martedì 14 maggio 2019

Ponte Morandi, le mani della Camorra nella demolizione: interdittiva antimafia a un’azienda coinvolta nei sub-appalti. - Giovanna Trinchella e Andrea Tundo

Ponte Morandi, le mani della Camorra nella demolizione: interdittiva antimafia a un’azienda coinvolta nei sub-appalti

Si tratta della Tecnodem, che ha ottenuto lavori per 100mila euro dalla Fratelli Omini, tra le società scelte per la demolizione del viadotto: il prefetto di Genova ha emesso un'interdittiva antimafia, notificata dalla Dia di Genova. L'amministratrice della ditta è consuocera di Ferdinando Varlese, pluripregiudicato napoletano "legato" al clan D'Amico che figura anche tra i dipendenti insieme a due figli e a una nipote. La struttura commissariale chiede la risoluzione del contratto.

C’è l’ombra della camorra tra le ditte che stanno lavorando alla  demolizione del ponte Morandi, crollato il 14 agosto 2018 seppellendo 43 persone. Si tratta della Tecnodem S.r.l., ditta napoletana che  si occupa di demolizione di materiale ferroso e ha ottenuto 100mila euro di commesse in sub-appalto dalla Fratelli Omini, una delle società partecipanti all’Associazione temporanea di imprese scelta dalla struttura commissariale per abbattere i tronconi del viadotto sopravvissuti al collasso.
Le condanne di Varlese – La Dia di Genova ha notificato in mattinata alla Tecnodem un’interdittiva antimafia emessa dal prefetto Fiamma Spena perché l’azienda è ritenuta “permeabile di infiltrazione della criminalità organizzata di tipo mafioso”. L’amministratrice e unica socia della società è Consiglia Marigliano, consuocera di Ferdinando Varlese, pluripregiudicato napoletano domiciliato a Rapallo, che risulta anche tra i dipendenti della stessa ditta insieme ad alcuni suoi famigliari. Varlese è stato condannato nel 1986 dalla Corte d’Appello di Napoli per associazione a delinquere in un processo che vedeva tra gli imputati anche soggetti affiliati al clan Misso-Mazzarella-Sarno guidato da Michele Zaza e Ciro Mazzarella.
I legami con il clan D’Amico – E tredici anni fa ha ricevuto un’altra condanna in secondo grado per estorsione tentata in concorso con l’aggravante mafiosa: un’episodio dal quale – sostiene la Direzione investigativa antimafia genovese – “si evincono in maniera circostanziata i legami di Varlese con il sodalizio camorristico D’Amico”, al quale il consuocero dell’amministratrice di Tecnodem “risulta legato da rapporti di parentela”. Sulla base di questi accertamenti, la Dia di Genova ha ritenuto che la società sia in una “condizione di potenziale asservimento” o “condizionamento” dei clan camorristici. 
La storia della Tecnodem – Lo scorso novembre, la società ha acquisito il ramo d’azienda principale della Eurodemolizione s.r.l., ditta della nipote di Varlese. A sua volta, la Eurodemolizione, nell’ottobre 2014, aveva acquistato lo  stesso ramo d’azienda dalla Varlese s.r.l. che era di proprietà dei figli del pluripregiudicato ora tra i dipendenti della Tecnodem di Consiglia Marigliano, la cui figlia ha sposato uno dei figli Varlese. Per gli investigatori, tra l’altro, l’amministratrice di Tecnodem non ha mai lavorato né ha esperienza specifica nel settore delle demolizioni. I passaggi societari, in sostanza, sono stati valutati dalla Prefettura di Genova come il tentativo di aggirare le verifiche antimafia nei confronti di Varlese, poiché la sua condanna è ritenuta ostativa dalle normative. 
Il “curriculum” di Varlese – La storia “criminale” di Varlese comprende anche diverse sentenze per lesionicontrabbando e furto. E parentele “pericolose”: tre suoi nipoti (tutti figli della sorella) sono ritenuti dalla Dia elementi di spicco del clan D’Amico, egemone nel quartiere San Giovanni a Teduccio, dove la Tecnodem ha la sua sede. Ed è proprio con uno dei suoi nipoti che nel 2004 Ferdinando Varlese è stato condannato in primo grado a 3 anni e 3 mesi per tentata estorsione, poiché – secondo i giudici – avrebbero provato a costringere il titolare di un’impresa a cedergli le quote. La Dia, tra l’altro, ha ricostruito come nella catena di acquisizioni dalla Varlese s.r.l. fino alla Tecnodem, le tre imprese hanno avuto tra i soci o gli amministratori persone legate al pregiudicato che oltretutto pur non essendo registrato tra gli operai che operano nel cantiere del Morandi sarebbe entrato più volte presentandosi ai varchi come visitatore. Non potrà più farlo: in virtù dell’accordo stipulato da Fratelli Omini e Tecnodem, il contratto verrà sciolto.
Chiesta risoluzione contratto – La conferma è arrivata dallo stesso sito della struttura commissariale guidata dal sindaco Marco Bucci: “Dato il provvedimento interdittivo adottato dalla Prefettura nei confronti dell’impresa Tecnodem srl, la struttura commissariale ha provveduto a chiedere l’immediata risoluzione del contratto in essere all’Ati di demolizione, di cui la stessa azienda era un subappalto con incarico di “demolizione e bonifica di impianti tecnologici”, si legge sul portale, dove si sottolinea che “al provvedimento si è arrivati grazie all’efficienza dei controlli svolti puntualmente eseguiti nei confronti delle aziende che orbitano attorno al cantiere”. Una velocità riconosciuta anche dal ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, che ringraziando la Dia spiega che è “la dimostrazione che ci controlli funzionano anche con procedure estremamente e semplificate”, grazie anche al protocollo d’intesa firmato dalla prefettura e dal commissario Bucci il 17 gennaio 2019 che ha esteso il regime delle informazioni antimafia a tutti i contratti nel cantiere indipendentemente da importi e durata.

Un'estate invernale...

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domenica 12 maggio 2019

Tutti i leghisti nella rete di Nino “Jurassic Park”. - Davide Milosa

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INCHIESTA “MENSA DEI POVERI” – LOMBARDIA, AFFARI & INCARICHI: NELLE INTERCETTAZIONI I CONTATTI DI NINO CAIANIELLO, EX CAPO DI FI A VARESE (ARRESTATO) E GLI UOMINI DI SALVINI E DI GIORGETTI.

Non solo Forza Italia, la grande rete di Nino “Jurassic Park” Caianiello, già coordinatore provinciale azzurro a Varese, comprende diversi personaggi di primo piano della Lega di Matteo Salvini. Parlamentari, politici regionali e anche avvocati-consiglieri del vicepremier. Molti, Nino li incontra nel suo “ambulatorio” per discutere di politica, di nomine e anche degli affari delle società partecipate. Di tutto, insomma. Anche del nodo Marsico, l’ex socio di studio del presidente Attilio Fontana che nelle intercettazioni sempre più emerge come il problema della Regione, un ostacolo sul quale lo stesso governatore rischia di saltare. Fontana è indagato dalla Procura di Milano per abuso d’ufficio per la vicenda Marsico.

L’ex socio di Fontana e le manovre della Lega.
E così Caianiello, oltre che con la parlamentare azzurra Mariastella Gelmini, ne parla con il deputato leghista Matteo Bianchi e con l’avvocato Andrea Mascetti, “già supervisore della segreteria federale della Lega”. Entrambi non indagati. Annota la Finanza: “Nino chiede a Matteo Bianchi, con la complicità anche di Andrea Mascetti di intervenire con Attilio Fontana affinché accetti la sua proposta”, ovvero nominare in Regione il presidente di Afol Beppe Zingale e in cambio ottenere per lo studio Marsico consulenze per 90 mila euro l’anno. Dice Caianiello al deputato leghista: “Su Attilio, io quello che devo fare l’ho fatto, ti dico questo perché anche tu con Andrea, quando ci troviamo (…) bisogna fare in modo che ascolti perché lui Andrea l’ascolta, lui lo subisce (…) Andrea è intelligente, perché lui non compare mai, è come (Giancarlo) Giorgetti”, sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Fontana però non ascolta l’amico e a fine ottobre 2018 la giunta affida l’incarico a Luca Marsico. Poche settimane dopo Caianiello commenta i fatti: “Io avevo detto ad Attilio: guarda non farlo tu perché lo faccio fare io fuori, gli diamo l’incarico, lui porta a casa quello che deve portare, tu non ti devi esporre. Ha detto: no ci penso io. Sono cazzi suoi, adesso va nei casini, quando verrà fuori che Attilio Fontana ha dato l’incarico al suo ex socio”. E ancora: “Metti il socio di studio di tua figlia per 11.500 euro all’anno?! Io non navigo nell’oro per l’amore del cielo, ma sei io dovessi andare in giro a rompere i c… per 11.500 euro e mettere a rischio me”. Andrea Mascetti che ben conosce la situazione esclama: “Attilio è matto!”. Insomma, la scelta di Fontana sorprende tutti. Anche perché, intercettazioni alla mano, si capisce bene che su altri fronti, ad esempio le nomine degli assessori regionali, il governatore ha sempre seguito i consigli di “Jurassic Park”. Dice Fontana: “Ho seguito i tuoi consigli (…) hai visto, la giunta non è male”. Risponde Nino: “Non te ne pentirai”.

La Lega e l’ambulatorio di Jurassic Park.
Con il parlamentare del Carroccio Matteo Bianchi, già segretario provinciale della Lega a Varese, il rapporto va anche oltre la politica. Il deputato almeno una volta va nel bar-ambulatorio di Caianiello. “Jurassic Park” ne parla a proposito dell’operazione, annota la Finanza, “collegata alla realizzazione dell’impianto di smaltimento che verrà realizzato dalla Prealpi Servizi”. Nino sta discutendo con il deputato azzurro Diego Sozzani e l’amico Mauro Tolbar, entrambi indagati. Dice: “Ho sentito che c’era in ballo ’sta cosa (…). Domani alle nove e mezza vedo tutto l’establishment, compreso la Lega e compagnia bella, c’è anche Matteo Bianchi e parliamo dell’idrico, sono lì in ambulatorio”. E poi c’è l’amicizia con l’imprenditore Claudio Milanese (non indagato). Spiega Caianiello: “Milanese non puoi non tenerlo buono, perché è l’unico che sul territorio (di Varese) ha un’incidenza politica, sociale ed economica (…) mettetevela bene in testa sta cosa, eh!”. Uno dei motivi è l’amicizia con il sottosegretario della Lega Giancarlo Giorgetti, “al quale Nino gli consiglia di rivolgersi per risolvere diverse questioni”. Caianiello invita Milanese a “contattare Giorgetti per intervenire sulla nomina di Ugo Dibernardo in Anas”. Ma Jurassic Park è un generoso. Aiuta tutti. Dice a Zingale: “E chiamala!”, si riferisce alla deputata di Fi Valentina Aprea, ex assessore in Regione, la cui cugina è stata assunta in Afol così come detto dallo stesso Zingale.

L’ex segretario di Gallera con Buscemi.
E se da un lato Caianiello prova a forzare la mano sulle elezioni di Lonate Pozzolo facendo confluire i voti delle “famiglie calabresi”, dall’altro, emerge nelle annotazioni della Finanza, favorisce una “vicenda corruttiva” (allo stato senza indagati) che vede protagonista l’ex assessore Regionale Massimo Buscemi, oltre che il calabrese di Stilo Mimmo Pacicca, fino a pochi mesi fa a capo della segreteria dell’assessore al Welfare Giulio Gallera. Buscemi si spende per far ottenere alla Omniatel lavori per la riscossione delle entrate dei comuni. E se Pacicca, per la Finanza, è il gancio per arrivare al sindaco di Monza, la consigliere regionale Silvia Sardone, per i pm, può favorire l’ingresso a Sesto San Giovanni. Dice Buscemi: “Ho fatto un vestito per una società”. Cainiello: “Dimmi che dobbiamo fa’! Qua bisogna dare dei segnali, senza segnali eh!”, perchè “l’acqua è poca e la papera non galleggia”.

https://infosannio.wordpress.com/2019/05/12/tutti-i-leghisti-nella-rete-di-nino-jurassic-park/

Truffa da 300 milioni: arrestato monsignor Benvenuti, raggirati 300 anziani.

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Cene di gala in Vaticano e lussuose e antiche ville. Era questa la vita di monsignor Patrizio Benvenuti, alto prelato 64enne di origini argentine, arrestato dalla Guardia di finanza di Bolzano con l'accusa di una truffa da 30 milioni di euro ai danni di quasi 300 persone, prevalentemente anziani e residenti all'estero. Affidavano i propri soldi al sacerdote per investimenti e per la sua fondazione umanitaria Kepha, che finivano però in un articolato meccanismo di riciclaggio tra persone, società estere e italiane.

Con mandato di cattura internazionale è ricercato l'affarista francese, Christian Ventisette, di 54 anni, stretto collaboratore del monsignore. Altre sette persone (italiani, francesi e belgi) risultano invece indagate. Il prelato, da parte sua, nega di avere mai indotto alcuno a versare capitali e di avere promesso profitti. «Contro di me una colluvie di menzogne», dice, e si dichiara raggirato e tradito da Ventisette, che ha assecondato «perchè avevo totale stima e fiducia di lui». L'inchiesta è partita nel settembre 2014 dalla segnalazione di una suora altoatesina, per 20 anni perpetua del prelato. La religiosa aveva, infatti, ricevuto per posta documenti riferiti ad un trust e a una società di capitali, entrambi denominati 'Opus', movimenti di denaro per centinaia di migliaia di euro e delle quali non sapeva darsi una spiegazione. Tempo fa, spinta dalla fiducia che riponeva nell'ecclesiastico, aveva firmato alcuni contratti, divenendo, tra l'altro, rappresentante legale di 'Opus' nella sede in Alto Adige. È rimasta così coinvolta nel procedimento fallimentare della società Kepha Invest in Belgio.

La religiosa, che oggi ha 74 anni ed è tornata a vivere in Alto Adige, avrebbe anche dato in prestito al prelato complessivamente 35.000 euro, mai restituiti. Con questi soldi Benvenuti avrebbe finanziato cene in Vaticano, a Roma e presso Circoli Ufficiali della Marina Militare. Benvenuti in passato ha infatti operato presso vari livelli del Tribunale ecclesiastico alla Santa Sede in Vaticano e come cappellano della Marina Militare a Chiavari. Secondo gli inquirenti, con questi ricevimenti aveva conquistato la fiducia di complessivamente 250 investitori, soprattutto francesi e belgi. All'inizio tutto sembrava funzionare, ma a partire dal 2014 non si vedevano più corrispondere gli interessi sul capitale. Novanta richieste di recesso dai contratti non risultano mantenuti. Mons. Benvenuti è stato arrestato poco prima che partisse per le Canarie, dove stava spostando la sua residenza, e ora si trova ai domiciliari a Genova. La sua dimora in Italia era Villa Vittoria, il prestigioso palazzo quattrocentesco sulla scogliera di Piombino, che è stato posto sotto sequestro preventivo. Leonardo da Vinci progettò le mura della fortezza e ci soggiornò nel 1502. La villa fu anche residenza della principessa Elisa Bonaparte, sorella di Napoleone.

La Guardia di finanza ha messo i sigilli anche a un grande sito archeologico in Sicilia nel Centro Archeologico Museale di Triscina di Selinunte, a un immobile di Poggio Catino (Rieti) e altri immobili e terreni a Poppi (Arezzo). Nel mandato di arresto europeo è stato richiesto anche il sequestro di una villa in Corsica. «Questa ordinanza del giudice Schonsberg - ha commentato in serata il monsignore in una nota di tredici pagine diffusa da un 'Comitato di sostegno internazionale a don Patrizio Benvenutì in cui ribatte punto per punto alle accuse - è una colluvie di menzogne che, guarda caso, ricadono puntualmente su di me e su Pandolfo (uno degli indagati, ndr); molte verità, ma talmente mischiate a bugie e falsità da far perdere la globale visione della realtà dei fatti». Benvenuti afferma di non aver mai indotto alcuno a versare capitali e di non aver mai promesso profitti. Lui stesso sarebbe stato raggirato e tradito. Dice di aver assecondato il finanziere francese Ventisette, «perchè avevo totale stima e fiducia di lui». Il prelato ammette poi che suor Donata abbia sottoscritto due atti, ma esclusivamente su intervento di Ventisette. Il sacerdote smentisce, infine, di aver mai ricevuto denaro in contanti dalla religiosa.


https://www.ilmessaggero.it/primopiano/cronaca/truffa_monsignor_patrizio_benvenuti_milioni_anziani-1542371.html

Da Pioneer a Kairos, 130 miliardi di risparmi italiani finiti in mani estere. - Maximilian Cellino



Banca Leonardo, Kairòs, ma soprattutto Pioneer. Fa una certa impressione ricordare gli asset manager italiani passati nelle mani di grandi operatori stranieri negli ultimi tre anni: se mettiamo insieme le masse da loro gestite fanno oltre 130 miliardi di euro di quella ricchezza privata che resta tutto sommato uno dei rari fiori all’occhiello che il nostro Paese possa vantare sotto l’aspetto finanziario. Con l’operazione avviata da UniCredit c’è chi inizia a temere che FinecoBank, con i suoi 74,1 miliardi di patrimonio e i 244 milioni di utili realizzati nel 2018 (62,6 milioni nell’ultimo trimestre, annunciato proprio ieri), possa essere la prossima «preda» candidata ad allungare la lista.
Il fatto che il risparmio degli italiani sia in grado di far gola un po’ a tutti all’estero non rappresenta certo una sorpresa. «Nel nostro Paese la ricchezza privata ammonta a circa 10mila miliardi, ma la parte interessante per gli operatori stranieri è rappresentata dalla componente di liquidità che resta depositata sui conti correnti e da quella legata al risparmio amministrato, che insieme valgono fra i 2.500 e i 3mila miliardi, denaro che si punta a spostare verso prodotti di risparmio gestito», spiega infatti Mauro Panebianco, Asset & Wealth Management Advisory Emea Leader e Partner di PwC. In una fase in cui i tassi di interesse resteranno vicini allo zero ancora a lungo non sembrano in effetti esistere alternative: per la clientela se si parla di rendimenti, e neppure per le banche che ambiscono a mantenere un barlume di redditività nei bilanci.
E non è neanche un mistero che FinecoBank rappresenti una realtà da sempre ammirata da chi risiede al di fuori dei nostri confini, non soltanto in Europa, e portata altrettanto spesso come esempio sia per il proprio modello di business - che probabilmente rappresenta un unicum anche nel panorama internazionale - sia di conseguenza per i risultati solidi che è in grado di ottenere con costanza nei più svariati scenario di mercato. Il legame con UniCredit, destinato probabilmente a sciogliersi una volta per tutte in un futuro che non appare poi non così distante, ha in questo contesto rappresentato un vantaggio, ma al tempo stesso anche un limite per la stessa controllata.
Se l’indipendenza di cui ha potuto godere la dirigenza di Fineco nell’assumere scelte chiave per lo sviluppo si è infatti rivelata un elemento fondamentale per il successo, riconosciuto dallo stesso a.d. Alessandro Foti, l’enorme ammontare di obbligazioni targate UniCredit in portafoglio è invece spesso finito nel mirino degli analisti come elemento in grado di zavorrare le quotazioni del titolo e tale da scoraggiare le mire dei predatori interessati. La soluzione raggiunta ieri pone con tutta probabilità fine al dilemma, consegna al mercato una vera public company e allontana (forse) un’altra fetta di ricchezza dall’Italia.

Conflitto di interessi, M5S prepara la norma "anti-tycoon".

Conflitto di interessi, M5S prepara la norma

Divieto incarichi nel governo statale o locale e nelle Authority per i soggetti titolari, anche per interposta persona, di patrimoni immobiliari o mobiliari oltre i 10 milioni di euro, fatta eccezione per i titoli di stato. E’ quanto prevede una bozza della proposta M5s sul conflitto di interessi, in possesso dell’Ansa, che fa anche riferimento alle partecipazioni superiori al 2% in imprese titolari di diritti esclusivi, monopoli, radio tv, editoria, internet o imprese di interesse nazionale.
La norma che dovrebbe essere inserita nella proposta del M5s sul conflitto di interesse regola le incompatibilità derivanti dalle attività patrimoniali. Nell’articolo si prevede che le autorità di governo, statali, regionali e locali e le autorità di garanzia, vigilanza e regolazione siano incompatibili con “la proprietà, il possesso o la disponibilità, anche all’estero” da parte di soggetti, anche coniuge o parenti di secondo grado o “persone stabilmente conviventi, salvo a scopo di lavoro domestico” o attraverso fiduciarie, “di un patrimonio mobiliare o immobiliare di valore superiore ai 10 milioni di euro” ad eccezione dei contratti relativi a titoli di stato.
La norma sull’incompatibilità include anche “la proprietà, il possesso o la disponibilità” di partecipazioni “superiori al 2%” in un’impresa che svolga la propria attività “in regime di autorizzazione o concessione rilasciata dallo Stato, dalle Regioni o dagli enti locali” o di imprese titolari di “diritti esclusivi” o “in regime di monopolio” o di aziende che operino nei settori “della radiotelevisione e dell’editoria” o della “diffusione tramite internet” nonché di altre imprese di “interesse nazionale”.

Corruzione, disastro italiano: ci costa 230 miliardi l'anno (siamo tra i peggiori in Europa). - Federica Bianchi



I risultati di uno studio europeo: il nostro Paese è il peggiore tra quelli occidentali. Con quello che viene sottratto alla comunità si potrebbero risolvere le principali emergenze sociali.

È l'Italia il Paese con il più alto livello di corruzione in Europa. Almeno in termini assoluti e non in percentuale al Pil. Ogni anno perdiamo infatti 236,8 miliardi di ricchezza, circa il 13 per cento del prodotto interno lordo, pari a 3.903 euro per abitante. La cifra della corruzione, già impressionante di per se, è due volte più alta di quella della Francia, pari a 120 miliardi di euro e al 6 per cento del Pil e di quella della Germania, dove la corruzione costa 104 miliardi di euro (il 4 per cento del Pil).

Questi sono i numeri contenuti in uno studio pubblicato dal gruppo dei Verdi europei basato sulle analisi condotte dalla ong americana RAND per il parlamento europeo, relatrice la deputata 5 Stelle Laura Ferrara.

Complessivamente l'Unione europea perde per corruzione 904 miliardi di euro di prodotto interno lordo se si includono nel calcolo anche gli effetti indiretti, come le mancate entrate fiscali e la riduzione degli investimenti esteri. Tanto per mettere le cifre in contesto: porre fine alla fame del mondo costerebbe 229 miliardi; fornire educazione primaria a tutti i bambini dei 46 Paesi più poveri del globo 22 miliardi; 4 miliardi per eliminare la malaria; 129 miliardi per offrire acqua pulita e fognature a tutti gli esseri umani.

In Europa le persone non credono che gli sforzi del governo per combattere la corruzione siano efficaci e le uniche istituzioni di cui hanno fiducia a larga maggioranza sono le forze di polizia. La fiducia nelle istituzioni europee poi è bassissima: si ferma al 4 per cento.

All'interno della Ue, il Paese più corrotto in termini di perdita percentuale del prodotto interno lordo è la Romania, con il 15,6 per cento di perdita del Pil. Non è un caso. Il suo governo socialista, che sta per presiedere il prossimo semestre dell'Unione, è da tempo nel mirino della Commissione e del parlamento europeo per le misure legislative prese con lo scopo di coprire la corruzione. E la mancanza di lotta contro la corruzione è stata al centro di uno dei rapporti più duri inviati recentemente da Bruxelles a Bucarest.

Più in generale, la corruzione sembra essere un vero problema per l'Europa dell'Est, oltre che per l'Italia: Bulgaria, Lettonia e Grecia perdono circa il 14 per cento di Pil ogni anno, la Croazia il 13,5 per cento, la Slovacchia il 13, la Repubblica Ceca il 12.

Al contrario, è l'Olanda – una notizia che non dovrebbe essere una sorpresa per chi segue le vicende europee – il Paese più virtuoso. Qui la corruzione vale solo lo 0,76 per cento del Pil (circa 4,4 miliardi di euro). Sul podio sono anche Danimarca e la Finlandia, 4 miliardi entrambe, rispettivamente il 2 e il 2,5 per cento del Pil. E non se la cava male nemmeno il Regno Unito dove la corruzione ruba al Pil “solo” il 2,3 per cento, ovvero circa 41 miliardi di euro.

Con riferimento al nostro Paese, lo studio mette in evidenza come le risorse così sprecate potrebbero da sole risolvere le maggiori emergenze sociali. La perdita di ricchezza dovuta alla corruzione è infatti pari a oltre una volta e mezza il budget nazionale per la sanità pubblica; a 16 volte gli stanziamenti per combattere la disoccupazione; a 12 volte i fondi per le forze di polizia e addirittura è di 337 volte più grande della spesa per le abitazioni sociali. Per non parlare degli investimenti sull'istruzione, nota dolente, che con quei soldi potrebbero essere più che triplicati. Infine, se quei 237 miliardi fossero distribuiti agli italiani basterebbero per dare a oltre il 18 per cento della popolazione 21mila euro l'anno, la media nazionale.

In oltre la metà degli stati europei (Italia, Bulgaria, repubblica ceca, Croazia, Cipro, Grecia, Ungheria, Lituania Lettonia, Romania, Portogallo, Slovacchia, Slovenia e Spagna) l'80 per cento degli abitanti ritiene che la corruzione sia un fenomeno diffuso nel loro Paese al punto che la maggioranza di loro non la denuncia.

Un'abitudine al peggio che viene ribadita anche in un sondaggio condotto da Eurostat nel 2017, secondo cui il 55 per cento degli intervistati riteneva che l'alto livello di corruzione fosse peggiorato negli tre anni precedenti e il 30 percento che fosse rimasto allo stesso livello. Solo il 4 percento pensava che fosse diminuito. E difatti l'89 per cento degli italiani pensa che la corruzione sia estremamente diffusa nel Bel Paese, con l'84 per cento convinto addirittura che faccia parte della cultura d'impresa del Paese.

Ma c'è un segno di speranza. Secondo il 79 per cento la corruzione non è un fenomeno accettabile e dovrebbe essere combattuta aggressivamente. Se solo lo Stato lo volesse.


http://m.espresso.repubblica.it/affari/2018/12/06/news/corruzione-disastro-italiano-ci-costa-230-miliardi-l-anno-siamo-tra-i-peggiori-in-europa-1.329264?fbclid=IwAR1Hi_ghmFz5kGlCEDxFs1SU9G2i7zEPd4NuYRZa_39XIrEuuSd-gfyAQl8