domenica 12 maggio 2019

Truffa da 300 milioni: arrestato monsignor Benvenuti, raggirati 300 anziani.

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Cene di gala in Vaticano e lussuose e antiche ville. Era questa la vita di monsignor Patrizio Benvenuti, alto prelato 64enne di origini argentine, arrestato dalla Guardia di finanza di Bolzano con l'accusa di una truffa da 30 milioni di euro ai danni di quasi 300 persone, prevalentemente anziani e residenti all'estero. Affidavano i propri soldi al sacerdote per investimenti e per la sua fondazione umanitaria Kepha, che finivano però in un articolato meccanismo di riciclaggio tra persone, società estere e italiane.

Con mandato di cattura internazionale è ricercato l'affarista francese, Christian Ventisette, di 54 anni, stretto collaboratore del monsignore. Altre sette persone (italiani, francesi e belgi) risultano invece indagate. Il prelato, da parte sua, nega di avere mai indotto alcuno a versare capitali e di avere promesso profitti. «Contro di me una colluvie di menzogne», dice, e si dichiara raggirato e tradito da Ventisette, che ha assecondato «perchè avevo totale stima e fiducia di lui». L'inchiesta è partita nel settembre 2014 dalla segnalazione di una suora altoatesina, per 20 anni perpetua del prelato. La religiosa aveva, infatti, ricevuto per posta documenti riferiti ad un trust e a una società di capitali, entrambi denominati 'Opus', movimenti di denaro per centinaia di migliaia di euro e delle quali non sapeva darsi una spiegazione. Tempo fa, spinta dalla fiducia che riponeva nell'ecclesiastico, aveva firmato alcuni contratti, divenendo, tra l'altro, rappresentante legale di 'Opus' nella sede in Alto Adige. È rimasta così coinvolta nel procedimento fallimentare della società Kepha Invest in Belgio.

La religiosa, che oggi ha 74 anni ed è tornata a vivere in Alto Adige, avrebbe anche dato in prestito al prelato complessivamente 35.000 euro, mai restituiti. Con questi soldi Benvenuti avrebbe finanziato cene in Vaticano, a Roma e presso Circoli Ufficiali della Marina Militare. Benvenuti in passato ha infatti operato presso vari livelli del Tribunale ecclesiastico alla Santa Sede in Vaticano e come cappellano della Marina Militare a Chiavari. Secondo gli inquirenti, con questi ricevimenti aveva conquistato la fiducia di complessivamente 250 investitori, soprattutto francesi e belgi. All'inizio tutto sembrava funzionare, ma a partire dal 2014 non si vedevano più corrispondere gli interessi sul capitale. Novanta richieste di recesso dai contratti non risultano mantenuti. Mons. Benvenuti è stato arrestato poco prima che partisse per le Canarie, dove stava spostando la sua residenza, e ora si trova ai domiciliari a Genova. La sua dimora in Italia era Villa Vittoria, il prestigioso palazzo quattrocentesco sulla scogliera di Piombino, che è stato posto sotto sequestro preventivo. Leonardo da Vinci progettò le mura della fortezza e ci soggiornò nel 1502. La villa fu anche residenza della principessa Elisa Bonaparte, sorella di Napoleone.

La Guardia di finanza ha messo i sigilli anche a un grande sito archeologico in Sicilia nel Centro Archeologico Museale di Triscina di Selinunte, a un immobile di Poggio Catino (Rieti) e altri immobili e terreni a Poppi (Arezzo). Nel mandato di arresto europeo è stato richiesto anche il sequestro di una villa in Corsica. «Questa ordinanza del giudice Schonsberg - ha commentato in serata il monsignore in una nota di tredici pagine diffusa da un 'Comitato di sostegno internazionale a don Patrizio Benvenutì in cui ribatte punto per punto alle accuse - è una colluvie di menzogne che, guarda caso, ricadono puntualmente su di me e su Pandolfo (uno degli indagati, ndr); molte verità, ma talmente mischiate a bugie e falsità da far perdere la globale visione della realtà dei fatti». Benvenuti afferma di non aver mai indotto alcuno a versare capitali e di non aver mai promesso profitti. Lui stesso sarebbe stato raggirato e tradito. Dice di aver assecondato il finanziere francese Ventisette, «perchè avevo totale stima e fiducia di lui». Il prelato ammette poi che suor Donata abbia sottoscritto due atti, ma esclusivamente su intervento di Ventisette. Il sacerdote smentisce, infine, di aver mai ricevuto denaro in contanti dalla religiosa.


https://www.ilmessaggero.it/primopiano/cronaca/truffa_monsignor_patrizio_benvenuti_milioni_anziani-1542371.html

Da Pioneer a Kairos, 130 miliardi di risparmi italiani finiti in mani estere. - Maximilian Cellino



Banca Leonardo, Kairòs, ma soprattutto Pioneer. Fa una certa impressione ricordare gli asset manager italiani passati nelle mani di grandi operatori stranieri negli ultimi tre anni: se mettiamo insieme le masse da loro gestite fanno oltre 130 miliardi di euro di quella ricchezza privata che resta tutto sommato uno dei rari fiori all’occhiello che il nostro Paese possa vantare sotto l’aspetto finanziario. Con l’operazione avviata da UniCredit c’è chi inizia a temere che FinecoBank, con i suoi 74,1 miliardi di patrimonio e i 244 milioni di utili realizzati nel 2018 (62,6 milioni nell’ultimo trimestre, annunciato proprio ieri), possa essere la prossima «preda» candidata ad allungare la lista.
Il fatto che il risparmio degli italiani sia in grado di far gola un po’ a tutti all’estero non rappresenta certo una sorpresa. «Nel nostro Paese la ricchezza privata ammonta a circa 10mila miliardi, ma la parte interessante per gli operatori stranieri è rappresentata dalla componente di liquidità che resta depositata sui conti correnti e da quella legata al risparmio amministrato, che insieme valgono fra i 2.500 e i 3mila miliardi, denaro che si punta a spostare verso prodotti di risparmio gestito», spiega infatti Mauro Panebianco, Asset & Wealth Management Advisory Emea Leader e Partner di PwC. In una fase in cui i tassi di interesse resteranno vicini allo zero ancora a lungo non sembrano in effetti esistere alternative: per la clientela se si parla di rendimenti, e neppure per le banche che ambiscono a mantenere un barlume di redditività nei bilanci.
E non è neanche un mistero che FinecoBank rappresenti una realtà da sempre ammirata da chi risiede al di fuori dei nostri confini, non soltanto in Europa, e portata altrettanto spesso come esempio sia per il proprio modello di business - che probabilmente rappresenta un unicum anche nel panorama internazionale - sia di conseguenza per i risultati solidi che è in grado di ottenere con costanza nei più svariati scenario di mercato. Il legame con UniCredit, destinato probabilmente a sciogliersi una volta per tutte in un futuro che non appare poi non così distante, ha in questo contesto rappresentato un vantaggio, ma al tempo stesso anche un limite per la stessa controllata.
Se l’indipendenza di cui ha potuto godere la dirigenza di Fineco nell’assumere scelte chiave per lo sviluppo si è infatti rivelata un elemento fondamentale per il successo, riconosciuto dallo stesso a.d. Alessandro Foti, l’enorme ammontare di obbligazioni targate UniCredit in portafoglio è invece spesso finito nel mirino degli analisti come elemento in grado di zavorrare le quotazioni del titolo e tale da scoraggiare le mire dei predatori interessati. La soluzione raggiunta ieri pone con tutta probabilità fine al dilemma, consegna al mercato una vera public company e allontana (forse) un’altra fetta di ricchezza dall’Italia.

Conflitto di interessi, M5S prepara la norma "anti-tycoon".

Conflitto di interessi, M5S prepara la norma

Divieto incarichi nel governo statale o locale e nelle Authority per i soggetti titolari, anche per interposta persona, di patrimoni immobiliari o mobiliari oltre i 10 milioni di euro, fatta eccezione per i titoli di stato. E’ quanto prevede una bozza della proposta M5s sul conflitto di interessi, in possesso dell’Ansa, che fa anche riferimento alle partecipazioni superiori al 2% in imprese titolari di diritti esclusivi, monopoli, radio tv, editoria, internet o imprese di interesse nazionale.
La norma che dovrebbe essere inserita nella proposta del M5s sul conflitto di interesse regola le incompatibilità derivanti dalle attività patrimoniali. Nell’articolo si prevede che le autorità di governo, statali, regionali e locali e le autorità di garanzia, vigilanza e regolazione siano incompatibili con “la proprietà, il possesso o la disponibilità, anche all’estero” da parte di soggetti, anche coniuge o parenti di secondo grado o “persone stabilmente conviventi, salvo a scopo di lavoro domestico” o attraverso fiduciarie, “di un patrimonio mobiliare o immobiliare di valore superiore ai 10 milioni di euro” ad eccezione dei contratti relativi a titoli di stato.
La norma sull’incompatibilità include anche “la proprietà, il possesso o la disponibilità” di partecipazioni “superiori al 2%” in un’impresa che svolga la propria attività “in regime di autorizzazione o concessione rilasciata dallo Stato, dalle Regioni o dagli enti locali” o di imprese titolari di “diritti esclusivi” o “in regime di monopolio” o di aziende che operino nei settori “della radiotelevisione e dell’editoria” o della “diffusione tramite internet” nonché di altre imprese di “interesse nazionale”.

Corruzione, disastro italiano: ci costa 230 miliardi l'anno (siamo tra i peggiori in Europa). - Federica Bianchi



I risultati di uno studio europeo: il nostro Paese è il peggiore tra quelli occidentali. Con quello che viene sottratto alla comunità si potrebbero risolvere le principali emergenze sociali.

È l'Italia il Paese con il più alto livello di corruzione in Europa. Almeno in termini assoluti e non in percentuale al Pil. Ogni anno perdiamo infatti 236,8 miliardi di ricchezza, circa il 13 per cento del prodotto interno lordo, pari a 3.903 euro per abitante. La cifra della corruzione, già impressionante di per se, è due volte più alta di quella della Francia, pari a 120 miliardi di euro e al 6 per cento del Pil e di quella della Germania, dove la corruzione costa 104 miliardi di euro (il 4 per cento del Pil).

Questi sono i numeri contenuti in uno studio pubblicato dal gruppo dei Verdi europei basato sulle analisi condotte dalla ong americana RAND per il parlamento europeo, relatrice la deputata 5 Stelle Laura Ferrara.

Complessivamente l'Unione europea perde per corruzione 904 miliardi di euro di prodotto interno lordo se si includono nel calcolo anche gli effetti indiretti, come le mancate entrate fiscali e la riduzione degli investimenti esteri. Tanto per mettere le cifre in contesto: porre fine alla fame del mondo costerebbe 229 miliardi; fornire educazione primaria a tutti i bambini dei 46 Paesi più poveri del globo 22 miliardi; 4 miliardi per eliminare la malaria; 129 miliardi per offrire acqua pulita e fognature a tutti gli esseri umani.

In Europa le persone non credono che gli sforzi del governo per combattere la corruzione siano efficaci e le uniche istituzioni di cui hanno fiducia a larga maggioranza sono le forze di polizia. La fiducia nelle istituzioni europee poi è bassissima: si ferma al 4 per cento.

All'interno della Ue, il Paese più corrotto in termini di perdita percentuale del prodotto interno lordo è la Romania, con il 15,6 per cento di perdita del Pil. Non è un caso. Il suo governo socialista, che sta per presiedere il prossimo semestre dell'Unione, è da tempo nel mirino della Commissione e del parlamento europeo per le misure legislative prese con lo scopo di coprire la corruzione. E la mancanza di lotta contro la corruzione è stata al centro di uno dei rapporti più duri inviati recentemente da Bruxelles a Bucarest.

Più in generale, la corruzione sembra essere un vero problema per l'Europa dell'Est, oltre che per l'Italia: Bulgaria, Lettonia e Grecia perdono circa il 14 per cento di Pil ogni anno, la Croazia il 13,5 per cento, la Slovacchia il 13, la Repubblica Ceca il 12.

Al contrario, è l'Olanda – una notizia che non dovrebbe essere una sorpresa per chi segue le vicende europee – il Paese più virtuoso. Qui la corruzione vale solo lo 0,76 per cento del Pil (circa 4,4 miliardi di euro). Sul podio sono anche Danimarca e la Finlandia, 4 miliardi entrambe, rispettivamente il 2 e il 2,5 per cento del Pil. E non se la cava male nemmeno il Regno Unito dove la corruzione ruba al Pil “solo” il 2,3 per cento, ovvero circa 41 miliardi di euro.

Con riferimento al nostro Paese, lo studio mette in evidenza come le risorse così sprecate potrebbero da sole risolvere le maggiori emergenze sociali. La perdita di ricchezza dovuta alla corruzione è infatti pari a oltre una volta e mezza il budget nazionale per la sanità pubblica; a 16 volte gli stanziamenti per combattere la disoccupazione; a 12 volte i fondi per le forze di polizia e addirittura è di 337 volte più grande della spesa per le abitazioni sociali. Per non parlare degli investimenti sull'istruzione, nota dolente, che con quei soldi potrebbero essere più che triplicati. Infine, se quei 237 miliardi fossero distribuiti agli italiani basterebbero per dare a oltre il 18 per cento della popolazione 21mila euro l'anno, la media nazionale.

In oltre la metà degli stati europei (Italia, Bulgaria, repubblica ceca, Croazia, Cipro, Grecia, Ungheria, Lituania Lettonia, Romania, Portogallo, Slovacchia, Slovenia e Spagna) l'80 per cento degli abitanti ritiene che la corruzione sia un fenomeno diffuso nel loro Paese al punto che la maggioranza di loro non la denuncia.

Un'abitudine al peggio che viene ribadita anche in un sondaggio condotto da Eurostat nel 2017, secondo cui il 55 per cento degli intervistati riteneva che l'alto livello di corruzione fosse peggiorato negli tre anni precedenti e il 30 percento che fosse rimasto allo stesso livello. Solo il 4 percento pensava che fosse diminuito. E difatti l'89 per cento degli italiani pensa che la corruzione sia estremamente diffusa nel Bel Paese, con l'84 per cento convinto addirittura che faccia parte della cultura d'impresa del Paese.

Ma c'è un segno di speranza. Secondo il 79 per cento la corruzione non è un fenomeno accettabile e dovrebbe essere combattuta aggressivamente. Se solo lo Stato lo volesse.


http://m.espresso.repubblica.it/affari/2018/12/06/news/corruzione-disastro-italiano-ci-costa-230-miliardi-l-anno-siamo-tra-i-peggiori-in-europa-1.329264?fbclid=IwAR1Hi_ghmFz5kGlCEDxFs1SU9G2i7zEPd4NuYRZa_39XIrEuuSd-gfyAQl8

sabato 11 maggio 2019

Vitalizi Trentino-Alto Adige, la Consulta: “Taglio previsto da legge legittimo”. M5s: “Privilegi e non diritti acquisiti”. - Giuseppe Pietrobelli

Vitalizi Trentino-Alto Adige, la Consulta: “Taglio previsto da legge legittimo”. M5s: “Privilegi e non diritti acquisiti”

Anche se reatroattive, per i giudici, le norme rispondevano a due esigenze fondate. La prima era quella “di ricondurre a criteri di 'equità e ragionevolezza' gli assai favorevoli meccanismi di calcolo dell’attualizzazione degli assegni vitalizi”. La seconda esigenza era quella “di provvedere al contenimento della spesa pubblica”. E la Lega annuncia un nuovo disegno di legge.

I tagli ai vitalizi dei consiglieri regionali del Trentino-Alto Adige decisi nel 2014 non erano incostituzionali. Lo ha stabilito la Consulta che ha esaminato i quesiti posti dal giudice civile di Trento Massimo Morandi e riguardanti la norma che aveva cercato di ridurre gli effetti a favore della casta politica di una precedente legge regionale del 2012. La causa riguardava gli effetti “retroattivi, permanenti ed irreversibili” che vietavano il cumulo con altri vitalizi nazionali o europei oltre i 9.000 euro lordi mensili e prevedeva un taglio del 20 per cento dell’importo erogato dalla Regione.

Le cause erano state promosse dalle vedove di Hans Rubner e di Ioachim Dalsass, che avevano visto ridurre gli assegni di reversibilità mensili lordi da 4.765,89 a 1.895 euro e da 6.761 a 1.895. Altre cause erano state promosse da due ex consiglieri e deputati, Hubert Frasnelli (vitalizio calato da 7.965 a 5.891 euro, che si aggiungeva a 3.108 da deputato nazionale) e Siegfrid Brugger (da 3.543 a 139 euro euro, oltre agli 8.860 incassati da deputato). Erano tagli legittimi e proporzionati? Poteva la Regione prendere una decisione che incideva sui benefici acquisiti? La Consulta dà una risposta precisa e ritiene infondata la censura di incostituzionalità. Anche se retroattive, le norme rispondevano a due esigenze fondate. La prima era quella “di ricondurre a criteri di ‘equità e ragionevolezza’ gli assai favorevoli meccanismi di calcolo dell’attualizzazione degli assegni vitalizi” introdotti da una legge regionale del 2012 e da due delibere dell’ufficio di presidenza del Consiglio regionale nel 2013. La seconda esigenza era quella “di provvedere al contenimento della spesa pubblica”. In particolare, scrivono i giudici della Consulta, “l’intervento legislativo aveva mirato a correggere gli effetti di una normativa che aveva complessivamente determinato un ampliamento della spesa pubblica regionale, in controtendenza rispetto alle generali necessità di contenimento e risparmio perseguite dal legislatore statale, a fronte di una crisi economica di ingente (e notoria) portata”.
La notizia arrivata da Roma ha scatenato qualche scintilla tra Lega e Movimento Cinquestelle. Roberto Paccher, presidente leghista del Consiglio regionale, ha commentato: “Dopo questa storica sentenza, che conferma che si possono tagliare i vitalizi, è mia intenzione presentare un nuovo disegno di legge per trasformare i vitalizi dal sistema retributivo a quello contributivo”. Pungente la replica di Filippo Degasperi, di M5S: “Siamo molto soddisfatti, anche perché la sentenza di fatto chiarisce che la vicenda non riguarda diritti acquisiti, ma privilegi auto-riconosciuti da un’intera classe politica”. Il consigliere trentino punta il dito contro “i commenti entusiastici di rappresentanti appartenenti a partiti che non hanno offerto alcun sostegno alla causa e che anzi, oltre ad aver approvato la legge con cui sono stati distribuiti 96 milioni di euro a circa 150 colleghi ed ex, hanno mantenuto il segreto più rigoroso per quasi due anni sul pagamento degli assegni d’oro”. A che cosa si riferisca Degasperi è presto detto: “Solo l’avvento del M5s, con un’interrogazione a mia prima firma ha scoperchiato il pentolone della legge Vergogna che era stata approvata nel 2012 per acclamazione e senza riserve dal Consiglio regionale”.
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Presenze e assenze in Parlamento, non solo Angelucci: Cerno, Brambilla e gli altri onorevoli “desaparecidos”. - Maria Cristina Fraddosio

Presenze e assenze in Parlamento, non solo Angelucci: Cerno, Brambilla e gli altri onorevoli “desaparecidos”

Se anche per i parlamentari valessero le norme che la ministra Giulia Bongiorno vorrebbe applicare agli assenteisti della Pubblica amministrazione, alla Camera e al Senato ne vedremmo delle belle. Fortunatamente per gli eletti non è così, anche se ce n’è più d’uno che latita durante le sedute, qualcuno addirittura con percentuali che sfiorano il 100 per cento in questa XVIII legislatura, entrata nel vivo giusto un anno fa con l’arrivo in Parlamento del Documento di economia e finanza varato dal governo Gentiloni il 26 aprile.
I dati sono su openparlamento.it. Breve premessa: il conteggio delle assenze include anche l’astensione dal voto, cioè un legittimo atto politico. Partiamo dalla Camera coi suoi 628 deputati. Già a luglio era scoppiata la polemica per il caso del deputato-velista Andrea Mura, cacciato dai 5 Stelle e passato al gruppo Misto: è cessato dalla carica a settembre. A Montecitorio ci andava una volta alla settimana, il resto del tempo lo dedicava al mare perché – a suo dire – più che deputato, era un “testimonial in difesa degli oceani”.

Veniamo a chi resta: nella top ten degli assenteisti quattro su 10 sono di Forza Italia. In cima alla classifica c’è Michela Vittoria Brambilla, assente al 98,5 per cento delle votazioni: impegnata com’è tra dog show, dibattiti sulla caccia, 35 gatti12 cani2 cavalli2 asinelli, 7 capre e via dicendo, di tempo a disposizione ne ha ben poco. La scorsa legislatura superò di poco l’1 per cento di presenze, ma non risultò tra gli assenteisti per via di una straordinaria percentuale di missioni, vale a dire attività autorizzate fuori da Montecitorio, pari all’80 per cento.
Al secondo posto c’è un habitué, Antonio Angelucci. Da portantino a imprenditore milionario, plurindagato, con una richiesta di condanna a 15 anni per truffa ai danni della sanità, proprietario dei quotidiani Il Tempo e Libero, anche lui è di Forza Italia: è assente all’89 per cento delle votazioni. Sul podio anche l’imprenditore tuttofare, Guido Della Frera, berlusconiano pure lui, col 74,8 per cento di assenze: d’altra parte ha il suo daffare col gruppo di famiglia, di cui è presidente, attivo nei settori sanitario, turistico, alberghiero, ristorativo e immobiliare.
Al quinto posto si piazza Giorgia Meloni: “Noi difendiamo chi lavora e produce, non i mantenuti”, s’è sgolata a Jesolo per la festa del 1° maggio. Ecco, la leader di Fratelli d’Italia ha una percentuale di assenza che supera il 73 per cento. Quasi la stessa al centesimo di Vittorio Sgarbi, eletto con Forza Italia e oggi traslocato nel gruppo Misto. Seguono due nomi di peso: con il 69,1 per cento di assenze l’ex ministro Antonio Martino, uno dei fondatori del partito-azienda di Berlusconi, in Parlamento dal 1994, e l’ex presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, che in questa legislatura ha partecipato a un terzo delle votazioni (67,3 per cento di assenze). Ottavo, nono e decimo posto sono, rispettivamente, di Erasmo Palazzotto di LeU (63,7%), Fausto Longo, eletto in Sud America nelle liste del Pd e ora nel Misto (60,1 per cento), e della vicesegretaria del Pd Paola De Micheli(59,6%).
In Senato, invece, composto da 320 membri, le percentuali di assenteismo sono in generale più contenute. Tolti i senatori a vita, in pole position c’è Tommaso Cerno, l’ex direttore dell’Espresso, finito nelle liste del Pd per volere di Matteo Renzi. Per lui, come recita il proverbio, assalto francese e ritirata spagnola: all’inizio sempre presente al fianco di Renzi, ora desaparecido. Ha partecipato a 818 votazioni su 3.550: la sua percentuale di assenze è del 76,9 per cento. Secondo in classifica, impegnato com’è a difendere nei tribunali Silvio Berlusconi, è Niccolò Ghedini, che in questa legislatura ha raggiunto il 61,3 per cento di assenze. Segue – sempre targata Forza Italia – la figlia di Bettino, Stefania Craxi (57,38 per cento). Medaglia di legno per il vicepresidente del Senato ed ex ministro, l’avvocato Ignazio La Russa (Fratelli d’Italia) col 55,46 per cento di assenze, seguito da un ex collega nel governo Berlusconi, Paolo Romani(45,69 per cento). A continuazione – tutti del gruppo Misto – l’ex viceministro socialista Riccardo Nencini (36,2 per cento), la leader di +Europa Emma Bonino (35,75) e il calabrese d’argentina Adriano Cario(32,5), eletto all’opposizione ma fattosi subito governativo. Chiude la top ten la regina dei salotti televisivi, Daniela Santanché, che comunque risulta presente o in missione in oltre il 70 per cento dei voti.

Ovviamente non mancano gli stakanovisti: alla Camera i primi cinque sono grillini, ma il 100 per cento delle votazioni ce l’ha solo Marco Bella, chimico, ha fatto ricerca in California per poi rientrare a casa e insegnare alla Sapienza. Per rigore, però, vincono i senatori: ce ne sono ben 19 presenti a tutte le votazioni (9 sono del M5s, 8 della Lega, uno di Fratelli d’Italia e uno di Forza Italia).
Diceva questa estate la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati: “Per quanto riguarda il contenimento dei costi della politica, è evidente che il dibattito non si esaurisce certo con i vitalizi. Ad esempio quando non si è presenti in aula o in commissione deve esserci una sensibile diminuzione degli emolumenti. È un principio di giustizia e meritocrazia”. Per ora, questo principio non pare una priorità delle Camere.

venerdì 10 maggio 2019

Borghi in Toscana.



Sovana è una frazione del comune italiano di Sorano, nella provincia di Grosseto, in Toscana.
È conosciuta come importante centro etrusco, borgo medievale e rinascimentale, nonché sede episcopale.

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Pitigliano. Pitigliano è nota anche con il nome di ‘Piccola Gerusalemme’ perché questo paesino ha diverse case che sono scavate nel tufo e che la sera vengono illuminate creando una scenografia davvero particolare. Inoltre nel XV secolo, Pitigliano divenne un rifugio per molti ebrei e anche per questo si meritò questo curioso appellativo. La cittadina è famosa anche per la cucina ebraica.

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Sorano nacque come antico possedimento della famiglia Aldobrandeschi, ma il territorio comunale era già abitato sin dal periodo etrusco, come dimostrano i notevoli ritrovamenti di insediamenti e necropoli antiche. Dopo il matrimonio tra Anastasia, ultima erede degli Aldobrandeschi, e Romano Orsini nel 1293, il controllo di Sorano passò alla famiglia Orsini. Il centro seguì le vicissitudini storiche e politiche della vicina Pitigliano, dove era situata la residenza dei conti, e gli Orsini si impegnarono a potenziarlo fornendolo di fortificazioni efficaci, che resero Sorano un rifugio sicuro dagli attacchi nemici: più volte infatti, nel corso del XV secolo, i senesi posero la fortezza di Sorano sotto assedio, riuscendo ad occuparla solamente nel 1417. Nel 1556, Sorano passò in mano ai Medici, che la inglobarono nel Granducato di Toscana assieme alla vicina Pitigliano. (Wiki)