domenica 1 settembre 2019

Ma che volete di più? di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 1 Settembre

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Il sondaggio Ipsos-Corriere dovrebbe far riflettere chi, nel M5S, continua a tentennare fra il governo Conte-2 e le elezioni a ottobre (o, peggio, il ritorno tra le fauci di Salvini). Fino al 7 agosto i 5Stelle erano in picchiata e soprattutto in trappola. Se rompevano con la Lega, regalavano a Salvini le elezioni dei “pieni poteri”; se restavano, quello completava la cannibalizzazione. Li ha salvati il Cazzaro, facendosi esplodere da solo. E spingendo prima Renzi poi tutto il Pd a compiere un passo rinviato da 10 anni. Di Maio all’inizio se l’è giocata bene: o Conte o voto. Zingaretti aveva posto il veto su quello che tutti vedono come l’anti-Salvini, poi ha dovuto rimangiarselo. Così Conte, prima visto come figura istituzionale autonoma, appare ora un premier 5Stelle. E l’“effetto Conte” porta il M5S oltre il 24%, di nuovo davanti al Pd (che pure cresce), e i giallo-rosa insieme al 45%: per la prima volta dopo mesi, alla pari del centrodestra. Ora, preso atto che il Conte-2 dimagrisce la Lega e ingrassa il centrosinistra, ma soprattutto il 5S, che altro va cercando Di Maio?

L’ultimatum di venerdì, che ha creato inutili tensioni, è incomprensibile: persino sui dl Sicurezza il Pd aveva accettato di ripartire dalle critiche di Mattarella, anziché da un’abrogazione integrale che conviene solo a Salvini. Certo, bisogna mostrare i muscoli agl’iscritti titubanti di Rousseau. Certo, è sempre meglio vampirizzare che essere vampirizzati. Ma se Di Maio spera di recuperare peso e voti travestendosi da Salvini dei giallo-rosa, sbaglia di grosso. Le gare di rutti sono roba da Salvini. E alla lunga stancano. Ora, per reazione, la gente vuole ministri seri che parlino coi fatti. Se proprio vogliono litigare, i 5Stelle lo facciano su certi nomi che girano nella galassia dem. Tipo Giuliano Pisapia alla Giustizia. Brava persona, per carità. Ma, a parte la “discontinuità” di uno che è in politica da 45 anni, dall’ultrasinistra a Rifondazione, dal Pd (e De Benedetti) al Parlamento, dal Comune di Milano a Bruxelles, Pisapia ha già fatto abbastanza danni. Decarceratore impenitente, da capo della commissione Giustizia (1996-’98) continuò a difendere imputati mentre depenalizzava o riformava i loro reati, in pieno conflitto d’interessi. Nel 2006 fu tra i padri dell’indulto Mastella e confessò pure il movente: “Ci vuole un condono di 2-3 anni che faccia accedere Previti ai servizi sociali”. Poi, astenendosi con tutta RC, fece passare la legge-vergogna di B. contro Caselli alla Procura nazionale antimafia. E annunciò l’abolizione dell’ergastolo anche per le stragi, costringendo lo stesso Mastella a dissociarsi. Ecco: Pisapia no grazie, magari un’altra volta.


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sabato 31 agosto 2019

M5s, ecco i 20 punti consegnati da Di Maio a Conte.

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Sul tavolo del presidente del Consiglio incaricato arriva la lista programmatica dei pentastellati. Dal taglio dei parlamentari al contrasto all'immigrazione clandestina, molto spazio all'ambiente: ecco tutti i punti nel dettaglio.
Il Movimento 5 Stelle ha messo sul tavolo del presidente del Consiglio incaricato, Giuseppe Conte, una lista programmatica per la formazione del governo. La prima notizia è che dai dieci punti di cui si era parlato inizialmente c’è già stato un raddoppio: ora sono venti. Tra i tanti punti toccati spuntano una particolare insistenza sull'ambiente e il ribadito contrasto all'immigrazione. "Se entreranno i nostri punti nel programma di governo si potrà partire, altrimenti meglio il voto", ha fatto sapere Luigi Di Maio, lanciando un messaggio al Pd.
Dal taglio ai parlamentari al contrasto all'immigrazione
In testa i temi più caldi: il taglio dei parlamentari e lo stop all’aumento dell’Iva. Largo spazio ai temi legati all’ambiente, apparentemente più trascurati nell’esperienza con la Lega. Poi conflitto di interessi, riforma della giustizia e carcere per i grandi evasori. Ma anche l’obiettivo di portare a termine cammini già intrapresi con la Lega, dall’autonomia differenziata al contrasto all’immigrazione. La lista che Di Maio ha consegnato a Conte dovrà ora essere analizzata soprattutto dal Partito Democratico, che potrebbe trovarvi un punto di incontro o un programma troppo serrato che rischierebbe di incrinare ulteriormente i rapporti tra i due partiti. Ecco i 20 punti elencati nel programma del M5S.

La lista completa.


1. Taglio del numero dei parlamentari. Manca un solo voto per completare la riforma, che secondo il M5S deve essere un obiettivo di questa legislatura e tra le priorità del calendario in aula.
2. Una manovra equa: stop all'aumento Iva, salario minimo, taglio del cuneo fiscale, sburocratizzazione, famiglie, disabilità e emergenza abitativa.
3. Cambio di paradigma sull'Ambiente. Un'Italia 100% rinnovabile. Dobbiamo realizzare - dice il M5S - un Green New Deal che nei prossimi decenni porti l'Italia verso l'utilizzo di fonti rinnovabili di energia al 100%. Tutti i piani di investimento pubblico dovranno avere al centro la tutela dell'ambiente, la questione dei cambiamenti climatici e la nascita di nuove imprese legate a questo settore. Basta con inceneritori e trivelle, sì all'economia circolare e alla eco-innovazione. Norme contro l'obsolescenza programmata. Una legge su rifiuti zero ed investimenti pubblici sulla mobilità sostenibile.
4. Una seria legge sul conflitto di interessi e una riforma del sistema radiotelevisivo.

5. Dimezzare i tempi della giustizia e riformare il metodo di elezione del Consiglio superiore della Magistratura. I cittadini e le imprese - continua il M5S - hanno bisogno di una giustizia efficace e veloce: noi abbiamo pronta una riforma che porta al massimo a 4 anni i tempi per una sentenza definitiva.

6. Autonomia differenziata e riforma degli enti locali. Va completato - si legge nel programma del M5S - il processo di autonomia differenziata richiesta dalle regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, istituendo contemporaneamente i livelli essenziali di prestazione per tutte le altre regioni per garantire a tutti i cittadini gli stelli livelli di qualità dei servizi. Va anche avviato un serio piano di riorganizzazione degli enti locali abolendo gli enti inutili.

7. Legalità: carcere ai grandi evasori, lotta alle mafie e ai traffici illeciti. È necessario intervenire per tutelare i
cittadini onesti, colpendo innanzitutto i grandi evasori con il carcere. Serve una maggiore tracciabilità dei flussi finanziari e un inasprimento delle pene per i reati finanziari, per contrastare i traffici illeciti delle mafie. Contrasto al fenomeno dell'immigrazione clandestina e della tratta degli esseri umani, con politiche mirate dell'Unione Europea nei Paesi di provenienza e transito. Oltre alla modifica del Regolamento di Dublino.

8. Un piano straordinario di investimenti per il Sud, anche attraverso l'istituzione di una banca pubblica per gli investimenti che aiuti imprese in tutta Italia e che si dedichi a colmare il divario territoriale del nostro Paese.

9. Una riforma del sistema bancario. Serve separare - continua il M5S - le banche di investimenti da banche commerciali.

10. Tutela dei beni comuni. La scuola pubblica è un bene comune: serve prima di ogni altra cosa una legge contro le classi pollaio e valorizzare la funzione dei docenti. L'acqua è un bene comune: bisogna approvare subito la legge sull'acqua pubblica. La nostra sanità va difesa dalle dinamiche di partito spezzando il legame tra politica regionale e sanità valorizzando il merito. Le nostre infrastrutture sono beni pubblici ed è per questo che va avviata la revisione delle concessioni autostradali. La cittadinanza digitale va riconosciuta ad ogni cittadino italiano dalla nascita per favorire l'accesso alla partecipazione democratica, all'informazione e per favorire la trasformazione tecnologica.

11. Politiche di genere in attuazione dei diritti costituzionali della persona, in conformità ai principi dell'Unione europea; superamento della disparità retributiva, conciliazione vita lavoro.

12. Tutela dei minori: revisione del sistema degli affidi e delle adozioni, lotta alla dispersione scolastica e al bullismo.

13. Porre fine alla vendita degli armamenti ai Paesi belligeranti, incentivando i processi di riconversione industriale e maggiore tutela e valorizzazione del personale della difesa, delle Forze dell'ordine e dei Vigili del fuoco.

14. Politiche espansive con una quota di investimenti in infrastrutture, in ambiente e in cultura da scomputare dai parametri di Maastricht.

15. Giovani e futuro: innovazione digitale, sviluppo delle imprese e promozione delle eccellenze del Made in Italy, crowdfunding, semplificazione apertura nuove attività, fondo previdenziale integrativo pubblico.

16. Ricerca, università ed alta formazione artistica e musicale: riforma dei sistemi di reclutamento e dell'accesso universitario con ingenti investimenti per garantire pari opportunità di diritto allo studio, di sviluppo e formazione su tutto il territorio nazionale.

17. Tutela del cittadino: del consumatore, del lavoratore, dell'utente dei servizi; il potenziamento della sicurezza sul lavoro e delle infrastrutture e della protezione dalle calamità naturali, con particolare riguardo ad un testo unico per le post emergenze e per la ricostruzione del tessuto infrastrutturale, economico e sociale. Provvedimenti volti alla tutela dei cittadini italiani all'estero e riforma dell'Aire.

18. Riorganizzazione dei servizi sanitari e socio-sanitari territoriali e riforma del percorso formativo medico: integrazione ospedale-territorio, l'adeguamento del Fsn e l'attuazione del Fascicolo sanitario elettronico nazionale. Contrasto al gioco d'azzardo.

19. Tutela degli animali: misure per garantire il rispetto degli animali. Contrasto alle violenze e al maltrattamento, tutela della biodiversità e lotta al bracconaggio.

20. Sostegno ai piani di settore e alle filiere agricole e promozione di pratiche agronomiche e colturali sostenibili e a difesa del suolo.

venerdì 30 agosto 2019

La pianta più importante per l’umanità? Il fico d’India. 5 aspetti poco conosciuti dei frutti del futuro.



Perché i fichi d’India ci salveranno dalla fame e dai cambiamenti climatici. I fichi d’India resistono alla siccità, assorbono l’anidride carbonica, sono nutrienti e possono essere un ottimo mangime per gli animali da allevamento. Per la FAO sono il cibo del futuro.

Il cibo del futuro sarà la pianta del fico d’India (Opuntia ficus-indica), che grazie alle sue peculiari proprietà – sia nutritive che di adattamento – potrà fornire sostentamento a milioni di persone nelle zone più aride del pianeta, oltre che al bestiame. A stimarlo è stata la FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, che ha riunito un pool di esperti internazionali per condividere tutte le informazioni più recenti su questa pianta succulenta: dal profilo genetico alle vulnerabilità ai parassiti, passando per i terreni prediletti alla fisiologia.
Ma perché questi ‘cactus’ sono così importanti per l’alimentazione del futuro? Con i cambiamenti climatici che avanzano inarrestabili, la desertificazione e il boom demografico, che porterà la popolazione umana a quasi 10 miliardi di individui nel 2050, le fonti di cibo tradizionali diverranno sempre più scarse, e sarà necessario rivolgersi a prodotti più ‘virtuosi’ e in grado di adattarsi meglio alle nuove condizioni. Non è un caso che dal 2018 anche in Europa si potranno consumare gli insetti. Ma torniamo al fico d’india. Originaria del Messico, questa pianta ha innanzitutto una spiccata resistenza alla siccità, grazie a un metabolismo peculiare che la protegge dalla dispersione dei liquidi. Basti pensare che in un ettaro di coltivazione questi cactus possono conservare nelle loro pale fino a 180 tonnellate di acqua.
La proprietà si accompagna alla capacità di assorbire concentrazioni elevate di anidride carbonica, il principale gas serra responsabile dei cambiamenti climatici. Un ettaro di coltivazione riesce a eliminare sino a 5 tonnellate di CO2 dall’atmosfera. Sempre da un ettaro di coltivazione si riescono a ottenere ben 20 tonnellate di frutta, come avviene in Italia, e dove vengono utilizzati sistemi di irrigazione si può arrivare anche a 50 tonnellate. Ma il delizioso frutto non rappresenta l’unica parte commestibile della pianta; in Messico, ad esempio, sono molto apprezzate le foglie giovani e i germogli, i cosiddetti nopalitos, sfruttati per numerosi piatti come frittate, zuppe, insalate e altro ancora.
Coltivazioni di queste piante, considerate “umili”, se opportunamente rivalutate potrebbero dunque sfamare milioni di persone nelle aree più povere e aride del pianeta, quelle già esposte agli effetti più drammatici dei cambiamenti climatici. Se ciò non bastasse, dai fichi d’India si possono ottenere ottimi mangimi per gli animali da allevamento; non solo bovini (un ettaro produce acqua sufficiente per sostenere cinque mucche adulte), ma anche insetti, anch’essi considerati cibo del futuro, oltre che materia prima per alcuni coloranti. Per tutte queste ragioni la FAO ha messo a punto uno studio chiamato Crop Ecology, Cultivation and Uses of Cactus Pear” dove ha indicato tutti i vantaggi dei fichi d’India.

ZUCCHINE IMPANATE.

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INGREDIENTI: 2 zucchine grandi, pangrattato, 1 cucchiaio di pecorino grattugiato, 1 albume, sale, pepe, 2 cucchiai di olio

PREPARAZIONE: Lavate e spuntate le zucchine, poi tagliatele a rondelle spesse circa 1/2 centimetro, mettetele in una ciotola e aggiungete l’olio, mescolate bene in modo che l’olio si distribuisca uniformemente. In un piatto mettete il pangrattato, il pecorino grattugiato, il sale e il pepe mescolate bene, in un altro piatto mettete l’albume e sbattetelo bene con la forchetta, passate le zucchine prima nell’albume e poi nel pangrattato.
Mettete le rondelline in una teglia coperta da carta da forno e fate cuocere in forno caldo a 180°C per circa 20 minuti.


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giovedì 29 agosto 2019

Perché lo spread scende moltissimo. - Davide Maria De Luca



I rendimenti dei titoli di Stato italiani hanno raggiunto il livello più basso da parecchio tempo, se non di sempre: c'entra che la Lega non è più al governo, ma non solo.


Negli ultimi giorni i titoli di Stato italiani hanno raggiunto uno dei livelli di rendimento più bassi della loro storia, e lo spread è sceso ai livelli precedenti alla formazione del governo Lega-Movimento 5 Stelle. I BTP decennali, ad esempio, non hanno mai pagato un tasso di interesse così basso a chi li acquista. Per lo Stato italiano, quindi, non è mai stato così conveniente finanziarsi indebitandosi. Oggi, per esempio, il ministero dell’Economia ha venduto 4 miliardi di euro di BTP a dieci anni con un tasso di interesse dello 0,96 per cento, il rendimento più basso di sempre.
Considerando che probabilmente nei prossimi dieci anni l’inflazione sarà almeno pari o superiore all’1 per cento (è stata dell’1,2 per cento nel 2018) significa che chi ha comprato BTP si vedrà restituire una cifra di valore inferiore a quella che ha investito oggi (un’inflazione superiore al rendimento, infatti, si “mangia” gli interessi e parte del capitale). Di fatto significa che gli investitori stanno pagando per finanziare il nostro paese (è già accaduto spesso negli ultimi anni, ma finora era successo ai titoli di paesi percepiti come molto stabili, per esempio quelli tedeschi).
Allo stesso tempo è diminuito anche lo spread, che misura la differenza tra il rendimento dei BTP italiani e degli equivalenti titoli tedeschi. Oggi lo spread è sceso fino a 163 punti base, un livello che aveva toccato l’ultima volta prima della formazione del governo Lega-Movimento 5 Stelle (mentre nei giorni della sua formazione, alla fine del maggio 2018, era arrivato a toccare i 300 punti base).
Ci sono alcune ragioni per spiegare questi cambiamenti. La prima ha a che fare con la caduta del governo. Gli investitori, cioè i grandi istituti finanziari che giorno per giorno contribuiscono a far muovere lo spread vendendo o acquistando titoli di Stato (qui avevamo spiegato come funziona questo meccanismo), avevano “prezzato” – come si dice in gergo – il rischio (in realtà abbastanza remoto) di un fallimento italiano o di una ridenominazione del debito pubblico in un’altra valuta nel caso dell’uscita dall’euro (che sono un po’ la stessa cosa), viste le note posizioni della Lega su questo tema.
È il fenomeno per cui, per esempio, le dichiarazioni sui famosi “mini-bot” si trasmettevano quasi automaticamente sui rendimenti e quindi sullo spread. Con l’uscita della Lega dal governo, i mercati hanno ritenuto che questo rischio si sia attenuato e quindi hanno “premiato” i titoli di Stato italiani, chiedendo un rendimento più basso in cambio del loro acquisto.
Ma c’è anche dell’altro. La caduta del governo in realtà ha prodotto prima un loro incremento (nei giorni in cui sembravano probabili nuove elezioni) seguito quasi subito da una rapida riduzione dei rendimenti. Questa riduzione però era già in corso da mesi. Come mai?
Il rendimento dei titoli decennali italiani nell’ultimo anno, con evidenziato il calo iniziato a novembre (Bloomberg)
Non c’è una sola risposta, né una risposta semplice: in ballo ci sono molti fattori che non hanno a che fare soltanto con la situazione del nostro paese. La causa principale di questa lenta ma costante riduzione nei rendimenti è l’annuncio con cui Mario Draghi, il presidente della Banca Centrale Europea, lo scorso novembre fece sapere che se l’inflazione fosse rimasta stagnante, cioè sotto il 2 per cento che la BCE considera il livello “sano”, sarebbe intervenuto con strumenti “straordinari”, per esempio facendo partire un nuovo programma di Quantitative Easing oppure interrompendo l’innalzamento previsto dei tassi di interesse (tutte operazioni che, direttamente o indirettamente, contribuiscono ad abbassare i tassi di interesse, compresi quelli sui titoli di Stato).
Con il passare dei mesi questa tendenza della BCE a tenere aperti i “cordoni della borsa”, o ad annunciare di essere pronta a farlo, si è confermata. Lo stesso hanno fatto le banche centrali di Stati Uniti e Giappone. Il punto è che l’inflazione, una delle principali ragioni che in passato spingevano le banche centrali a rallentare i loro stimoli all’economia per evitare che mettere troppo denaro in circolazione potesse far crescere eccessivamente i prezzi, sembra essere sparita dal mondo sviluppato.
Allo stesso tempo le ragioni per continuare con lo stimolo economico non sono scomparse: la disoccupazione rimane alta (anche se viene spesso “mascherata” dalla sottoccupazione e dal part time involontario), mentre non solo la crescita economica ristagna, in particolare in Europa e in Giappone, ma ci sono anche crescenti timori di una nuova recessione globale.
Nel corso dell’ultimo anno, nei forum dove economisti e banchieri centrali discutono del futuro dell’economia, come quello di Sintra in Portogallo e quello di Jackson Hole negli Stati Uniti, si è parlato sempre di più di come il funzionamento dell’economia nei paesi sviluppati appaia per alcuni aspetti profondamente cambiato rispetto al passato, e di come alcune ricette utilizzate in passato non sembrino più valide. In una serie tweet molto commentati, il professore di Harvard ed ex segretario al Tesoro del presidente statunitense Bill Clinton, Larry Summer, ha scritto che «i tassi di interesse a zero senza possibilità di scampo sono oggi la principale aspettativa dei mercati in Europa e Giappone» almeno per «la prossima generazione». E gli Stati Uniti «sono a una recessione di distanza dal trovarsi nella stessa situazione».
Se queste previsioni saranno confermate, le conseguenze per le economie sviluppate saranno di grande portata. Da un lato, ci dovremo abituare a un lungo periodo di stagnazione o di crescita anemica. Dall’altro, i paesi fortemente indebitati otterranno un margine di manovra per le loro politiche fiscali impensabile fino a pochi anni fa. Se i tassi di interesse italiani rimarranno sul livello attuale per i 4-5 anni necessari a rinnovare completamente lo stock di debito (cioè a sostituire le emissioni ai vecchi tassi con nuovo debito piazzato con bassissimi rendimenti) i governi italiani passeranno dal pagare circa 64 miliardi di euro in interessi ogni anno (la cifra pagata nel 2018) a pagarne una quindicina. Significa che i margini di spesa annuali cresceranno potenzialmente di 50 miliardi di euro l’anno.

I 10 punti elencati da Di Maio per dar vita a un nuovo Governo



«Abbiamo informato il capo dello Stato di quelli che secondo noi sono obiettivi prioritari per l’Italia, sono 10 impegni che abbiamo preso con gli italiani e che secondo noi devono essere portati a compimento». Lo ha detto il capo politico del Movimento 5 Stelle, Luigi Di Maio, al termine delle consultazioni avviate dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per sondare la possibilità di una nuova maggioranza di Governo.
I 10 obiettivi elencati da Di Maio sono: 
1) Taglio del numero dei parlamentari (deve essere un obiettivo di questa legislatura e una priorità del calendario in Aula); 
2) Una manovra equa che preveda stop all'aumento dell'Iva, il salario minimo orario, il taglio del cuneo fiscale, la sburocratizzazione, il sostegno alle famiglie, alle nascite, alla disabilità e all'emergenza abitativa; 
3) Cambio di paradigma sull’ambiente, un’Italia al 100% rinnovabile; 
4) Una legge sul conflitto di interessi e una riforma della Rai ispirata al modello Bbc; 
5) Dimezzare i tempi della giustizia e riforma del metodo di elezione del Csm; 
6) Autonomia differenziata e riforma degli enti locali; 
7) Legalità, carcere ai grandi evasori, lotta a evasione e traffici illeciti; 
8) Un piano straordinario di investimenti per il Sud; 
9) Una riforma del sistema bancario che separi le banche di investimento dalle banche commerciali; 
10) Tutela dei beni comuni, scuola, acqua pubblica, sanità, revisione concessioni autostradali.

12 ANNI DOPO. - Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano) 29.8.2019


C’è un fatto, di questa pazza crisi, che non era scontato: la standing ovation con cui la Direzione del Pd ha approvato per acclamazione il via libera di Zingaretti al Conte-2 con i 5Stelle. Una scena inimmaginabile non solo negli ultimi 10 anni, ma anche 20 giorni fa. Può darsi che, a spiegarla, basti la paura del voto e della vittoria di Salvini. Ma al voto, fino a 20 giorni fa, Zinga ci voleva andare proprio come Salvini.
Poi la mossa di Renzi ha cambiato le cose. Ma se è stato così facile convincerli tutti, vuol dire che gli argomenti dei cacadubbi che ci hanno sempre risposto “è impossibile, non accadrà mai” quando auspicavamo un contratto fra un centrosinistra rinnovato e un M5S maturo erano solidi come un sacco vuoto. Pretesti, scuse puerili, robetta. Che ha fatto perdere all’Italia un sacco di tempo e di occasioni, infliggendole esperienze agghiaccianti come i governi Pd-Berlusconi&Verdini&Alfano e regalando a Salvini 14 mesi di resistibile ascesa.
In fondo, quello fra M5S e Pd era un appuntamento fatale: tutti sapevano che prima o poi si sarebbe concretizzato, ma nessuno lo diceva. Eppure i 5Stelle, checché ne dicano i teorici delle “due destre populiste e sovraniste”, nascono da una costola del centrosinistra. Anche se poi la costola è diventata più grande del corpo, fino a inglobare elettori in fuga dal centrodestra. Lo ricorda Beppe Grillo in questi giorni a chi gli chiede il perché della sua attiva benedizione al governo giallo-rosa. Lui all’inizio, a fondare un movimento, non ci pensava proprio.
Nel 2005 aveva aperto il blog su istigazione di Gianroberto Casaleggio per portare dal palco dei suoi show a quello del web le sue battaglie ambientaliste. Aveva raccolto proposte dalla società civile (le “primarie del web”) e nel 2006 le aveva portate al premier Prodi. Ma quel governo era paralizzato dai veti incrociati e indebolito dal neonato Pd veltroniano a “vocazione maggioritaria” (ciao core), infatti di lì a poco cadde.
A cavallo di quella visita a Palazzo Chigi, Grillo aveva scoperto di avere un popolo in cerca di autore, nelle piazze dei due V-Day: il primo contro i condannati e i nominati in Parlamento, il secondo contro i fondi pubblici alla stampa.
E il 13 luglio 2009 Grillo si iscrisse al Pd nella sezione di Arzachena per candidarsi a segretario. Senz’alcuna intenzione né chance di diventarlo. “Io chiedevo solo di parlare al loro congresso per esporre le proposte del blog: gliele regalavo! Gratis! Mi dissero che non potevo neppure prendere la tessera perché ero ‘ostile’. Risposi: ostile non al Pd, ma alla sua classe dirigente, infatti voglio cambiarla”. Fu allora che Fassino lanciò il fatidico anatema, una summa di tutta la chiusura, la miopia, la protervia della sinistra all’italiana: “Se Grillo vuol fare politica, fondi un partito, si presenti alle elezioni e vediamo quanti voti prende”. Il più clamoroso boomerang della storia politica moderna, subito colto al balzo da Grillo: “Belìn, è stato lui a darmi l’idea del movimento! Io non ci avevo neanche pensato”.
Il MoVimento 5 Stelle nacque nel giorno di San Francesco d’Assisi, il 4 ottobre 2009. E irruppe in Parlamento nel 2013 col 25,5%. Bersani, rara avis, intuì che l’evento interpellava la sinistra e l’appuntamento incombeva. Ci provò proponendo al M5S l’appoggio esterno al suo governo, che i nuovi arrivati non potevano che respingere, anche se ci misero un surplus di inutile supponenza in streaming. Ma già due mesi dopo, con l’elezione del capo dello Stato, l’incontro era a un passo. Grillo lanciò la sfida al Pd: “Votiamo insieme Rodotà e poi facciamo il governo insieme”. Lì si vide che Bersani era solo: Napolitano, Letta jr. e il grosso del Pd avevano già in tasca l’inciucio con B.
L’anno scorso, dopo la vittoria, Di Maio propose un contratto di governo anzitutto al Pd: pareva tutto pronto, poi Renzi lo fece saltare con l’intervista a Fazio e i pop corn. E nacque il Salvimaio. Ora il momento è arrivato, tra le mille diffidenze e gelosie che però, viste le tossine e gli insulti accumulati in questi anni, potevano essere molto più pesanti. Il Pd ha cambiato idea e forse è anche un po’ cambiato.
Il M5S è maturato e, anche se nessuno glielo riconosce, un bel po’ del merito va a Di Maio. Che ha rotto il tabù delle alleanze (o dei contratti), ha portato i 5Stelle oltre il 33%, ha pescato il jolly di Conte e ora, insieme al redivivo Grillo, ha compattato il M5S in rotta su una sfida complicata ma ineludibile, che gli è costata la seconda rinuncia a Palazzo Chigi.
Una sfida che potrebbe rivelarsi un disastro, ma potrebbe pure aiutare i due contraenti giallo-rosa a contaminarsi per cambiare in meglio: il M5S ad accumulare esperienza e autorevolezza, il Pd a guadagnare in freschezza, energia e un po’ di sano populismo. Perciò Grillo se la ride: “Lo sapevo che prima o poi sarebbero arrivati”. Con appena 12 anni di ritardo, ma sono arrivati.
Ps. In questi giorni, improbabili esegeti-medium credono di sapere cosa direbbe Gianroberto Casaleggio. Noi lo ignoriamo, ma sappiamo cosa ci disse nell’ultima intervista del 21 maggio 2014: “Prodi fu molto gentile, ricevette Grillo a Palazzo Chigi, disse che avrebbe distribuito la cartellina con le nostre proposte ai vari ministri e sottosegretari, poi però la cosa finì lì.
Era un tentativo di vedere le loro carte: se il centrosinistra faceva proprie le nostre idee, a noi andava bene così, non ci interessava chi le portava avanti. Ma la risposta fu il muro. Al primo V-Day raccogliemmo 350 mila firme per tre proposte di legge popolare: se Prodi e Veltroni le avessero accolte, avrebbero dato la svolta al Pd e al sistema politico. Ma i giornali, soprattutto di sinistra, ci trattarono come una via di mezzo fra dei mangiatori di bambini e una setta satanica”. Secondo voi che direbbe oggi?