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mercoledì 6 giugno 2018

Taglio indennità parlamentari, alla Camera via libera al testo unificato: da 5.000 euro netti a 5.000 lordi al mese. - Antonio Pitoni

Taglio indennità parlamentari, alla Camera via libera al testo unificato: da 5.000 euro netti a 5.000 lordi al mese

In commissione Affari costituzionali adottata la proposta della relatrice Roberta Lombardi (M5S). Prevista una sforbiciata anche ai rimborsi di soggiorno nella capitale. Che non saranno più corrisposti ai parlamentari residenti a Roma. Tutte le spese, da quelle di viaggio a quelle per l’esercizio del mandato, dovranno essere documentate. Previste nuove norme per la trasparenza. Il provvedimento dovrebbe arrivare in Aula entro ottobre. La deputata M5S: “L’abolizione dei privilegi della Casta torna al centro del dibattito”.


Riduzione dell’indennità parlamentare, sforbiciata ai rimborsi per le spese di alloggio (la cosiddetta diaria), di viaggio e per l’esercizio del mandato. Persino una stretta sul Tfr di onorevoli e senatori. Sono i temi affrontati dal testo unificato (relatrice Roberta Lombardi del M5S) adottato alla Camera in commissione Affari costituzionali, con i soli voti del Movimento 5 Stelle (tutti gli altri si sono astenuti), per riscrivere le norme che regolano il trattamento economico dei rappresentanti del popolo. Un provvedimento, atteso in Aula entro ottobre, che ha dovuto fare i conti con l’ostacolo insormontabile della Costituzione. Per la precisione con l’articolo 69: “I membri del Parlamento ricevono una indennità stabilita dalla legge”. Con il risultato che, delle varie voci e relativi ammennicoli che concorrono a formare la retribuzione complessiva di deputati e senatori, solo l’indennità parlamentare (in pratica lo stipendio base) e le spettanze ad essa collegate possono essere oggetto di modifica legislativa.

AUTODICHIA OFF LIMIT – Su tutto il resto, invece, la legge non può intervenire. In base al principio dell’autodichia, vale a dire l’autonomia del Parlamento da qualsiasi ingerenza esterna, ulteriori modifiche possono essere introdotte solo dalle due Camere nell’esercizio del loro potere autoregolamentare. Una situazione della quale l’Ufficio di presidenza della commissione Affari costituzionali di Montecitorio, guidata da Andrea Mazziotti di Scelta civica, non ha potuto che prendere atto. Invitando, la settimana scorsa, i proponenti delle diverse proposte di legge a riformulare i rispettivi testi, limitandone i contenuti alla sola materia delle indennità parlamentari, alla diaria – la somma riconosciuta a deputati e senatori a titolo di rimborso delle spese di soggiorno nella capitale – e al relativo trattamento fiscale. E ieri, sempre in commissione, con i soli voti del Movimento 5 Stelle (tutti gli altri gruppi si sono astenuti) è stato approvato il testo unificato della relatrice Roberta Lombardi. La deputata pentastellata era stata la prima a presentare una pdl sulla materia, cui erano poi seguite quelle di Guglielmo Vaccaro(gruppo Misto), Donata Lenzi e Sesa Amici (Partito democratico), Roberto Capelli (Democrazia solidale-Centro democratico) e Paolo Vitelli (Scelta civica).

AVANTI SI TAGLIA – Ma cosa prevede il nuovo impianto normativo che, conclusi i lavori della commissione, dovrebbe arrivare entro ottobre all’esame dell’Aula di Montecitorio? Innanzitutto la riduzione dell’indennità parlamentare a 5.000 euro lordi al mese. Una sforbiciata consistente rispetto ai circa 5.000 euro netti (pari a un lordo di 10.435 euro) che intascano attualmente deputati e senatori. Ai membri del Parlamento è, inoltre, riconosciuto “un rimborso delle spese documentate di soggiorno (la diaria, ndre di viaggio entro il limite massimo di euro 3.500 mensili”. Una voce considerevolmente ridotta rispetto alle attuali spettanze se si considera che, ad oggi, ad ogni rappresentante del popolo spettano 3.500 euro solo a titolo di diaria. Mentre le spese di viaggio sono conteggiate a parte: altri3.323,70 euro a trimestre, per il deputato che deve percorrere fino a 100 chilometri per raggiungere l’aeroporto più vicino al luogo di residenza, che salgono a 3.995,10 euro se la distanza da percorrere è superiore. Ma non è tutto. “Il rimborso delle spese di alloggio non è riconosciuto”, a differenza di quanto avviene oggi, “ai membri del Parlamento che risiedono nel comune di Roma”. Confermata, invece, la “decurtazione” della diaria, la cui entità deve essere determinata dagli Uffici di presidenza delle due Camere, “per ogni giorno di assenza del parlamentare dalle sedute dell’Assemblea, delle Giunte o delle Commissioni in cui si siano svolte votazioni”. Poi ci sono i rimborsi delle spese sostenute per l’esercizio del mandato che il testo unificato della Lombardi fissa a 3.690 euro mensili. Estendendo, in pratica, l’attuale limite previsto a Montecitorio anche a Palazzo Madama dove, invece, si può arrivare ad un massimo di 4.180 euro al mese. Cifre, in entrambe le Camere, oggi forfettarie per il 50% e soggette a rendicontazione periodica solo per il restante 50%.

BENEDETTA TRASPARENZA – Poi c’è l’indennità di fine mandato. Il testo unificato prevede che ai membri del Parlamento non rieletti spetti un assegno “il cui importo è commisurato” all’indennità parlamentare (5.000 euro lordi al mese) e “alla durata complessiva del mandato”, calcolato “secondo la disciplina prevista dall’articolo 2120 del codice civile”. Quello che regola, cioè, il trattamento di fine rapporto per i comuni lavoratori. In pratica, mentre la disciplina vigente ne fissa l’importo, tanto alla Camera che al Senato, nella misura dell’80% dell’indennità lorda per ogni anno di mandato effettivo (o frazione non inferiore a sei mesi), con la nuova normativa verrebbe calcolato dividendo per 13,5 la retribuzione lorda annua e moltiplicando la cifra ottenuta per il numero degli anni di mandato. Infine, la trasparenza. Il testo messo a punto dalla Lombardi prevede che gli Uffici di presidenza delle due Camere assicurino la pubblicazione di tutte le indennità riconosciute al singolo parlamentare; del “numero dei giorni per i quali il membro del Parlamento è risultato presente alle sedute dell’Assemblea e delle Commissioni e ha ottenuto il riconoscimento del rimborso delle spese di soggiorno e di viaggio”; la “rendicontazione” di tutte le spese rimborsate (viaggio, soggiorno ed esercizio del mandato).

PRIVILEGI NEL MIRINO – “Il testo unificato ha fatto propri due principi che, sul trattamento economico dei Parlamentari, il M5S considera irrinunciabili – spiega a ilfattoquotidiano.it la relatrice Roberta Lombardi –. Primo: abbassare l’importo dell’indennità. Secondo: rendere più incisivi gli obblighi di trasparenza imponendo la rendicontazione su tutte le spese i cui rimborsi cessano di essere, come avviene con l’attuale disciplina, almeno in parte forfetari”. Altra questione, invece, concerne la concreta possibilità di arrivare all’approvazione della legge. “Quel che è certo è che noi non arretreremo di un centimetro – conclude la deputata del M5S –. E consideriamo già un successo aver rimesso al centro del dibattito parlamentare il tema dell’abolizione dei privilegi della Casta”.

giovedì 11 ottobre 2012

Costi politica, Lombardia: tre consiglieri indagati per truffa aggravata e peculato.


Consiglio Regionale Lombardia

Ispezioni a sorpresa nella sede del Consiglio regionale lombardo e nelle Marche. Al Pirellone i finanzieri hanno sequestrato i rendiconti completi delle spese sostenute dai gruppi di Pdl e Lega Nord dal 2008 al 2012. In particolare, la documentazione riguarda i loro viaggi, cene e spese di comunicazione e rappresentanza.

Dopo LazioCampaniaEmilia Romagna e Piemonte, oggi tocca a Lombardia e Marche. Ispezione a sorpresa degli agenti della Guardia di Finanza nei due consigli regionali per compiere acquisizioni per accertamenti sulle spese dei gruppi regionali. Al Pirellone risultano indagati i consiglieri Davide Boni (Lega)Franco Nicoli Cristiani e Massimo Buscemi (Pdl) per peculato e truffa aggravata. Al centro viaggi, cene e spese di comunicazione e rappresentanza del gruppo consiliare Pdl-Lega tra il 2008 e il 1012. I finanzieri hanno acquisito tutta la documentazione presso l’assessorato al Territorio e Urbanistica, l’assessorato alla Cultura e Giovani, la Presidenza e l’ufficio di Presidenza. L’indagine riguarda in particolare le spese da loro sostenute ”nel periodo intercorso tra l’inizio di questa legislatura e marzo 2012”, come hanno affermato in una nota congiunta il presidente del consiglio regionale della Lombardia Fabrizio Cecchetti (Lega Nord) e i vicepresidenti Carlo Saffioti (Pdl) e Sara Valmaggi (Pd).
In sostanza, quando era presidente del Consiglio regionale Davide Boni, che si è dimesso da presidente del Consiglio regionale a seguito delle accuse di corruzione a suo carico. Buscemi, ex assessore alle Risorse idriche, è inoltre marito della figlia di Pierangelo Daccò, il faccendiere accusato di associazione per delinquere, bancarotta e altri reati nell’inchiesta sul dissesto dell’ospedale San Raffaele, è stato condannato con rito abbreviato a 10 anni di carcere
Lombardia – I finanzieri che questa mattina sono entrati al Pirellone hanno portato via borsoni e trolley contenenti presumibilmente dei documenti, che sono stati prelevati al nono piano del grattacielo, dove si trova l’ufficio legale del Consiglio. ”Non abbiamo nulla da nascondere, ed è curioso che per indagini che non riguardano i fondi dei gruppi ma i singoli consiglieri regionali vengano acquisiti i documenti di tutto il gruppo consiliare, e solo di Pdl e Lega Nord’’, ha detto il capogruppo regionale del Pdl Paolo Valentini. “La richiesta di documenti da parte della Guardia di finanza – ha sottolineato il capogruppo della Lega Nord Stefano Galli – è collegata all’indagine in corso riguardante il consigliere regionale Davide Boni e non riguarda l’inchiesta sull’utilizzo dei fondi consiliari in corso in altre Regioni italiane”. A quanto si apprende, per ora non ci sarebbero state acquisizioni di documenti negli uffici degli altri gruppi consiliari, e l’intervento delle Fiamme gialle si sarebbe concentrato negli uffici di Pdl e Lega Nord.

sabato 6 ottobre 2012

Costi della politica, se il governo Monti copia da Tremonti (e tutti applaudono). - Sara Nicoli


Tremonti e Monti


Sull'onda dello scandalo dei fondi Pdl nel Lazio, il governo ha varato ieri sera il decreto sui tagli agli enti locali. Una vera e propria "tagliola" accolta tra gli applausi dei governatori. Gli stessi che nell'agosto del 2011 alzarono le barricate contro i tagli previsti dalla manovra del ministro Tremonti. Eppure, tra i due testi ci sono molte evidenti somiglianze.

Non c’è niente di più inedito dell’edito, ironizzava negli anni ’50 un grande giornalista come Mario Missiroli. E’ una frase che, però, calza alla perfezione anche per fotografare quello che è accaduto ieri sera a Palazzo Chigi. Quando il governo ha varato il decreto sui tagli alla politica negli enti locali sollecitato dagli stessi governatori regionali e da molti sindaci. Il tutto – è noto – è nato dopo lo scandalo della Regione Lazio e sull’onda dell’emozione provocata dall’inizio di inchieste similari in Campania, Emilia Romagna e Piemonte e, soprattutto, spacciato come l’ennesima novità legislativa di stampo moralizzatore messa in campo da Mario Monti.
Non appena sono cominciate a circolare le copie del nuovo articolato, però, si è visto subito che il testo non si discostava di molto dal documento portato dai governatori al sottosegretario Antonio Catricalà la scorsa settimana. Ma soprattutto, era un testo che aveva similitudini davvero impressionanti con l’articolo 14 della manovra Tremonti dello scorso agosto (il decreto 138) che prevedeva la riduzione dei Consiglieri e dei loro stipendi. Una manovra che all’epoca aveva provocato l’immediata alzata di scudi dei governatori e che, invece, ieri è stato digerito come un bicchier d’acqua e, in alcuni casi, accompagnato da un sincero entusiasmo dei diretti interessati.
Insomma, Monti non si è inventato nulla di straordinario. Anzi, ha copiato di sana pianta Tremonti, solo che all’epoca il governo era ormai delegittimato nell’azione politica e di risanamento economico, mentre ora – inchieste a parte – si parla addirittura di un Monti bis dopo le elezioni di aprile: impossibile non adeguarsi al nuovo corso. E, soprattutto, a salutarlo con favore. Si ricorderà anche che la manovra tremontiana demandava alle Regioni il compito di attuarle entro sei mesi, cosa che naturalmente non è avvenuta. E i ricorsi sono servirti anche per rallentare l’applicazione delle norme secondo la scadenza prevista. Poi è esploso il Lazio gate e l’indignazione dell’opinione pubblica ha indotto consigli e giunte regionali a fare quello che non hanno fatto in questi 15 mesi.
Giusto per ricordarlo, la manovra Tremonti del 13 agosto 2011, messa a punto in un’estate in cui il governo si produsse, complessivamente, in cinque diverse versioni del provvedimento per cercare di arginare il volume dello spread in fiammata perenne e quotidiana, conteneva tagli agli enti locali e alle Regioni per 9 miliardi di euro nel biennio 2013-2014. Le riduzioni erano state suddivise in circa 3,5 miliardi di euro nel 2013 e 5,5 miliardi nel 2014. E prevedeva, sempre per Comuni, Regioni e Province, trasparenza nelle spese, tagli agli stipendi, riduzione del numero delle poltrone e anche significative sanzioni per chi non avesse attuato la stretta. Una manovra, dunque, molto stringente, dettata ovviamente dall’emergenza di quel momento che indignò tutti. A partire proprio dal “celeste” Formigoni che parlò, seccato, di “fine del federalismo fiscale”. Quindi fu presa la decisione di ricorrere alla Corte Costituzionale. Ieri Formigoni era sempre in prima fila, stavolta a decantare la bontà di un provvedimento con gli stessi contenuti della manovra 2011 – in qualche caso addirittura peggiori – sostenendo addirittura di essere stato tra quelli che hanno perentoriamente chiesto a Monti di intervenire: “Quei tagli – ecco la dichiarazione – sono le richieste presentate da noi (dai governatori all’esecutivo nazionale, ndr) e il decreto va in quella direzione”.
Un decreto che, lo ricordiamo, contiene tagli agli stipendi di consiglieri e assessori e anche ai gettoni di presenza nelle commissioni, sanzioni a carico degli amministratori locali, come i sindaci, che hanno contribuito con dolo o colpa grave al verificarsi del dissesto finanziario e l’incandidabilità per dieci anni. Quindi il dimezzamento delle agevolazioni in favore dei gruppi consiliari, dei partiti e dei movimenti politici e l’adeguamento al livello della Regione più virtuosa (identificata dalla Conferenza Stato-Regioni entro il 30 ottobre 2012), la tracciabilità delle spese dei gruppi consiliari, scure su auto blu e sponsor, e taglio dei vitalizi con passaggio al sistema contributivo per le pensioni.
Insomma, una tagliola tremenda. Ma già tremendamente vista. E, stavolta, anche accettata solo perché la propone Monti. Che a sua volta non si è inventato niente ed ha copiato Tremonti. Quando si dice che non c’è mai niente di più inedito (e apparentemente brillante) dell’edito…

venerdì 5 ottobre 2012

Regioni, sforbiciate a poltrone e vitalizi. Monti: “Scandali? Danni incalcolabili”.


Regioni, sforbiciate a poltrone e vitalizi. Monti: “Scandali? Danni incalcolabili”


Il governo approva un decreto "anti-Casta": compensi abbassati al livello della Regione più virtuosa, eliminazione dei vitalizi, finanziamenti ai partiti dimezzati. E se una Regione non ci sta viene commissariata. Ma ora nel mirino finiranno anche le competenze.

Gli scandali della cattiva politica fanno parte di “un’Italia vecchia”, da archiviare il prima possibile anche grazie all’azione del governo. L’operazione di “messa in soffitta” della politica vecchia la assume il presidente del Consiglio Mario Monti, che si dice convinto che il decreto legge taglia spese, in accoppiata con le misure per la crescita, trasformeranno il Paese. Parole che arrivano quando il Consiglio dei Ministri è ancora in corso, impegnato proprio a esaminare il pacchetto sugli sperperi di assessori e consiglieri. Ma che lui riprenderà proprio a riunione terminata e con accenti, se possibile, ancora più duri: “Possiamo immaginare quale effetto può avere sull’immagine dell’Italia – riflette – quando si verificano episodi di evasione fiscale o corruzione. Che può pensare un cittadino straniero quando vede scorrere certe immagini alla televisione. Per l’Italia è un danno incalcolabile“. ”Siamo impegnati, il ministro Grilli, io e anche gli altri ministri – ha proseguito il capo del governo – a far crescere il rispetto dell’Italia. E’ un lavoro che richiede il rispetto dei cittadini italiani, che richiede una grande presenza nelle sedi internazionali per spiegare che l’Italia non corrisponde ai pregiudizi con cui spesso la si dipinge”.
Da dove passa la ristrutturazione della facciata dell’Italia? Quello del governo è un bisturi che sembra voler mirare ai nodi principali di sprechi e spese allegre soprattutto nelle Regioni. Compensi abbassati al livello della Regione più virtuosa, eliminazione dei vitalizi, finanziamenti ai partiti dimezzati. E se c’è una Regione che non ci sta, benissimo: scioglimento del consiglio, commissariamento e tutti a casa. 
L’opinione pubblica, riprende Monti, “è sgomenta di fronte a fatti che minano gravemente la fiducia e la reputazione del Paese e la sua credibilità” continua Monti. Si rischia di vanificare “lo sforzo che stiamo tutti facendo perché il ruolo dell’Italia, paese civile e democratico, venga pienamente riconosciuto a livello internazionale”. ”Siamo impegnati a far crescere il rispetto per l’Italia” spiega. “Ed è un lavoro che richiede una grande presenza nella sedi internazionali per spiegare che l’immagine dell’Italia non corrisponde ai pregiudizi con cui spesso la si dipinge”. Ma gli scandali “inqualificabili” venuti alla luce in questi ultimi giorni “minano la fiducia dei cittadini verso le istituzioni e la credibilità dello Stato”, rischiando di vanificare “gli sforzi che stiamo facendo perché il ruolo dell’Italia sia riconosciuto a livello internazionale”. Tanto che Monti, preparato il terreno e tracciato il solco, a questo punto rilancia: “Temi come la lotta alla corruzione dovrebbero far parte del Dna di ogni partito e spero che si raggiunga presto un accordo perché tassello essenziale per il Paese”.
Obiettivo: rivedere le competenze tra Stato e Regioni. Ma non finisce qui. Il bisturi di Monti sembra puntare ancora più in alto. Allo stesso Titolo V della Costituzione modificato in Parlamento dal centrosinistra e poi confermato da un referendum popolare. Al decreto legge sui costi della politica, spiega una nota di Palazzo Chigi, “seguiranno presto altri provvedimenti che comporteranno una proposta di revisione della ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni al fine di assicurare un assetto razionale ed efficiente, con l’eliminazione di sovrapposizioni e duplicazioni burocratiche e chiameranno regioni ed enti locali a concorrere agli obiettivi di finanza pubblica, al consolidamento dei conti e al rispetto del pareggio di bilancio”. D’altronde, prosegue il comunicato del governo, l’aumento del deficit di bilancio di molte amministrazioni è il risultato, oltre che del ricorso all’indebitamento, anche dell’utilizzo opaco dei fondi da parte di alcune regioni e di un sistema farraginoso di controllo e valutazione delle performances. Con una crescita di spesa stellare. “Secondo i dati diffusi da Cgia Mestre a settembre 2012, nell’ultimo decennio la crescita della spesa delle Regioni è stata del 74,6%, pari a 89 miliardi di Euro” dicono dal governo. “Nel 2010 – si legge nella nota dell’esecutivo – (anno a cui risale l’ultimo dato disponibile riferito ai bilanci di previsione) le uscite complessive delle Regioni hanno superato i 208,4 miliardi di euro”.
Sindaci spreconi incandidabili per 10 anni. Arriva dunque il giro di vite per tutti gli amministratori locali. Sindaci e presidenti di provincia colpevoli di default saranno incandidabili per dieci anni e si troveranno a dover pagare mega multe: la Corte dei conti potrà infatti imporre una sanzione da cinque a venti volte la retribuzione dovuta al momento della violazione. Confermato poi il nuovo ruolo per i magistrati contabili, che dovranno fare controlli “preventivi” e che potranno farsi aiutare dalla Guardia di Finanza e dalla Ragioneria Generale dello Stato.
La Regione non controlla? Niente soldi. Le Regioni che non introdurranno il sistema di controllo di spesa previsto dal decreto varato oggi dal governo saranno sanzionate con un taglio fino all’80% dei trasferimenti dello Stato, eccetto che su sanità e trasporto. 
Taglio di consiglieri e assessori entro 6 mesi. Il decreto taglia il numero di consiglieri eassessori applicando il decreto anticrisi 138 del 2011. La riduzione dovrà essere realizzata entro 6 mesi dall’entrata in vigore, ad esclusione delle Regioni in cui è prevista una tornata elettorale per le quali il limite verrà applicato dopo le elezioni. 
Dimezzati i finanziamenti ai partiti. I finanziamenti e le agevolazioni in favore dei gruppi consiliari, dei partiti e dei movimenti politici vengono decurtati del 50% e adeguati ai livelli della Regione più virtuosa. Saranno aboliti i finanziamenti ai gruppi composti da un solo consigliere.
Tracciabilità delle spese dei gruppi. Sulle spese dei gruppi consiliari arriva un meccanismo di trasparenza che prevede la tracciabilità, oltre al controllo della Corte dei Conti e della Guardia di Finanza.
Vietato il cumulo di indennità, eliminati i vitalizi. I compensi dei consiglieri e degli assessori vengono regolati in modo che non eccedano il livello di retribuzione riconosciuto dalla Regione più virtuosa. Vietato il cumulo di indennità ed emolumenti. Saranno eliminati i vitalizi e sarà introdotto metodo contributivo per il calcolo della pensione. “Nelle more, non potranno essere corrisposti trattamenti pensionistici o vitalizi – si legge nel comunicato di Palazzo Chigi – in favore di coloro che abbiano ricoperto la carica di presidente della Regione, di consigliere regionale o di assessore regionale solo se i beneficiari abbiano compiuto 66 anni d’età e ricoperto la carica, anche se non continuativamente, per almeno 10 anni”.
Commissariata la Regione che non applica le misure. Per le Regioni che si rifiutano di attuare le misure di taglio ai Costi della politica previsto dal decreto approvato oggi è previsto lo “scioglimento del Consiglio per gravi inadempienze di legge”. 
“Dieta” anche su consulenze e auto blu. Il decreto sui costi della politica obbliga anche le Regioni ad attenersi alle regole statali in materia di riduzione di consulenze e convegni, auto blu, sponsorizzazioni, compensi degli amministratori delle società partecipate.
Società partecipate nel mirino. Nel mirino finiscono anche le società partecipate degli enti locali: gli obiettivi gestionali così come il quadro dei conti dovranno essere monitorati. L’intenzione è quella di fare in modo che tutte le amministrazioni abbiano nel giro di qualche anno le finanze in ordine e dunque il decreto legge rafforza quanto previsto dalla normativa già in vigore: agli enti locali viene infatti data la possibilità di deliberare “aliquote o tariffe di tributi nella misura massima consentita”. Il piano però non potrà durare più di cinque anni. Intanto arriva la possibilità di modificare le aliquote dell’Imu fino al 31 ottobre, riaprendo così i termini scaduti a settembre. 
L’Anci: “E i ministri che il buco l’hanno fatto non pagano?”. Il governo, insomma, arriva in codice rosso e cerca di salvare il salvabile. Ma c’è chi ricorda che la responsabilità non è solo di chi c’è ora, ma anche di chi ci è stato: “Noi sindaci non ci sottraiamo alle valutazioni e alle responsabilità che per forza si devono avere quando si gestisce denaro pubblico, però mi chiedo se non sarebbe il caso di sanzionare allo stesso modo quei ministri che hanno portato il debito pubblico italiano a quasi 2 mila miliardi di euro” afferma il presidente dell’Anci Graziano Delrio. ”Mi chiedo ad esempio – ha aggiunto – che cosa debba fare un neosindaco di un Comune praticamente dissestato che dopo un mese di mandato è costretto a chiedere aiuto allo Stato per non fallire: in questo caso spero che la responsabilità del tracollo non sia dei sindaci chiamati a gestire ex post quella situazione”. Il provvedimento che sta adottando il governo Monti, spiega ancora il presidente dell’Anci, “è molto simile a una proposta che a suo tempo fece il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli e anche a lui avevamo detto sì. Ma la responsabilità nella gestione dei soldi pubblici deve essere estesa a tutti i livelli, senza sparare nel mucchio”.