L’Osservatorio per la legalità ha depositato questa mattina, presso la Procura della Repubblica di Trapani, un esposto denuncia per l’incendio divampato sabato che ha devastato il monte Erice, provocando ingenti danni. “Nella speranza che vengano individuati quanto prima i responsabili materiali dell’atto criminale – spiegano, in una nota i responsabili regionale e locale, Manfredi Zammataro e Vincenzo Maltese -, abbiamo voluto porre l’attenzione su tutte le eventuali responsabilità connesse alla mancata scerbatura in area demaniale di competenza della Regione Siciliana e delle strade di competenza del Libero Consorzio comunale. Nell’esposto, al momento a carico di ignoti – aggiungono Zammataro e Maltese – chiediamo altresì di accertare il perché non sia partita in tempo la campagna antincendio, se siano stati fatti o meno gli indispensabili viali parafuoco da parte dell’Azienda Demanio Foreste e di verificare ogni eventuale responsabilità. Basta con la retorica, chi ha sbagliato deve pagare!”.
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
lunedì 15 giugno 2015
Il governo delle Coop.
Luigi Di Maio: Negli ultimi mesi abbiamo seguito con crescente preoccupazione l'impressionante sequela di scandali che hanno riguardato, tra l’altro, le più importanti opere pubbliche del nostro Paese. Proprio attorno a queste ultime è emerso un inquietante coagulo di loschi interessi fra politici accusati di corruzione, membri di criminalità organizzata, e cooperative. Noi chiediamo semplicemente che il sistema di vigilanza venga ripristinato il più presto possibile, e che tutte le attività di revisione e ispezione straordinaria siano effettuate dal Ministero dello Sviluppo Economico a mezzo di revisori ad esso incaricati anche quando gli enti cooperativi risultino aderenti alle associazioni nazionali di rappresentanza. E' proprio in questi meccanismi perversi cui lo Stato non vuole mettere un euro nei controlli, che si annidano i casi di corruzione. Allora il governo o finge di non vedere o vede ed è connivente, ed io questo voglio sapere oggi, e spero che il sottosegretario Giacomelli possa darmi una risposta esaustiva. Grazie
Sottosegretario Giacomelli: il problema sollevato esiste ed è un problema reale. L'attività relativa alle previsioni è stata sospesa, salvo il completamento delle revisioni in corso. Non è infatti da sottacere il possibile effetto distorsivo generato dalla conoscenza del fatto che le cooperative non aderenti ad alcuna associazione non saranno più sottoposte a controllo. Sino al 2007 i contributi versati alle cooperative all'entrata del bilancio dello Stato, venivano integralmente riassegnati al MISE con le normali procedure contabili. Con la legge finanziaria 2008 tale sistema è stato modificato, prevedendo l'istituzione di un fondo da ripartire nello stato di previsione del ministero, con una dotazione inferiore a quella che sarebbe derivata dall'integrale di assegnazione delle somme versate.
Luigi Di Maio: Le cooperative non iscritte all'associazione non saranno più sottoposte a controlli. Questo è quello che, ringrazio per l'onestà intellettuale non è ironico, il sottosegretario per avercelo spiegato in maniera così cristallina. Questo crea un problema politico enorme, perché abbiamo un governo che ha il suo partito di maggioranza al centro degli scandali delle cooperative, che ha un ministero il MEF ministero dell'economia e finanze, che fa delle trattenute sul fondo che dovrebbe gestire il ministero dello Sviluppo Economico per sorvegliare le cooperative. Questa non è l'idea di Stato che vogliamo, questa è un'idea di Stato in cui viene messa al centro non la persona ma gli affari. La persona deve tornare al centro delle politiche pubbliche, e controllare le cooperative significa evitare che attraverso scandali di corruzione, le tasse dei cittadini finiscano ancora una volta nelle mani della mafia, dei politici corrotti, piuttosto che nei servizi pubblici.
https://www.facebook.com/829801610366639/photos/a.830321926981274.1073741828.829801610366639/1085198361493628/?type=1&theater
Debito pubblico sale in aprile di 10 mld a 2.194,5 mld - Bankitalia.
ROMA, 15 giugno (Reuters) - Il debito pubblico italiano è aumentato nel mese di aprile di 10 miliardi a 2.194,5 miliardi di euro.
Lo si legge nel Supplemento di finanza pubblica al Bollettino statistico di Bankitalia.
L'incremento, spiega Via Nazionale, è stato superiore al fabbisogno del mese (6,4 miliardi) per l'aumento di 4,2 miliardi delle disponibilità liquide del Tesoro (a fine aprile pari a 83,1 miliardi; 77,4 ad aprile 2014). In senso opposto ha operato l'effetto complessivo dell'emissione di titoli sopra la pari, dell'apprezzamento dell'euro e degli effetti della rivalutazione dei titoli indicizzati all'inflazione (0,6 miliardi).
Nel primo quadrimestre del 2015 le entrate tributarie sono state complessivamente pari a 115,2 miliardi, lievemente superiori rispetto a quelle relative allo stesso periodo dell'anno precedente (114,4 miliardi).
Niger: nel Sahara 18 migranti morti di sete.
Si erano persi in tempesta di sabbia. Corpi trovati 10 giorni fa.
L'Organizzazione internazionale per i migranti (Iom) ha reso noto che sono stati trovati nel deserto del Sahara i corpi di 18 migranti morti di sete e di fame nel nord del Niger. Un comunicato del responsabile della missione Iom in Niger, Giuseppe Loprete, ha riferito che i migranti sono presumibilmente morti il 3 giugno dopo che una tempesta di sabbia ha fatto perdere l'orientamento al gruppo che dalla città nigerina settentrionale di Arlit stava cercando di raggiungere l'Algeria.
I migranti morti provenivano da Paesi dell'Africa subsahariana: Niger, Mali, Costa d'Avorio, Senegal, Repubblica Centrafricana, Liberia, Guinea e Algeria. Secondo l'Organizzazione internazionale per i migranti, il gruppo stava cercando di raggiungere la Libia per imbarcarsi su uno dei tanti barconi che sfidano la sorte nel Mediterraneo per raggiungere le coste italiane e greche. "Il Sahara - ha denunciato il direttore generale dello Iom, William Lacy - può essere mortale tanto quanto il mare per queste ondate migratorie. Moltissimi migranti muoiono in modo tragico senza che nessuno ne sappia nulla". Nell'ottobre del 2013, le autorità del Niger trovarono per caso i cadaveri di 92 persone morte di sete dopo che il camion sul quale viaggiavano si era rotto nel deserto.
I migranti morti provenivano da Paesi dell'Africa subsahariana: Niger, Mali, Costa d'Avorio, Senegal, Repubblica Centrafricana, Liberia, Guinea e Algeria. Secondo l'Organizzazione internazionale per i migranti, il gruppo stava cercando di raggiungere la Libia per imbarcarsi su uno dei tanti barconi che sfidano la sorte nel Mediterraneo per raggiungere le coste italiane e greche. "Il Sahara - ha denunciato il direttore generale dello Iom, William Lacy - può essere mortale tanto quanto il mare per queste ondate migratorie. Moltissimi migranti muoiono in modo tragico senza che nessuno ne sappia nulla". Nell'ottobre del 2013, le autorità del Niger trovarono per caso i cadaveri di 92 persone morte di sete dopo che il camion sul quale viaggiavano si era rotto nel deserto.
http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/africa/2015/06/14/niger-sahara-18-migranti-morti-di-sete_470d585e-43cf-4143-b253-236357a3d426.html
Stramaledetti siano coloro i quali costringono esseri umani a fuggire dalle proprie terre ed a morire di stenti attraversando il deserto.
Stramaledetti siano coloro i quali costringono esseri umani a fuggire dalle proprie terre ed a morire di stenti attraversando il deserto.
venerdì 12 giugno 2015
Azzollini e il dirigente suicida: “Dal senatore pressioni per ostacolare i pm”. - Mario Portanova
Il 12 marzo 2013 Enzo Tangari, responsabile del settore appalti del Comune di Molfetta, si lancia con la sua Panda nelle acque del porto. Una testimonianza agli atti dell'inchiesta corrobora il legame fra la tragedia e l'appalto per il faraonico nuovo scalo, che vede il presidente della commissione bilancio di Palazzo Madama indagato per truffa ai danni dello Stato.
Una Panda beige imbocca l’ingresso del porto a forte velocità, percorre il molo, alla curva tira dritto senza frenare. L’auto finisce in mare, proprio sotto il faro, dove ancora oggi si vede la banchina sbrecciata sul bordo. Così, alle 8 e mezzo del mattino del 12 marzo 2013, ha messo fine alla sua vita Enzo Tangari, 59 anni, moglie e tre figli, dirigente del Settore appalti del Comune di Molfetta, in provincia di Bari. Cinque mesi più tardi, il 7 ottobre, due persone finiranno in carcere e altre sessanta indagate nell’inchiesta della Procura di Trani sulla costruzione del nuovo porto, un affare da 70 milioni di euro per il quale, però, le casse pubbliche ne hanno già stanziati circa 170, compreso l’ultimo fondo da dieci milioni garantito dalla legge di stabilità 2015.
E’ la vicenda che vede inquisito, tra gli altri, l’ex sindaco Antonio Azzollini (a sinistra nella foto), Ncd, presidente della Commissione bilancio del Senato, accusato di truffa ai danni dello Stato e altri reati. Un’inchiesta che ha travolto la macchina comunale e le società appaltatrici, guidate dalla coop rossa Cmc di Ravenna. Le manette sono scattate ai polsi di Vincenzo Balducci, dirigente comunale responsabile unico dell’appalto, e del procuratore speciale della Cmc, nonché direttore del cantiere, Giorgio Calderoni. Secondo l’accusa, l’amministrazione Azzollini ha dirottato ad altri scopi parte del fiume di denaro piovuto sulla città, riconoscendo per di più alle aziende appaltatrici “risarcimenti” milionari, contestati dai magistrati, per i ritardi nei lavori dovuti alla presenza di migliaia di ordigni bellici inesplosi sui fondali dell’erigendo nuovo porto. Il contestatissimo affare del porto è la pista principale imboccata dalla Procura di Trani sulla morte di Enzo Tangari. La pm Silvia Curione ha aperto un’inchiesta per istigazione al suicidio, poi passata ad Antonio Savasta, uno dei titolari dell’indagine sul faraonico scalo a oggi incompiuto.
Quasi due anni dopo il volo di quella Panda nelle acque del porto di Molfetta, da palazzo di giustizia di Trani non si ha più alcuna notizia. Ma ilfattoquotidiano.it è in grado di rivelare una testimonianza, resa alla pm Curione il 25 settembre 2013 da un noto professionista della città, che corrobora il legame tra la morte del dirigente comunale e la gestione della grande opera voluta e gestita dal sindaco-senatore Azzollini. Il professionista racconta di essere stato ricevuto in Comune tre giorni prima della tragedia, perché aveva segnalato problemi di ordine pubblico nel centro storico. Il commissario straordinario Giacomo Barbato, subentrato al sindaco Azzollini che si era dimesso mesi prima per poter correre alle elezioni politiche del febbraio 2013, lo indirizza da Enzo Tangari. Mentre espone le proprie lamentele nell’ufficio di Tangari, il professionista sente delle urla provenienti dalla stanza del segretario comunale Michele Camero (anche lui poi risultato indagato). A gridare è Azzollini, che pur non essendo più il primo cittadino continua a frequentare assiduamente gli uffici comunali, dove è già cominciata l’aquisizione di documenti sull’appalto del nuovo porto da parte della Guardia di Finanza e della Guardia forestale (l’inchiesta della Procura di Trani era iniziata nel 2009) . “Mo’ viene pure da me”, è il commento rassegnato di Tangari. Sempre secondo la testimonianza del professionista, le sfuriate di Azzollini in quei giorni riguardano proprio gli atti relativi al porto, e sono rivolte a scoraggiare la collaborazione dei funzionari del municipio con gli inquirenti. All’ulteriore sorpresa manifestata dall’interlocutore, la risposta di Tangari è la più classica: “Tengo famiglia”. Tre giorni dopo, il tuffo mortale dal molo di Molfetta. Azzollini è tra i primi ad accorrere, con altri dipendenti comunali. E a quanto raccontano alcuni testimoni, vicino alle sbarre dell’ingresso del porto (quasi sempre aperte, come quella mattina) si lascia andare a una nuova sfuriata contro la magistrature e le sue inchieste.
Del resto il sindaco-senatore è noto in città e a Roma per i suoi scatti d’ira, gli sfoghi in dialetto molfettese, i fronteggiamenti a muso duro, a volte anche fisici, con gli avversari politici. Nel lungo elenco di accuse che la Procura di Trani gli rivolge in relazione all’affare del porto, ce ne sono due per violenza e minaccia. Nel primo caso, già prescritto secondo i pm, Azzollini avrebbe pressato Luigi Nicola Alcaro, ricercatore dell’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la ricerca Ambientale) “abusando dei suoi poteri di presidente della commissione Bilancio del Senato”. Il problema è sempre quello della presenza degli ordigni bellici sul fondale, che di fatto impediscono il proseguimento dei lavori. In una riunione presso la Regione Puglia il 30 giugno 2008, racconta Alcaro ai pm, “Azzollini, con un atteggiamento intimidatorio, sollecitò l’avvio dei lavori di prospezione proprio partendo dal Porto di Molfetta. Ricordo che parlava in dialetto molfettese e non proferiva parole gentili, fondamentalmente inveiva contro la Regione Puglia dicendo che avrebbe fatto un casino in Senato“. Il tecnico Alcaro, peraltro, si dice certo che “il Comune di Molfetta, era sicuramente a conoscenza della smodata presenza di ordigni bellici nei fondali del realizzando Porto, in quanto nel 2005 aveva affidato lavori di prospezione dei fondali, propedeutici all’esecuzione dell’opera, alla ditta specializzata Lucatelli s.r.l.”. Le pressioni hanno effetto e l’esito della riunione è l’accelerazione del “risanamento”. Che però a oggi, oltre sei anni dopo, non è ancora ultimato.
La seconda accusa per violenza e minaccia riguarda invece le pressioni su Antonello Antonicelli, che da dirigente del servizio ecologia della Regione Puglia doveva rilasciare, nel 2010, l’autorizzazione ai primi lavori di dragaggio del fondale. Con Azzollini, dice Antonicelli ai pm, “tra il 2008 ed il 2009 ho avuto vari contrasti, taluni pure con toni accesi; in pratica il sindaco di Molfetta pretendeva che il mio ufficio desse una corsia preferenziale alla pratica del porto di Molfetta e io replicavo che la Regione doveva valutare una serie di interventi e valutare le priorità; in quell’occasione l’interlocuzione col sindaco, che aveva un fare impetuoso e spavaldo, fu molto accesa”. Il 30 maggio 2010 Azzollini si presenta a far valere le proprie “ragioni” nell’ufficio di Antonicelli con un seguito decisamente sproporzionato: una decina di persone del suo staff. Proprio di questo si parla in una delle intercettazioni telefoniche (quella del 4 maggio 2010) per cui il Senato, con il voto determinante del Pd, ha negato al gip di Trani l’autorizzazione all’utilizzo: “Ahhhhh! Porca troia, quello qualche volta gli devo dare due cazzotti … dammi il numero, scusa va …”, dice Azzollini a Balducci, il dirigente comunale poi arrestato.
Scorci del metodo Azzollini. Fatto sta che dal giorno in cui il professionista mette piede nella Procura di Trani per rendere la sua testimonianza sul suicidio di Enzo Tangari succedono “fatti molto strani, perché sia io che il testimone siamo stati oggetto di critiche velenose e, per quel che riguarda il teste, anche di aggressioni fisiche da parte di ‘fiancheggiatori’ dell’ex sindaco”. Lo scrive al procuratore della Repubblica Valeria Tangari, cugina di Enzo, in una lettera datata 15 gennaio 2014. Mentre la moglie del dirigente ha scelto il silenzio pubblico sulla vicenda, lei continua a sollecitare le indagini e a sottolineare i legami tra la vicenda di Enzo e l’appalto del porto. Cosa che nella piccola città pugliese non la rende esattamente popolare. Sempre nella lettera ai pm di Trani, Valeria segnala un’altra stranezza di questa storia. Il legale della moglie e dei figli del dirigente scomparso è lo stesso che difende l’ex sindaco Azzollini nel procedimento sul nuovo porto: l’avvocato Felice Petruzzella, che secondo Valeria Tangari si è offerto spontaneamente di assistere la vedova e la famiglia subito dopo la morte di Enzo. Un doppio incarico “deontologicamente scorretto”, sostiene la cugina della vittima nella lettera. A ilfattoquotidiano.it, Valeria descrive Enzo come “un ragazzone d’oro”, che non aveva mai manifestato angosce personali tali da far pensare a un gesto del genere. Né si è mai saputo di un suo messaggio di addio che ne spiegasse le ragioni. Al vertice dell’Ufficio appalti era stato chiamato proprio da Azzollini, che prima di lasciare la poltrona cittadina per correre verso Roma aveva rinnovato per cinque anni il suo incarico e quello degli altri dirigenti del “cerchio magico” comunale, a cominciare dal solito Balducci.
Certo è che il nome di Enzo Tangari ricorre nelle carte dell’inchiesta, e in corrispondenza dei nodi più delicati. Come dirigente del settore Appalti, Tangari firma i documenti chiave dell’affare. Ma, precisano i pm, è “tratto in errore” da Balducci. Il 16 ottobre 2006 appone il via libera al bando discilplinare di gara, che secondo l’accusa contiene già una violazione di legge. In Comune, affermano i pm, tutti sapevano benissimo che il fondale del futuro porto era cosparso di residuati bellici, e che quindi sarebbe stato impossibile realizzare i lavori, affidati al massimo ribasso all’associazione di imprese guidata da Cmc per oltre 57 milioni di euro (destinati a lievitare negli anni senza che a oggi il porto abbia visto la luce). “Nella determina non si fa alcun riferimento al fatto che le aree non erano in parte disponibili”, notano i pm, “perché il Comune aveva deciso di procedere autonomamente, previo reperimento di altro finanziamento, alla bonifica dei fondali da ordigni residuati bellici e, di conseguenza, i lavori di dragaggio dei fondali previsti nel progetto non potevano avere inizio”. Cosa peraltro segnalata il 2 gennaio, dieci mesi prima, dalla ditta incaricata della bonifica, che comunicava “notevoli difficoltà” sul punto. Tangari, inoltre, è membro della Commissione di gara, insieme a Balducci. Anche questa, per l’accusa, viziata da irregolarità.
Che cosa abbia spinto davvero Enzo Tangari a togliersi la vita, e quanto abbiano pesato le pressioni e le preoccupazioni legate ala storia nera del faraonico progetto del porto di Molfetta, lo svelerà forse l’inchiesta dei magistrati di Trani. Tangari, ha affemato il Procuratore capo Carlo Maria Capristo nella conferenza stampa dopo gli arresti del 7 ottobre 2013, è morto “in circostanze molto poco chiare”. Gli inquirenti, ha promesso dunque il magistrato, faranno di tutto per capire “perché questo funzionario così corretto abbia deciso di farla finita, e in quel modo. Buttandosi proprio nel porto”.
(Ha collaborato Mary Tota)
giovedì 11 giugno 2015
STIGLITZ – EUROPA: ULTIMO ATTO?
Su Social Europe un articolo di Joseph Stiglitz commenta i negoziati tra la Grecia e i paesi creditori. Questi ultimi continuano a insistere su un programma che si è dimostrato clamorosamente distruttivo per la Grecia, e il premio Nobel si chiede se, per il bene dell’Europa e del mondo, i leader europei ce la faranno ad arrivare a comprendere quel minimo di economia che possa permettere loro di salvare il progetto europeo. A questo punto, però, se il progetto dell’euro è stato sin dall’inizio un attacco sferrato al mondo del lavoro, allo stato sociale e alla democrazia, e una guerra economica e finanziaria volta a ridurre a colonie i paesi periferici, i leader europei in realtà sono perfettamente coerenti rispetto ai loro obiettivi non dichiarati… (CARMENTHESISTER)
Joseph Stiglitz, June 8, 2015
I leader dell’Unione Europea continuano a portare avanti la politica del muro contro muro con il governo greco. La Grecia è venuta incontro alle richieste dei suoi creditori molto più che a mezza strada. Tuttavia la Germania e gli altri creditori continuano a chiedere che il Paese firmi un programma che si è dimostrato fallimentare, e che solo pochi economisti hanno mai ritenuto che potesse o dovesse essere attuato.
Il cambiamento della situazione di bilancio greca, da un ampio disavanzo primario a un surplus, è stato quasi senza precedenti, ma la richiesta che il Paese raggiungesse un avanzo primario del 4,5% del Pil era irragionevole. Sfortunatamente, al tempo in cui la “troika” – la Commissione Europea, la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale – ha per la prima volta inserito la sua richiesta irresponsabile nel programma di finanziamento internazionale per la Grecia, le autorità del Paese non avevano altra possibilità che accettare.
La follia di continuare a perseguire tale programma adesso è particolarmente grave, considerato il calo del 25% del Pil che la Grecia ha dovuto subire dall’inizio della crisi. La troika ha valutato male gli effetti macroeconomici del programma che ha imposto. In base alle sue previsioni, essa riteneva che, tagliando i salari e accettando altre misure di austerity, le esportazioni greche sarebbero aumentate e l’economia sarebbe presto tornata a crescere. Essa inoltre credeva che la prima ristrutturazione del debito avrebbe portato alla sua sostenibilità.
Le previsioni della troika si sono rivelate sbagliate, e gli errori si sono ripetuti. E non di poco, ma di molto. Gli elettori della Grecia avevano ragione a chiedere un cambiamento, e il loro governo ha ragione a rifiutare di firmare un programma profondamente sbagliato.
Detto questo, c’è la possibilità di un accordo: la Grecia ha manifestato la sua disponibilità a impegnarsi in continue riforme e ha accettato l’aiuto dell’Europa nell’attuare alcune di quelle riforme. Una dose di realismo da parte dei creditori della Grecia – su quello che è effettivamente realizzabile, e sulle conseguenze macroeconomiche delle diverse riforme fiscali e strutturali– potrebbe fornire le basi di un accordo, che sarebbe positivo non solo per la Grecia, ma per tutta l’Europa.
Alcuni in Europa, specialmente in Germania, sembrano non dare importanza a una possibile uscita della Grecia dall’Eurozona. Il mercato, affermano, ha già “scontato il prezzo” di una rottura. Alcuni hanno anche suggerito che per l’Unione monetaria sarebbe un fatto positivo.
Io ritengo che tali punti di vista sottostimino in maniera significativa sia i rischi attuali che quelli futuri. Un simile livello di leggerezza era presente negli Stati Uniti prima del collasso di Lehman Brothers, a settembre 2008. La fragilità delle banche americane era nota da tempo – almeno dalla bancarotta di Bear Stearns a marzo. Tuttavia, data la mancanza di trasparenza (dovuta in parte alla debole regolamentazione), sia i mercati che i policymaker non sono stati in grado di valutare bene le interdipendenze tra le istituzioni finanziarie.
In realtà, il sistema finanziario mondiale risente ancora degli effetti del collasso della Lehman. E le banche restano poco trasparenti, e quindi a rischio. Non sappiamo ancora la portata totale dei legami tra le istituzioni finanziarie, compresi quelli che provengono dai derivati e dai credit default swap.
In Europa, possiamo già assistere ad alcune delle conseguenze di una regolamentazione inadeguata e del progetto imperfetto della stessa Eurozona. Sappiamo che la struttura dell’Eurozona favorisce la divergenza, non la convergenza: dal momento che i capitali e le persone qualificate abbandonano le economie colpite dalla crisi, tali paesi diventano meno capaci di ripagare i loro debiti. Poiché i mercati comprendono che una pericolosa spirale al ribasso è strutturalmente insita nell’euro, le conseguenze della prossima crisi saranno molto serie. E un’altra crisi è inevitabile: è nella vera natura del capitalismo.
L’astuzia del Presidente della Bce Mario Draghi, che nel 2012 aveva dichiarato che le autorità monetarie avrebbero fatto “tutto il necessario” per preservare l’euro, finora ha funzionato. Tuttavia la consapevolezza che l’euro non è un impegno vincolante tra i suoi membri renderà molto meno probabile che il trucco funzioni ancora. I rendimenti sui bond subirebbero un’impennata, e nessuna rassicurazione da parte della Bce e dei leader europei sarebbe sufficiente ad abbassarli da livelli stratosferici, poiché il mondo ora sa che le autorità non faranno “tutto il necessario”. Come mostra l’esempio della Grecia, esse faranno solo quello che una politica poco lungimirante richiede.
La conseguenza più importante, temo, è la debolezza della solidarietà europea. L’euro avrebbe dovuto rafforzarla. Invece l’ha indebolita.
Non è nell’interesse dell’Europa – o del mondo – avere un paese alla periferia dell’Europa che viene lasciato solo dai suoi vicini, specialmente adesso, che l’instabilità politica è già così evidente. Il vicino Medio Oriente è in fermento; l’Occidente sta tentando di contenere una Russia nuovamente aggressiva; e la Cina, che era già la maggiore fonte di risparmio del mondo, il maggior paese per scambi commerciali e in complesso la maggiore economia (in termini di parità di potere di acquisto), sta facendo i conti con le nuove realtà strategiche ed economiche dell’Occidente. Non è tempo per l’Europa di dividersi.
Quando hanno creato l’euro, i leader europei si consideravano dei visionari. Pensavano di guardare oltre le necessità a breve termine che solitamente preoccupano i leader politici.
Sfortunatamente, la loro conoscenza dell’economia non è all’altezza della loro ambizione; e la politica in questa fase non ha consentito la creazione di un quadro istituzionale che potrebbe permettere all’euro di funzionare come previsto. Anche se si riteneva che la moneta unica avrebbe portato a una prosperità senza precedenti, è difficile scorgere in tutta l’Eurozona nel periodo pre-crisi un significativo effetto positivo. Da allora in poi, gli effetti negativi sono stati ingenti.
Il futuro dell’Europa e dell’euro ora dipende dalla capacità dei leader politici europei di mettere insieme un minimo di conoscenza economica con una certa lungimiranza e un certo interesse per la solidarietà europea. Probabilmente nelle prossime settimane cominceremo a conoscere la risposta a questo quesito esistenziale.
GUARDIAN: LA PRIVATIZZAZIONE DEI SERVIZI PUBBLICI NON È LA RISPOSTA PER UNO SVILUPPO SOSTENIBILE. - HENRY TOUGHA
Un articolo del Guardian denuncia i danni fatti dalla privatizzazione dei servizi pubblici fondamentali: le imprese private esigono tariffe più alte, investono di meno e lasciano da parte le comunità più povere. L’articolo si concentra specialmente sul pericolo dei trattati internazionali che permettono a investitori privati di fare causa agli Stati sovrani i quali, per il bene pubblico, pongono limiti ai loro profitti. (Ricordiamo che il TTIP, il mega-trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti che si sta definendo nel silenzio dei media, con ogni probabilità materializza questo pericolo…)
di Mark Dearn e Meera Karunananthan, 21 maggio 2015
A New York questa settimana gli stati membri dell’ONU discutono le modalità per l’implementazione e la valutazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG), che saranno il focus del programma di sviluppo dell’ONU per i prossimi 15 anni. Nel rapporto del 2014 sugli investimenti nel mondo, la Conferenza dell’ONU sul commercio e lo sviluppo stima che il raggiungimento degli obiettivi richiederà tra 3,3 e 4,5 triliardi di dollari all’anno. I sostenitori delle privatizzazioni si sono avvalsi dell’evidenza di questo ammanco nel finanziamento per sostenere la causa di una maggiore partecipazione del settore privato, specialmente nel sud del mondo.
Ma prima che l’ONU crei un nuovo canale per gli investimenti privati nei servizi pubblici dovrebbe guardare più da vicino la storia di come il settore privato ha “lasciato indietro” le persone più marginalizzate e vulnerabili. Questo è particolarmente importante in un contesto globale dove i trattati sugli investimenti limitano sempre di più la possibilità che gli Stati hanno di impegnarsi a garantire i diritti umani anche dove ciò interferisce con il profitto.
A marzo di quest’anno una corte indonesiana ha annullato un contratto privato della durata di 17 anni con le imprese multinazionali dell’acqua Suez e Aetra, sulla base del fatto che violava i diritti umani, dato che da quando la privatizzazione era iniziata le tariffe erano aumentate di quattro volte, c’era stata una copertura del servizio minore di quanto promesso, e i livelli delle perdite d’acqua raggiungevano il 44 percento.
Giacarta è la più grande delle 186 città nel mondo che nell’ultimo decennio hanno riportato i servizi idrici e igienico-sanitari sotto il controllo del settore pubblico. Nel maggio 2014 la corte suprema di giustizia della Grecia ha impedito la privatizzazione dell’acqua ad Atene, dichiarando che ciò avrebbe violato i diritti umani. Nel luglio 2012 la corte costituzionale italiana ha bloccato i piani di privatizzazione dell’acqua. L’Uruguay e l’Olanda hanno stabilito dei veri e propri divieti ai servizi idrici privati. Per la maggior parte di questi casi, si è trattato dell’esito dell’indignazione pubblica contro i profitti astronomici delle grandi imprese a fronte dell’imbroglio verso gli utenti, che vedevano un calo della qualità del servizio e una diminuzione degli standard ambientali, igienici e del lavoro.
La ricerca mostra che l’ammanco di 260 milioni di dollari nel finanziamento dei servizi idrici e igienico-sanitari verranno coperti meglio attraverso le risorse pubbliche, che al momento contano per oltre il 90 percento degli investimenti globali nelle infrastrutture.
Al contrario, non avendo un incentivo economico a servire comunità povere, il settore privato non garantisce il godimento universale dei diritti umani ad avere servizi idrici e igienico-sanitari. Uno studio dell’Unità Internazionale di Ricerca sui Servizi Pubblici (PSIRU) ha mostrato che gli investimenti del settore privato portano a molto poche nuove connessioni nelle parti del mondo che avrebbero più bisogno, come l’Africa sub-sahariana e il sud dell’Asia.
Dato che richiedono un ritorno sugli investimenti, le operazioni finalizzate al profitto sono molto più costose del finanziamento pubblico ottenuto tramite tassazione progressiva o emissione di titoli. I suddetti dati del PSIRU dimostrano che la stragrande maggioranza degli Stati ha la capacità di fornire l’accesso universale a buoni servizi pubblici. Perfino i paesi che hanno il maggior numero di persone in carenza di acqua e collegamenti fognari possono fornire questi servizi nel giro di 10 anni impiegando meno dell’uno percento del PIL annuale. Per i pochi paesi le cui necessità non riescono ad essere coperte tramite tassazione progressiva, la parte mancante può essere coperta tramite aiuti.
Gli investimenti esteri pongono una crescente minaccia a causa della rescente rete di accordi commerciali e sugli investimenti che prevedono sistemi di risoluzione delle controversie tra Stati e investitori privati. Questi sistemi minano la sovranità degli Stati permettendo agli investitori privati di fare ricorso a un sistema giudiziario separato che gli rende possibile fare causa agli Stati quando le politiche che essi fanno minacciano i loro profitti presenti o futuri. I sistemi di risoluzione delle controversie sono legati ai termini dei trattati commerciali, i quali a loro volta sono progettati per tutelare gli investitori. Ciò significa che, in caso di dubbio, le decisioni vengono prese a favore degli investitori, indipendentemente da qualsiasi preoccupazione per le decisioni democratiche e l’interesse pubblico.
C’è stato un uso crescente nell’uso dei sistemi di risoluzione delle controversie. I registri della Conferenza ONU sul commercio e lo sviluppo mostrano che, nei 50 anni precedenti al 2014 c’è stato un totale di 608 casi, con 58 nuovi casi solo nel 2012, e 42 nel 2014. Viene concluso un nuovo accordo sugli investimenti ogni altra settimana.
L’Argentina è stata querelata più di 40 volte per le azioni intraprese durante la crisi economica dei primi anni 2000. Di fronte a una disoccupazione di massa e con il 70 percento dei bambini che vivevano in povertà, l’Argentina aveva infatti fissato il prezzo di acqua, gas ed elettricità, e successivamente aveva nazionalizzato i servizi per scongiurare il rischio di aumenti dei prezzi. In una sentenza dello scorso mese, all’Argentina è stato intimato di pagare 405 milioni di euro a Suez. Anche se l’Argentina ha sostenuto di avere agito per assicurare il diritto umano di accesso all’acqua per la propria popolazione, il tribunale ha ritenuto che i diritti umani non possano avere la precedenza sui diritti degli investitori privati.
La premessa fondamentale dei meccanismi di risoluzione delle controversie implica che i paesi del sud dovranno subire il doppio impatto della privatizzazione e dei trattati sugli investimenti.
Lo scorso mese Alfred de Zayas, relatore speciale dell’ONU per la promozione di un ordine internazionale equo e democratico, ha avvisato che gli accordi segreti sugli investimenti minacciano i diritti umani e violano la legge internazionale. In marzo, più di 100 professori di legge statunitensi hanno firmato una lettera che mette in luce la minaccia che i sistemi indipendenti di risoluzione delle controversie pongono allo Stato di diritto e alla sovranità nazionale.
Se alla comunità internazionale interessa davverso “non lasciare indietro nessuno”, allora negli obiettivi di sviluppo sostenibile ci si deve chiedere, in primo luogo, perché così tante persone sono state finora lasciate indietro.
Con la crescita dei trattati sugli investimenti che danno priorità ai “diritti delle imprese”, e in assenza di meccanismi internazionali giuridicamente vincolanti che costringano queste imprese a rispondere delle violazioni dei diritti umani, una maggiore partecipazione del settore privato nei progetti che riguardano i servizi idrici e igienico-sanitari all’interno degli obiettivi di sviluppo sostenibile non farà altro che esacerbare la crisi idrica e sanitaria nel mondo.
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