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venerdì 26 settembre 2014

Processo Enel Porto Tolle, “Scaroni ha non indifferente capacità a delinquere”. - Thomas Mackinson

Paolo Scaroni

La definizione è nelle motivazioni della sentenza di condanna emessa il 31 marzo scorso per il disastro ambientale della centrale di Porto Tolle. "Scaroni agì al fine di incrementare gli utili d'impresa a discapito della sicurezza e della salute dei cittadini”. Il nuovo ad: "Rinunciamo a riconversione a carbone".
Paolo Scaroni dimostra una “non indifferente capacità a delinquere”. E non stiamo parlando delle indagini per le presunte mazzette sui pozzi petroliferi, ma delle motivazioni della sentenza del Tribunale di Rovigo che lo scorso 31 marzo ha condannato gli ex amministratori di Enel Paolo Scaroni e Franco Tatò a tre anni di reclusione per disastro ambientale, in termini di messa in pericolo della salute della popolazione. Appena depositate, sono l’ennesima tegola sul capo dell’ex manager pubblico oltre che un macigno per i gestori di impianti industriali nel mirino di altre procure. In 113 pagine il collegio giudicante ricostruisce la vicenda processuale innescata dalle emissioni inquinanti della centrale termoelettrica di Porto Tolle tra il 1998 e il 2009. E una frase riassume l’esito e colpisce più di altre l’attenzione: “La pena inflitta risulta adeguata alla non indifferente capacità a delinquere dimostrata dai prevenuti (gli a.d. Tatò e Scaroni), i quali hanno agito al fine di incrementare gli utili d’impresa a discapito della sicurezza e della salute dei cittadini”. 
La “capacità di delinquere”, si legge nelle carte, sostanzia dalla fatto che entrambi gli ad (Scaroni dal 2002) anziché porsi l’obiettivo di conformarsi al dettato normativo in fatto di riduzione delle emissione e salvaguardia della salute pubblica “agirono in senso contrario, omettendo da un lato di dare corso agli interventi di ambientalizzazione della centrale annunciati dall’azienda fin dal 1994 e sostenendo dall’altro progetti di riconversione che prevedevano l’uso di combustibili dotati di maggior impatto ambientale rispetto al metano”. Il tutto, in sintesi, al fine di consentire una produzione energetica sostenuta e a basso costo, grazie ai mancati interventi di desolfurazione degli impianti e all’uso di combustibili ad alto tenore di zolfo che presentavano prezzi di acquisto inferiori ad altri. Attività ad altissimo impatto ambientale per la popolazione residente sul territorio del delta del Po che ha potuto proseguire indisturbata fino al 2009 anche grazie a puntuali deroghe pervenute da Roma.
Sul punto i giudici non hanno dubbi. La mera autorizzazione – per altro tacita – al funzionamento della centrale non è sufficiente ad escludere reati suscettibili di incidere sulla salute delle persone. Si legge in proposito nella sentenza (pag. 26): “Tali violazioni, infatti,condussero al pregiudizio di un bene, “la salute” di una generalità indefinita di individui, avente rango costituzionale, e come tale estraneo al c.d. “rischio consentito’, ossia a quel novero di eventi di danno e di pericolo, la cui verificazione non è penalmente rilevante, essendo controbilanciata dalla scriminante dell’esercizio del diritto. L’attività imprenditoriale, infatti, non può svolgersi in contrasto con “l’utilità sociale” (art. 49 Cost.) e non può compromettere il bene salute (art. 32 Cost.). Pertanto, la stessa non può essere legittima ove vulneri in modo significativo tale bene giuridico e diviene colpevole se ciò avviene nella consapevolezza di violare precise disposizioni legislative”.
E i giudici non fanno sconti. “Ciò costituisce chiaro indice del dolo insito nelle condotte nell’intera vicenda”, si legge a pagina 92 della sentenza. Condotte “dettate dalla volontà di contenere i costi di esercizio delle centrale e quindi aumentare gli utili di impresa, omettendo di destinare sufficienti risorse alla salvaguardia della salute pubblica e dell’ambiente circostante”. Oltre a rimarcare la posizione grave di Scaroni, già condannato nel primo processo Enel che si era celebrato ad Adria nel 2006 (confermata in Cassazione 2011), il collegio rileva che non ci sono le condizioni per concedere le attenuanti generiche “considerato il comportamento processuale tenuto dagli imputati, i quali non hanno manifestato alcuna forma di resipiscenza in ordine alle condotte poste in essere”. E in effetti, a botta calda, Scaroni si dimostrerà quasi sprezzante: “Porto Tolle, nessun disastro. Pensavo di essere assolto“. E invece i magistrati condannano e con la mano pesante. A scanso di equivoci precisano anche che “non potrà essere concesso l’indulto di cui alla legge n. 241/2006, atteso che la commissione del reato, per quanto sopra specificato, si è protratta ben oltre la data 2 maggio 2006. 
Ma non è finita. Perché mentre gli inquirenti milanesi sono sulle tracce del “tesoretto” di Scaroni, che avrebbe accumulato ingenti ricchezze attraverso un sistema tangentizio di commesse petrolifere, i giudici di Rovigo hanno stabilito che i due manager dovranno pagare in solido tra loro 400mila euro a titolo di risarcimento dei soggetti costituiti in giudizio (ministeri dell’Ambiente e della Salute, associazioni, comuni di Porto Tolle e Rosolina, Provincia di Rovigo…). La partita economica è solo all’inizio. La sentenza si conclude infatti non con una ammenda pecuniaria che lava il reato ma con la richiesta di ripristino dei danni ambientali che con tutta probabilità saranno oggetto di un procedimento in sede civile. Dal valore potenzialmente devastante (anche per Enel, non citata a giudizio sul fronte penale): una stima dell’Ispra dello scorso gennaio valutava danni ambientali e sanitari per 3,6 miliardi di euro.
Oltre al giudizio in oggetto, le motivazioni della sentenza sono già destinate a fare giurisprudenza e sollevare polemiche. Accolgono in pieno l’impianto accusatorio mosso dal pm Manuela Fasolato che ha condotto una solitaria battaglia per anni, finendo pure sotto un procedimento disciplinare dai tratti a dir poco surreali che tutt’ora pende al Csm (il 21 novembre l’udienza). Tra le altre contestazioni, quella di “lavorare troppo”. La Procura Generale della Repubblica ha chiesto due volte l’archiviazione, le incolpazioni in parte sono cadute e in parte sono state riformulate  tenendo in piedi quella di “interferenza grave” contro il Ministero dell’Ambiente. Il motivo? Mentre a Roma gli organi tecnici e politici erano impegnati a valutare il mega progetto di riconversione della centrale, il pubblico ministero che stava istruendo l’accusa a Rovigo si era permessa di trasmettere a quegli organi una perizia che segnalava le gravi sottostime e gli errori nelle valutazioni delle emissioni depositate agli atti. A fin di bene, volendo evitare ulteriori danni alla salute e all’ambiente e sotto. Ma sotto processo è finita lei, e poco importa se quello stesso ministero si è costituito parte civile e se i giudici le hanno dato ragione piena. 
La sentenza accoglie il principio per cui in un processo per inquinamento ambientale non è necessario produrre la prova del singolo legame di causalità per le varie patologie, è sufficiente la correlazione stabilita dall’incrocio della prova epidemiologica e quella ambientale. Un macigno, si diceva, per gli altri impianti oggi nel mirino delle procure: dalla Tirreno Power di Vado Ligure (Sorgenia, De Benedetti) a Brindisi (Enel), passando per le centrali di Monfalcone (A2a), Torre Valdaliga Nord a Civitavecchia (Enel).
Infine si registra, proprio a ridosso della sentenza che tra l’altro inibisce a Enel di proseguire l’attività alle condizioni attuali, la decisione dell’azienda di rinunciare al mega progetto di riconversione a carbone, ipotesi giudicata peggiorativa dai consulenti della Procura di Rovigo e messa agli atti anche nelle motivazioni della sentenza.
ENEL, PRENDE ATTO E RISPONDE: “LA SENTENZA RICONOSCE MODESTO RISCHIO SANITARIO”
Enel prende atto delle motivazioni e, nel rispetto del lavoro svolto dai giudici, confida che possa essere chiarita nei futuri gradi di giudizio l’assoluta conformità dell’esercizio della centrale alle normative applicabili così come la correttezza della condotta dei propri rappresentanti.
Il collegio giudicante ha ritenuto che a Porto Tolle non si sia realizzato alcun disastro o danno per la salute, come sostenuto dall’accusa, ma si sia solo manifestata una situazione di modesto rischio di incremento delle malattie respiratorie rispetto ai dati medi esistenti. Circostanza che dovrà esser ulteriormente valutata nel corso del giudizio di appello per tener conto delle evidenze probatorie già emerse nel processo che avevano invece radicalmente escluso l’esistenza di qualsiasi rischio.
In relazione alle domande delle parti civili il collegio giudicante ha disposto la quantificazione dei danni in via provvisionale in misura sensibilmente inferiore rispetto a quanto richiesto (150 mila euro a fronte di 800 milioni). Anche tale decisione, così come ogni valutazione circa la reale esistenza di danni, dovrà esser ulteriormente vagliata nell’ambito dei futuri gradi di giudizio.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09/25/processo-enel-porto-tolle-scaroni-ha-non-indifferente-capacita-a-delinquere/1133170/


Eni-Saipem, inchiesta tangenti Algeria. Spunta il “Paolo Scaroni trust”

I pm titolari del fascicolo hanno avviato accertamenti sul trust che vede come beneficiario l'ex ad, la moglie e i loro discendenti, in particolare con una rogatoria in Svizzera. Obiettivo della Procura di Milano è ricostruire l'origine di tutti i flussi di denaro in entrata. Sono state quindi avviate, oltre alla rogatoria in Svizzera riguardante il Paolo Scaroni Trust, anche in Lussemburgo, Abu Dhabi, Algeria, Francia, Hong Kong, Singapore.

Spunta il Paolo Scaroni trust nell’inchiesta della procura di Milano sul presunto pagamento da parte di Saipem (società del gruppo Eni) di tangenti per 198 milioni di euro in Algeria al ministro algerino dell’energia Chekib Khelil e al suo entourage, per ottenere otto grandi appalti petroliferi del valore complessivo di 11 miliardi di euro. I pm titolari del fascicolo hanno avviato accertamenti sul trust che vede come beneficiario l’ex ad dell’Eni, Paolo Scaroni, la moglie e i loro discendenti, in particolare con una rogatoria in Svizzera. L’ex top manager in questa inchiesta è indagato per corruzione internazionale. Stesso reato contestato nella più recente inchiesta della Procura di Milano che invece riguarda presunte mazzette versate per l’acquisizione di un giacimento petrolifero in Nigeria in cui è indagato l’attuale amministratore Claudio Descalzi. 
Obiettivo dei pm milanesi è ricostruire l‘origine di tutti i flussi di denaro in entrata del trust. Sono state quindi avviate, oltre alla rogatoria in Svizzera riguardante il Paolo Scaroni Trust, anche in Lussemburgo, Abu DhabiAlgeriaFranciaHong KongSingapore e quella considerata più importante ai fini dell’inchiesta, in Libano. Gli inquirenti vogliono tracciare gli spostamenti dei soldi pagati da Saipem alla Pearl Partners, basata a Hong Kong e controllata da Farid Bedjaoui, uomo di fiducia del ministro Khelil e intermediario tra gli algerini e i manager Saipem.
In questa inchiesta, oltre a Scaroni, sono indagati per corruzione internazionale l’ex amministratore delegato di Saipem Franco Tali, l’ex direttore operativo Pietro Varone (arrestato nell’estate del 2013), l’allora direttore finanziario Alessandro Bernini, l’allora direttore generale per l’Algeria Tullio Orsi e quello che all’epoca dei fatti era responsabile Eni per il Nordafrica Antonio Vella. L’ipotesi della Procura di Milano è che una parte della ipotizzata bustarella multimilionaria pagata nel paese nordafricano sia poi rientrata in Italia per finire nelle tasche dei manager del gruppo petrolifero. Per quanto riguarda il Paolo Scaroni Trust, stando agli atti dell’assemblea degli azionisti 2013 di Eni, risulta costituito nel 1996, contestualmente al trasferimento di Scaroni in Gran Bretagna per ricoprire la carica di amministratore delegato della Pilkington. Secondo l’ex numero uno del cane a sei zampe, il trust è servito per amministrare e raccogliere quanto guadagnato all’estero. Di sicuro, agli atti dell’inchiesta della procura di Milano c’è che – come risulta da documentazione della Banca d’Italia che ha ispezionato la Camperio Sim, di cui il trust era cliente – al momento del rimpatrio in Italia della maggior parte dei fondi del trust, il suo valore era di circa 13 milioni di euro e che oltre 11 milioni furono scudati (al lordo dell’imposta del 5%) con lo scudo fiscale ter.
La maggior parte degli 11 milioni scudati sono stati poi reinvestiti nella Immobiliare Cortina srl, che al momento dell’ispezione di Palazzo Koch risulta al 100% di Paolo Scaroni. Il trust fu costituito quindi nella seconda metà degli anni Novanta con sede nell’isola Guernsey, una delle isole della Manica e aveva un trustee con sede nella stessa località. Il compito di trustee (ovvero il gestore del trust, ndr) nel 2006 passò a un altro trustee, con sede negli Stati Uniti, fino ad arrivare all’attuale situazione per cui il Paolo Scaroni Trust ha due trustee, uno è la Camperio Legal and Fiduciary Service con sede in Virginia negli Stati Uniti e uno è la Severgnini Family Office con sede a Milano in via Camperio. Il trust risulta avere anche due protector: Rolando Benedick e Oreste Severgnini. 
Tornando agli atti dell’assemblea 2013 di Eni, in quella occasione, rispondendo alla domanda di un azionista, si specifica che “il Trust non ha mantenuto alcun collegamento con l’isola di Guernsey salvo la legge applicabile, in accordo con la convenzione dell’Aja” e che “data la presenza del co-trustee italiano, il Paolo Scaroni Trust è fiscalmente totalmente residente in Italia e adempie a tutti i relativi obblighi fiscali e dichiarativi in totale trasparenza”. 

domenica 11 maggio 2014

Inchiesta Expo e sanità. Bersani: “Al telefono millantano, la coop non sono io”. - Marco Lillo

Inchiesta Expo e sanità. Bersani: “Al telefono millantano, la coop non sono io”


Parla l'ex segretario del Pd dopo la bufera giudiziaria che a Milano ha svelato una cupola per gestire appalti e affari. E sulle intercettazioni che o tirano in ballo dice: "E' tutto falso".

Bersani si indigna per le conversazioni intercettate nelle quali l’ex parlamentare di Forza Italia Gianstefano Frigerio lo tira in ballo più volte: “È tutto falso” dice al Fatto Quotidiano. L’ex segretario del Pd è molto meno deciso quando gli si chiede di stigmatizzare il comportamento di Claudio Levorato, presidente di Manutencoop, un colosso da un miliardo di fatturato e 15 mila dipendenti. Per Bersani “le indagini vanno fatte, ma questo polverone rischia di danneggiare il Pd alle elezioni”.
Frigerio nel settembre del 2012 dice ad Antonio Rognoni, direttore di Infrastrutture Lombarde poi arrestato, di avere parlato con lei dell’appalto della Città della Salute. Una torta di circa 320 milioni. Le avrebbe detto: ‘A sinistra che fate?’. Poi fa il nome della coop rossa Manutencoop. Lei cosa dice al riguardo?Io smentisco totalmente. Non ho mai detto una cosa del genere è totalmente fuori dal mio linguaggio. Io non ho mai incontrato Frigerio. È pura invenzione.
Manutencoop però poi si allea con le imprese sponsorizzate da Frigerio per quella gara. A novembre del 2013 il presidente Levorato e Frigerio parlano mentre sono intercettati. Da un lato si accordano per la gara della Città della salute, competenza di Rognoni. E dall’altro pensano di farlo nominare in una società a Roma, magari all’Anas grazie ai politici amici. Lei che ne dice?Io dico che spesso nel mondo degli affari si riempono la bocca di cose che poi non si fanno. Mi pare sconveniente che parlino di nomine ma da lì a passare ai fatti ce ne corre.
Da uomo di sinistra lei non pensa che Levorato si debba dimettere per il bene di Manutencoop?
Ahahahah, oh Signore, io dovrei chiedere che Levorato si dimetta? E perché?
Forse perché un ex deputato condannato di Forza Italia gli dice: “Vanno attivati tutti i collegamenti che lei e io abbiamo … sul quadro politico” per sponsorizzare la nomina a Roma di Rognoni. E aggiunge: “Questo può essere un elemento che ci aiuta ad apprezzare il nostro progetto”. Levorato non si indigna e anzi, secondo i pm assicura il suo sostegno all’operazione. Lei dovrebbe almeno dire: ‘Levorato non si permetta più di occuparsi di nomine che spettano al Pd’.Le nomine dell’Anas non spettano nemmeno al Pd ma mi pare al ministro delle Infrastrutture e lei può chiedere a Lupi se gli ho mai fatto un nome per le nomine. Manutencoop ha un suo consiglio di amministrazione, cosa c’entro io con le dimissioni? Poi non siamo in presenza di un reato.
Levorato è indagato
Sarà pure indagato. Se la magistratura accerta reati trarremo le conseguenze.
Secondo lei non è grave di per sé incontrare Frigerio per parlare di quelle cose?
Io non lo incontrerei per il mestiere che faccio e non l’ho incontrato ma non mi faccia fare il giudice, non è il mio mestiere.
Non se la sente di scaricare un vecchio compagno del Pci?
Io l’ho sempre conosciuto da manager di una grande impresa cooperativa e mi risulta sia un manager che ha portato risultati ed è stimato. Lo incrocio una volta l’anno. Ora se poi volete tirare fuori ancora il Pci e le coop e Greganti, fate pure ma è archeologia.
Archeologia mica tanto. Il ministro dello Sviluppo del governo Renzi è l’ex presidente della Legacoop. Secondo lei, questa storia può essere imbarazzante per Poletti?
Certo, sono storie molto amare che aumentano il distacco tra cittadini e politica.
L’indagine potrà danneggiare il Pd alle elezioni?
Già è successo col Monte dei Paschi: abbiamo perso un bel po’ di punti e poi s’è visto che era un polverone. Io sogno una campagna elettorale in cui si parli di come aumentare i posti di lavoro. Le indagini vanno fatte ma le strumentalizzazioni inevitabilmente aumenteranno il distacco dei cittadini dalla politica.
Non è solo un polverone: il capo della coop rossa di Bologna, con Primo Greganti e Frigerio, uomo di Forza Italia già condannato per le mazzette, parlano di affari da 300 milioni e delle nomine dell’Anas. Si rende conto che queste intercettazioni sono un assist a Grillo? Cosa dice a chi grida: “Sono tutti uguali”?
Grillo dirà quello che vuole. Ma lei mette una simbologia in questa domanda che non condivido. Come se dietro Manutencoop ci fosse il centrosinistra e dietro Frigerio ci fosse il centrodestra.
Non lo dico io, lo dicono loro. Levorato e Frigerio parlano di intervenire sui loro amici nel governo proprio mentre si discute di nomine e appalti.
Sarà che a forza di dirlo voi, ormai ci credono pure loro. Io non la seguo. Vengo dall’Emilia e so che le coop sono imprese come le altre. Poi c’era il Pci che era una cosa diversa. Se voi continuate a pensare che le coop siano la longa manus dei partiti io non posso farci nulla.

venerdì 9 maggio 2014

Expo 2015, la “cupola” e i politici: da Berlusconi e Bersani passando per Lupi. - Giovanna Trinchella

C'è una sequela impressionante di nomi di politici nazionali chiamati in causa in intercettazioni ed evocati per spartire appalti e decidere nomine di peso. Una su tutte viene così rivendicata dagli indagati: "La nomina del segretario generale dell'Autorità dei Trasporti l'abbiamo fatta noi".
Un caveau in Svizzera per custodire le mazzette, una onlus come ufficio operazioni costantemente “bonificato” per evitare di essere intercettati, funzioni pubbliche “vendute” e “impegnate” anche per il futuro, e l’ultima bustarella consegnata e “fotografata” dagli inquirenti il 24 aprile scorsoC’è questo, ma anche altro nell’inchiesta della Procura di Milano su Expo che fa pensare al ritorno di Tangentopoli: le mazzette, i colletti bianchi e i politici. E tutti che discutono di nomine, di gare e di persone di fiducia da collocare in società come Finmeccanica, Terna, Poste, Eni, Enel. “Avanzamenti di carriera”, grazie a “protezioni politiche”, promessi a manager e pubblici ufficiali disponibili a pilotare le gare a favore degli imprenditori che versavano le tangenti, questo il cuore dell’indagine. 
C’è poi una sequela impressionante di nomi di politici nazionali chiamati in causa in intercettazioni ed evocati per decidere nomine o spartire appalti. Sì perché Gianstefano Frigerio, ex deputato Fi, l’ex senatore Luigi Grillo e il compagno G, Primo Greganti, ancora in buoni rapporti con i vertici del Pd, continuavano a frequentare i palazzi del potere e i loro inquilini. Come sempre, quando si tratta di inchieste di livello, compare il nome del leader di Forza Italia Silvio Berlusconi. Ma questa volta viene citato dagli indagati anche l’ex segretario del Pd Pierlugi Bersani. Che fa sapere con una nota: ”Mai pronunciate le frasi che secondo alcune indiscrezioni di stampa mi vengono attribuite da terzi. Sono tutte illazioni o millanterie prive di qualsiasi fondamento”. 
Da Berlusconi a Bersani, i politici evocati dagli indagati. L’ex premier per esempio è stato sollecitato, secondo quanto emerge dalle intercettazioni, dall’ex parlamentare Gianstefano Frigerio (arrestato) anche con l’invio di bigliettini ad Arcore, per raccomandare a lui e al governatore della Lombardia Roberto Maroni il direttore pianificazione acquisiti di Expo Angelo Paris (arrestato oggi, ndr) come successore di Antonio Rognoni (arrestato il 20 marzo scorso, ndr) al vertice della società Infrastrutture Lombarde. In una intercettazione del 28 marzo 2014 due indagati scrive il gip di Milano “confermano la circostanza per la quale Frigerio ha effettuato, a dire degli stessi sodali, un ulteriore intervento presso Maroni e presso Berlusconi per raccomandare la nomina di Paris presso Infrastrutture Lombarde spa”. Uno dei due interlocutori, Giovanni Rodighiero, ritenuto dagli investigatori “stretto collaboratore di Frigerio”, sostiene di avere visto Frigerio “andare ad Arcore...sai che io non dico tutte le settimane ma il lunedì” e il venerdì c’ho sempre la lettera da portare…solo che adesso bisogna stare molto più abbottonati, ti spiego anche il perché…c’è il cerchio magico da Berlusconi”. Quanto all’invio di messaggi scritti da parte di Frigerio attraverso Rodighiero ad esponenti politici di vertice per perorare la posizione di Paris “si evidenziano alcuni dati oggettivi – spiega il gip – a riscontro del contenuto delle intercettazioni”. In particolare, il giudice evidenzia che i cellulari “in oggetto hanno effettivamente agganciato ripetitori ubicati nel Comune di Arcore”. 
Viene invece tirato in ballo il nome di Bersani per un’altra nomina quella di Giuseppe Nucci, rimasto fuori dalle nomine dello scorso settembre di Sogin (la società di Stato responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi). Sergio Cattozzo, ex segretario regionale Udc della Liguria, dice aver parlato con Primo Greganti: “Anche lui (Greganti, ntd) era convinto che si potesse ancora correre su Nucci presidente perché Pierluigi Bersani ha detto ‘io sono d’accordissimo’”. Una frase de relato, naturalmente. Il nome dell’ex leader democratico emerge anche in un’altra intercettazione del 7 settembre 2012 e cuore della conversazione è la “Città della Salute“, nuovo polo sanitario che dovrà accorpare l’Istituto dei tumori e il Besta, affare da 40 milioni di euro. È Frigerio che parla con Rognoni: “… Ho sentito un po’ a Roma Bersani e poi gli altri, sulla Città della Salute, tu devi cominciare a fare delle riflessioni, poi senza responsabilità tue, mi dici come far partire un colosso macello perché è una cosa grossa quindi…”, la conversazione prosegue con la affermazione che Palladio si tirerà dentro Maltauro (imprenditore arrestato), “perché è piccolo, poi Bersani mi a ha detto ‘a sinistra che fate?’ bisogna che senta se Rognoni mi dice Manutencoop per me va bene…”. I due si accordano poi per “costruire un concorrente valido”. Secondo Frigerio quindi l’ex segretario del Pd avrebbe chiesto se nelle gare c’era spazio anche per le cooperative.  
Tra i tanti nomi della politica viene anche fuori il nome del ministro dei Trasporti e Infrastrutture: in una intercettazione ambientale del 29 aprile 2013 Frigerio, “asserisce anche che deve mandare un biglietto a Maurizio Lupi (dal 27 aprile 2013 responsabile del ministero), con il nome di Antonio (Rognoni ) per suggerirglielo come presidente Anas”. Dall’entourage del ministro però arriva una smentita: “Quel biglietto non è mai arrivato, si tratta di un millantatore“. 
In un altro colloquio del maggio 2013 con Sergio Cattozzo (arrestato), Frigerio “sottolinea ancora – scrive il gip – che anche Maurizio Lupi è ‘amico di quelli di Manutencoop’ e che questi, ‘insieme ai ciellini‘, sarebbero già intervenuti per fargli fare da capocordata nel progetto di Città della Salute”. Frigerio, si legge ancora, “sostiene, inoltre, di conoscere bene i legami che ci sono tra Manutencoop e i ‘ciellini’ tanto che negli ultimi anni con Formigoni, a dire dell’indagato, Manutencoop avrebbe già ottenuto importanti lavori”. 
Sempre Frigerio dice di aver mandato una lettera a Fedele Confalonieri, presidente Mediaset, perché la “cupola” vorrebbe che la commissione nominata per la gara inerente la “Città della Salute”, e nominata dall’arrestato Rognoni, non sia modificata; ma anche che a concorrere al posto di direttore generale di Infrastrutture Lombarde siano alcuni dei suoi uomini fidati: “Sto facendo quella cosa lì…parlare persino con Fedele Confalonieri… perché è una persona autorevole… gli ho spiegato bene la cosa … quindi… stiamo premendo anche su quello”.  
Obiettivo della cupola anche Guerini, vice segretario del Pd. L’ex Dc Frigerio voleva “tirare dentro” anche Lorenzo Guerini, da poche settimane vice segretario del Pd e sindaco di Lodi. In una intercettazione del 24 febbraio scorso Frigerio e Cattozzo parlano dell’appalto per la “Città della Salute” e del rischio che il contratto salti. Per questo immaginano di entrare in contatto con una serie di politici ex democristiani: dall’attuale ministro dell’Ambiente Luigi Galletti all’ex segretario dell’Udc Lorenzo Cesa fino a Guerini. Se poi questi siano andati in porto fine però non è chiaro. Frigerio suggerisce a Cattozzo: “Cesa … prima ne parli a Cesa, poi vedi Galletti e poi al limite portiamo Alberto da Galletti e lo facciamo potenziare da Vito (?) … nel frattempo studiamo .. se c’è un’operazione di commissariamento va bene… io devo parlarne a Guerini a Lorenzo devo parlarne… perché adesso quel matto lì di Renzi vuol fargli fare il segretario del partito… Così lo tiriamo dentro il Guerini… Stiamo parlando di 7 miliardi di lavoro”. 
“La nomina all’Autorità dei Trasporti è nostra”. “La nomina del segretario generale dell’Autorità dei Trasporti l’abbiamo fatta noi”. C’è anche questo passaggio nell’ordinanza di custodia cautelare che svela come le aderenze della cupola in ambito politico potessero condizionare non solo appalti e soldi ma nomine pubbliche di peso. A parlare così è sempre Frigerio, il tramite tra l’associazione, le imprese di riferimento e i pubblici ufficiali per dirottare il sistema degli appalti. “Abbiamo portato Scino (Antonio Mario) a fare il segretario generale, quella nomina l’abbiamo fatta io e Sanese”. All’altro capo del telefono Rognoni. È ottobre del 2013, governo Letta. Fino ad allora il piatto tipico erano gli incarichi ai vertici delle società regionali, come Sogin Spa o A2A ma di lì a pochi mesi l’associazione alza il tiro. “Guarda che i tempi stringono perché già cominciano a lavorare sulla grande ondata di nomine che è a primavera (…) decidono un sacco di cose dalle Poste a Finmeccanica, Eni, Enel, Terna”.

mercoledì 27 marzo 2013

Elicotteri Finmeccanica, ministro Difesa indiano ammette: “Corruzione e tangenti”.

Elicotteri Finmeccanica, ministro Difesa indiano ammette: “Corruzione e tangenti”


"Qualcuno si è fregato dei soldi", ha avvertito Arackaparambil Kurien Antony, spiegando che "l'indagine è in una fase cruciale" e "non saremo misericordiosi con nessuno, per quanto grande e potente". Promesse "misure molto severe" per chi è coinvolto.

“Qualcuno si è fregato dei soldi“. Il ministro della Difesa indiano è intervenuto così sulla discussa commessa da 12 elicotteri concordata tra New Delhi e Augusta Westland, controllata di Finmeccanica, che ha portato a febbraio all‘arresto del suo numero uno Giuseppe Orsi. “C’è stata corruzione e sono girate delle tangenti“, ha avvertito Arackaparambil Kurien Antony, spiegando che “l’indagine è in una fase cruciale” e “non saremo misericordiosi con nessuno, per quanto grande e potente, che è andato contro il patto di integrità”.
“Il Central Bureau of Investigation [agenzia investigativa del governo indiano, ndr] sta portando avanti i controlli, insieme al mio impegno in parlamento”, ha ricordato secondo quanto riportano i principali quotidiano indiani, “non c’è dubbio che saranno adottate delle misure molto severe per chi è coinvolto”.
Rispondendo a chi gli chiedeva se l’India andrà avanti con l’acquisto dei siluri “black shark” da Whitehead Sistemi Subacquei, controllata di Finmeccanica, il ministro indiano ha chiarito che non è ancora stata presa una decisione finale. “Non è successo niente per ora”, ha avvertito. E ha aggiunto: “Si procederà solo ai sensi di legge, per ora stiamo aspettando che finisca l’inchiesta su Agusta Westland”.
Il ministero della Difesa indiano aveva annunciato a febbraio di avere iniziato un’azione percancellare il contratto di fornitura dei 12 elicotteri AW-101. Ma Augusta Westland aveva subito precisato che “il ministero della Difesa indiano non ha cancellato il contratto per gli elicotteri, ma ha invece richiesto alla società di fornire alcuni chiarimenti”.