Ha vinto l’inerzia della politica, hanno vinto le ragioni di tanti mondi e poteri diversi. Più forti dei dubbi di Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio, sposi obbligati con il mal di pancia celato dietro ai sorrisi da telecamere. Costretti a ignorare anni di insulti incrociati, sospetti che fanno rima con accuse, distanze che su certi temi sono siderali. Ma tutto questo ormai è già un’altra storia, è già un passato da rossori, perché il presente certifica che il governo tra Cinque Stelle e Pd si sta per fare con Giuseppe Conte ancora premier, Di Maio ancora dentro il governo e ministri di peso che dovranno andare ai dem.
La parziale compensazione per quella “discontinuità” che Zingaretti ha invocato per giorni e che ha non avuto, perché avrebbe voluto dire niente Conte a Palazzo Chigi: e invece no, tanti, tantissimi lo volevano ancora lì l’avvocato, come una garanzia per un governo che pareva eresia e di certo sarà un esperimento. Più che complicato anche a vederne i vagiti, perché per tutta la sera Pd e 5Stelle si accusano a vicenda di voracità, di chiedere poltrone su poltrone.
Iniziano a farlo già dalle sei e qualcosa della sera, dopo che Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti si sono incontrati nella pancia di Palazzo Chigi. È lì, nell’ufficio del vicepremier, che i due danno il via alla trattativa, quella vera. Zingaretti fa cadere il veto su Conte, ma in cambio chiede ministeri decisivi come l’Economia, l’Interno e gli Esteri. Di Maio invece vorrebbe lasciare il Tesoro a Tria e soprattutto pretende per sè il Viminale. E pure dentro i 5 Stelle in diversi alzano i sopraccigli: “Ma proprio al posto di Matteo Salvini vuole andare, ma non vede i rischi?”.
La sintesi è che bisogna discuterne tanto e allora il capo del M5S rilancia: “Dei nomi bisogna parlarne anche con Conte, visto che sarà lui il presidente del Consiglio”. Dopo 25 minuti di abboccamento finisce così, con il rinvio della trattativa decisiva alle 21, quando il premier dimissionario sarà tornato dal G7 a Biarritz. Ma prima era già successo quello che serviva a preparare il terreno per il vero tavolo. Con Zingaretti che, in mattinata, prova con parole pubbliche: “Si deve provare ad andare avanti, sto lavorando a una soluzione seria, ma dobbiamo ascoltarci (tradotto: vederci, ndr)”. Dopo, e soprattutto, il segretario dem telefona a Conte, ancora in Francia per il G7. Pochi minuti di colloquio in cui il segretario dem ribadisce la richiesta che è il suo mantra: “Presidente, voglio un governo di svolta, con discontinuità”. Non gli dice direttamente che il no al suo nome è saltato, ma il segnale è chiarissimo. Ma Zingaretti chiama anche per sondare il premier. Teme i sommovimenti dentro il Movimento, ha paura che le sirene della Lega siano ancora un problema concreto. Ne parla, di nuovo, con i big riuniti al Nazareno in attesa della svolta. Perché i dem aspettano il vertice dei 5Stelle, previsto nel pomeriggio. E ascoltano i sussurri che arrivano dall’altro fronte. “Luigi sta soffrendo molto, questo accordo gli pesa”, raccontano due big del Movimento. Il vicepremier, bermuda e camicia, si palesa sotto casa con la fidanzata per andare a pranzo immortalato dai fotografi. E mentre passeggia sotto i flash il Carroccio gli fa arrivare ancora offerte tramite intermediari vari: “Ti diamo la presidenza del Consiglio e sui temi ci metteremo d’accordo”.
Alle 15 Di Maio riunisce tutto il gotha del Movimento per prendere la decisione definitiva. Sa che ormai il sì a Conte c’è, le varie anime e cariche del Pd gli hanno dato ampie rassicurazioni. Però in silenzio spera che nella riunione più d’uno protesti, chiedendo una via per ricucire con la Lega. Ma dentro la casa sul Lungotevere del suo strettissimo collaboratore Pietro Dettori gli rispondono con l’evidenza dei numeri. Non si può tornare con il Carroccio, i gruppi parlamentari esploderebbero.
Protesta solo Alessandro Di Battista. Non può bastare. Così Di Maio sale su un taxi e se ne va a Chigi per incontrare Zingaretti.
Ma è l’antipasto per l’incontro chiave, quello con Conte. Il governatore del Lazio gli ritelefona alle 19, appena il premier atterra a Ciampino di ritorno da Biarritz. “Il nodo sulla premiership non è ancora sciolto, sarà solo un incontro tra due delegazioni”, dissimula nel frattempo il Pd. Come a dire che l’accordo su Conte premier ancora non c’è, perché bisogna prima chiarire tutta la mappa del governo giallo-rosso. Così, poco dopo le 21, inizia il vertice a quattro con Di Maio, Conte, Zingaretti e il vicesegretario dem Andrea Orlando. E si va avanti per ore, a discutere di nomi ed equilibri. Per costruire quello che pareva impossibile.
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