mercoledì 26 gennaio 2022

Michele Ainis: “Se Draghi va al Quirinale si rischia un cortocircuito”. - Silvia Truzzi

 

IL COSTITUZIONALISTA - “Nel vuoto delle norme, il premier non dovrebbe scegliersi il successore”.

C’è la politica. E poi ci sono le regole, dentro cui la politica si dovrebbe muovere, anche se pare che il perimetro delle manovre sia più quello delle eccezioni. I partiti sembrano arresi agli scatoloni del presidente Mattarella, e dunque si ragiona – al di là delle rose più o meno sfiorite – attorno al nome di Mario Draghi. Ipotesi che pone problemi di “igiene costituzionale”. Su Repubblica Michele Ainis, costituzionalista di Roma Tre, ne ha analizzato uno, che riguarda la successione a Palazzo Chigi.

Professore, secondo una legge del 1988, in caso di impedimento temporaneo del presidente del Consiglio la supplenza spetta, in mancanza di diversa disposizione da parte del premier, al ministro più anziano. È il momento di Brunetta? O deciderà Draghi?

La stanza dei bottoni deve sempre avere una guida. La legge disciplina l’impedimento temporaneo, ma se Draghi si dimette perché eletto – non può assumere entrambe le cariche contemporaneamente – sarebbe un impedimento definitivo. Possiamo applicare per analogia la regola che lei ha citato. Ma qui tutto non torna. Per ragioni sistemiche: il presidente del Consiglio non può revocare i ministri e quindi non può nemmeno designare il suo successore come premier. Si introduce un elemento di personalizzazione del potere che ci fa rimbalzare all’antica Roma, quando l’imperatore sceglieva il suo successore. C’è una lacuna enorme.

Le consultazioni le farebbe Mattarella?

Anche qui c’è un problema. La Costituzione prevede l’ipotesi di proroga o supplenza del presidente della Repubblica. La proroga è prevista nel caso in cui le Camere siano sciolte e la supplenza in caso di impedimento temporaneo o permanente. Io penso che sia preferibile la proroga, perché non vedo l’impedimento personale del presidente.

Però anche la proroga è tipizzata: si può estendere per analogia?

È vero. In ogni caso, le consultazioni le farà il nuovo presidente della Repubblica: sarebbe, da parte di Mattarella, uno sgarbo costituzionale sottrarre al suo successore il potere di dirimere la crisi di governo.

Ci potremmo trovare in una situazione di questo tipo: Draghi va al Colle, sceglie il suo successore per la supplenza, sempre lui – sentiti i partiti – individua il premier incaricato. Un cortocircuito costituzionale?

Sì, formalmente è possibile. Ma lo ritengo improbabile: è vietato sposarsi con se stessi! Come sarebbe una scorrettezza da parte di Mattarella sottrarre al nuovo presidente il potere di fare il nuovo governo, così sarebbe una scorrettezza da parte di Draghi scavalcare l’automatismo della supplenza del ministro più anziano, scegliendosi il successore.

Sono comunque molti poteri in capo a una persona sola…

Siccome non era mai accaduto, si pensava non potesse accadere: nessuno ha pensato di disciplinare l’eventualità.

Si fanno nomi di premier tecnici. La politica non si sente molto bene…

Bisogna capirsi: se per tecnico intendiamo solo chi non appartiene ai partiti, abbiamo una brutta idea della politica. L’articolo 49 della Carta dice che i partiti “concorrono” a determinare la vita politica del Paese. Fa politica chi si occupa della polis. Comunque, il presidente della Repubblica rappresenta l’unità nazionale: è più facile per i cittadini riconoscersi in una persona che non ha indossato per 50 anni la maglia di un partito.

Draghi al Quirinale a guidare da fuori, un Parlamento dove quasi non c’è l’opposizione: i contrappesi sono saltati?

In parte è vero. Tutto dipende dalla debolezza della politica. E quando la politica è fragile, il presidente è forte. Perciò la scelta del presidente è la scelta di un uomo forte in un habitat politico spossato. Il Parlamento è senza maggioranze, composto com’è da una maggioranza di minoranze: come si diceva una volta, la situazione è balcanizzata. La forza della candidatura di Draghi dipende dalla debolezza delle alternative.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/01/26/se-draghi-va-al-quirinale-si-rischia-un-cortocircuito/6468631/

Specie protetta. - Marco Travaglio

 

Da quando è nato, ci si domanda a che serve il Pd (oltre che a perdere tutte le elezioni e a entrare in quasi tutti i governi). Ieri, dopo anni di sforzi, è arrivata la risposta di Enrico Letta, di quelle che scaldano il cuore al popolo della sinistra: “Il mio ruolo è proteggere Mario Draghi”. Vasto programma, come disse De Gaulle a quel tale che urlava “A morte tutti i coglioni!”. E noi già immaginiamo la ola degli elettori Pd, come già l’altra sera, quando il “giovane Letta” (per distinguerlo dallo zio) ha annunciato da Fazio un’altra lieta novella: “Parlerò con Salvini di Draghi e del Mattarella bis, che sarebbe l’ideale”. Soprattutto per un politico di 55 anni che sembra lo zio dello zio. Ieri poi ha sfiorato la standing ovation bocciando Frattini in tandem con Renzi (molto amato dalla base): ma non perché è il cameriere di B. che gli tagliò su misura la legge-farsa sul conflitto d’interessi; bensì perché non è abbastanza “atlantista” per spezzare le reni a Putin in Ucraina, dove gli eserciti restano in surplace in attesa di un cenno dal Quirinale. Il fatto che Frattini non l’avesse candidato nessuno aggiunge un tocco di surrealismo alla gag di due leader che, per dimostrare la loro esistenza, bocciano un candidato inesistente.

Resta da capire da chi o da cosa Letta voglia proteggere Draghi, facendogli scudo col suo gracile corpicino. Possibile mai che un supereroe come SuperMario, già Salvatore dell’Euro e poi della Patria, Capo dell’Ue post-Merkel, necessiti della protezione di uno che si fece fregare da un tweet di Renzi? Se Letta sperava di rafforzarlo, è riuscito a indebolirlo più ancora di quanto non si fosse già indebolito da solo. Perché l’unico nemico da cui Draghi va protetto è se stesso. Con buona pace di giornaloni, talk e maratone, che raccontano un mondo dragocentrico e furioso contro la politica puzzona “in stallo” perché non ha eletto nessuno nei primi due round (come in 10 elezioni quirinalizie su 12). Peraltro, se non s’è ancora trovato un accordo, è perché – per la prima volta nella storia – due egolatri si sono autocandidati al Colle a dispetto dei santi, delle regole e dei numeri: B., lanciato dal centrodestra il 14 gennaio e tramontato il 22; e Draghi, che si è lanciato il 24 dicembre, ma nel vuoto, visto che nessuno lo ha raccolto, e ora sta per schiantarsi al suolo col suo prestigio, la sua maggioranza, il suo governo e un bel pezzo dell’Italia senza che gli passi per l’anticamera del cervello di prender atto che nessuno lo vuole al Quirinale (neppure gli amici dell’Economist e gli amati “mercati”), riporre ambizioni e capricci, smettere di usare il piedistallo di Palazzo Chigi per farsi campagna elettorale a urne aperte e rassegnarsi a fare ciò per cui Mattarella lo chiamò un anno fa: governare, se ci riesce.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/01/26/specie-protetta/6468615/

Putin, 'Italia tra i nostri principali partner economici'.

Vladimir Putin - Foto ansa

 

Partecipano 16 imprese italiane, 3 rinunciano all'incontro.

La Russia considera l'Italia come "uno dei suoi principali partner economici".

Lo ha detto il presidente Vladimir Putin, che oggi incontra online una delegazione di grandi gruppi industriali italiani.

La Russia, ha aggiunto il presidente, è "un affidabile fornitore di risorse energetiche ai consumatori italiani". 

Parlando all'incontro con gli imprenditori italiani, Putin ha sottolineato che l'Italia è il terzo Paese europeo per interscambio commerciale con la Russia. Durante il periodo della pandemia, ha aggiunto, la situazione non ha permesso di realizzare nuovi progetti e iniziative, ma "possiamo dire con soddisfazione che i nostri Paesi sono riusciti a mantenere la cooperazione economica ad un livello piuttosto alto".

Putin, gas russo all'Italia a prezzi inferiori al mercato. Le compagnie energetiche italiane stanno ricevendo gas russo a "prezzi molto più bassi di quelli di mercato" grazie ai contratti a lunga scadenza con Gazprom. Lo ha detto il presidente russo Vladimir Putin parlando all'incontro online con i rappresentanti di grandi imprese italiane. I prezzi di mercato, sulla base di contratti spot, sono invece "significativamente aumentati per la stagione invernale e la carenza di offerta", ha aggiunto Putin secondo quanto riporta la Tass. 

Sedici rappresentanti di grandi imprese italiane partecipano oggi all'incontro online con il presidente russo Vladimir Putin. Lo ha annunciato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. 

Sono invece  tre i rappresentanti di gruppi industriali italiani che hanno rinunciato ad essere presenti ad un incontro online oggi con il presidente russo Vladimir Putin. Lo ha detto il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, aggiungendo che 16 saranno invece i partecipanti. Il portavoce non ha detto quali imprese saranno rappresentate. "Non voglio nominarle - ha affermato Peskov - visto che stanno circolando fake news e qualcuno sta facendo pressioni su qualcun altro".   

"Gli investimenti delle imprese italiane nell'economia russa sono pari a circa 5 miliardi di dollari, mentre quelli russi in Italia sono stimati a circa 3 miliardi di dollari". Lo ha sottolineato oggi il presidente russo Vladimir Putin, citato dall'agenzia Tass, incontrando una delegazione di grandi gruppi industriali italiani. Putin ha aggiunto che la piattaforma italo-russa per gli investimenti che deve finanziare i più importanti progetti congiunti, costituita con la partecipazione del Fondo russo per gli investimenti diretti, sta operando in modo "molto efficiente". 

https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2022/01/26/putin-italia-tra-i-nostri-principali-partner-economici-_3db184ce-6b1f-451a-beae-5211c9991607.html

martedì 25 gennaio 2022

Bonus casa, c’è il mercato nero: alt alle società che riciclano i crediti. - Ivan Cimmarusti


Proliferano su web e social le attività che promettono monetizzazioni veloci e spesso sono utilizzate per riciclare il denaro sporco. In criptovalute.

Ripetuti contratti di cessione dei crediti d’imposta tra gli stessi soggetti, comprati a prezzo pieno ma rivenduti a valori più bassi. Fondi poi trasferiti all’estero o finiti nell’acquisto di criptovalute. Nei dossier dell’Antiriciclaggio è registrato il meccanismo attraverso cui le mafie sfruttano i bonus varati dal Governo, allo scopo di riciclare i proventi miliardari dei traffici di droga. Un dossier finito all’attenzione della presidenza del Consiglio, che nel decreto legge di venerdì recante misure urgenti in materia di sostegno alle imprese ha disposto il divieto di plurime cessioni dei crediti.


Monetizzazioni veloci sul web.

La circostanza è al centro degli accertamenti della Guardia di finanza, dopo che le attività investigative degli ultimi mesi hanno confermato i rischi di frode e riciclaggio segnalati con le comunicazioni del 10 novembre 2020 e dell’11 febbraio 2021 dell’Uif, l’ente antiriciclaggio di Bankitalia diretto da Claudio Clemente.

L’alert è scattato con il moltiplicarsi di società di nuova costituzione che, attraverso siti web e banner sui social network, pubblicizzano «monetizzazioni veloci dei crediti d’imposta per bonus edili».

Abbiamo provato ad analizzare nelle banche dati alcune di queste società, scoprendo che in molti casi, oltre ad essere state aperte in tempi recenti, presentano capitali sociali per pochissime migliaia di euro. In alcuni casi più società, in apparenza slegate tra loro, risultano controllate da unici soggetti giuridici.

Un business concepito per aiutare le attività edilizie attraverso la circolarità dei crediti fa gola, insomma, anche a queste infiltrazioni criminali.

Lo schema: le fatture false.

A monte dello schema di riciclaggio c’è un giro di fatture false per infarcire le casse di queste società finanziarie neo-costituite con soldi sporchi. Miliardi di euro messi sulla piazza con un obiettivo: fare man bassa di crediti d’imposta, anche a prezzi vantaggiosi. Il risultato è un «sistema» di lavaggio prolungato dei capitali d’origine mafiosa che poi, attraverso ulteriori fatture false, ritornano immacolati nelle mani delle cosche, soprattutto di 'ndrangheta e camorra.

Cessioni a «catena».

Il rischio che le organizzazioni mafiose sfruttino il meccanismo di acquisto-cessione dei crediti d’imposta connessi ai bonus ordinari e al superbonus è concreto ed emerge dalle circolari che il III Reparto operazioni delle Fiamme gialle, al comando del generale Giuseppe Arbore, ha diramato alle articolazioni territoriali del Corpo. Nelle circolari si precisa che «il rischio di condotte illecite è confermato dalle attività investigative e di analisi, che hanno fatto emergere cessioni “a catena” di crediti d’imposta che coinvolgono imprese con la medesima sede e con gli stessi legali rappresentanti, costituite in un breve arco temporale o che hanno ripreso a operare dopo un periodo di inattività».

I dossier di analisi dell’Antiriciclaggio indicano diverse anomalie: «rapporti alimentati in via esclusiva o prevalente dal corrispettivo di contratti di cessione di crediti fiscali» e «stipula di ripetuti contratti di cessione di crediti fiscali o di rami d’azienda costituiti in via pressoché esclusiva da detti crediti, spesso nella medesima giornata e con la ricorrenza dei medesimi soggetti».

Ma i rapporti di analisi vanno anche oltre: risultano «anomalie concernenti il coinvolgimento di professionisti, le condizioni economiche pattuite per la cessione del credito fiscale (prezzo notevolmente inferiore al valore nominale del credito, modalità di riscossione del prezzo particolarmente vantaggiose per il cessionario) o l’impiego del corrispettivo da essa derivante (bonifici verso l’estero, trasferimenti in favore di soggetti collegati, operazioni inerenti all’acquisto di valute virtuali)».

La misura del Governo.

Con decreto legge, il Governo è intervenuto per bloccare frodi e forme di riciclaggio, attraverso la modifica dell’articolo 121 del decreto Rilancio sulle plurime cessioni dei crediti d’imposta. In particolare, è ora possibile cedere il credito solo una volta, così da raggiungere un duplice obbiettivo: da una parte, evitare che più cessioni dei crediti vadano a mascherare le operazioni di false fatturazioni per lavori edili mai compiuti; dall’altra, arginare il rischio che finanziarie connesse ad ambienti mafiosi possano acquistare i crediti con soldi sporchi e poi rivenderli ulteriormente per riciclare i capitali illeciti.

https://24plus.ilsole24ore.com/art/alt-cessioni-seriali-mirino-societa-che-riciclano-crediti-AE6rxD9?s=hpl

Fumata nera: non potevano pensarci prima? - Antonio Padellaro

 

Di fronte alla pioggia di schede bianche e fumate nere del primo scrutinio che rischia di trasformarsi in una grandinata domani e forse anche dopo. Di fronte ai leader che brancolano nel buio, con tutti che incontrano tutti in un vertiginoso e incomprensibile moto perpetuo. Di fronte al rosario di insopportabili dichiarazioni degli addetti ai lavori, che in tv discettano di “metodo”, di “sensibilità”, di “profili”, senza farci capire nulla, una domanda sorge spontanea: ma non potevano pensarci prima? Che la corsa verso il Colle sarebbe stata irta di ostacoli, di veti e di imprevisti lo avevano capito tutti già un mese fa nella famosa conferenza stampa di Mario Draghi.

Quella del “nonno a disposizione delle istituzioni”, e quindi del Quirinale. Quella che denotava una certa insofferenza da parte del premier per le crescenti tensioni nella maggioranza di unità nazionale, ma solo di facciata. Eppure per più di un mese non è successo niente di niente, a parte il solito chiacchiericcio sul giornali e nei talk per raccattare un titolo, per accendere una polemicuzza. Dozzine di nomi candidabili gettati al vento per mascherare il vuoto decisionale della politica. Fino alla farsa di un signore anziano e non più lucidissimo che si fa candidare da un centrodestra a dir poco riluttante, ma che insiste perché lui l’aveva promesso alla mamma che sarebbe arrivato al Quirinale. È finita come tutti sapevano come sarebbe finita e che infatti tutti hanno usato come un alibi dietro cui nascondersi. Di fronte a un tale colpevole spreco di tempo. Di fronte alla liturgia di voti perduti o consumati su nomi improbabili c’è un’altra domanda che sorge spontanea e che riguarda la stragrande maggioranza dei cittadini. Quelli che immersi da due lunghissimi anni nella nebbia avvelenata della pandemia, invece il tempo non lo hanno mai perso o gettato al vento. Quando sono corsi a vaccinarsi per tre volte consecutive. Ligi alla dura disciplina dei green pass normali e super. Sempre disponibili a osservare la massa di regole incessantemente prodotte dalla macchina governativa, anche le più cervellotiche. Cosa si chiedeva in cambio? Che coloro che si sono assunti la responsabilità di guidare la comunità nazionale dessero in un Parlamento riunito in seduta solenne, e immediatamente, un segnale di serietà, di coesione, dimostrando attenzione al bene comune sempre tanto sbandierato. Ed ecco la domanda: ieri sera costoro non hanno provato un po’ di vergogna?

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/01/25/fumata-nera-non-potevano-pensarci-prima/6467409/?fbclid=IwAR1ninL878qHOTVXbBD3n-OQflma7gJ33qcC_2La0bW31QxHBi60W6fBUsI

Draghi o Schettino? - Marco Travaglio

 

Noi, che siamo gente semplice, avevamo capito che un anno fa Draghi avesse accettato controvoglia l’estremo sacrificio di guidare il nuovo governo e salvare la Patria per non restare insensibile allo straziante grido di dolore di un Mattarella affranto dal fallimento della politica e dalle sorti della pandemia e del Pnrr. Perciò ieri, con altri 352 morti, abbiamo letto allibiti le notizie su di Lui sperando (invano) in una secca smentita. Il Corriere riferiva che “Draghi resiste al pressing di chi lo invita a ‘trattare’” con quei puzzoni dei partiti, ma subito dopo Egli vedeva o sentiva Salvini e altri puzzoni dei partiti per parlare della sua candidatura al Quirinale, già oggetto di misteriosi conversari tra il suo palafreniere Funiciello e il dirigente Fininvest in pensione Gianni Goldman Sachs Letta. Altri scrivevano che i suoi ministri più fedeli, anziché augurarsi che Egli resti dov’è per restarci anche loro, lo vorrebbero al Colle perché sennò mollerà sdegnoso Palazzo Chigi come il bimbo capriccioso dell’oratorio che se ne va col pallone o lo buca perché gli altri non glielo passano. Altri ancora, tra un soffietto e l’altro dei camerieri di casa Agnelli-Elkann&De Benedetti, han saputo dai soliti “ambienti draghiani” (cucine? sgabuzzini? toilette?) che Egli toglierebbe il disturbo se al Colle non andasse una figura “di altissima autorevolezza istituzionale”, forse per risparmiargli un eccessivo complesso di superiorità: “Può restare premier solo con Mattarella o Amato” (Stampa), come se la Costituzione affidasse al premier la nomina del capo dello Stato e non viceversa.

Queste e altre notizie, se non prontamente smentite, ci restituirebbero non un Salvatore, ma un Affossatore della Patria. Non un nonno al servizio dell’Italia, ma uno che mette l’Italia al servizio del nonno. Un uomo guidato soltanto dalla sua sfrenata ambizione che, dopo aver spappolato i partiti che lo sostengono, riesce pure a spaccare la sua maggioranza fra Sì Drag e No Drag (dopo aver auspicato che restasse unita sul Quirinale), a indebolire se stesso come premier e a esporre l’Italia agli speculatori. E, peggio ancora, è pronto a rovesciare il governo che salva l’Italia, mentre quei puzzoni dei suoi alleati (Conte, Salvini, B. e mezzo Pd) gli gridano “resti a bordo, cazzo!”. Ancora una volta mal consigliato, sottovaluta il rischio di passare alla storia come il più irresponsabile dei destabilizzatori. Ma siamo certi che, come per la conferenza stampa a scoppio ritardato, lo capirà e oggi smentirà tutto con una secca nota: “Diffido chiunque dall’attribuirmi aspirazioni quirinalizie e dal votarmi. Un anno fa assunsi un impegno con Mattarella e intendo onorarlo sino a fine legislatura. Mi chiamo Draghi, non Schettino”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/01/25/draghi-o-schettino/6467373/

lunedì 24 gennaio 2022

Alla Leopolda Renzi candida Faraone sindaco di Palermo. La mossa per lanciare l’asse con Forza Italia in Sicilia. - Manuele Modica

 

21 NOVEMBRE 2021

"Questa candidatura non sarà figlia di un accordicchio con qualche forza politica. Noi stiamo con Davide, non con Micciché. Poi Micciché faccia lui", ha detto l'ex premier chiudendo la kermesse di Firenze. Nonostante non ci sia ancora ufficialmente l’appoggio di Forza Italia, l’annuncio di fatto si muove, secondo i ben informati, sul solco di un rafforzamento del patto coi berlusconiani.

Davide Faraone candidato sindaco a Palermo: è questa la mossa di Matteo Renzi per rinsaldare il patto con Forza Italia. A lanciare la corsa verso lo scranno più alto della quinta città d’Italia che andrà ad elezioni la prossima primavera è l’ex premier in persona nel discorso di chiusura dell’undicesima edizione della Leopolda. “Caro Davide, Palermo ha bisogno di te, noi siamo convinti che la tua candidatura a sindaco di Palermo non sarà figlia di un accordicchio con qualche forza politica, ma sarà una candidatura che parla alla città di Palermo”, ha detto Renzi, mettendo subito le mani avanti. “A Palermo non stiamo con Miccichè, stiamo con Davide Faraone che è una cosa diversa; poi Micciché faccia lui, Provenzano faccia lui, ma noi a Palermo ci candidiamo per guidare una città che negli ultimi anni non è riuscita neanche a seppellire i propri morti”.

Insomma: non è un caso se l’alleanza tra renziani e berlusconiani parta da Palermo. D’altronde alla conferenza stampa di presentazione del neonato gruppo in Sicilia, il percorso tracciato nell’accordo era già chiaro: “Oggi inizia il laboratorio Sicilia, un accordo che porterà Forza Italia e Sicilia Futura-Italia Viva a un grande risultato alle prossime elezioni, amministrative e regionali” aveva detto il capogruppo di Fi all’Ars, Tommaso Calderone. Così, mentre gli altri leader nazionali lanciano scadenze in cui si annuncerà il candidato sindaco di Palermo (Matteo Salvini ha detto entro Natale), l’ex premier lancia il suo luotenente, capogruppo d’Italia viva al Senato. Già nel 2012 Faraone si era candidato alle primarie del centrosinistra per scegliere il candidato sindaco di Palermo, ma era arrivato terzo dietro Fabrizio Ferrandelli e Rita Borsellino. Ora sembra volerci tentare di nuovo. La sua candidatura arriva presto, forse troppo presto: tanto che i ben informati in Sicilia sono pronti a sostenere si tratti di un annuncio strategico, finalizzato a spianare la strada a un altro candidato gradito a Forza Italia: si parla di Francesco Cascio, già presidente dell’Ars.

Di sicuro sono aperti i giochi elettorali sul grande laboratorio politico che la Sicilia si appresta a diventare, per l’ennesima volta, in vista delle Politiche del 2023. Le amministrative ad aprile 2020 nel capoluogo e le Regionali l’autunno successivo sono il terreno sul quale gli schieramenti stanno preparando la corsa alle prossime elezioni. Ad aprire le danze degli annuncia è stato Nello Musumeci, un attimo prima di Renzi. Sabato sera il presidente della Regione in carica ha annunciato la sua ricandidatura sul palco della kermesse del suo movimento politico, Diventerà Bellissima, alle Ciminiere di Catania: “Stasera abbiamo sciolto l’incantesimo, il presidente della regione sta lavorando a preparare le liste delle prossime regionali, vorrò vincere per me e per i partiti della mia coalizione”. Partiti che erano però i grandi assenti alla convention del presidente, i vertici – “tutti invitati”, ha sottolineato la consigliera regionale Giusi Savarino – non erano presenti nella folta platea catanese. La stessa Giorgia Meloni, il giorno prima a Palermo per la presentazione del suo libro, aveva mostrato una certa freddezza nei confronti del presidente: “Non intendo su questo fare fughe in avanti – ha detto venerdì Meloni -. Penso che la coalizione si debba muovere compatta e non voglio dare, in un momento nel quale invece ho come priorità di dimostrare la compattezza del centrodestra, alibi per eventuali discussioni ed eventuali divisioni”.

Come Renzi, anche Musumeci, pare dunque abbia voluto giocare d’anticipo, annunciando la sua candidatura in solitaria. Eppure alla kermesse del presidente mancavano i vertici dei partiti ma la giunta era quasi al completo. A mancare solo l’assessore leghista, Alberto Samonà, e i due vicini a Micciché, Marco Zambuto e Tony Scilla. E non si è fatta attendere, infatti, la reazione del forzista che ha gelato il presidente in carica subito dopo l’annuncio: “Quattro anni fa la sua fuga in avanti fu accettata da un centrodestra che non fu facile rimettere insieme – ha detto a caldo Miccichè -. Oggi insisto nel dire che il candidato sarà scelto dalla coalizione così come affermato anche dai leader nazionale”. Un laboratorio rovente quello siciliano, dove, nonostante le prese di distanza, le voci nel centrodestra danno per certa la ricandidatura di Musumeci, l’unico a potere garantire la compattezza della coalizione del centrodestra. A questo puntano i partiti da Roma, disposti pare anche a perdere la guida della Regione pur di non perdere l’unità alle Politiche. Nonostante le volate in avanti, e gli sconfinamenti nel capoluogo toscano, le candidature nel grande laboratorio siculo saranno decise nella capitale.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/11/21/alla-leopolda-renzi-candida-faraone-sindaco-di-palermo-la-mossa-per-lanciare-lasse-con-forza-italia-in-sicilia/6400116/?fbclid=IwAR05LvbwW1BZxVtRjPUDBwevDHTD2vkBDNlL7qFcbvD4mVyzsrpDSeGXKG0#


Io non lo voterei mai!