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domenica 5 settembre 2021

Green pass, perché ora vale per 12 mesi e quanto dura la protezione del vaccino. - Marzio Bartoloni

 

Il Parlamento ha appena allungato di 3 mesi la vita dei certificati verdi. Ma al momento non esistono certezze sulla durata della protezione del vaccino.

Il Parlamento ha appena allungato la vita dei nostri green pass che conquistano 3 mesi in più e dunque dureranno 12 mesi invece dei nove previsti finora. Al momento però non esistono certezze sulla durata della protezione del vaccino che sembrerebbe cambiare in base anche a chi sono gli immunizzati. Non è un caso che la terza dose del vaccino sarà somministrata ai pazienti più fragili già tra un mese, come annunciato dal ministro della Salute Speranza, ben prima dei 12 mesi di durata previsti dal “nuovo” green pass. Ma per il resto della popolazione non c’è questa urgenza, come ha appena detto l’Ema.

L’allungamento del green pass.

La novità è arrivata con le modifiche approvate dalla commissione Affari sociali della Camera al decreto che ha esteso l’impiego del certificato verde dallo scorso agosto. Provvedimento che da lunedì 6 settembre sarà in aula della Camera per il prima via libera. La misura come detto prevede che i nuovi e i vecchi green pass dureranno 12 mesi invece di nove, non solo quelli ottenuti attraverso la vaccinazione ma anche quelli in tasca ai guariti di Covid che hanno fatto, come previsto, una sola dose del vaccino. Tra l’altro tra le modifiche approvate in commissione c’è anche quella che consente di ottenere il green pass non solo attraverso tamponi e test antigenici, ma anche con i tamponi salivari (ma come per gli altri test il green pass in questo caso durerà 48 ore).

La durata a 12 mesi.

Ma perchè allungare di tre mesi il green pass? Il vaccino dunque protegge almeno fino a un anno? Finora per queste domande non esistono risposte certe anche se diverse pubblicazioni scientifiche evidenziano la caduta della risposta anticorpale nella popolazione più fragile, come gli immunodepressi . Anche dall’Ema, l’Agenzia europea del farmaco, arrivano delle prime indicazioni che aiutano a fare chiarezza. L’Ema proprio nei giorni scorsi ha aperto alla possibilità della terza dose, ma solo per i pazienti più fragili, mentre per il resto della popolazione è stata chiara: «Sulla base delle prove attuali, non è urgente la somministrazione di dosi di richiamo dei vaccini Covid-19 alle persone già completamente vaccinate nella popolazione generale», ha spiegato l’Agenzia insieme al Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc). Come dire che lo scudo offerto dal vaccino ancora funziona per la stragrande maggioranza degli immunizzati. Anche se alcuni Paesi si stanno portando avanti, tra tutti Israele che ha iniziato già a somministrare la terza dose a tutti (partendo però dagli anziani). Lì però le vaccinazioni sono iniziate prima, già a dicembre 2020.

Quanto protegge dunque il vaccino?

Le vaccinazioni in Italia sono partite a gennaio 2021 per i sanitari e a febbraio per gli over 80. Dunque un anno non è ancora trascorso. Fatto sta però che pubblicazioni scientifiche ed esperti -a partire dal Comitato tecnico scientifico - cominciano a sostenere la necessità di una terza dose almeno per una porzione di vaccinati perché come ha spiegato anche Giorgio Palù, presidente dell’Aifa (l’Agenzia italiana del farmaco) e membro del Cts il ciclo previsto attualmente «non protegge sufficientemente i soggetti immunodepressi, i trapiantati, i pazienti oncoematologici, i dializzati», ma «anche i soggetti anziani» che dovrebbero essere considerati immunodepressi. Ecco perché per queste categorie la somministrazione della terza dose partirà prima di un anno e cioè già dopo 8-9 mesi dalla precedente immunizzazione. Per il resto della popolazione invece la terza dose, se ci sarà, arriverà più tardi. Nasce anche da qui la decisione di allungare il green pass a 12 mesi. Con una postilla: su questa materia non ci sono punti fermi e i cambiamenti, in base alle evidenze scientifiche in continua evoluzione, possono essere sempre dietro l’angolo.

IlSole24Ore

mercoledì 9 ottobre 2019

Taglio dei parlamentari è legge: sì definitivo della Camera. Gli eletti passeranno da 945 a 600. - Nicola Barone

Risultati immagini per taglio parlamentari

Si tratta della quarta e ultima lettura parlamentare del testo. Entro tre mesi dall'approvazione del disegno di legge un quinto dei componenti di uno dei rami del Parlamento, cinque Consigli regionali o 500mila elettori potranno chiedere un referendum confermativo.

Sì definitivo dell'Aula della Camera con 553 voti a favore e 14 no (2 gli astenuti) al disegno di legge costituzionale che taglia il numero dei parlamentari. Si tratta della quarta e ultima lettura della riforma che porta la quota dei senatori da 315 a 200 (con non più di cinque nominati a vita) e i deputati da 630 a 400.

Per il suo via libera definitivo era necessaria la maggioranza assoluta e, come stabilito dalla Costituzione, entro tre mesi dall'approvazione del disegno di legge un quinto dei componenti di uno dei rami del Parlamento, cinque Consigli regionali o 500mila elettori potranno chiedere un referendum confermativo (il cui quesito deve essere vagliato dalla Cassazione).
La riduzione dei seggi diventa effettiva al primo scioglimento del Parlamento ma non prima di 60 giorni dall'entrata in vigore della riforma.
Contro le modifiche fortemente sostenute dal Movimento 5 Stelle si era espresso nelle precedenti votazioni il Partito democratico, in mancanza di riforme concomitanti ritenute imprescindibili come quella della legge elettorale. I dubbi espressi in passato, ha spiegato nella discussione il capogruppo dem a Montecitorio Graziano Delrio, «avevano ragioni di merito e non ideologiche. Pensavamo e pensiamo che il Parlamento non sia un luogo oscuro ma la casa della democrazia. Il nostro no era a difesa di questa istituzione e proprio perché abbiamo ottenuto garanzie a questi principi ora diciamo sì convintamente». Mancava insomma «un contesto organico che dicesse che il taglio non serve solo a risparmiare, ma anche a garantire la rappresentanza». Ma ora il documento politico su cui la maggioranza ha convenuto «afferma che le storture che avevamo denunciato saranno subito risolte».
Alla Camera e al Senato tutte le circoscrizioni vedranno una riduzione drastica, con una media del 36,5%. Sopra la media alla Camera le circoscrizioni Sicilia 1 (da 25 a 15 deputati) e Lazio 2 (da 20 a 12). Da segnalare al Senato il caso dell’Umbria e della Basilicata. Sono le due Regioni che subiscono in percentuale l’emorragia maggiore. Qui i senatori sono più che dimezzati (-57%). In entrambe le regioni infatti si passa da 7 a soli 3 eletti.
Il taglio“costerà” al Nordest la perdita di 39 rappresentanti in Parlamento: 26 al Veneto, 8 al Friuli Venezia Giulia e 5 al Trentino Alto Adige. Il calcolo è riportato dall'Osservatorio elettorale del Consiglio regionale del Veneto. Alla Camera il Veneto perderà 18 deputati (da 20 a 13 in Veneto 1 e da 30 a 19 in Veneto 2), il FVG passerà da 13 a 8 mentre il Trentino AA scende da 11 a 7. In merito invece al Senato, per il Veneto si prospetta un calo di 8 seggi (da 24 a 16), 3 invece quelli che saranno persi dal Friuli (da 7 a 4) e 1 sarà tolto al Trentino AA (da 7 a 6). A Palazzo Madama il Friuli avrà un taglio del 42,9% dei rappresentanti, mentre alla Camera la sforbiciata arriverà al 38,5%.

https://www.ilsole24ore.com/art/taglio-parlamentari-all-ultimo-voto-test-la-maggioranza-ACouJ1p

mercoledì 11 settembre 2019

Salvini, la grande protesta di piazza. Ma contro chi? - Montesquieu

Imponente, la manifestazione che si è tenuta davanti al palazzo di Montecitorio, in occasione ed in contemporanea al dibattito sulla fiducia al nuovo governo. In premessa: è benvenuta ogni manifestazione che si svolga con misura democratica da parte di soggetti democratici. In questo caso, due dei tre partiti che si oppongono al nuovo governo. Forza Italia, il terzo, si limita a negare la fiducia in aula. Benvenuta, anche, ogni manifestazione che unisca al metodo democratico una motivazione, che sia chiara e comprensibile, sia a chi partecipa, sia a chi costituisce l’oggetto della protesta. Ecco, sulla reale motivazione, soprattutto sul destinatario della protesta, non tutto appare limpido e lineare. Meglio, quello che appare chiaro non è quello che viene detto. “Non in mio nome”: il titolo della protesta, che viene messo in bocca ai manifestanti, appare quanto meno sviante. Un governo non nasce nel nome di chi lo contesta e gli nega la fiducia. Ovviamente. Tanto valeva dirlo, anche con tutta la durezza possibile, nelle due aule, come fa il partito berlusconiano. Nelle aule il popolo, quindi gli elettori, sono ben più correttamente e complessivamente rappresentati di quanto non lo siano in piazza.
Prendersela con il governo è normale, fisiologico, per delle opposizioni: un po’ meno, inveire al furto di democrazia, per il fatto che questo chieda la fiducia alle camere. Se la ottenesse, sarebbe di per sè legittimo. E allora, con chi ce l’hanno, i protestanti? Perché c’è un bel po’ di ipocrita frustrazione nel protestare senza poter o voler dire a chi è indirizzata una protesta così vibrata. Proviamo a capire: se si contesta la legittimazione democratica di un governo, c’è poco da cercare. Un governo, nel nostro sistema parlamentare, ha un padre ed un responsabile unico: il capo dello Stato, che lo accompagna fin davanti alle Camere, le quali decidono se dargli o meno la fiducia. Oltre che democratica, una manifestazione avrebbe il dovere, soprattutto verso chi chiama in piazza, di essere onesta. Il capo dello Stato è oggi un po’ troppo apprezzato dagli italiani per chiamarlo in causa direttamente? Certo, molto più, per il lavoro di questi difficili anni, di un anno fa, quando la promotrice della manifestazione di lunedì cercò di accreditarne l’immagine di traditore della Costituzione. Tutto sommato, se non più apprezzabile, almeno più onesta la posizione di allora che quella di oggi.
Oggi, il capo dello Stato Mattarella avrebbe meritato la più dura e illimitata delle contestazioni se, in presenza di una maggioranza che si propone di diventare governo del paese, avesse deciso di sciogliere le Camere. Come chiedono gli odierni oppositori, in questo caso non troppo costituzionali.

mercoledì 6 giugno 2018

Taglio indennità parlamentari, alla Camera via libera al testo unificato: da 5.000 euro netti a 5.000 lordi al mese. - Antonio Pitoni

Taglio indennità parlamentari, alla Camera via libera al testo unificato: da 5.000 euro netti a 5.000 lordi al mese

In commissione Affari costituzionali adottata la proposta della relatrice Roberta Lombardi (M5S). Prevista una sforbiciata anche ai rimborsi di soggiorno nella capitale. Che non saranno più corrisposti ai parlamentari residenti a Roma. Tutte le spese, da quelle di viaggio a quelle per l’esercizio del mandato, dovranno essere documentate. Previste nuove norme per la trasparenza. Il provvedimento dovrebbe arrivare in Aula entro ottobre. La deputata M5S: “L’abolizione dei privilegi della Casta torna al centro del dibattito”.


Riduzione dell’indennità parlamentare, sforbiciata ai rimborsi per le spese di alloggio (la cosiddetta diaria), di viaggio e per l’esercizio del mandato. Persino una stretta sul Tfr di onorevoli e senatori. Sono i temi affrontati dal testo unificato (relatrice Roberta Lombardi del M5S) adottato alla Camera in commissione Affari costituzionali, con i soli voti del Movimento 5 Stelle (tutti gli altri si sono astenuti), per riscrivere le norme che regolano il trattamento economico dei rappresentanti del popolo. Un provvedimento, atteso in Aula entro ottobre, che ha dovuto fare i conti con l’ostacolo insormontabile della Costituzione. Per la precisione con l’articolo 69: “I membri del Parlamento ricevono una indennità stabilita dalla legge”. Con il risultato che, delle varie voci e relativi ammennicoli che concorrono a formare la retribuzione complessiva di deputati e senatori, solo l’indennità parlamentare (in pratica lo stipendio base) e le spettanze ad essa collegate possono essere oggetto di modifica legislativa.

AUTODICHIA OFF LIMIT – Su tutto il resto, invece, la legge non può intervenire. In base al principio dell’autodichia, vale a dire l’autonomia del Parlamento da qualsiasi ingerenza esterna, ulteriori modifiche possono essere introdotte solo dalle due Camere nell’esercizio del loro potere autoregolamentare. Una situazione della quale l’Ufficio di presidenza della commissione Affari costituzionali di Montecitorio, guidata da Andrea Mazziotti di Scelta civica, non ha potuto che prendere atto. Invitando, la settimana scorsa, i proponenti delle diverse proposte di legge a riformulare i rispettivi testi, limitandone i contenuti alla sola materia delle indennità parlamentari, alla diaria – la somma riconosciuta a deputati e senatori a titolo di rimborso delle spese di soggiorno nella capitale – e al relativo trattamento fiscale. E ieri, sempre in commissione, con i soli voti del Movimento 5 Stelle (tutti gli altri gruppi si sono astenuti) è stato approvato il testo unificato della relatrice Roberta Lombardi. La deputata pentastellata era stata la prima a presentare una pdl sulla materia, cui erano poi seguite quelle di Guglielmo Vaccaro(gruppo Misto), Donata Lenzi e Sesa Amici (Partito democratico), Roberto Capelli (Democrazia solidale-Centro democratico) e Paolo Vitelli (Scelta civica).

AVANTI SI TAGLIA – Ma cosa prevede il nuovo impianto normativo che, conclusi i lavori della commissione, dovrebbe arrivare entro ottobre all’esame dell’Aula di Montecitorio? Innanzitutto la riduzione dell’indennità parlamentare a 5.000 euro lordi al mese. Una sforbiciata consistente rispetto ai circa 5.000 euro netti (pari a un lordo di 10.435 euro) che intascano attualmente deputati e senatori. Ai membri del Parlamento è, inoltre, riconosciuto “un rimborso delle spese documentate di soggiorno (la diaria, ndre di viaggio entro il limite massimo di euro 3.500 mensili”. Una voce considerevolmente ridotta rispetto alle attuali spettanze se si considera che, ad oggi, ad ogni rappresentante del popolo spettano 3.500 euro solo a titolo di diaria. Mentre le spese di viaggio sono conteggiate a parte: altri3.323,70 euro a trimestre, per il deputato che deve percorrere fino a 100 chilometri per raggiungere l’aeroporto più vicino al luogo di residenza, che salgono a 3.995,10 euro se la distanza da percorrere è superiore. Ma non è tutto. “Il rimborso delle spese di alloggio non è riconosciuto”, a differenza di quanto avviene oggi, “ai membri del Parlamento che risiedono nel comune di Roma”. Confermata, invece, la “decurtazione” della diaria, la cui entità deve essere determinata dagli Uffici di presidenza delle due Camere, “per ogni giorno di assenza del parlamentare dalle sedute dell’Assemblea, delle Giunte o delle Commissioni in cui si siano svolte votazioni”. Poi ci sono i rimborsi delle spese sostenute per l’esercizio del mandato che il testo unificato della Lombardi fissa a 3.690 euro mensili. Estendendo, in pratica, l’attuale limite previsto a Montecitorio anche a Palazzo Madama dove, invece, si può arrivare ad un massimo di 4.180 euro al mese. Cifre, in entrambe le Camere, oggi forfettarie per il 50% e soggette a rendicontazione periodica solo per il restante 50%.

BENEDETTA TRASPARENZA – Poi c’è l’indennità di fine mandato. Il testo unificato prevede che ai membri del Parlamento non rieletti spetti un assegno “il cui importo è commisurato” all’indennità parlamentare (5.000 euro lordi al mese) e “alla durata complessiva del mandato”, calcolato “secondo la disciplina prevista dall’articolo 2120 del codice civile”. Quello che regola, cioè, il trattamento di fine rapporto per i comuni lavoratori. In pratica, mentre la disciplina vigente ne fissa l’importo, tanto alla Camera che al Senato, nella misura dell’80% dell’indennità lorda per ogni anno di mandato effettivo (o frazione non inferiore a sei mesi), con la nuova normativa verrebbe calcolato dividendo per 13,5 la retribuzione lorda annua e moltiplicando la cifra ottenuta per il numero degli anni di mandato. Infine, la trasparenza. Il testo messo a punto dalla Lombardi prevede che gli Uffici di presidenza delle due Camere assicurino la pubblicazione di tutte le indennità riconosciute al singolo parlamentare; del “numero dei giorni per i quali il membro del Parlamento è risultato presente alle sedute dell’Assemblea e delle Commissioni e ha ottenuto il riconoscimento del rimborso delle spese di soggiorno e di viaggio”; la “rendicontazione” di tutte le spese rimborsate (viaggio, soggiorno ed esercizio del mandato).

PRIVILEGI NEL MIRINO – “Il testo unificato ha fatto propri due principi che, sul trattamento economico dei Parlamentari, il M5S considera irrinunciabili – spiega a ilfattoquotidiano.it la relatrice Roberta Lombardi –. Primo: abbassare l’importo dell’indennità. Secondo: rendere più incisivi gli obblighi di trasparenza imponendo la rendicontazione su tutte le spese i cui rimborsi cessano di essere, come avviene con l’attuale disciplina, almeno in parte forfetari”. Altra questione, invece, concerne la concreta possibilità di arrivare all’approvazione della legge. “Quel che è certo è che noi non arretreremo di un centimetro – conclude la deputata del M5S –. E consideriamo già un successo aver rimesso al centro del dibattito parlamentare il tema dell’abolizione dei privilegi della Casta”.

domenica 26 marzo 2017

Camera, escamotage degli ex M5S per non morire: patto con lista pro bande musicali, in dote simbolo e fondi. - Thomas Mackinson

Camera, escamotage degli ex M5S per non morire: patto con lista pro bande musicali, in dote simbolo e fondi

La componente nata dagli ex grillini subisce l'emorragia dei civatiani e rischia la decadenza e il conseguente scioglimento dell’ufficio legislativo e dell’ufficio comunicazione. Possono sopravvivere ma serve un simbolo che si sia presentato nel 2013. Contattano il titolare di "Tutti insieme per l'Italia" (una lista civica che prese 1.485 voti) e fanno una scrittura privata. Ottenuto il simbolo, salvati i fondi.

“M’hanno chiamato e ho colto al volo l’opportunità, la sfrutterò al massimo”. E’ felice come una Pasqua il signor Antonio Corsi, dal 1997 sindaco di Sgurgola - in provincia di Frosinone - col pallino della tromba. Il suo progetto popolare a sostegno delle bande musicali d’Italia è stato bocciato dalle urne nel 2013 ma è appena risorto in Parlamento. Merito del matrimonio contratto di fresco con i deputati di “Alternativa Liberaeletti con il movimento di Grillo e poi organizzati in componente autonoma insieme agli ex Civatiani. Che però li hanno abbandonati su due piedi per “Possibile” lasciandoli in braghe di tela: sono rimasti solo in cinque, in numero inferiore ai 10 deputati necessari per essere componente riconosciuta dalla Presidenza e, come tali, ammessi all’utilizzo dei fondi per le spese di segreteria, ufficio legislativo, ufficio stampa e tutto il nécessaire di dotazioni della Camera.
Non tutto è perduto per Massimo Artini, Marco Baldassarre, Eleonora Bechis, Samuele Segoni e Tancredi Turco che in quattro anni sono diventati tra i più lesti, reattivi e scaltri deputati di tutta la Camera. Lo hanno appena dimostrato depositando per primi la mozione che potrebbe riaprire il caso Minzolini in un Parlamento imbambolato dai contraccolpi del salvataggio. L’altra faccia della medaglia è che hanno imparato a usare la stessa disinvoltura a proprio favore, fino a ricorrere agli espedienti tipici della Casta contro cui si scagliano.
Per evitare la decadenza, ad esempio, si sono avvalsi della classica eccezione al Regolamento, armamentario prediletto di correnti e partitini: l’art. 14 comma 9 ammette la possibilità di costituirsi come componente politica anche a un numero di deputati inferiore a dieci (fino a tre), purché “rappresentino un partito o movimento politico la cui esistenza, alla data di svolgimento delle elezioni per la Camera dei deputati, risulti in forza di elementi certi e inequivoci, e che abbia presentato, anche congiuntamente con altri, liste di candidati ovvero candidature nei collegi uninominali”. Perfetto, ma c’è un problema: nessuno dei deputati in questione ha tale requisito, essendo stati tutti eletti con il simbolo del M5S che appartiene a Grillo.
Così bussano alla porta di Corsi Antonio da Sgurgola, appassionato di bande e folklore popolare che con la sua lista civica “Tutti insieme per l’Italia” nel 2013 raccolse lo 0,01% dei voti al Senato e lo 0,00 alla Camera, posizionandosi terzultimo davanti alle liste “Staminali d’Italiae “Democrazia Atea”. Da allora non se ne aveva più notizia e la pagina Facebook, con 200 iscritti, sembrava destinata all’oblio. Fino allo scorso 19 di marzo, quando scatta il colpo di fulmine coi deputati di AL per i quali torna ad essere un buon partito. Firmano l’accordo: lui ci mette giusto il simbolo, una chiave di violino bianca su sfondo tricoloreloro potranno appenderci la richiesta di fondi.
Del matrimonio (di interessi) danno notizia gli stessi deputati di Al: “Per evitare la decadenza della componente e il conseguente scioglimento dell’ufficio legislativo e dell’ufficio comunicazione abbiamo concluso un accordo a titolo gratuito con il signor Antonio Corsi per l’utilizzo del Simbolo ‘Tutti Insieme per l’Italia’ nella composizione della componente parlamentare”. Gli ex grillini in cambio garantiranno l’impegno a “supportare il lavoro relativo alla realtà della Musica Popolare e Amatoriale delle Bande Musicali, Cori e Gruppi Folklorici, nonché dell’Arte, Cultura e Lavoro, comunque connessi all’attività del Partito ‘Tutti Insieme per l’Italia’, anche tramite l’elaborazione di atti parlamentari e di sindacato ispettivo mirati a promuovere l’attività di Tutti Insieme per l’Italia”.
Nella contropartita anche l’impegno a consentire ad almeno un rappresentante di ‘Tutti Insieme per l’Italia” – cioè allo stesso Corsi, che si era presentato da solo alle elezioni – “l’accesso alla Camera; facilitare l’uso dei servizi a disposizione della Componente parlamentare (sale riunioni, organizzazione eventi e sala stampa); coordinare il lavoro parlamentare con gli uffici della componente parlamentare. Questo accordo ci consentirà di mantenere in piedi la componente e di continuare a pagare gli stipendi di coloro che ci aiutano quotidianamente a lavorare per la collettività con la consueta indipendenza che ci ha sempre contraddistinti”.
L’indipendenza, infatti, ha i suoi costi. Solo gli stipendi dei dipendenti di staff (4 uffici stampa, 2 del legislativo, l’archivista e un consulente per il sito) costano oltre 20mila euro al mese: impossibile mantenerli senza attingere ai fondi della Camera, ammessi però solo a componenti autonome riconosciute. Complicata anche l’opzione di pagare tutto di tasca propria rinunciando alle restituzioni, disposte secondo statuto, di quote dello stipendio parlamentare che venivano pubblicate sul sito dagli aderenti di AL sotto la voce “restituzioni”. Risultano ferme al gennaio 2016, con bonifici fino a 91mila euro in favore di onlus, scuole e dell’associazione antimafia Libera. Interromperle del tutto offrirebbe il fianco alle accuse degli ex colleghi grillini di essersi adeguati ai peggiori vizi della Casta. E allora non resta che chiudere gli occhi e baciare il rospo. Che grazie all’accordo entra in Parlamento con una chiave di violino, senza mai essere stato eletto.
Gli altri riusciranno mai a capire perchè i 5stelle che non rispettano i parametri indicati nel "non statuto" e inizialmente accettati e siglati vengono defenestrati?
Se si nasce ideologicamente come anti-casta, non si può diventare pro-casta e restare con gli anti-casta.
Sarebbe un paradosso.

sabato 15 novembre 2014

De Girolamo vicepresidente Giunta autorizzazioni. M5S: “Ma è indagata”.



La deputata del Nuovo centrodestra succede ad Antonio Leone, eletto al Csm. Ma è accusata di abuso d'ufficio, truffa e turbativa d'asta nell'ambito dell'inchiesta sulla Asl di Benevento. I 5 stelle: "Controllori e controllati che diventano la stessa persona".

Nunzia De Girolamo vicepresidente della Giunta per le autorizzazioni a Montecitorio. La deputata del Nuovo centrodestra è indagata per abuso d’ufficio, truffa e turbativa d’asta nell’ambito dell’inchiesta sulla Asl di Benevento. La sua nomina è arrivata dopo che Antonio Leone, prima vicepresidente, è stato eletto nel Consiglio superiore della magistratura. La decisione ha sollevato alcune polemiche visto il ruolo della giunta che è chiamata a giudicare su richieste di indagini, arresti e intercettazioni relative ai parlamentari. Critico il Movimento 5 stelle: “Decisione che mostra il volto peggiore di questa classe politica”.
Solo qualche ora prima, c’era stato uno scontro in giunta, anche se questa volta al Senato, per la decisione della maggioranza di salvare il senatore Antonio Azzollini e di fermare l’utilizzo delle registrazioni che lo riguardano nell’inchiesta sul porto di Molfetta. “La De Girolamo”, continuano i 5 stelle, “è attualmente sotto indagine nel secondo filone d’inchiesta scaturito dalle conversazioni registrate da Felice Pisapia, ex responsabile economico dell’Asl di Benevento. Autorizzerà il suo arresto nel prossimo futuro? Siamo all’apice delle contraddizioni. Il pieno sconcerto e la mancanza di qualsiasi etica politica. Controllori e controllati che diventano la stessa persona. Indagati che diventano vice presidenti della Giunta che autorizza a sua volta l’arresto di un deputato. Ci chiediamo chi possa aver mai voluto questa nomina così assurda e indegna”.
Chi difende la De Girolamo è il presidente della Giunta Ignazio La Russa: “Non ci sono stati e non ci sono nemmeno in prospettiva, elementi per un procedimento di competenza della Giunta per le autorizzazioni (che peraltro esprime solo una proposta all’Aula) a carico dell’onorevole Nunzia De Girolamo. La nomina a vicepresidente è avvenuta a larghissima maggioranza. Trovo pertanto inutile la polemica sollevata da alcuni membri della Giunta i quali sanno benissimo che, anche laddove si dovessero manifestare situazioni di conflitto d’interesse, ne deriverebbe da parte dell’eventuale interessato il dovere di astensione dal voto”.
Viene lo sgomento....come facciamo a sopportare questo marciume?

martedì 22 luglio 2014

Galan, la Camera autorizza l’arresto con 395 sì. “Sono incazzato, sapete con chi”.

Galan, la Camera autorizza l’arresto con 395 sì. “Sono incazzato, sapete con chi”

L'ex governatore del Veneto, accusato di corruzione, non era in Aula per motivi di salute ma è stato dimesso. Forza Italia aveva chiesto lo slittamento della decisione. Anche la Lega favorevole alla richiesta della Procura di Venezia. Il legale: "Probabile ricovero in centro clinico carcerario". Berlusconi: "Profondamente addolorato".
“Sono incazzato e sapete benissimo con chi”. Giancarlo Galan è uscito in carrozzina dall’ospedale di Este, dove era stato ricoverato da diversi giorni. È quindi salito su un’ambulanza (nella foto) che si è allontanata diretta verso casa a Cinto Euganeo. Da dove ha chiamato i carabinieri. La Camera ha autorizzato l’arresto del deputato con 395 sì e 138 no, dopo aver bocciato la richiesta di rinvio presentata da Forza Italia. L’ex ministro è accusato di corruzione nell’inchiesta sul Mose di Venezia che il 4 giugno ha portato a 35 arresti, tra i quali quello del sindaco della città lagunare Giorgio Orsoni. Chi gli è vicino descrive l’ex ministro “imbestialito ed incredulo” rispetto alla decisione dei medici dell’ospedale di dimetterlo, provvedimento che non si aspettava.

Il deputato quindi questa mattina non si era presentato in aula perché ancora ricoverato nel reparto di Medicina dell’ospedale di Este (Padova), dopo una decina di giorni trascorsi in Cardiologia. Dopo il voto sull’arresto si è appreso da fonti della Usl 17 di Padova che in mattinata i medici avevano già firmato una lettera di dimissioni, ma l’ex governatore era rimasto nella sua stanza d’ospedale. Vista l’autorizzazione concessa, l’avvocato Antonio Franchini, che assieme al collega Nicolò Ghedini assiste Galan, ha annunciato che presenterà richiesta al gip perché conceda gli arresti domiciliari.

Quale sarà ora la sorte del deputato? “Può succedere che vada in un centro clinico carcerario a Parma, Opera o Bologna, può darsi che resti qui o che vada in carcere in infermeria”, speiga l’avvocato Franchini. “Ma, non credo in una cella”. La lettera di dimissioni, spiega l’altro codifensore Nicolò Ghedini, “contiene ovviamente tutta una serie di prescrizioni e cure. Non sappiamo ora cosa succederà. Vedremo cosa deciderà il giudice”.
Proprio le condizioni di salute di Galan e l’impossibilità di intervenire in aula erano stati alla base della richiesta di rinvio presentata da Forza Italia all’inizio della seduta. A far slittare il voto ha provato anche Antonio Leone di Ncd, che aveva chiesto alla Camera un’inversione dell’ordine del giorno per esaminare il decreto legge Carceri. Ma anche questa richiesta era stata respinta e la discussione è proseguita.
Si sono pronunciate a favore dell’arresto Sel, con Claudio Fava, e la Lega Nord, con Matteo Bragantini, che ha sottolineato il fatto che i deputati sono chiamati a pronunciarsi soltanto sull’eventuale “fumus persecutionis”, non ravvistato contro l’ex governatore della Regione Veneto. Una posizione presa male da Forza Italia: “È un fatto politico rilevante e grave che la Lega voti per l’arresto di Galan. Il garantismo dovrebbe contare qualcosa nella futura coalizione. O no?”, ha subito twittato Daniele Capezzone. Sì all’arresto anche da parte di Scelta civica.
In sede di dichiarazione di voto, Leone dell’Ncd è tornato alla carica sottolineando che il fumus, “contrapposto all’arrosto”, è tale anche quando è percepito appena: “Basta un sentore”. Per Forza Italia, Giancarlo Chiarelli ha ravvisato il “fumus” nella stessa richiesta di arresto, a suo avviso “errata” rispetto a quanto emerso dall’inchiesta. Ultimo a intervenire, il Pd, che con Anna Russomando ha ribadito il sì all’arresto di Galan: “”Ci sentiamo anche noi paladini del garantismo”, ha spiegato, “ma le battaglie per l’applicazione delle garanzie dei cittadini non si fanno nelle Giunte. Noi le facciamo nelle sedi opportune”.
Galan è accusato dalla Procura di Venezia di aver agevolato l’iter di approvazione della varie fasi del Mose – il contestato sistema di dighe mobili contro l’acqua alta, un affare da oltre 5 miliardi di euro – in cambio di denaro. Addirittura di uno “stipendio fisso”, come ha affermato davanti ai pm la sua ex segretaria Claudia Minutillo. Stipendio che l’altro grande accusatore Giovanni Mazzacurati, ex presidente del Consorzio Venezia Nuova concessionario dell’opera, ha quantificato in circa un milione di euro l’anno. All’ex presidente del Veneto sono contestate anche altre consegne di denaro e la ristrutturazione di una villa a Cinto Euganeo. Nell’ambito dell’inchiesta Mose sono emersi anche affari da decine di milioni di euro della famiglia Galan in Indonesia, nel settore gas.
“Sono profondamente addolorato per il voto parlamentare che ha dato il via libera all’arresto di Galan. Trovo particolarmente ingiusto che, non accettando il rinvio del voto proposto da Forza Italia, sia stato impedito a Galan di essere presente in Aula  - scrive in una nota Silvio Berlusconi - per potersi difendere dalle accuse che gli sono state rivolte. Sono vicino a Giancarlo, della cui correttezza dopo trent’anni di collaborazione e amicizia sono assolutamente certo, in questo momento così drammatico e difficile”.