domenica 8 settembre 2019

IL COMPAGNO BENETTON di Emidio Novi (ex deputato)


BENETTON? 30 ANNI FA ERANO PRATICAMENTE FALLITI, POI ARRIVO’ PRODI- Così l’infame famiglia ha guadagnato montagne di miliardi senza avere in tasca un solo centesimo: quella storia che nessuno ti racconta più.

Insaziabili questi Benetton, più guadagnavano meno spendevano per la manutenzione delle autostrade che avevano avuto in regalo dal centrosinistra.
Fortunati questi Benetton. In pieno delirio privatizzatore comprano dall’IRI la catena Gs. La comprano con i soldi delle banche e subito la rivendono, guadagnandoci 4500 miliardi di lire. In euro sarebbero due miliardi e 250 milioni.
Fantasiosi questi Benetton. Prodi, Ciampi e Giuliano Amato s’erano impegnati con Bruxelles e soprattutto con francesi e tedeschi a smantellare l’Iri. Massimo D’Alema li prende in parola e nel 1999 decide di privatizzare la rete autostradale di proprietà dell’Iri e quindi dello Stato. Ancora una volta i Benetton non si perdono d’animo. Una lira delle loro non la rischiano, non sia mai. Bussano a Banca Intesa e gli viene aperto. Chiedono un piccolo prestito che in euro è di 8 miliardi e l’ottengono. Con questi soldi comprano dall’Iri Autostrade. Per due, tre anni la manutenzione della rete è quasi inesistente. Con i soldi rastrellati ai caselli e l’aumento delle tariffe restituiscono i soldi a Intesa.
Le Autostrade sono una Zecca che produce moneta sonante. I Benetton semifalliti come imprenditori del tessile-abbigliamento hanno diversificato e incassano tanti di quei soldi da diventare investitori globali.
Grandi investitori, questi Benetton. Con i soldi guadagnati con una gestione finanziaria e non industriale della rete autostradale ex Iri i Benetton diventano soci degli spagnoli di Albertis e comprano il 50% della rete. Vito Gamberale si dimette dalla società Autostrade perché non ne condivide la politica. Si pensa solo a incassare soldi ma si bada poco alla manutenzione e alla modernizzazione di un asset così importante.
Insaziabili questi Benetton. Con una redditività del 25% decidono di tagliare le spese di manutenzione. Per loro le Autostrade ex Iri sono una miniera d’oro inesauribile. Aumma aumma nel 2016 ottengono una proroga quarantennale con un emendamento aggiunto all’ultimo minuto dal governo alla Finanziaria. Una vergogna. La banda Renzi è capace di tutto. I predecessori non sono stati da meno. I contratti che riguardano i concessionari delle autostrade vengono secretati.
E la trasparenza del mercato, la concorrenza, le terzietà della politica, l’occhiuta vigilanza del commissario per la concorrenza di Bruxelles? Tutto fumo, chiacchiere e distintivo.
Questa banda di malavitosi merita un decreto del governo che spazzi via la benevolenza di TAR e magistratura civile corrotta.
E che faccia capire a opposizioni e potere mediatico che “la fortuna” sta abbandonando i Benetton, e quelli come loro.

Piera Tamburi Chi sono i Benetton?
Luciano Benetton è stato senatore nel periodo 1992 e 1994 con il Partito Repubblicano Italiano.
E poi ...
Nel 1993 la Procura di Milano trasmise al Senato la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di Benetton, accusato di aver favorito con manovre finanziarie illecite il fallimento dell'azienda di abbigliamento Fiorucci S.p.A., a cui era legato come membro del consiglio di amministrazione.[1]
In Argentina è uno dei più importanti proprietari terrieri; come documentato dalla televisione France 5 in un servizio del 2010 alleva con sfruttamento intensivo migliaia di pecore con criteri che possono essere ritenuti poco ecosostenibili. È inoltre coinvolto in un contenzioso aperto con le popolazioni indigene locali, i Mapuche, sulle modalità di appropriazione di estesi terreni in Patagonia, come documentato dalla trasmissione televisiva Report in un servizio andato in onda il 7 giugno 2009.[2]
Un imprenditore davvero onesto da portargli tanto rispetto ...

sabato 7 settembre 2019

Atlantia in rialzo, De Micheli per concessioni esclude la revoca. - Flavia Carletti



I titoli della controllante di Autostrade per l'Italia mettono a segno la migliore performance del Ftse Mib, con un massimo toccato a 24,93 euro, sopra la chiusura del 13 agosto 2018, prima del crollo del Ponte Morandi. In una intervista, la neo-ministra dei Trasporti precisa che nel programma di governo si parla di "revisione".

Atlantia positiva a Piazza Affari, sull'idea che l'ipotesi revoca concessioni autostradali sia ormai nel cassetto. I titoli della società che controlla Aspi (Autostrade per l'Italia), salgono di circa due punti percentuali, mettendo a segno la migliore performance del FTSE MIB, che è in leggero calo. Il massimo toccato dal titolo Atlantia nel corso della seduta è stato a 24,93 euro per azione, sopra la chiusura del 13 agosto 2018 (24,88 euro), il giorno prima del crollo del Ponte Morandi a Genova. La tragedia risale al giorno dopo, il 14 agosto dello scorso anno, e ha provocato la morte di 42 persone. In una intervista al quotidiano La Stampa, la neo-ministra dei Trasporti, Paola De Micheli, replicando a una domanda sulla revoca delle concessioni ad Aspi ha detto che «nel programma di governo c'è scritta una parola precisa e molto diversa: revisione. Dobbiamo rafforzare gli investimenti, la sicurezza e ridurre i costi per gli utenti». Inoltre, la ministra si è detta «contraria alla cosiddetta mini-Gronda» di Genova, «perché significherebbe perdere almeno altri sei anni attorno a un progetto pronto». Secondo gli analisti di Equita, «l'indicazione del ministro sull'avvio degli investimenti, il supporto al progetto del Passante di Genova e l'obiettivo della revisione della concessione e non più della revoca sono indicazioni positive» per Atlantia.
(Il Sole 24 Ore Radiocor)

Governo, sulla revoca delle concessioni ad Autostrade il Pd sembra la Lega. Riforma Giustizia? Orlando vuole “costruire un metodo”.

Governo, sulla revoca delle concessioni ad Autostrade il Pd sembra la Lega. Riforma Giustizia? Orlando vuole “costruire un metodo”

Conte aveva ammonito: "L'alleanza Pd-M5S non sia un Vietnam". Ma se le parole della ministra De Micheli provocano l'irritazione di Di Maio che raccomanda ai suoi "di non rispondere alle provocazioni", sul disastro di Genova sembrano dimenticate le parole di Mattarella e l'inchiesta giudiziaria quasi al termine. Sulla giustizia Orlando parla di "costruire un metodo sul quale si valutano distanze e punti di contatto solo dopo esserci confrontati".
Sì alla Gronda e al Tav, no alla revoca delle concessioni. Riforma della giustizia sì, ma “ricominciando la discussione” e “costruendo un metodo sul quale si valutano distanze e punti di contatto solo dopo esserci confrontati“; decreti sicurezza? Tutto da azzerare. Sembra di sentire la Lega, invece è il Pd. Le prime uscite dei neoministri dem sono fumo negli occhi degli appena alleati Cinque Stelle nel governo che, nelle speranze di entrambi, dovrebbe durare altri tre anni. Le prime vedono però i dem su posizioni più leghiste che movimentiste, con buona pace degli auspici di Conte. “Palazzo Chigi non sia più il Vietnam di un’alleanza”, aveva avvisato il premier re-incaricato, chiedendo “leale collaborazione” tra M5S e Democratici. Dietro l’auspicio, una preoccupazione costante: far dimenticare e archiviare quattordici mesi di guerra civile nel precedente governo. Ora però sembra che dovrà subito ricominciare le sue opere di mediazione che lo hanno contraddistinto nei suoi primi 15 mesi da premier.
A 24 ore dal giuramento alcune sortite dei ministri del Pd remano nella direzione dell’attrito su campi sensibili come la giustizia e le infrastrutture. Al punto che il leader M5S Luigi Di Maio, dando la linea ai suoi ministri, ha ammonito: “Non voglio conflitti, vi prego di non rispondere alle provocazioni ma dire al Pd di non comportarsi come la Lega”. Sull’altro campo diverse fonti accreditano un crescente nervosismo anche di Nicola Zingaretti verso certe prese di posizione dei suoi ministri che segnano i primi attriti dell’esperienza di governo giallorosso che fanno il gioco di Matteo Salvini, che dagli schermi de La7 subito infierisce: “Vedete, già litigano su tutto”.
Che cosa è successo? All’indomani del giuramento è stato il neoministro delle Infrastrutture Pd, Paola De Micheli, a rompere l’argine, intervenendo su Tav, Gronda e concessioni autostradali; che son poi i temi-pretesto che hanno portato alla fine della maggioranza gialloverde. De Micheli a La Stampa ha certificato la sua distanza siderale dal predecessore Danilo Toninelli (non dai Cinque Stelle) e ha annunciato la strada delle revisioni delle concessioni anziché la revoca, “come è scritto nel contratto M5s-Pd”. Il Ponte Morandi? Sulla questione il ministro ha glissato. Ma nella giornata di ieri a twittare era stato il vicesegretario del partito Andrea Orlando: “Il Pd vuole che i responsabili del disastro del Morandi siano colpiti e che le rendite ingiustificate siano cancellate. Con delle sentenze e dei provvedimenti. Non con dei tweet”. Eppure non era sfuggito a nessuno il richiamo che lo stesso capo dello Stato Sergio Mattarella aveva fatto nel giorno della commemorazione del 14 agosto, quando senza fare nomi Sergio Mattarella in persona puntò il dito contro la “brama di profitti”. Non solo. A Genova ci sono 74 indagati (tra cui ex ad di Autostrade Giovanni Castellucci) più due società (Autostrade e la controllata Spea) e l’inchiesta dovrebbe essere chiusa entro pochi mesi. E c’è una perizia dei consulenti del tribunale che hanno sottolineato come “gli ultimi interventi di manutenzione ritenuti efficaci risalgono a 25 anni fa”.
L’orticaria però si diffonde anche su altri temi spinosi, a partire dalla giustizia. La riconferma del ministro Alfonso Bonafede sembrava il viatico per la prosecuzione del dossier su giustizia e intercettazioni, sempre sgraditi al Carroccio. Ma il vicesegretario del Pd Andrea Orlando, cui Bonafede era succeduto in via Arenula, mette dei paletti: “Non si può pensare – spiega alla Stampa – che un nuovo governo prenda per buono un testo che è stato costruito da due forze politiche che non ci coinvolsero minimamente, e di cui una era la Lega. È ragionevole che si ricominci la discussione”. La prescrizione che entra in vigore dal primo gennaio? “Credo che la drastica cancellazione della prescrizione sia un errore, ma dentro un percorso processuale si possono trovare equilibri compensando con altre garanzie. Ma, ripeto, è sbagliato pensare a una discussione senza prima sedersi a un tavolo”. Più tardi il vicesegretario del Pd ha puntualizzato a ilfattoquotidianno.it: “Costruiamo un metodo sul quale si valutano distanze e punti di contatto solo dopo esserci confrontati. Non si mandano messaggi a distanza – ha detto – Prima di dare valutazione sulla riforma bisogna capire il percorso per cui si è arrivati a determinate scelte“.
L’immigrazione e la sicurezza sono il terzo campo minato sui cui muove i passi il Conte-bis. Non è un mistero che il Pd voglia azzerare i decreti di Salvini e che i Cinque Stelle vorrebbero invece toccare il meno possibile, come reso evidente dalle dichiarazioni di Di Maio nel rivendicare le scelte del governo che fu. Sul punto è intervenuta, senza entrare nella dialettica dello scontro, il neoministro Luciana Lamorgese. A livello generale l’idea è di ripartire dalle osservazioni dal Capo dello Stato, che ai primi di agosto firmò il decreto Salvini bis ma evidenziando “rilevanti criticità” sulle multe alle ong, ribadendo la necessità che permanga “l’obbligo di salvare le persone in mare”. Mattarella aveva rimesso a Parlamento e Governo l’individuazione dei modi e dei tempi di un intervento normativo in materia.
La Lamorgese, spinta anche dal caso Alan Kurdi che è un primo test sul nuovo corso, si è attenuta a una linea prudente rispetto al passato. Non sarà uguale a quella del predecessore, ma deve fare i conti con un’opinione pubblica nettamente schierata sul tema. Dunque, niente porti aperti in maniera indiscriminata ma più umanità. Come realizzare questo mix, è la sfida che metterà alla prova i due azionisti di Conte. L’ex presidente Matteo Orfini per esempio chiede già dove sia la discontinuità se non vengono fatti sbarcare i migranti della Alan Kurdi. Ma già si intravvede nell’economia e nella manovra 2020 una nuova tela che potrebbe sfilacciarsi e annodarsi. Se sarà un legame più stretto o qualcosa di più pericoloso lo diranno i prossimi mesi.

Mise, i dossier nelle mani di Patuanelli dall’ex Ilva a Whirlpool. Le crisi da affrontare sono 150. E su Alitalia è l’ora delle scelte. - Andrea Tundo

Mise, i dossier nelle mani di Patuanelli dall’ex Ilva a Whirlpool. Le crisi da affrontare sono 150. E su Alitalia è l’ora delle scelte

Il neo-ministro dello Sviluppo Economico si ritroverà sulla scrivania oltre 150 dossier di vertenze in tutta Italia. A breve scade il tempo per l'offerta vincolante della newco con Fs e Atlantia per l'acquisto di Alitalia: una soluzione, quella con anche il Tesoro tra gli azionisti, che il nuovo alleato di governo ha sempre criticato. All'orizzonte un autunno caldo anche su Taranto e Whirlpool. E su Piaggio, Blutec, IIa e Bekaert i sindacati chiedono risposte in tempi brevi.
Oltre 150 dossier, vertenze in stallo, scadenze imminenti e una successione pesante. Tra i nuovi ministri una delle eredità più ingombranti è quella toccata a Stefano Patuanelli, ex capogruppo M5s al Senato e ora alla guida dello Sviluppo Economico. Non solo perché si siederà sulla sedia che è stata di Luigi Di Maio: dal suo studio passano le sorti di migliaia di posti di lavoro e il rilancio di pezzi pregiati dell’economia del Paese. E dovrà oliare situazioni incagliate da anni, a volte più di cinque. Partendo da un dato, frutto di un’analisi de Il Sole 24 Ore: dal 2016 si è chiuso positivamente il 38% dei tavoli, nel 34 per cento dei casi non si è trovata una soluzione e il 27% delle crisi è ancora in corso. Tra la Blutec di Termini Imerese e Mercatone Uno fino alle recenti preoccupazioni per la ferriera di Trieste di Arvedi, Patuanelli avrà subito una patata bollente per le mani: l’offerta vincolante per Alitalia che Fs deve presentare con Alitalia Delta Air Lines. La scadenza era fissata per il 15 settembre, ma secondo fonti vicine al dossier si va verso una nuova proroga “significativa”.
ALITALIA – Tra non molto, in ogni caso, verranno svelate le quote di ogni componente della Newco. E all’orizzonte si profila una prima frizione tra le due anime della nuova maggioranza. Il Pd ha sempre criticato la linea di Di Maio, alla quale Patuanelli ha detto di voler dare continuità. Per Graziano Delrio si tratta “di fatto” di una nazionalizzazione con la quale “si scarica sui contribuenti italiani il peso dell’operazione sia attraverso la partecipazione di Ferrovie e ministero dell’Economia sia con il carico sulle bollette energetiche del costo del mancato rimborso del prestito ponte”. Mentre la scelta di Atlantia dimostrava, secondo Nicola Zingaretti, la “confusione mentale, politica e l’opportunismo di chi sta governando”. Il neo-ministro ha auspicato di essere l’ultimo ad occuparsene. Era stato un augurio anche di Di Maio. Adesso, invece, all’orizzonte si profila uno sciopero il 23 settembre proclamato dall’Usb che avverte: “Continuano a uscire indiscrezioni sul piano industriale che il novello consorzio sta mettendo a punto, il quale prevederebbe 2.000 esuberi. Questo sarebbe un enorme macigno posto sui primi passi del governo, perché parlare di esuberi in Alitalia significa parlare un’altra volta della solita minestra immangiabile fatta di ridimensionamento, esternalizzazioni e mancato sviluppo della flotta, propinata da 20 anni e che tanti danni ha prodotto”.
EX ILVA – Appianate le divergenze sull’immunità penale con la correzione dell’abolizione totale introdotta nel decreto Crescita, toccherà al governo M5s-Pd traghettare l’ex Ilva fuori dalle sabbie mobili nelle quali l’operazione ArcelorMittal, gestore scelto dai dem, rischia di infilarsi. Taranto è da sempre uno dei temi più divisivi tra le due forze politiche, ora dovranno controllare insieme la piena attuazione del Piano ambientale e indicare la rotta in un momento critico sotto il profilo della produzione. ArcelorMittal ha annunciato la richiesta di prorogare per 13 settimane la cassa integrazione ordinaria – scattata il 2 luglio e in scadenza il 28 settembre – per 1.395 dipendenti così da fronteggiare il prolungarsi della crisi del mercato dell’acciaio. Ma non è l’unico problema: resta sempre aperta la questione dello spegnimento dell’altoforno 2 con l’istanza di azienda e commissari straordinari al Tribunale del Riesame per ottenere la facoltà d’uso. Inoltre, in seguito alla morte di una gruista lo scorso 10 luglio, il siderurgico ha problemi di approvvigionamento di materie prime. All’appello mancano migliaia di tonnellate di ferro e carbone per alimentare l’impianto: l’idea è sbarcarle a Brindisi, ma il sindaco espresso un “no” secco e l’azienda ha fatto marcia indietro. Su tutti questi temi i sindacati hanno preannunciato la richiesta di un “incontro urgente” al Mise. Intanto Fim Cisl e Uilm hanno proclamato 24 ore di sciopero per il prossimo 13 settembre: una mossa per spingere l’azienda a fornire a tutti gli operai i dispositivi di protezione individuale.
WHIRLPOOL – 420 lavoratori del sito di Napoli restano in attesa di conoscere il proprio destino dopo l’annuncio dell’azienda di elettrodomestici di voler vendere, ‘tradendo’ l’accordo per la reindustrializzazione che comprendeva anche la fabbrica partenopea. Negli scorsi giorni Whirlpool ha criticato perfino le misure inserite in un apposito decreto (quasi 17 milioni di sgravi contributivi in due anni) dal governo gialloverde giudicandole “non sufficienti” e ribadendo che l’unica soluzione è la cessione. Quindi ha diffuso una nota per annunciare la convocazione dei sindacati per “importanti aggiornamenti”. Una scelta “unilaterale” criticata dai rappresentanti dei lavoratori. L’ultimo faccia a faccia risale all’1 agosto, poi si è aperta la crisi di governo e la situazione è entrata in stallo. La stessa critica viene mossa dall’azienda. Non a caso la prima mossa di Patuanelli riguarda proprio questa vertenza: azienda e sindacati sono stati convocati il 17 settembre, spingendo Whirlpool a cancellare l’incontro del 16.
EX ALCOA – I sindacati si attendono una convocazione per settembre così da aggiornare la storica vertenza sarda. Trovato l’acquirente (Sider Alloys) e iniziate le attività di revamping dell’impianto con la partecipazione di una società specializzata cinese, resta il nodo principale, quello da cui dipenderà la riuscita dell’operazione: il costo dell’energia elettrica. Per ricominciare a lavorare, Sider Alloys ha bisogno di un contratto di fornitura da parte di Terna compatibile con i costi di produzione, poiché – come spiegano i sindacati – “da piano industriale l’energia incide per il 55% sui costi”. Nel frattempo, restano 500 lavoratori in mobilità in deroga fino a dicembre. E un indotto che attende soluzioni ormai da anni.
EMBRACO – Quando gli operai sono rientrati nello stabilimento di Riva di Chieri dopo la fermata di agosto hanno trovato lo stabilimento così come lo avevano lasciato a luglio. “Nessun nuovo impianto di produzione, nessun lavoro di ammodernamento”, spiega Ugo Bolognesi della Fiom-Cgil. Eppure Ventures continua a ripetere che la produzione ripartirà. “Il livello di scetticismo è ormai alto – spiega il sindacalista – Lo scorso anno quando venne firmato l’accordo di reindustrializzazione dicevano che il momento sarebbe stato gennaio, poi marzo, poi giugno, ora settembre”. Su un organico di 410 persone, al momento sono occupati in 187 e la Fiom sottolinea che la rotazione della cassa integrazione, in scadenza a luglio 2020, è scarsa: “In 200 non hanno mai rimesso piede in fabbrica”. A breve, annuncia Bolognesi, verrà chiesto un nuovo incontro al Mise: “Nell’ultimo verbale d’incontro, ormai datato marzo, c’era l’impegno a convocare parti entro metà di giugno. Ma Di Maio non ci ha mai più chiesto di andare a Roma”.
IIA – L’ex BredaMenarinibus poi diventata Industria Italiana Autobus è nel limbo ormai da anni, nonostante i ripetuti annunci di addio alla crisi. Così, mentre nello stabilimento di Bologna non ci sono più ammortizzazioni sociali attivi, restano i numeri preoccupanti di Valle Ufita, nell’Avellinese, dove su 275 dipendenti ci sono ancora 175 cassintegrati con la scadenza fissata al 31 dicembre 2019. La maggioranza delle quote sociali è in mano a Leonardo e Invitalia. “Avevano annunciato sviluppo e investimenti, ma allo stato languono. Abbiamo sollecitato un tavolo negli scorsi giorni. Vogliamo sapere dove stiamo andando: siamo in attesa di un partner privato che non è mai arrivato. Allora il pubblico faccia il pubblico”, incalza Michele De Palma, responsabile automotive della Fiom-Cgil. Anche perché le commesse ci sono, ma al momento la produzione è in Turchia. “Senza dimenticare – aggiunge De Palma – che come Fiom abbiamo chiesto al ministero dello Sviluppo di aprire un tavolo generale sull’industria automobilistica italiana perché i numeri sono drammatici”.
BEKAERT – Situazione di stallo anche nell’ex Pirelli di Figline Valdarno. Non c’è alcuna azienda disposta a rilevare Bekaert, almeno nel suo intero perimetro. “Esiste un’offerta, ma non sappiamo neanche di chi perché il ministero non ce l’ha mai comunicato. Si tratta di un imprenditore del Centro Italia, non ci è noto null’altro”, spiega Daniele Calosi della Fiom-Cgil. Se non che nella nuova Bekaert transiterebbero solo 90 lavoratori su 230. Il prossimo incontro al Mise è fissato a metà ottobre e i sindacati si aspettano una risposta sul piano B portato avanti dai dipendenti. “Da mesi – dice Calosi – hanno fondato una cooperativa per rilevare la società e a breve presenteranno un piano industriale. Di Maio non ha mai fornito una valutazione su questa ipotesi”. La cassa integrazione straordinaria scadrà il 31 dicembre. I tempi stringono.
AFERPI – È una delle vertenze più lunghe, complicate e corpose ancora in via di definizione. Dopo l’aggiudicazione finita nel nulla all’algerino Issad Rebrab, le acciaierie di Piombino sono passate sotto il controllo del colosso Jindal, uscito sconfitto dalla partita per l’ex Ilva. In ballo ci sono 1.500 lavoratori e la sopravvivenza di uno dei poli siderurgici più importanti d’Italia. “Siamo in una fase intermedia, tra alti e bassi sotto il profilo produttivo”, spiegano i sindacati. “In questi mesi si dovrà passare dalla fase 1 alla fase 2: l’azienda dovrà dirci se e come vogliono investire sui forni elettrici”. In attesa di una convocazione del Mise per definire questo step restano in cassa integrazione un migliaio di dipendenti.
PIAGGIO AEROSPACE – La situazione dell’ex Piaggio Aero, specializzata nella produzione di velivoli militari e civili, è “particolarmente problematica” ad avviso dei rappresentanti dei lavoratori sia sotto il profilo economico che delle commesse. L’ultima operazione riguarda un accordo (revisione e acquisto nuovi velivoli) da parte del ministero della Difesa. Su questo si regge il piano industriale presentato dall’amministratore straordinario Vincenzo Nicastro, il cui mandato scade proprio oggi (5 settembre, ndr), per il rilancio degli impianti di Genova e Albenga. Allo stato esistono 39 manifestazioni d’interesse non vincolanti e lo stallo ha ripercussioni anche sull’indotto. L’ultimo incontro al Mise risale a metà luglio e i lavoratori interessati dalla vertenza sono 800, di cui oltre 350 in cassa integrazione straordinaria che scadrà a inizio 2020.
ABB – L’accordo sui 108 esuberi è stato raggiunto in estate: apertura della cassa integrazione straordinaria per cessazione attività (durata un anno) con l’impegno da parte dell’azienda di generatori con stabilimento a Vittuone, nel Milanese, a ricollocare tutti i lavoratori che decideranno di non accettare gli incentivi all’esodo e resteranno in azienda. Resta aperto anche il tavolo al Mise della Abb-Arkad, uno ‘spin off’ della casa madre creato il 1° gennaio 2018 nel quale sono stati fatti confluire 180 dipendenti tra Sesto San Giovanni e Genova. “Ma a distanza di 21 mesi commesse e ordini restano deficitari”, spiega il segretario lombardo della Fiom-Cgil Mirco Rota.
EX FRANCO TOSI – Poco meno di 200 lavoratori in cigo e un rilancio in via di definizione con l’alert dei sindacati per una mossa giudicata come un indizio negativo e risalente a inizio agosto. Quasi un mese fa il Gruppo Presezzi, che si è aggiudicato la storica azienda metalmeccanica di Legnano nel 2015, è stato l’unico a presentare un’offerta per l’acquisto dei terreni. Tutti? No. La proposta di acquisto era relativa solo a una porzione dell’area e quindi “il preambolo di un ridimensionamento”, temono i sindacati, in attesa di una convocazione da parte del Mise.

Tassi d’interesse negativi sui conti correnti: pro e contro dopo la mossa della Bce. - Marzia Redaelli

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Le nuove condizioni applicate dalla Banca centrale europea ai depositi degli istituti di credito rappresentano un fardello sui conti delle banche. E possono trasformarsi in un’arma a doppio taglio per i privati e pure per l’economia. Parola di economista.

I tassi di interesse negativi applicati dalla Banca centrale europea ai depositi degli istituti di credito sono un fardello sui conti delle banche. E possono trasformarsi in un’arma a doppio taglio per i privati e pure per l’economia, secondo alcuni economisti.

Il caso tedesco.
Grazie ai tassi negativi, in alcuni paesi europei è possibile ottenere finanziamenti a costo zero o addirittura con un guadagno (per esempio in Danimarca). Ma c’è anche il rovescio della medaglia: in Germania sta divampando la polemica sul trasferimento dei tassi negativi ai conti di tutti i clienti da parte delle banche (ora è possibile per i depositi sopra i 100mila euro). La querelle nasce dall’ipotesi abbozzata da Commerzbank, uno dei più grandi istituti in Germania, in vista di un ulteriore taglio sui depositi della Bce (ora a -0,4%) e per contrastare l’erosione degli investimenti a causa dei rendimenti sotto zero. I titoli di Stato emessi da Berlino, infatti, hanno ritorni negativi su tutte le scadenze, comprese quelle trentennali (si va dal -0,6% delle durate mensili al -0,2% di quelle a 30 anni).

Il Governo tedesco si è subito attivato per sventare l’eventualità, che ritiene dannosa per i piccoli risparmiatori: il ministro delle Finanze Olaf Scholz sta esaminando una proposta che impedisce alle banche di imporre tassi negativi sui conti correnti. L’associazione delle banche è insorta e invoca l’illegittimità costituzionale del provvedimento, oltre che paventare il rischio sistemico.

La situazione in italia.
In Italia le condizioni che aprirebbero a un trasferimento dei tassi negativi ai clienti sono meno evidenti. A causa del rischio Paese, infatti, i titoli del Tesoro hanno i rendimenti più appetibili nell’area euro (secondi ai greci) ma anche a livello globale, se si escludono gli emittenti dei Paesi emergenti e quelli considerati scarsamente affidabili. Tanto che le azioni delle banche italiane che hanno in pancia le obbligazioni tricolori sono penalizzate quando le quotazioni calano.

I Btp, i titoli di riferimento del nostro debito pubblico, pagano ancora un premio elevato ai compratori, a dispetto del miglioramento sull’onda della formazione di un nuovo Governo. La differenza di rendimento a 10 anni rispetto al Bund tedesco si è ridotta in poche sedute da sopra il 2% (200 punti base) a poco sopra l’1,7% (174 punti base): il rendimento del BTp sceso dall’1,8% del 9 agosto - con l’apertura della crisi di Governo - all’1% dei giorni scorsi ed è calato più di quello del Bund, che ha passato la soglia del -0,7%, già in vista da tempo. Il Bund comunque continua ad attrarre capitali per via dell’incertezza politica ed economica.

Tuttavia, la prospettiva di un rovesciamento completo delle parti tra chi paga e chi è remunerato per prestare soldi non è inverosimile in un mondo dove il 40% circa delle obbligazioni ha rendimento negativo e che sembra destinato a durare a lungo. «La maggior parte delle banche centrali - affermano Aditya Bhave e Ralph Axel di Bank of America Merrill Lynch - nell’ultimo decennio hanno mancato l’obiettivo di inflazione e i mercati vedono un rischio molto limitato di un rialzo dei tassi in risposta a un’esplosione dell’inflazione. Anche perché un atteggiamento espansivo corale e prolungato delle banche centrali le trasforma in attori non economici, che non rispondono più alle variazioni dei prezzi».

FENOMENO RENDIMENTI SOTTO ZERO
FENOMENO RENDIMENTI SOTTO ZERO

I limiti dei tassi negativi.
I tassi negativi potrebbero diventare un costo economico, anziché spronare investimenti e consumi, come teorizzato dall’effetto reddito e dall’effetto sostituzione. Se le banche trasferissero i tassi negativi ai clienti, i consumatori potrebbero rispondere consumando di più (effetto sostituzione) perché il contante perde valore nel tempo, un po’ come avviene con l’inflazione. Però l’erosione dei risparmi indurrebbe i consumatori a spendere meno (effetto reddito). «Secondo noi - concludono Bhale e Axel - i tassi negativi sui depositi sarebbero molto impopolari e potrebbero pesare sulla fiducia dei consumatori».


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Ministra con Trasporto. - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 7 Settembre.



Uno non fa in tempo a rallegrarsi perché la neoministra dell’Interno Luciana Lamorgese non sta su Facebook, Twitter e Instagram, e già gli tocca leggere le prime sparate di alcuni suoi colleghi. Ancora non sanno dov’è il loro ufficio, ma già annunciano o minacciano leggi, decreti, grandi opere e financo dimissioni. Nel primo Consiglio dei ministri, il premier Giuseppe li aveva pregati di “evitare sgrammaticature istituzionali”, che è il suo modo per dire “niente cazzate”. Poi quelli, appena usciti, han subito dato aria alla bocca. Si temeva che l’incontinenza verbale giocasse brutti scherzi a Di Maio&C., quelli della ola sul balcone e dell’abolizione della povertà. Invece la prima a sbracare è stata Paola De Micheli, reduce da un’imbarazzante esperienza di commissario alla ricostruzione del Centro-Italia, come se a quella povera gente non fosse bastato il terremoto. La neoministra dei Trasporti, che pare sempre in procinto di impugnare il mattarello e tirare la pasta dei tortellini, appena assisa sulla poltrona di Toninelli ne è stata subito contagiata e ha espettorato un’intervista a La Stampa tutta asfalto e cemento. Al confronto Lunardi, “ministro con Trasporto”, era un dilettante. In barba al programma appena sottoscritto, che subordina ogni opera a una seria analisi degli “impatti sociali e ambientali”, Lady Turtlèn ha annunciato che “ostacoli politici ai cantieri non ce ne saranno più” (come se prima ce ne fossero: Toninelli non ha bloccato nulla, purtroppo). Tav di qua, maxi-Gronda di là, forza Atlantia e, già che c’era, pure una parolina inutile su Alitalia (che tocca al Mise), Libia (affari Esteri), migranti e dl Sicurezza (roba del Viminale). Quanto alle analisi costi-benefici, fa trapelare la Paola sul Messaggero di Caltagirone, “verranno aggiornate e lette non in chiave ideologica, ma di sistema ”: vedi mai che 2 più 2 faccia 3. Il risultato, ovviamente, è un ribollio di rabbia tra i 5Stelle, costretti a mordersi la lingua per non mandarla al solito posto. E una garbata irritazione – per usare un contismo – di Conte, che s’era appena liberato dell’onniministro Cazzaro e se ne ritrova un altro in gonnella. Anzi due, perché pure Lorenzo Fioramonti è debole di prostata: mentre si recava nel nuovo ufficio, Mister Istruzione già minacciava di dimettersi se non avrà subito 3 miliardi sul suo tavolo (ancora mai visto). Per carità: come dice Vittorio Feltri su Salvini, “l’ora del coglione arriva per tutti”. Ma di questo passo saremmo meno ottimisti della De Micheli: “Se andiamo avanti così, faremo assieme molte cose buone per il Paese”. No, cara: se vai avanti così, non arrivate a fine mese.