sabato 22 febbraio 2014

La gabbia : ITALIA, UN PAESE IN SVENDITA (25/09/2013)

Andrea Scanzi.



E menomale che Renzi era quello coraggioso, quello furbo: quello del cambiamento. 

Macché: nient'altro che un democristiano 2.0, un Enrico Renzi, un Matteo Letta. 

Un serial bugiardo che mira a cambiare affinché nulla cambi. 
Un Gattopardo ibridato con Peppa Pig. 
Un rottamatore, sì, ma intenzionato a desertificare non il "vecchio" quanto la buona politica, la credibilità e la competenza. 

Parafrasando due delle sue poetesse preferite, Jo Squillo e Sabrina Salerno, "oltre l'ambizione non c'è di più".

Il suo governo è uno strazio così evidente che non ha senso infierire. 


C'è la Mogherini, quella che a L'aria che tira si vantava che loro (il Pd) mai e poi mai avrebbero ridato i soldi pubblici del finanziamento-rimborso ai partiti. 
C'è la Madia, nota inesperta di tutto. 
C'è la Boschi, nota (ma poco) e basta. 
Ci sono Alfano, Lupi e Lorenzin, giustamente felicissimi (solo Renzi poteva allungargli la vita) e vicini al "cambiamento" come Povia a Jimi Hendrix. 
C'è Franceschini, uno che c'è sempre, e la sua sola presenza inamovibile rende pressoché impossibile votare Pd (a meno che non si sia intrisi di un masochismo bulimico). 
Ci sono le lobby: Confindustria, Coop, Cl. 

C'è un dalemiano nel ruolo chiave dell'Economia. 
C'è la civatiana Lanzetta buttata là senza preavviso, giusto per isolare Civati e applicare alla perfezione il Manuale Cencelli, garantendosi quindi i voti di tutte le 812 correnti Pd. 

E c'è soprattutto Orlando, il carismatico e guizzante Andrea Orlando, uno che vorrebbe abolire ergastolo e 41 bis, uno che ha un'idea di giustizia al cui confronto Ghedini è antiberlusconiano. 

Uno che non ci doveva essere, perché Renzi (in una delle sue 2 o 3 idee di pregio avute negli ultimi mesi) voleva il "magistrato in servizio" Gratteri, ma con coraggio di Don Abbondio ha poi obbedito pure lui a Re Giorgio.

Renzi, renziani (verso cui siamo sempre più solidali) e stampa folgorata sulla via di San Matteo da Rignano la meneranno nei prossimi giorni con il 50% di quota rosa, l'esiguo numero dei ministeri che "una roba così solo De Gasperi nel secolo scorso" e l'età media più bassa nella storia della Repubblica Italiana. Tutte cose buone per glorificare le pagliuzze e nascondere le travi. 

La verità è che Renzi era e rimane un restauratore, un gattopardo: un Craxi-Berlusconi senza avere la bravura - anche maligna - di entrambi. Più che un Renzi I, questo è un Letta 2 o un Napolitano 3. Un rimpasto alla democristiana con supercazzola annessa, scappellamento a destra e qualche antani prematurato per indorare la pillola a un elettorato sempre più vilipeso (che pare accettare quasi tutto). Renzi voleva essere il nuovo Blair, ma sembra più che altro il vecchio Rumor. Meno preparato, però.

https://www.facebook.com/pages/Andrea-Scanzi/226105204072482

Ministri, i ritratti secondo Feltri e Gramellini.




Matteo Renzi (Primo ministro)
Afono per via di una eccessiva esposizione alle correnti del Pd. Ma sempre velocissimo. Le prime, storiche parole rivolte da capo del governo ai giornalisti in fervida attesa sono state: «Sbrighiamoci, non vorrei farvi perdere Sanremo». Altri riferimenti culturali: la rubrica «Trova le differenze» della Settimana Enigmistica (Enrico Mentana favorito per la direzione) e Celentano, anche se certe pause ricordano Craxi.
Va talmente di corsa che potrebbe dimettersi già domani durante la cerimonia del giuramento, per dimezzare i costi.



Graziano Delrio (sott. Pres. Cons.)
A proposito di record, Graziano Delrio è probabilmente l’uomo di governo più prolifico della storia d’Italia: ha nove figli, il che dovrebbe garantire sulla velocità d’esecuzione. Con Matteo Renzi condivide l’amore per Giorgio La Pira e per la bicicletta, mezzo con il quale si sposta a mordimanubrio nella città che ha governato per nove anni: Reggio Emilia. Da ragazzo giocava a calcio in un oratorio di rito dossettiano, e gira la leggenda che lo volesse il Milan. È endocrinologo e cattolico. Ama la famiglia e a casa sparecchia con moglie e figli, operazione che svolta in undici si conclude in quaranta secondi netti.



Angelino Alfano (Interno)
Qui la novità è palese. Renzi ha ottenuto le dimissioni dell’incerto Alfano, da lui richieste a gran voce durante la crisi kazaka, quando donne e bambini venivano rapiti sotto lo sguardo impassibile del ministro dell’Interno.
Al suo posto arriva il risoluto Al Fano, che in omaggio al nuovo corso dichiarerà guerra al Kazakistan entro l’alba. Il bradipo Alfano impiegò dieci anni a tradire Berlusconi e dieci mesi a tradire Letta. Per adeguarsi ai ritmi serrati del neo premier, il furetto Al Fano si cimenterà in un’impresa ai confini dell’impossibile: tradirlo in dieci ore.



Federica Mogherini (Esteri)
Federica Mogherini, quarant’anni, moglie e mamma, va al mare a Santa Severa (Roma) sugli sgangheratissimi treni dei pendolari. Una lentezza che si permette soltanto nei viaggi da diporto, perché in quelli di lavoro tiene ritmi che conobbe, subito dopo la laurea in Scienze politiche, in piccoli e frenetici impieghi nei call center. È esperta di islam politico, materia approfondita all’Istituto di ricerche e studi sul mondo arabo di Aix-en-Provence. Dopo giornate di fitto apprendimento, talvolta si dedicava alla vita notturna di Rue de la Verriere. Lì apprese i rudimenti della vita internazionale per cui oggi siede in vari consigli transnazionali.



Roberta Pinotti (Difesa)
La prima donna a espugnare il ministero della Difesa ha in comune con Renzi un passato da capo scout. Le due giovani marmotte pianteranno insieme la tenda a Campo Chigi e obbligheranno i generaloni dell’esercito a lunghe marce ricreative, concluse da simpatiche schitarrate al chiaro di luna. Alla Leopolda di Renzi, la lupetta Robi coordinava il tavolo dedicato a Donne e Leadership. «La discussione è stata entusiasmante, anche se nel suo discorso Renzi non ne ha parlato», scrisse sconsolata sull’Unità (Mentana favorito per la direzione), «Con me Matteo ha ammesso l’errore: vedremo se seguiranno cose concrete». Sono seguite.



Andrea Orlando (Giustizia)
Il quarantacinquenne Andrea Orlando è uno degli ultimi prodotti della Federazione dei giovani comunisti di cui è stato segretario provinciale alla Spezia, città in cui è nato. Fu consigliere comunale con il Pci ed è arrivato al Partito democratico passando per Pds e Ds, come tanti meno giovani di lui. Con Piero Fassino approda in direzione nazionale, con Walter Veltroni diventa portavoce del partito, con Pierluigi Bersani è responsabile giustizia, con Enrico Letta raggiunge il governo e con Renzi ci rimane. Perché, come succede a quelli allevati nella tradizione, sa guadagnarsi velocemente la fiducia di chi comanda.



Stefania Giannini (Istruzione)
Linguista e glottologa, ex rettore dell’Università per stranieri di Perugia, Stefania Giannini (53 anni) scrive libri senz’altro appassionanti con titoli così Tra grammatica e pragmatica: la geminazione consonantica in latino o così La fonologia dell’interlingua . Principi e metodi di analisi. E anche una grande twittatrice, strumento con il quale esprime tutte la sua alta considerazione per Napolitano, Monti, Letta, Renzi e tanti altri. Per farvi capire: «Per @matteorenzi RIMPASTO parola vecchia? Più vecchia sua ipocrisia» (24 gennaio). «Grazie @matteorenzi, noi ci siamo!» (ieri). Ci sono sempre e comunque.



Pier Carlo Padoan (Economia)
Pier Carlo Padoan ha sessantaquattro anni e nel 1980, a trenta, insieme con giovani colleghi e guidato da Claudio Napoleoni, scrisse Afferrare Prometeo, un ponderoso saggio che si riprometteva - attraverso meccanismi di cooperazione e partecipazione che non sapremmo dettagliare meglio - di trovare una terza via fra marxismo e capitalismo. Il tentativo fallì, come le centinaia da cui fu preceduto e seguito, a meno che l’ipotesi non si stia concretizzando nel renzismo. Legge libri di storia ed è molto tifoso della Roma. Ha saputo dell’incarico a Sydney, da dove si sta scapicollando per tornare in Italia, ma è già in forte ritardo.



G. Poletti (Welfare), G. Galletti (Ambiente)
Dagli Appennini alle bande. In un governo dominato dagli emiliani (ci sono praticamente tutti tranne Prodi e Bersani) spiccano Gianluca Galletti – ministro bolognese dell’ambiente in qualità di esperto di raccolta differenziata dei voti di Casini – e Giuliano Poletti, l’uomo delle Cooperative Rosse (Mentana favorito per la direzione). Ci voleva il democristiano Renzi per portare al ministero del lavoro il simbolo del capitalismo comunista, detto «Falce e Carrello» come da titolo del libro di Caprotti, patron avvelenato dei supermercati Esselunga. Per Berlusconi è come se la Bocassini fosse diventata segretaria generale dell’Onu.



Beatrice Lorenzin (Salute)
Nata a Roma da padre istriano e madre fiorentina, Beatrice Lorenzin ha quarantatrè anni ed esce da una cotta formidabile per Silvio Berlusconi: «È intelligentissimo, geniale, il primo in tutto, un gigante», disse al Giornale (Enrico Mentana favorito per la direzione). Ora sta con Alfano ma è temperata da una gioventù trascorsa a far politica nelle borgate di Ostia e Acilia. Per raddrizzarsi i denti si è messa un apparecchio dolorosissimo. Da ministro della Salute prese una sbandata per Stamina, una cura «da Nobel». Organizza le Governiadi, scuola politica sul lago di Bolsena dove, alla sera, si lancia in balli vorticosi e sensuali.



Marianna Madia (Sviluppo)
Se il compito principale del nuovo governo è la lotta ai grandi burocrati, Marianna Madia ha i requisiti giusti. Intanto perché, dopo avere scambiato il ministero dello Sviluppo per quello del Lavoro (una disavventura che le costò critiche immeritate), impiegherà dei mesi per trovare il palazzo giusto, seminando il panico tra le ragnatele umane che abitano i piani alti. E poi la sua «straordinaria inesperienza», di cui si è sempre giustamente vantata, la farà sentire a proprio agio tra tanti funzionari che lavorano all’insaputa di se stessi. In dolce attesa, farà un figlio in tre mesi per venire incontro alle esigenze renziane di rapidità.



Dario Franceschini (Cultura)
Come anticipato da tempo, alla Cultura è arrivato uno scrittore. Non proprio Alessandro Baricco autore di «Seta» e fondatore della Holden, ma Dario Franceschini autore di «Daccapo» - la storia di un notaio di provincia che ha 53 figli da altrettante prostitute - e fondatore di Area Democratica, la corrente del Pd a cui quei 53 sarebbero iscritti (secondo i maligni). Daccapo?, col punto interrogativo, è anche l’espressione con cui Enrico Letta avrebbe commentato la sua nomina a ministro. Potrebbe presto usarla lo stesso Renzi, qualora Franceschini decidesse di mollarlo per qualcun altro: per motivi culturali, ovviamente.



Maurizio Martina (Agricoltura)
Come ogni bergamasco, il trentacinquenne Maurizio Martina è pazzo dell’Atalanta e ha scritto sull’Eco di Bergamo (Enrico Mentana favorito per la direzione). È nato al Calcinate, il paese dello zar Pietro Vierchowod. Nel ’93, appena morto Paolo Borsellino, organizzò un viaggio a Palermo dove coi compagni inscenò uno spettacolo teatrale sulla legalità. Lui aveva la parte di un agente di scorta. Invece di condurre il giovane Maurizio verso la gloria dei palcoscenici, l’evento lo conquistò alla passione civile. Dice di aver letto e sottolineato tutto Gramsci. Potrebbe farne uno scattante bignami per Matteo.



M.E. Boschi (Riforme)
Ministro delle Riforme e dei rapporti con il Parlamento, che non ha molta voglia di riformarsi ma tantissima di rapportarsi con lei. Come tutte le donne di aspetto grazioso, paga il dono di natura con invidie e malignità assortite. Ospite in decine di talk show, dalla sua bocca non è mai uscita una frase polemica, irriguardosa o anche solo imbarazzante. Non fa mai battute, ma da anni sopporta cristianamente quelle di Renzi. Forse è talmente seria che non le capisce, beata lei. Ma quando Matteo le ha detto che l’avrebbe portata in segreteria e subito dopo al governo, per la prima volta ha sorriso. Pensava fosse una battuta.



M. C. Lanzetta (Affari regionali)
Maria Carmela Lanzetta (59 anni) è l’ex sindaco di Monasterace, nella Locride (Reggio calabria). La sua sfida alla ’ndrangheta le ha procurato numerosi guai: le hanno scritto lettere minatorie, le hanno dato fuoco alla farmacia, hanno bersagliato di proiettili la sua auto e alla fine è entrata nel pantheon personale di Pippo Civati. Era contraria al governo, ma ha poi repentinamente cambiato giudizio.



Maurizio Lupi (Trasporti)
Il cinquantaquattrenne Maurizio Lupi ha la voce di Gianni Morandi (ma è stonato) e il viso della figlia di Fantozzi. Cattolico e ciellino, ha alle spalle una lunga carriera politica, ma ciò di cui va orgoglioso è la tenuta atletica: organizza viaggi per parlamentari alla maratona di New York. Sulla distanza deteneva il record del palazzo con 3 ore e 48, ma da poco glielo ha demolito Sandro Gozi: dieci minuti di meno! Amico di Angelo Scola, alla fumata bianca si precipitò da podista a San Pietro, convinto di essere diventato un po’ santo padre anche lui. Tornò mesto in via dell’Umiltà, sede del Pdl, dove fu accolto da impietosi cori di scherno.



Federica Guidi (Sviluppo)
Figlia dell’allora padrone della Ducati, requisito essenziale per entrare nel governo del Piè Veloce. Ha imparato la politica in Confindustria come vice di Matteo Colaninno, nel modo più semplice: facendo sempre il contrario di quel che faceva di lui. Molto apprezzata a destra per il suo piglio. Berlusconi voleva portare lei al governo e la Carfagna a cena, ma poi ci fu un disguido negli inviti. L’addetta allo Sviluppo (auguri!) ha le idee chiare: «Non pretendo che i miei collaboratori lavorino 12 ore al giorno. Ma non sarebbe uno scandalo lavorarne 42 alla settimana». Non fosse che lavorare che sta diventando uno scandalo, o comunque una rarità.

http://www.lastampa.it/2014/02/22/multimedia/italia/ministri-i-ritratti-secondo-feltri-e-gramellini-kBJJO0bfBB26BRugUmohTK/pagina.html

Il Vangelo secondo Matteo.

enrico bertolino

In questa puntata: Italiani, nel doman non v’è certezza e chi vuol esser lieto è un ... pirla!

Governo Renzi auto-rottamato, fatto fuori Gratteri restano solo lobby e gattopardi. - Peter Gomez

Nel 1994 era stato Cesare Previti, l’avvocato degli affari sporchi di Silvio Berlusconi, a entrare al Quirinale come Guardasigilli in pectore e a uscire degradato. Sull’onda dell’indignazione suscitata dalla scoperta di Tangentopoli, il Colle aveva detto no. E Previti era finito alla Difesa. Oggi, nel mondo alla rovescia dei ladri e della Casta, a venir depennato all’ultimo momento dalla lista ministri, è Nicola Gratteri, stimato magistrato antimafia, la cui colpa principale è quella di aver sognato di poter far funzionare la giustizia anche in Italia . Gratteri resterà in Calabria. E per la gioia della ‘ndrangheta, delle consorterie politico-mafiose e dell’Eterno Presidente, Giorgio Napolitano, in via Arenula ci finisce l’ex ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, celebre per aver chiesto l’abolizione dell’ergastolo e proposto l’abrogazione dell’obbligatorietà dell‘azione penale.
È il segno più evidente di come il rottamatore Matteo Renzi prosegua imperterrito nella distruttiva opera di auto-rottamazione e di demolizione del sogno di cambiamento che aveva rappresentato per molti italiani. Una stolta manovra iniziata con il tradimento e il successivo brutale accoltellamento politico del mediocre Enrico Letta, a cui il nuovo premier aveva più volte pubblicamente e bugiardamente assicurato lealtà.
Certo, sull’esclusione all’ultimo minuto di Gratteri in molti vedono le impronte digitali di Napolitano. Il presidente del secondo paese più corrotto d’Europa, noto per aver lesinato solo i moniti in materia di legalità della politica, ovviamente esclude ogni responsabilità. Resta però da spiegare come mai, stando a quello che risulta per certo a Il Fatto Quotidiano, al magistrato fosse stato assicurato il dicastero solo pochi minuti prima della salita di Renzi al Colle. E perché Napolitano, pubblicamente, abbia poi tenuto a precisare – con una sorta di excusatio non petita – che tra lui e Renzi non era avvenuto nessun “braccio di ferro” sulla lista dei ministri.
Nelle prossime ore le notizie su quello che è esattamente accaduto durante il lunghissimo faccia a faccia tra il neopremier e l’ottuagenario capo dello Stato, non mancheranno. Non c’è invece bisogno di retroscena per capire tutto il resto. Bastano i curricula dei ministri più importanti.
Nella lista spiccano i nomi dell’esponente di Confindustria e della Commissione trilaterale, Federica Guidi (Sviluppo economico), quello del presidente della Lega cooperative, Giuliano Poletti, dell’ex delfino di Berlusconi, Angelino Alfano (Interno), e del ciellino Maurizio Lupi (Infrastutture). Mentre all’Economia ci finisce Pier Carlo Padoan, capo economista dell’Ocse e ex presidente della Fondazione italiani europei di Massimo D’Alema, e alle Politiche Agricole, Maurizio Martina, già pupillo di Filippo Penati, l’ex presidente della provincia di Milano sotto processo per le tangenti di Sesto San Giovanni.
Il fatto che Renzi sia riuscito a mettere insieme una squadra formata al 50 per cento da donne, che l’età media dell’esecutivo sia piuttosto bassa, non servirà al premier per cancellare negli elettori la sensazione di trovarsi di fronte a un consiglio dei ministri espressione di quelle lobby da più parti ritenute responsabili del degrado del Paese. È infatti più che ragionevole dubitare che il suo obamiano programma di governo (“una riforma al mese”) possa essere messo in atto da una compagine del genere. Perché questo non è un dream team, ma solo una galleria di errori e orrori.
Così già oggi sappiamo che ha vinto il Gattopardo#lavoltabuona può attendere.

mercoledì 19 febbraio 2014

Svegliamoci!



https://www.facebook.com/photo.php?fbid=620438894680878&set=a.134579473266825.22310.134572506600855&type=1&theater

La ricchezza nelle mani di 85 persone. Indovina con chi sta la sinistra. - Alessandro Robecchi


Ottantacinque. Non 85.000 (ottantacinquemila), né 8.500 (ottomilacinquecento), e nemmeno 850(ottocentocinquanta), che già sarebbe spaventoso. No, no, proprio 85. Ottantacinque persone su questo affascinante e confortevole (per loro di sicuro) pianetino posseggono una ricchezza pari a quella di 3 miliardi e mezzo di persone, cioè lo 0-virgola-moltissimi-zeri-virgola-uno della popolazione ha un reddito pari a quello del 50 per cento più povero. La cifra, diffusa dall’Oxfam, è al di là di ogni immaginazione, provoca una specie di vertigine. In ogni paese del mondo c’è un grafico con due linee ben distinte: uno schizza verso l’alto, ed è la quota di ricchezza dei pochissimi super-ricchi, l’altra precipita verso il basso, ed è l’aumento della povertà dei moltissimi più poveri. Negli ultimi trent’anni la parte di ricchezza detenuta da pochi è aumentata ovunque e la quota di povertà distribuita tra gli altri è aumentata anche quella. Ovunque.
La lotta di classe esiste, insomma, non si ferma un attimo, non dà tregua, e i miliardari hanno vinto quattro a zero, coppa, giro di campo e champagne negli spogliatoi. Come sia stato possibile non è un mistero. Lo smantellamento di qualunque ideologia dell’uguaglianza e la sua applicazione politica (da Reagan alla Thatcher, alle scuole economiche iperliberiste che tanto piacciono a destra, ma anche a sinistra), per dirne una. E poi il potere politico delle multinazionali, per dirne un’altra. Immaginate di essere voi, normali contribuenti, a poter dettare le regole allo Stato in cui operate: abbassami le tasse, abbassami il costo del lavoro, fammi una legislazione comoda, fai pagare la sanità, fai pagare la scuola…Ecco, comodo, no? Voi non potete, un grande marchio sì.
Ma la discussione sulle cause (che sono numerose) non deve distrarre da una valutazione degli effetti: in molti casi siamo dalle parti dello schiavismo e in altre invece (i paesi industrializzati), alla proletarizzazione progressiva e costante del ceto medio. Insomma, anche nella ricchezza mondiale vince il bipolarismo, non più un mosaico di condizioni sociali, ma una marcia forzata e continua verso la polarizzazione: ricchi e poveri, e in mezzo poca roba.
Tutto questo, si direbbe, rende un po’ ridicole alcune stupidaggini fondamentali che vengono ripetute da decenni. Una: quella che recita che se aumenta la ricchezza diminuisce la povertà. Il ricco darà da lavorare, si dice, e migliorerà le condizioni dei poveri. Ecco. Cazzata, come ci dicono le cifre, dato che ovunque i ricchi sono più ricchi e i poveri più poveri e più numerosi. Altro mito di cartone da sfatare, il vecchio sogno delle simpatiche socialdemocrazie nordiche (che anche qui risuona, va di moda, insomma), cioè la famosa frase di Olof Palme, che diceva: “La sinistra non deve combattere la ricchezza ma deve combattere la povertà”. Bello, eh! Suona bene. Ottimo per l’aperitivo! Peccato che sia proprio la ricchezza di pochi a creare la povertà di molti.
Tassare i super-ricchi e le mega-imprese, costringerle a rispettare certi oneri sociali, a pagare le tasse, a pagare decentemente i lavoratori, a contribuire al progresso sociale dello Stato in cui operano cosa sarebbe se non “combattere la ricchezza?”. Non si fa, naturalmente, non è bello, non è conforme al pensiero unico che domina ovunque. In ogni angolo del mondo destre voracissime e sinistre pallidissime paiono unite nella lotta: tra i tre miliardi e mezzo ultimi e gli 85 che guidano la classifica, hanno scelto con chi stare.