coordina i servizi di sicurezza per l’interno e per l’estero, andato in pensione dopo lo strano incontro segreto in autogrill con Matteo Renzi). Mancini è prosciolto, grazie al segreto di Stato, in primo grado e in appello dall’accusa di sequestro di persona. Svolta in Cassazione: proscioglimento annullato, perché il segreto di Stato non può mai coprire un fatto-reato. Così il nuovo processo d’appello nel 2013 condanna Mancini a 9 anni di reclusione e Pollari a 10. Ma intanto il segreto di Stato sul caso Abu Omar è confermato dai governi che si succedono (Prodi, Berlusconi, Monti, Letta, Renzi), che aprono conflitti d’attribuzione tra poteri dello Stato, ricorrendo alla Corte costituzionale contro pm e giudici.

La sentenza della Corte nel 2014 estende il segreto di Stato ai documenti del processo Abu Omar, sostenendo che copre non un fatto-reato, ma gli assetti interni dei servizi di sicurezza e i loro rapporti con la Cia. La Cassazione a questo punto non può che prendere atto della pronuncia della Consulta e annullare le condanne a Mancini, Pollari e altri tre agenti del Sismi: improcessabili per segreto di Stato.

Sarà la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo (Cedu), nel 2016, a stabilire che l’Italia ha violato cinque diritti sanciti dalla Convenzione europea per i diritti dell’uomo: la proibizione di trattamenti umani degradanti, il diritto alla libertà e alla sicurezza, il diritto a effettivi rimedi giudiziari, il diritto al rispetto della vita familiare.

“Le autorità italiane erano a conoscenza che Abu Omar era stato vittima di un’operazione di extraordinary rendition cominciata con il suo rapimento in Italia e continuata con il suo trasferimento all’estero”, scrive la Cedu; nonostante ciò, “l’Italia ha applicato il legittimo principio del segreto di Stato in modo improprio e tale da assicurare che i responsabili del rapimento, della detenzione illegale e dei maltrattamenti ad Abu Omar non dovessero rispondere delle loro azioni”. La sentenza di Strasburgo riconosce il buon lavoro dei magistrati, i pm di Milano Ferdinando Pomarici e Armando Spataro e i giudici che hanno condannato: “Nonostante gli sforzi degli inquirenti e giudici italiani, che hanno identificato le persone responsabili e assicurato la loro condanna, questa è rimasta lettera morta a causa del comportamento dell’esecutivo”. Ma tutto ciò gli studenti del professor Alessandro Venturi, che ha invitato Mancini in cattedra, non lo hanno sentito. Hanno sentito disegnare una confusa e vecchia visione dello Stato panopticon (come il carcere di Santo Stefano, o meglio di Bentham) che tutto vede senza essere visto. Hanno sentito parlare di diritto alla difesa da garantire a tutti (anche ad Abu Omar torturato in Egitto?). Hanno sentito proclamare il divieto al testimone di violare il segreto di Stato (ma Mancini era imputato, non testimone, e la Costituzione garantisce sopra tutto il diritto alla difesa).

La cosa più insopportabile era l’atteggiamento vittimista che aleggiava nell’aula di Pavia: “Dobbiamo saper andare contro il pensiero unico, superare il mainstream e gli attacchi della stampa”, dicevano.

Davvero curioso, in bocca a chi, difeso da quasi tutta l’informazione, è saldamente al centro del potere – il potere vero, forte, intoccabile, armato, segreto – che lo ha due volte salvato incrinando delicatissimi equilibri istituzionali e obbedendo a fortissime alleanze internazionali. Alla fine, il panopticon ha vinto.

ILFQ

Carletto La Qualunque. - Marco Travaglio

 

Guardando Carlo Calenda che si limonava da solo a Otto e mezzo, abbiamo temuto per Giuseppe Conte. Con tutti i guai che ha coi 5Stelle gli mancava soltanto un benvenuto di Calenda nel “nuovo Ulivo”, che poi è la vecchia Unione prodiana da Mastella a Turigliatto, naufragata nel 2008 dans l’espace d’une année. Un endorsement di Calenda porta buono almeno quanto un endorsement di Ferrara, che infatti aveva endorsato Calenda. Ma Conte l’ha scampata: il noto frequentatore di se stesso l’ha riempito di insulti e annunciato che con i 5Stelle non si alleerà mai. Se Letta soffre della sindrome di Stoccolma, visto che si ripiglia due campioni di lealtà come Calenda e Renzi, Carletto Rolex è affetto dalla sindrome della mosca cocchiera, che si posa sul cavallo e si convince di essere lei a trainare il carro. Nessuno gli ha spiegato che Roma non è l’Italia, dove i sondaggi lo danno in zona Iv. Lì ha preso il 19,8% perché molti elettori di destra ridevano all’idea di Michetti sindaco. E han deciso giustamente che il vero candidato di destra era lui (ex Confindustria, ex Montezemolo, ex Monti, ex Renzi, autore col Pd di un furto con destrezza di voti da manuale: prendi il seggio europeo da 18mila euro al mese e scappa). Evento difficilmente ripetibile su scala nazionale, visto che a destra c’è già un discreto affollamento di leader, e purtroppo tutti più popolari di lui (persino B.). Una rondine non fa primavera e un Calenda non fa capoluogo.

Lui però se la sente calda: “Voto Gualtieri, ma la mia non è una dichiarazione di voto urbi et orbi” (testuale). Si definisce “socialista-democratico”, “liberalsocialista”, “liberaldemocratico”, “erede del Partito d’Azione” solo perché il suo partito si chiama Azione. Se gli domandano qualcosa di più preciso, dice “basta con fascismo e comunismo, berlusconismo e antiberlusconismo”, manco fossero la stessa cosa: un Cetto La Qualunque dei Parioli. E ora che fa? Un bel centrino con Renzi, Bentivogli e FI? “No, mi fa schifo”. Ah. E quindi? Una grande alleanza con i “popolari come la Carfagna” (sic) e pure con Fratoianni, “anche se dice un sacco di idiozie”. Ecco. Però, sia chiaro, “ho una pregiudiziale sui 5Stelle, populisti e trasformisti”: “Conte non so cos’è” e “ha governato con la Lega e col Pd”; e “Di Maio al Mise ha fatto un disastro epocale, in un Paese serio venderebbe i giornali”. Gli è forse sfuggito che Conte è il premier che ha gestito la pandemia e portato a casa il Recovery Fund. E Di Maio, al Mise, spuntò da Mittal molti meno esuberi di quelli avallati da lui. Quanto al trasformismo, lui è stato eletto nel Pd, i suoi tre parlamentari nel Pd, in FI e nel M5S, e Azione sostiene un governo con dentro M5S, Lega e Pd contemporaneamente. Quando arriva l’ambulanza?

ILFQ

giovedì 7 ottobre 2021

Fresca Putia - Gastronomia - Viale Lazio 106 - Pa - Menù del giorno

 

Buon giorno da Fresca Putìa 🌞 

Sempre disponibili da pranzo in poi, orario no stop sino alle ore 21:30 🕤 per pizze, burgers, panini, pasta e polpette vegetali: 

Menù di oggi, 7 ottobre 2021 

BURGERS:

- 🍔 Il burger: bun morbido, burger di black Angus, cipolla caramellata, scamorza affumicata, uovo dal cuore morbido, mayo €8,50

- 🍔🌱 Il burger veggie: bun morbido, burger di ceci, carote, patate e piselli, cipolla caramellata, scamorza affumicata, uovo dal cuore morbido, mayo €8,50 

PASTA:

- 🌿 trofie al pesto genovese €4,50

- 🍄 tagliatelle ai funghi €4,50

- 🌶 mezze penne alla amatriciana €4,00

- 🍅 mezze penne al pomodoro €3,50

- 🥟 tortellini panna e prosciutto €4,90

- 🥓 spaghetti alla chitarra alla carbonara €4,50 

CARNE:

- 🐷 arrosto di maiale con spicchi di patate €7,50 

PANINI:

- 🐐 caprese (pomodoro e mozzarella) €2,00

- 🍖 Classico (prosciutto e mozzarella) €2,50

- 🥓 salamino ( salamino piccante) €2,50

- 🫒 pane cunzato ( pomodoro, caciocavallo , olive, acciughe , origano , olio evo) €3,50

- 🥖 panelle e crocche’ €2,50  

APPETISERS:

- 🧆 Polpette vegane 🌱: rapa rossa, zucca e carote, spinaci €6,00 mix 12 / €3,50 mix 6

- 🥔 Panelle e crocche’ €4,50

- 🍟 Chips patate €2,50 

DRINKS:

- Can Coca Cola €1,00

- Can Fanta €1,00

- Can Sprite €1,00

- Bottle Polara Siciliana: limone, limone e zenzero, cedrata, mandarino, mandarino verde, arancia rossa, chinotto, tonica €2,00

- Heineken €2,00

- Moretti €1,50

- Ceres €3,00

- Ceres extreme ten €3,50

- 9.5.8 Santero Bellini €3,50

- 9.5.8 Santero Extra dry €3,5



Buon Appetito.

Astensione programmata. - Marco Travaglio

 

Anch’io, come Padellaro, ho visto i colleghi del Giornale Unico esultanti per la morte del populismo (notizia, fra l’altro, fortemente esagerata). E mi sono domandato: ma che avranno da gioire, con Salvini e Meloni insieme al 40% e un elettore su due astenuto? Certo, la gioia incontenibile è per la sconfitta degli odiati 5Stelle di Conte (peraltro non candidato). Ma c’è di più. Per noi democratici, fissati con la Costituzione e la sovranità popolare, l’astensione è un tragedia: per lorsignori, che democratici non sono anche se fingono bene, è una risorsa. Anzi, è il fondamento del loro piano oligarchico: meno gente vota e meglio è, perché alle urne vanno solo quelli che votano “bene”. Non i bifolchi brutti sporchi e cattivi delle periferie, che sbagliano sempre a votare; ma i buoni saggi moderati e obbedienti delle Ztl.

Nella Prima Repubblica, senza vincoli di bilancio e di spesa, il potere si garantiva i consensi degli ultimi distribuendo posti, soldi e prebende clientelari, scambiando voti e favori con le mafie e chiudendo un occhio sull’illegalità di massa (evasione, abusivismo, lavoro nero, falsi invalidi). Nella Seconda Repubblica, finiti i soldi e ingabbiati dalla Ue, la platea dei clientes s’è ristretta, ma per trascinare la gente alle urne s’è inscenato il finto bipolarismo Berlusconi-centrosinistra, le due facce furbe dello stesso sistema. Un gioco a somma zero su una roulette truccata, dove vinceva sempre il banco. Con l’avvento dei partiti anti-sistema (i 5Stelle e poi la Lega salviniana e FdI) la maschera è caduta e le periferie sociali e politiche rassegnate a non contare più nulla han trovato qualcuno che parlava di loro, con loro e come loro. E sono tornate alle urne, mandando in tilt il sistema. Che nel 2013 s’è ammucchiato in orrendi assembramenti contro natura (i governi Letta, Renzi e Gentiloni) pur di tenere i barbari fuori dal recinto. Ma nel 2018 ha dovuto arrendersi alla legge dei numeri e subire ben due governi di cambiamento: il Conte-1 e il Conte-2. Nel 2021 le acque del Mar Rosso si sono richiuse violentemente col Conticidio e l’avvento di Draghi che, con la scusa dei vaccini e del Pnrr (già pronti col governo precedente), si allarga un bel po’ e svela il suo vero mandato: raddrizzare le gambe ai cani, cioè ai partiti, rendendoli tutti docili e obbedienti al sistema. Raddrizzare le gambe agli elettori è più arduo: sono troppi. Ma basta raccontargli ogni giorno a reti unificate che il loro voto non serve a nulla, tanto Draghi (o una sua controfigura se lui ascenderà al Colle) resterà a Palazzo Chigi anche dopo le elezioni, comunque vadano, senza neppure l’incomodo di candidarsi. Così l’elettore si rassegna: se gli piace il presepe, vota “bene”; se non gli piace, sta a casa.

ILFQ

Recovery, il flop della Sicilia: 31 progetti bocciati su 31 per i sistemi di irrigazione. Dalla Regione accuse a Patuanelli, che risponde: “Requisiti non rispettati”. Ecco tutti gli errori. - Luisiana Gaita e Manuela Modica

 

Date di verifica mancanti, durate di intervento superiori al consentito, assenza di valori fondamentali. Quella siciliana è l'unica regione che si è vista rispedire tutti i piani per ottimizzare l'irrigazione dei campi agricoli. Musumeci ne fa una questione territoriale: "Favorito il Nord". Eppure la Calabria ha avuto 20 approvazioni. Tantissimi buchi su 23 criteri stringenti, costruiti in accordo con le Regioni e su cui il ministero dell'Agricoltura aveva creato un help desk. Le opposizioni in regione attaccano: "Inadeguati, siamo già i peggiori in assoluto". Ma non tutto è perduto.

Sono le primissime battute del Recovery plan, e la Sicilia incassa già il suo primo flop. Perfino con clamore: su 31 progetti ammessi, 31 progetti sono stati bocciati dal ministero dell’Agricoltura. Si tratta di una prima tranche di investimenti per ammodernare o mettere in sicurezza i sistemi di irrigazione dei campi agricoli. E la Sicilia, che aveva chiesto più di 400 milioni di euro, non avrà neanche un centesimo. L’unica regione d’Italia ad ottenere solo bocciature e a restare all’asciutto, anche in senso letterale, è il caso di dire. Inanellando invece un lungo elenco di veri e propri strafalcioni che però non ha frenato le prime, infuocate, reazioni del governo regionale andato subito all’attacco diretto del ministro dell’Agricoltura, Stefano Patuanelli: “Con quale criterio e come si è proceduto alla selezione?” si chiedeva immediatamente dopo avere appreso la notizia della bocciatura, lo scorso lunedì, l’assessore siciliano all’agricoltura, Toni Scilla. E si rispondeva: “È chiaro che qualcosa non quadra. Il ministro Patuanelli scade in valutazioni sommarie a tutto svantaggio della Sicilia, e non è la prima volta che lo fa”. Ma il resoconto nel dettaglio mostra errori come quello di non avere indicato la data di progettazione in ben 12 progetti, mentre per altri 12 non è stata inserita la data di durata dei lavori. Per 27 progetti, invece, non è stata neanche inserita la data di verifica. Lo stesso ministro Patuanelli, rispondendo durante il question time a un’interrogazione sui progetti per l’ammodernamento delle reti irrigue nell’ambito del Pnnr, con particolare riferimento al Mezzogiorno, ha spiegato che nessuno dei progetti presentati dalla Sicilia è risultato ammissibile “per motivi meramente tecnici” specificando, ad esempio, che “17 progetti presentavano una durata di intervento e realizzazione delle opere superiore ai 30 mesi. Abbiamo delle scadenze – ha commentato Patuanelli – che non sono derogabili, come è noto”. Ma è solo la punta dell’iceberg. Basti pensare che nella lista ci sono anche due progetti (ente attuatore è il Consorzio di Bonifica di Siracusa) da 4,3 e 4,8 milioni di euro che non rispettano 16 criteri su 23. In pratica si fa prima a dire quali sono stati rispettati (sette). Il progetto di Gela, da 31 milioni, per la rete irrigua dell’invaso Gibbesi, non risponde a 13 criteri. A 12 criteri non rispondono altri due progetti che riguardano Gela (da 19 e 15 milioni di euro) e altrettanti in provincia di Catania (per 4,8 e 4,3 milioni). Poi ci sono altri 5 progetti a Trapani (quasi 8 miliardi, 8,2, 4,3 e 5,2 miliardi) e ancora a Siracusa (4,6 miliardi) che non rispondono a 11 criteri. E poi ci sono altri 19 progetti che non rispondono a un numero di criteri che varia dall’uno agli 8.

E questo solo per citare alcuni dei problemi che hanno consegnato il record di bocciature alla Sicilia. Record che ha scatenato le prime reazioni al vetriolo, con l’assessore Scilla che nonostante questi dati ha continuato ad attaccare il ministro: “Ricordiamo il tentativo di scippare fondi del Programma di sviluppo rurale. Un atteggiamento ostile, che registriamo per l’ennesima volta, e che ci porterà ad effettuare le dovute verifiche e valutazioni”. Ancora più duro il presidente siciliano, Nello Musumeci che addirittura scomoda un conflitto territoriale: “È una vergogna nel Pnrr continuare a guardare a progetti del Centro-Nord e non a quelli del Sud e della Sicilia. Non è un problema di risorse, ma di progettualità. E la Regione Siciliana ha priorità davanti alle quali il governo nazionale si gira dall’altra parte”. Reazioni a caldo, a inizio settimana, poi riviste. Fino a chiedere, ieri, un incontro al ministro. Mentre Scilla ha passato tutto il pomeriggio rinchiuso in una riunione fiume con i suoi dirigenti per capire dove risiedano le responsabilità di un tale flop, in vista dell’appuntamento di questa mattina in commissione Attività produttive all’Assemblea regionale siciliana, dov’è stato convocato per riferire sulle bocciature. D’altronde a poco serviva appellarsi a un ipotetico sbilanciamento a favore del Nord, considerando che la Calabria ha avuto sì 16 progetti bocciati ma ha potuto incassare anche 20 approvazioni. Ma nell’attesa che si scovino le responsabilità, anche Gaetano Armao, assessore all’Economia, ha puntato il dito contro i criteri di valutazione, perché non erano stati discussi con le Regioni: “Non c’è mai stato alcun confronto in conferenza stato-regioni, e il problema è più generale: o si incardina tutto secondo legge o il ministero va avanti coi suoi parametri e con una gestione del tutto autonoma al di fuori dei normali iter”. Tutta colpa dei criteri, dunque. Erano 23 in tutto e secondo Patuanelli erano “gli stessi adottati nell’ambito del programma nazionale di sviluppo rurale 2014-2020 e concordati con le Regioni e province autonome nel 2015″.

Una risposta che smentisce il governo siciliano che all’esordio sul recovery plan è già nella bufera. “Siamo alle prime battute e siamo già i peggiori in assoluto”, commenta Luigi Sunseri consigliere regionale del M5s. E continua: “Se il governo non è in grado di rispettare criteri, peraltro già stabiliti in conferenza stato-regione, non lo deve dire ora, doveva saperlo e dirlo prima, dal dettaglio emergono non solo errori ma gravi illiceità”. “Se questa è la prima, non voglio vedere le altre. Ed è inutile buttarla in caciara menzionando un conflitto col Nord”, interviene, invece, Valentina Zafarana, membro per i Cinquestelle in commissione Attività produttive, dove stamattina Scilla dovrà riferire. “Strafalcioni terrificanti e per l’ennesima volta registriamo come non ci sia nessun membro di questo governo in grado di ammettere le proprie responsabilità e scusarsi con i cittadini”, commenta anche Claudio Fava. “La responsabilità per questo clamoroso flop è evidentemente ascrivibile alla inadeguatezza degli apparati regionali e al mancato coordinamento da parte del governo”, sottolinea Cleo Li Calzi, responsabile del dipartimento regionale Pnrr del Pd. Ma d’accordo con Li Calzi c’è lo stesso Armao che dai banchi del governo lancia l’allarme: “Abbiamo senza dubbia urgenza di reclutare personale di alto livello, dopo che negli anni passati si è spinto per i pensionamenti, siamo in grande difficoltà: la mia proposta, a questo punto, è di attingere agli ultimi concorsi lanciati da Brunetta con il quale sto dialogando”. “Armao dice una cosa vera – ribatte Sunseri – la Regione non è in grado e andrebbe commissariata”.

In effetti, in molti casi si tratta di errori e lacune banali. La nota ufficiale del Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) spiega che per l’87% dei progetti candidati (27 progetti) non è stata inserita la data della verifica. E questo vale anche per il progetto con l’importo maggiore, quello da 63 milioni di euro per la sostituzione delle condotte in amianto a Dittaino, in provincia di Catania. Per venticinque progetti (l’80,6%) il valore inserito nel campo ‘Superficie totale dell’area attrezzata sottesa all’intervento (ha)’ è pari a zero. Tra questi il progetto da 39,1 milioni ad Agrigento per utilizzare le acque delle dighe Prizzi e Gammauta con l’alimentazione a cascata della vasca Alta Martusa di Cartabellotta e potenziare il sistema di irrigazione dell’area di Ribera. Per 24 progetti, alla voce ‘Verifica progetto’ è stato scritto no, contrariamente a quanto indicato. Per 23 progetti è stato inserito il valore ‘0’ nel campo ‘Misuratori al Prelievo Installati a titolo dell’investimento’. Per 19 progetti non è ammissibile il valore inserito sullo stato delle autorizzazioni (le opzioni erano ‘da acquisire o da rinnovare entro 6 mesi’ e ‘acquisite e in corso di validità). Tra questi, per 14 progetti non è stato inserito alcun valore. Per altri 14 non è stato rispettato il criterio che riguarda la data di progettazione che, in 12 casi, non è stata proprio inserita, mentre in altri due casi è antecedente al 2016. Diciassette progetti, invece, non rispettano il criterio della durata dei lavori. Tra questi, per 12 progetti non è stato inserito alcun valore, per altri 5 la durata contrattuale dei lavori è superiore a 30 mesi.

Insomma un disastro. A maggior ragione alla luce di quanto ha dichiarato il ministro durante il question time: “Ricordo che dopo aver condiviso con le regioni i criteri di ammissibilità, abbiamo attivato un help desk con 118 faq di risposta e un dialogo costante con chi stava inserendo i progetti per aiutare ed evitare la commissione di errori”. Già. E allora potrà la Regione Sicilia porre rimedio al pasticcio? “Su questo ovviamente siamo disponibili a far rimediare – ha spiegato il ministro – per esempio a chi ha barrato un numero sbagliato. E sempre nel rispetto di chi ha già fatto le cose in modo corretto”. Ma ci sono altri due aspetti che il ministro affronta nel suo intervento. Intanto le risorse nazionali a disposizione per il sistema irriguo. Come a dire: c’è un altro treno, per chi perderà questo. “Ci sono 440 milioni di finanza messi sulle leggi di Bilancio dei prossimi anni – ha spiegato – che non sono soggette ai tempi del Pnrr”. E c’è un’altra questione su cui riflettere: “Alcuni consorzi e alcuni enti che sono vigilati dalle Regioni non hanno avuto la capacità tecnica di presentare i progetti. Potremo aiutarli con le risorse nazionali”.

ILFQ

Soldi all'estero, maxi sequestro per frode internazionale.

 

Gdf di Milano, oltre 1.500 raggirati e 21 Mln recuperati.


Oltre 1.500 investitori truffati, convinti di effettuare investimenti in fondi mobiliari costituiti alle Isole Bermuda e in Lichtenstein. E' quanto hanno scoperto la guardia di Finanza e la procura di Milano in un'indagine che ha portato al sequestro preventivo di oltre 21 milioni nei confronti di 11 indagati residenti in Svizzera, in Lombardia, a Roma e in provincia di Pesaro. 

"Bisogna fare attenzione ai guadagni facili, laddove ci sono proposte di trading on line in cui vengono prospettati profitti facili attraverso strumenti finanziari, bisogna essere particolarmente attenti".

Lo ha spiegato il procuratore aggiunto di Milano Eugenio Fusco in relazione all'inchiesta, coordinata anche dal pm Luigi Furno e condotta dal Nucleo di polizia economico-finanziaria della Gdf milanese, che ha portato oggi al sequestro di oltre 21 milioni di euro per una maxi truffa con oltre 1500 investitori raggirati. "In questi casi di investimenti in fondi chiusi - ha aggiunto - va prestata massima cautela".

ANSA