I medici legali della famiglia del ragazzo scomparso il 22 ottobre 2009 depongono a processo. Se “non fosse stato percorso, non sarebbe morto”. La sorella Ilaria: “Alla Corte è arrivata la verità”. Ma la procura di Roma continua a negare.
Stefano Cucchi non è caduto dalle scale, come invece lui stesso riferì – per paura? – ai medici che lo visitarono dopo l’udienza di convalida del suo arresto. Stefano Cucchi è stato picchiato.
Quella frattura alla terza vertebra lombare sarebbe stata all’origine di un susseguirsi di eventi che, il 22 ottobre 2009, portarono alla morte del geometra romano, detenuto nel reparto protetto dell’ospedale Pertini. Il decesso sarebbe poi avvenuto per edema polmonare, esito che non si sarebbe verificato se il ragazzo fosse stato adeguatamente curato. Ma il nodo del processo è proprio quello: il “trauma”, come lo hanno definito Vittorio Fineschi, Giuseppe Guglielmi, Cristoforo Pomara, Luigi Vendemmiale e Gaetano Serviddio, periti della famiglia Cucchi.
Un’udienza importante, quella di ieri, in cui – per sei ore e con 150 slide – i medici legali hanno tentato di dimostrare alla Corte quella che a loro giudizio è una verità scientifica inoppugnabile: se Stefano non fosse stato percosso, non sarebbe morto. “In corrispondenza della frattura lombare – ha sostenuto Pomara – all’interno c’era sangue: questo significa che era una frattura recente”.
Una “verità” che però la Procura di Roma nega, in un crescendo di tensione con la famiglia sempre più evidente: secondo i periti dell’accusa, infatti, quella frattura sarebbe antecedente all’arresto di Cucchi. Che però, hanno riscontrato ancora i medici di parte civile, era pieno di lesioni e fratture: “Sul corpo c’erano escoriazioni agli arti superiori” ha spiegato Pomara, prova – secondo la letteratura medico-legale – di colluttazione e ripetitività traumatica, mentre quelle sulle mani (ne sono state contate ben 14) “anche indice di difesa”.
Stefano Cucchi è stato giudicato magro ma sportivo e, se non fosse incorso quel “trauma” e in quell’abbandono (i nove medici del Pertini a giudizio sono accusati, tra l’altro, di abbandono di incapace), non sarebbe mai morto. I traumi riscontrati “non sono compatibili con una caduta – ha concluso Fineschi -, ma hanno una genesi traumatica di tipo contundente, violenta. Non è possibile che un soggetto così giovane possa aver avuto quello che abbiamo visto dopo una caduta”.
In udienza, a dare sostegno alla famiglia Cucchi, c’erano anche Patrizia Aldrovandi e Lucia Uva, madre e sorella di Federico e Pino, altri due ragazzi morti mentre erano nelle mani dello Stato. “Finalmente alla Corte è arrivata la verità – ha commentato Ilaria, la sorella di Stefano, al termine dell’udienza – in maniera scientifica e molto comprensibile. Mi auguro che questo pesi sul giudizio finale”.
Molto soddisfatto è anche l’avvocato dei Cucchi (e anche degli Aldrovandi e degli Uva), Fabio Anselmo, che annuncia persino di voler chiedere il cambio di imputazione nei confronti dei tre agenti della polizia penitenziaria alla sbarra: “Oggi in aula abbiamo sentito parlare di traumi che per me significano botte, pugni, calci; insomma, un pestaggio. Stentiamo a credere che siano sotto processo per lesioni dolose lievi; per noi devono rispondere di omicidio preterintenzionale”.
Quella frattura alla terza vertebra lombare sarebbe stata all’origine di un susseguirsi di eventi che, il 22 ottobre 2009, portarono alla morte del geometra romano, detenuto nel reparto protetto dell’ospedale Pertini. Il decesso sarebbe poi avvenuto per edema polmonare, esito che non si sarebbe verificato se il ragazzo fosse stato adeguatamente curato. Ma il nodo del processo è proprio quello: il “trauma”, come lo hanno definito Vittorio Fineschi, Giuseppe Guglielmi, Cristoforo Pomara, Luigi Vendemmiale e Gaetano Serviddio, periti della famiglia Cucchi.
Un’udienza importante, quella di ieri, in cui – per sei ore e con 150 slide – i medici legali hanno tentato di dimostrare alla Corte quella che a loro giudizio è una verità scientifica inoppugnabile: se Stefano non fosse stato percosso, non sarebbe morto. “In corrispondenza della frattura lombare – ha sostenuto Pomara – all’interno c’era sangue: questo significa che era una frattura recente”.
Una “verità” che però la Procura di Roma nega, in un crescendo di tensione con la famiglia sempre più evidente: secondo i periti dell’accusa, infatti, quella frattura sarebbe antecedente all’arresto di Cucchi. Che però, hanno riscontrato ancora i medici di parte civile, era pieno di lesioni e fratture: “Sul corpo c’erano escoriazioni agli arti superiori” ha spiegato Pomara, prova – secondo la letteratura medico-legale – di colluttazione e ripetitività traumatica, mentre quelle sulle mani (ne sono state contate ben 14) “anche indice di difesa”.
Stefano Cucchi è stato giudicato magro ma sportivo e, se non fosse incorso quel “trauma” e in quell’abbandono (i nove medici del Pertini a giudizio sono accusati, tra l’altro, di abbandono di incapace), non sarebbe mai morto. I traumi riscontrati “non sono compatibili con una caduta – ha concluso Fineschi -, ma hanno una genesi traumatica di tipo contundente, violenta. Non è possibile che un soggetto così giovane possa aver avuto quello che abbiamo visto dopo una caduta”.
In udienza, a dare sostegno alla famiglia Cucchi, c’erano anche Patrizia Aldrovandi e Lucia Uva, madre e sorella di Federico e Pino, altri due ragazzi morti mentre erano nelle mani dello Stato. “Finalmente alla Corte è arrivata la verità – ha commentato Ilaria, la sorella di Stefano, al termine dell’udienza – in maniera scientifica e molto comprensibile. Mi auguro che questo pesi sul giudizio finale”.
Molto soddisfatto è anche l’avvocato dei Cucchi (e anche degli Aldrovandi e degli Uva), Fabio Anselmo, che annuncia persino di voler chiedere il cambio di imputazione nei confronti dei tre agenti della polizia penitenziaria alla sbarra: “Oggi in aula abbiamo sentito parlare di traumi che per me significano botte, pugni, calci; insomma, un pestaggio. Stentiamo a credere che siano sotto processo per lesioni dolose lievi; per noi devono rispondere di omicidio preterintenzionale”.