mercoledì 28 agosto 2019

Ascoltate Salvini. - Marco Travaglio sul Il Fatto Quotidiano del 26 agosto 2019



Qualcuno ha notizie di Salvini? Comunque finisca questa strana e impervia trattativa fra M5S e Pd, un risultato l’ha già ottenuto, purtroppo temiamo provvisorio: liberarci dell’onniprensenza ossessiva del Cazzaro Verde, che da un anno e più occupava prime pagine, titoli di telegiornale, dibattiti da talk, conversazioni in famiglia e tra amici prima, durante e dopo i pasti. Non si parlava che di lui, o per osannarlo o per attaccarlo, come se fosse l’ombelico del mondo, manco facesse capoluogo di provincia. Anche chi lo detestava finiva per fare il suo gioco, prendendolo terribilmente sul serio (“il nuovo Mussolini” o “il ministro della malavita”, cioè il nuovo Giolitti: figuriamoci), scambiandolo o spacciandolo per il padrone d’Italia, il vero presidente del Consiglio, l’autore di tutte le leggi e i decreti, l’uomo forte che si era “mangiato i 5Stelle” non solo sui media (grazie ai media), ma anche nel governo (dove, a parte tre inutili norme sull’illegittima difesa e sulla presunta sicurezza, non ha combinato un bel niente). Occupava tutti gli spazi, le menti, i pensieri, le energie altrui, come solo B. e per un po’ Renzi erano riusciti a fare.
Poi – pare trascorso un secolo, ma è stato solo 18 giorni fa – ha avuto la bella pensata di rovesciare il governo Conte in pieno agosto, all’indomani della fiducia sul Sicurezza-bis e della vittoria parlamentare sul Tav (grazie ai voti determinanti del Pd). Da allora si attende, anche da parte dei suoi fan superstiti, che spieghi quali sarebbero i fantomatici “no” che avrebbe ricevuto dai 5Stelle per buttar giù il governo in quel modo e in quel momento. Invano. Tant’è che oggi è ridotto alla mendicità ai piedi di Di Maio per rimettere insieme i (suoi) cocci e farfuglia di “no che sono diventati sì” senza precisare dire quali, chi, cosa, de che. La scena del premier di Conte che in Senato, davanti a milioni di italiani attoniti, lo brutalizza soavemente dall’alto verso il basso spiegandogli come vanno il mondo e la democrazia sarà difficile da dimenticare presto. Sono bastati quei 50 minuti per trasformare la sua immagine di vincente in quella di perdente. E i sondaggi ne hanno subito risentito: lo zoccolo duro leghista resta con lui, ma i saltatori sul carro del vincitore sopraggiunti alle Europee e dopo stanno tornando indietro: vedi mai che quello sia il carro del perdente e ne arrivino di più appetitosi. Potrebbe essere il caso della maggioranza giallo-rosa, casomai oggi l’incontro decisivo fra Di Maio e Zingaretti partorisse qualcosa di serio. Cioè un governo Conte 2, anzi 2.0, l’unico con qualche chance di successo e durata nella situazione data.
Ieri Roberto Fico ha bissato il beau geste di Luigi Di Maio, cioè ha sacrificato se stesso per Conte e respinto le incaute lusinghe del Pd (una pura e inutile provocazione: senza offesa per Fico, sarebbe come se Di Maio intimasse a Zinga di cedere il posto a Renzi). Dunque il quadro è chiaro: i 5Stelle hanno indicato Conte perchè lo ritengono l’unico premier possibile, e non perchè volessero “bruciarlo”, come sperava qualche pidino abituato a fare così e incredulo per l’esistenza di politici con una parola sola. La “discontinuità” si potrà ottenere sui ministri e sui programmi, ma senza fanatismi: altrimenti, a furia di reclamarla, finirà per riguardare tutte le magagne degli ultimi vent’anni (i governi con B., il Jobs Act, la Buona Scuola, la controriforma costituzionale…) e non si troverà più nessuno per fare il governo. Se nel Pd tutti credono davvero in questa nuova maggioranza, e se davvero privilegiano i programmi anzichè i personalismi e le meschine gelosie, l’impressione è che la trattativa sia andata troppo avanti per essere interrotta dall’impuntatura su un nome. Tra l’altro popolarissimo e degnissimo.
Con tempi così ristretti, idee così confuse e condizioni di partenza così sfavorevoli, l’unica bussola per orientarsi dovrebbe essere il desaparecido Salvini. Al quale bisognerebbe dare ascolto, per poi fare l’esatto contrario. Tutto ciò che vuole lui va assolutamente evitato. E cosa vuole Salvini? Lo ripete continuamente. 
1) Rifare il governo col M5S: dunque i 5Stelle diano retta a Conte e se lo levino dalla testa. 
2) Impedire in ogni modo un governo M5S-Pd e, se nascesse, sperare che sia una rissa continua: quindi M5S e Pd evitino di accontentarlo. 
3) Far dimenticare l’umiliazione di Palazzo Madama facendo sparire per sempre Conte, l’unico leader su piazza che da mesi lo supera nei sondaggi: ergo il Pd cerchi di deluderlo, accettando Conte premier. Altrimenti Zingaretti dovrà spiegare ai suoi elettori perchè ha mandato a monte una trattativa così avanzata per la sua assurda guerra al nemico pubblico numero 1 di Salvini. E sarà difficile trovare le parole.

Lo ha preso a schiaffi. - Tommaso Merlo


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Conte ha preso Salvini a schiaffi davanti al paese intero. Una scena inedita ed esilarante. Un Premier che prende a schiaffi il Ministro degli Interni in Parlamento e a reti unificate. Col ministro seduto sui banchi del governo che ha fatto meschinamente cadere. Un Bruto accanto alla persona che ha pugnalato. Seduto lì, come nulla fosse, come se volesse fargli pressione. Ma Conte non si è fatto intimidire e lo ha sonoramente schiaffeggiato come meritava da tempo. Schiaffi non violenti e volgari, ma schiaffi di saggezza politica e decoro istituzionale. Schiaffi di moralità e conoscenza giuridica. Schiaffi di un Presidente del Consiglio che ha dato prestigio all’Italia sferrati sul volto grassoccio di un ministro che sta ricoprendo il paese di vergogna e lo vorrebbe spadroneggiare. Schiaffi di un professore ad un alunno asino e maleducato. “Non hai cultura delle regole”. “Hai carenza di cultura istituzionale”. Una clamorosa umiliazione pubblica più che meritata dopo mesi di cagnara e il giusto epilogo di questa crisi psichiatrica. Pura verità. Salvini ha spintonato e strabordato per mesi al governo, lo ha calpestato come un palco da comizio ed alla fine ha chiuso in bellezza trascinando l’Italia nel caos perché secondo i sondaggi gli conveniva. Perché i sondaggi vogliono dire voti e quindi poltrone e quindi potere. Per sé e per le camicie verdi strette attorno al loro fuhrer lanciato verso i vertiti repubblicani. Lo dicono i sondaggi. Lo dicono le piazze. Un colpo di mano azzardato al punto che potrebbe scatenare una rivolta nazionale, un sussulto d’orgoglio del popolo italiano indisposto a finire nelle mani del solito cialtrone messianico. Una mossa maldestra che potrebbe rendere i sondaggi di oggi carta igienica. Perché i cittadini sono stanchi di baggianate, perché i cittadini vogliono i fatti e persone perbene. E tra una sniffata di egoina e l’altra, lo ha intuito anche Salvini che il suo piano scricchiolava. Lui dice di non pentirsi, ma ormai gira a vuoto. Si contraddice, tentenna. Ed ecco lì, gonfio, ad incassare schiaffoni sul faccione. Quelli più secchi sono alla fine. Quando Conte parla di una politica come servizio e responsabilità, di una politica sobria e rispettosa. Già, la sua, quella del Movimento. Una politica che cozza con quella tutta urla e rutti social. Schiaffoni sacrosanti. Quando è il suo turno Salvini rotola fino al suo scranno. Panciuto, con la cravatta verde snodata e il consueto tono da gradasso. Basta qualche sillaba e il Senato della Repubblica si trasforma in una malfamata stamberga brianzola. Rozzezza, volgarità e il solito sproloquio per eccitare i tifosi, per raccattare consenso. La sua sostanza. Frasi brevi e sconnesse. Spezzoni di comizi. Un abisso. Un abisso culturale. Un abisso morale. Un abisso politico. Da una parte un Premier che ha dato lustro al paese incarnando con onore il cambiamento preteso in massa dagli italiani il 4 marzo, dall’altra un vecchio politicante traditore ed intossicato dal suo bulimico ego che ha mandato tutto a rotoli per meschini sogni di gloria. Vedremo se gli italiani ci cascheranno per l’ennesima volta oppure si rivolteranno prenderanno Salvini a schiaffi in faccia come ha fatto il grande presidente Conte.

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martedì 27 agosto 2019

Rousseau ragionava. - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 27 Agosto:

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Pare incredibile. Ma, salvo sorprese, la crisi più pazza del mondo sta per concludersi all’insegna del buonsenso. Che purtroppo era mancato un anno fa, quando i 5Stelle proposero il contratto al Pd e, all’ultimo miglio, Renzi lo stracciò. Il fatto che ora Renzi sia stato il primo sponsor del patto giallo-rosa e che tutto il partito si sia convinto nel giro di una settimana aumenta il rimpianto per ciò che avrebbe potuto essere e non è stato in questi 14 mesi, che hanno regalato a Salvini una vetrina insperata per gonfiarsi come un tacchino nella sua resistibilissima ascesa.

Non era scontato che M5S e Pd trovassero uno straccio di linguaggio comune in così poco tempo, visto che dal 4 marzo 2018 il fossato fra loro si era vieppiù allargato. Ma alla fine, complice la paura di votare nella data e nelle condizioni imposte dalla Lega, la ragione e il realismo hanno prevalso.

Di Maio è stato abile (e generoso, come Fico) a giocarsi l’unico asso in mano, cioè Conte, che compatta il M5S, garantisce i militanti in una svolta così ardua, allarga la platea degli elettori e accompagna il movimento all’esame di maturità.

Zingaretti è stato onesto (e pure lui generoso) a ritirare l’assurdo veto su Conte, che nessuno (nemmeno tra i suoi) avrebbe capito, per salvare per un altro po’ l’unità del Pd. Ora si spera che i ministri siano all’altezza. E magari che si intraveda un programma, che è – insieme al tasso di litigiosità – il vero banco di prova di un governo che potrebbe rimettere a cuccia Salvini, ma anche resuscitarlo.

Ora i 5Stelle temono il voto degli iscritti su Rousseau (allora forse non è truccato). Ma sarebbe stupefacente se fosse negativo: Rousseau, quello vero, ragionava. Cos’è il Pd lo sappiamo tutti, ma pure cos’è la Lega. Anche un anno fa, nel voto sul contratto con Salvini, si parlò di “rivolta sul web”. E il programma del Pd – per quanto vago e cangiante – è meno distante da quello grillino di quello leghista.

Chi ha il maldipancia va capito, ma deve sapere che il Conte 2 o 2.0 in salsa giallo-rosa è la peggiore soluzione eccettuate tutte le altre. Che sarebbero solo due.

1) Il voto subito, cioè un governo Salvini-Meloni-B. che cancellerebbe le leggi-bandiera del M5S. Anche se il M5S passasse dal 17 al 24%, il Rosatellum regalerebbe il cappotto alla destra, al Nord e nei collegi del Sud. E per il proporzionale puro ci vuole un governo, e un governo che lo voglia.

2) Il ritorno con la Lega, oltre a spaccare i grillini che Di Maio ha riunito sotto le ali di Conte, segnerebbe il loro divorzio dal premier per ora e per sempre; e li esporrebbe all’ennesima fregatura da quel campione di slealtà che è Salvini. Il Cazzaro Verde è come lo scorpione: non è cattivo, è proprio fatto così.


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Cade il tabù su Conte. Il governo è quasi fatto. - Luca De Carolis

Cade il tabù su Conte. Il governo è quasi fatto

Ha vinto l’inerzia della politica, hanno vinto le ragioni di tanti mondi e poteri diversi. Più forti dei dubbi di Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio, sposi obbligati con il mal di pancia celato dietro ai sorrisi da telecamere. Costretti a ignorare anni di insulti incrociati, sospetti che fanno rima con accuse, distanze che su certi temi sono siderali. Ma tutto questo ormai è già un’altra storia, è già un passato da rossori, perché il presente certifica che il governo tra Cinque Stelle e Pd si sta per fare con Giuseppe Conte ancora premier, Di Maio ancora dentro il governo e ministri di peso che dovranno andare ai dem.
La parziale compensazione per quella “discontinuità” che Zingaretti ha invocato per giorni e che ha non avuto, perché avrebbe voluto dire niente Conte a Palazzo Chigi: e invece no, tanti, tantissimi lo volevano ancora lì l’avvocato, come una garanzia per un governo che pareva eresia e di certo sarà un esperimento. Più che complicato anche a vederne i vagiti, perché per tutta la sera Pd e 5Stelle si accusano a vicenda di voracità, di chiedere poltrone su poltrone.
Iniziano a farlo già dalle sei e qualcosa della sera, dopo che Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti si sono incontrati nella pancia di Palazzo Chigi. È lì, nell’ufficio del vicepremier, che i due danno il via alla trattativa, quella vera. Zingaretti fa cadere il veto su Conte, ma in cambio chiede ministeri decisivi come l’Economia, l’Interno e gli Esteri. Di Maio invece vorrebbe lasciare il Tesoro a Tria e soprattutto pretende per sè il Viminale. E pure dentro i 5 Stelle in diversi alzano i sopraccigli: “Ma proprio al posto di Matteo Salvini vuole andare, ma non vede i rischi?”.
La sintesi è che bisogna discuterne tanto e allora il capo del M5S rilancia: “Dei nomi bisogna parlarne anche con Conte, visto che sarà lui il presidente del Consiglio”. Dopo 25 minuti di abboccamento finisce così, con il rinvio della trattativa decisiva alle 21, quando il premier dimissionario sarà tornato dal G7 a Biarritz. Ma prima era già successo quello che serviva a preparare il terreno per il vero tavolo. Con Zingaretti che, in mattinata, prova con parole pubbliche: “Si deve provare ad andare avanti, sto lavorando a una soluzione seria, ma dobbiamo ascoltarci (tradotto: vederci, ndr)”. Dopo, e soprattutto, il segretario dem telefona a Conte, ancora in Francia per il G7. Pochi minuti di colloquio in cui il segretario dem ribadisce la richiesta che è il suo mantra: “Presidente, voglio un governo di svolta, con discontinuità”. Non gli dice direttamente che il no al suo nome è saltato, ma il segnale è chiarissimo. Ma Zingaretti chiama anche per sondare il premier. Teme i sommovimenti dentro il Movimento, ha paura che le sirene della Lega siano ancora un problema concreto. Ne parla, di nuovo, con i big riuniti al Nazareno in attesa della svolta. Perché i dem aspettano il vertice dei 5Stelle, previsto nel pomeriggio. E ascoltano i sussurri che arrivano dall’altro fronte. “Luigi sta soffrendo molto, questo accordo gli pesa”, raccontano due big del Movimento. Il vicepremier, bermuda e camicia, si palesa sotto casa con la fidanzata per andare a pranzo immortalato dai fotografi. E mentre passeggia sotto i flash il Carroccio gli fa arrivare ancora offerte tramite intermediari vari: “Ti diamo la presidenza del Consiglio e sui temi ci metteremo d’accordo”.
Alle 15 Di Maio riunisce tutto il gotha del Movimento per prendere la decisione definitiva. Sa che ormai il sì a Conte c’è, le varie anime e cariche del Pd gli hanno dato ampie rassicurazioni. Però in silenzio spera che nella riunione più d’uno protesti, chiedendo una via per ricucire con la Lega. Ma dentro la casa sul Lungotevere del suo strettissimo collaboratore Pietro Dettori gli rispondono con l’evidenza dei numeri. Non si può tornare con il Carroccio, i gruppi parlamentari esploderebbero.
Protesta solo Alessandro Di Battista. Non può bastare. Così Di Maio sale su un taxi e se ne va a Chigi per incontrare Zingaretti.
Ma è l’antipasto per l’incontro chiave, quello con Conte. Il governatore del Lazio gli ritelefona alle 19, appena il premier atterra a Ciampino di ritorno da Biarritz. “Il nodo sulla premiership non è ancora sciolto, sarà solo un incontro tra due delegazioni”, dissimula nel frattempo il Pd. Come a dire che l’accordo su Conte premier ancora non c’è, perché bisogna prima chiarire tutta la mappa del governo giallo-rosso. Così, poco dopo le 21, inizia il vertice a quattro con Di Maio, Conte, Zingaretti e il vicesegretario dem Andrea Orlando. E si va avanti per ore, a discutere di nomi ed equilibri. Per costruire quello che pareva impossibile.

Il ribaltato.- Tommaso Merlo



Salvini si è ribaltato da solo. Altro che ribaltone. Affermare che ci fosse un accordo col Pd dietro le quinte, è una vigliaccata degna del personaggio. La solita mossa per buttarla in cagnara. Si dà il caso che mentre lui cazzeggiava in giro per raccattar voti, il Movimento lavorasse seriamente e col Pd ci ha fatto a botte per anni. È Salvini che aveva in testa il tradimento da tempo. Lo hanno ammesso molti gerarchi leghisti che volevano rompere già dopo le europee per incassare poltrone. Ma Salvini ha temporeggiato. Probabilmente per colpa dell’ingordigia. Voleva essere sicuro di vincere con largo margine. Voleva continuare a sfruttare il Viminale per fare campagna elettorale. E così ha fatto, dopando i sondaggi a livelli inauditi a furia di girare in auto blu e aerei di stato da un comizio all’altro e trattando il governo del paese come se fosse roba sua. Ubriaco fradicio di onnipotenza, Salvini si è deciso a sferrare la pugnalata nella schiena di Conte sotto il solleone. Improvvisa. Secca. Poi il finimondo. Salvini era certo che Conte si sarebbe congedato dalla porta di servizio in silenzio e con la testa bassa. Ed invece Conte ha reagito con veemenza costringendo Salvini a risponderne in aula. Una figuraccia immonda davanti al mondo intero. Lui che veniva considerato anche all’estero il cavallo di razza del populismo nero al punto da convincere addirittura i russi a puntarci sopra rubli. Lui che sembrava lanciato in un galoppo inarrestabile verso la vetta, si è ritrovato con la coda tra le gambe come un brocco qualunque. Comunque vada a finire la crisi, Salvini ne esce male. Altro che purosangue invincibile, il solito vecchio politicante spregiudicato e sleale con in testa solo consensi e poltrone. Il solito vecchio politicante che al di là delle panzane che va a raccontare in giro, pensa solo al proprio tornaconto e a comandare per imporre le proprie idee retrograde e liberticide. Altro che balle populiste, altro che fare l’interesse del popolo, altro che ‘uno di noi”. Il solito cialtrone all’italiana che per troppa smania di gloria, si è ribaltato da solo. Ed oggi, da ipocrita che è, dà la colpa agli altri. Ad aver tradito è lui. Tradito Conte, tradito il Movimento, tradito il contratto, tradito il cambiamento che diceva di volere, tradito i cittadini che contavano su una svolta, tradito le riforme in itinere. Spergiuro. È da pochi giorni che il ronzino meneghino nitrisce in disparte e già si respira aria più fresca. Era dal 4 marzo che Salvini era diventato una persistente ed ossessiva flatulenza nazionale. Un interminabile rutto sullo scibile. E affinché non torni ad echeggiare più nauseabondo di prima, se il nascituro vedrà la luce, dovrà avere in serbo dei buoni colpi. Provvedimenti che fiacchino l’avanzata del populismo nero e che abbiano una portata tale da far passare la sbornia salviniana alle italiche genti. Salvini si è ribaltato da solo, ma nella vita non ha fatto altro e non sa far altro che campagna elettorale. Il suo rutto non si placherà mai.

https://infosannio.wordpress.com/2019/08/27/il-ribaltato/?fbclid=IwAR2fFa0fGel0sBSUQLNTq0goQgMneDVzpjwA_bUUh0cnrw-81apnJFkWWWc

Il meschino veto su Conte. - Tommaso Merlo



Zingaretti non vuole Conte. Davvero sfacciato. Erano decenni che non compariva sulla scena politica italiana un alieno come Conte. Una persona stimata in Italia e all’estero che ha raggiunto un consenso da capogiro. Un vero presidente perché capace di rappresentare sensibilità diverse con umiltà e competenza. Eppure Zingaretti lo vuole far fuori. Il perché è ovvio. Zingaretti non vuole ombra, non vuole un presidente del consiglio che ridurrebbe lui ed i suoi amichetti del Pd a misere comparse. Zingaretti vuole la strada spianata per ritrovare brandelli di sole. Vuole un governo di “svolta” ma nel senso di un governo che si metta a sfasciare il più possibile quanto fatto dai gialloverdi. Un governo che costringa il Movimento a rimangiarsi i suoi stessi provvedimenti perdendo così altri pezzi per strada. Un’operazione che può riuscire solo senza Conte tra i piedi. L’avvocato del popolo è troppo amato e soprattutto è una persona troppo preparata e seria per cancellare leggi che portano la sua firma solo da qualche mese. L’avvocato del popolo è difficile da prendere per i fondelli e soprattutto è impossibile da ricattare. Per Zingaretti è molto meglio qualche anonimo parruccone. Qualche manipolabile trombone. Altro che “cose da fare”, altro che sacrificio per il bene del paese. Nomi e poltrone e veti sul migliore presidente del consiglio degli ultimi decenni. A conferma di come Zingaretti voglia il voto subito e ancora ci speri. Ha urgenza di ripulire il Pd dai renziani prima che finisca male e si aggiunga all’infinita lista di segretari impallinati da fuoco amico. Questa trattativa Zingaretti l’ha dovuta subire controvoglia e quindi alza la posta impuntandosi addirittura sul nome di Giuseppe Conte. Roba che dovrebbe sciacquarsi la bocca prima di nominarlo. Il Pd come premier e ministri vari ha sfornato solo frotte di megalomani e ciarlatani. Orde di dinosauri riciclati fino allo sfibramento. E adesso Zingaretti fa lo schizzinoso con quell’arroganza tipica che è stata la rovina del mondo ex comunista. Vedremo se Zingaretti si rimangerà tutto di nuovo. Del resto a comandare davvero è Renzi che invece è disposto anche a vendere l’anima al diavolo pur di evitare le urne e tornare a contare qualcosa. Ma la trattativa è partita molto male. Il meschino veto di Zingaretti su Conte conferma le lacerazioni interne al Pd che lo rendono un partito del tutto inaffidabile per farci un governo assieme. E dimostrano la malafede di Zingaretti. Pretendere che Conte si faccia da parte vuole dire avere intenzioni distruttive e non costruttive. Vuol dire fregarsene dell’opinione dei cittadini che hanno apprezzato la persona e l’operato del premier. Vuol dire avere un’agenda nascosta che è quella di colpire i dannati nemici a cinque stelle. La solita vecchia politica che si riempie la bocca di parolone altosonanti, ma poi si riduce ad una mera questione di teste e di poltrone al servizio di miseri interessi personali e di clan.

https://infosannio.wordpress.com/2019/08/24/il-meschino-veto-su-conte/?fbclid=IwAR3u2MqB5Yk0Oj23ODh_3CAO6NnhLxhPbNcKm3aUofT_3iBpNnLhreqU6C0

lunedì 26 agosto 2019

Zingaretti insiste, Di Maio alza il tiro. Oggi il giro di boa. - Luca De Carolis

Zingaretti insiste, Di Maio alza il tiro. Oggi il giro di boa

I due leader di mondi diversi in fondo l’accordo non lo vorrebbero, potendo si sarebbero presi il voto anticipato (Nicola Zingaretti) o magari addirittura la Lega (Luigi Di Maio). Forse però non possono più tornare indietro. “Il treno è andato troppo avanti per fermarsi, lentamente arriverà dove deve arrivare” riassume un veterano del Pd. In sintesi, il segretario dem e il capo politico dei Cinque Stelle questo governo devono davvero cercare di farlo. Magari partendo proprio da Giuseppe Conte, su cui il veto di Zingaretti rimane, ma di domenica sera pare più fragile, perché tante voci di dentro del Pd e parecchie voci da fuori ripetono senza fermarsi che non bisogna formalizzarsi, meglio inghiottire il premier dimissionario a Palazzo Chigi e passare all’incasso sui ministeri, a partire dal Viminale.
VERTICE AL NAZARENO.
In giornata la linea dei democratici su Conte. Poi la palla torna ai grillini
Però è ancora maledettamente difficile questa guerra fredda, perché il Movimento forza i toni e le parole: troppo, per i pontieri delle rispettive parti. Quasi urla il Di Maio che non vuole sentire ragioni, anche perché altri nomi non ne ha. “La soluzione è Conte, e solo lui” tambureggia per tutta la domenica il Movimento. E lo stesso capo politico ripete il concetto a Zingaretti in una telefonata mattutina, l’unico contatto tra i due vertici.
Ma per il segretario del Pd, vecchia scuola comunista, non si può recedere da quella “richiesta di discontinuità” che predica da giorni, cioè dal veto su Conte. Per questo nel pomeriggio appare in maniche di camicia al Nazareno, la sede del Pd dove i dem tengono tavoli un po’ surreali sui temi, e tiene il punto: “L’Italia non capirebbe un rimpastone, noi pensiamo che in un governo di svolta la discontinuità deve esser garantita anche da un cambio di persone”. Però, aggiunge il segretario, “noi faremo di tutto per trovare una soluzione positiva, che si troverà in un confronto reciproco, senza ultimatum”. Ce l’ha con il Movimento che ripete Conte o morte, che gioca sempre di aut aut. Ma in controluce fa capire che serve tempo. Poi magari si potrà fare. Dall’altra parte dovrebbero cogliere il messaggio, ragionano i dem. Invece un nanosecondo dopo il M5S già spara: “L’Italia non può aspettare il Pd, è assurdo”. Una gamba tesa che non ci voleva, a leggere la reazioni. E che rende tutto più difficile, nella domenica in cui i renziani tornano a spingere pubblicamente per il sì a Conte. Tanto che Dario Franceschini, quello che parla pochissimo perché conta davvero, chiede pubblicamente a tutti i dem di fare i bravi: “Fino alla fine della crisi parli solo il segretario Zingaretti”. È più di un suggerimento, dal big che il veto a Conte lo sta corrodendo da giorni, con consigli, segnali, suggerimenti. E il segretario ovviamente ha preso nota. Sa che per l’accordo, e per il presidente del Consiglio che fu gialloverde, si sono mossi in parecchi. Ambasciate, per esempio, e l’eterno potere, la Chiesa. “Conte ha entrature in Vaticano che forse nessuno del Pd ha” sussurra un altro dem. Però Zingaretti e i suoi non vogliono prove di forza dal Movimento. Si irrigidiscono, e anche per questo si trincerano dietro la linea ufficiale: “Non cediamo sul premier, anche se ci stanno offrendo di tutto”. Dal fronte M5S negano: “Figurarsi, al limite potremmo nominare un commissario europeo condiviso”.
E si irritano per un’agenzia che narra di Di Maio che a Zingaretti avrebbe offerto “quasi” un monocolore Pd in cambio del sì a Conte. “Non si fanno scambi o giochini” giurano. Però sanno bene che ai democratici bisognerà dare ministeri di peso, come quello dell’Interno, a cui pure il capo politico puntava per sè. “Ma Luigi può prendere anche gli Esteri” ragiona un maggiorente del Movimento. Certo, dal M5S assicurano che, per carità, “non abbiamo mai parlato di ministri”. Ma i segnali dicono che i 5Stelle sicuri della riconferma sono solo Di Maio e i suoi due pretoriani, Riccardo Fraccaro e Alfonso Bonafede. Mentre sul fronte Pd si ragiona su varie opzioni. Con l’attuale capo della Polizia Franco Gabrielli che rimane un nome per il Viminale. E con l’ex governatore del Piemonte Sergio Chiamparino, in ottimi rapporti con la sindaca 5Stelle di Torino Chiara Appendino, che è dato tra i papabili.
Ma siamo già troppo oltre, perché ci sono ancora mille passi da fare. “Di Maio è troppo sfuggente” si lamentano dal Pd. Cioè sfugge a un nuovo incontro, che ieri Zingaretti è tornato a chiedergli. “Fino alle consultazioni di domani dovrebbero vedersi solo le delegazioni” insistono dal M5S. Di Maio vuole continuare a giocarsela a distanza, puntando sul pressing delle varie anime del Pd su Zingaretti e sullo scorrere delle lancette. Ma il segretario dem risponde invocando tavoli anche “con la sinistra”, ossia con Leu (e Federico Fornaro risponde: “Il governo di svolta è possibile”). Oggi però si dovranno trovare se non tutte molte delle risposte. Tradotto, potrebbe essere un lunedì decisivo.
Con il Pd che si riunirà per un vertice che dovrebbe chiarire la linea, cioè dare la risposta definitiva su Conte. E dopo sono previste le 48 ore delle consultazioni. Ma in mezzo ci sono tante botole possibili. Per esempio, il Pd potrebbe rilanciare chiedendo Di Maio fuori dall’esecutivo in cambio del sì a Conte. “Impossibile” dicono i 5Stelle. Ma non è detto. Come non è affatto dato capire cosa farà Di Maio in caso di no al premier. La bomba che potrebbe fare saltare davvero tutto.