martedì 8 ottobre 2019

Manovra, Istat: “Gli elevati livelli di evasione riducono crescita e competitività”. Bankitalia: “Incide su efficienza ed equità”.

Manovra, Istat: “Gli elevati livelli di evasione riducono crescita e competitività”. Bankitalia: “Incide su efficienza ed equità”

Il presidente Gian Carlo Blangiardo, in audizione sulla Nadef, ha ribadito quello che economisti, addetti ai lavori e istituzioni internazionali ripetono da anni: i soldi sottratti alle casse pubbliche da chi non paga le tasse contribuiscono ad affossare le prospettive di sviluppo. Il vice direttore generale di Bankitalia Signorini e la Corte dei Conti invece hanno avvertito che serve "cautela" nell'indicare come coperture i proventi dalla lotta all'evasione, che sono incerti.
dati contenuti nel rapporto sull’economia non osservata allegato alla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza mostrano “la persistenza di elevati livelli di evasione fiscale e contributiva, aspetti critici per il rafforzamento della capacità competitiva e di crescita del nostro paese e per l’efficacia e l’equità delle politiche pubbliche”. Il presidente Istat Gian Carlo Blangiardo, in audizione nelle commissioni Bilancio di Camera e Senato, ha ribadito quello che economisti, addetti ai lavori e istituzioni internazionali ripetono da anni: i soldi sottratti alle casse pubbliche da chi non paga le tasse contribuiscono ad affossare le prospettive di crescita dell’Italia. La relazione annuale presentata insieme alla Nadef quantifica il “tax gap” medio – cioè la differenza fra il gettito teorico e quello effettivo, che stima l’evasione fiscale – in 109,7 miliardi nel periodo 2014-2016.
Dal canto suo il vice direttore generale di Bankitalia, Luigi Federico Signorini, sempre nel corso dell’audizione ha sottolineato che “in Italia l’evasione sottrae all’erario una quantità elevata di gettito, ma il gettito mancato non è l’unica conseguenza dei comportamenti irregolari nei confronti del fisco. Chi evade riesce a offrire beni o servizi a un prezzo più basso rispetto ai concorrenti onesti; la connessa distorsione altera l’allocazione dei fattori della produzione, con conseguenze negative sull’efficienza, sulla produttività e sulla crescita. L’evasione si traduce in un inasprimento dei tributi per le aziende in regola, ostacolandone la competitività relativa; analogamente, l’aumento della pressione fiscale in capo ai contribuenti che adempiono correttamente agli obblighi fiscali pone un problema di equo trattamento dei cittadini, a maggior ragione se l’effetto di dichiarazioni infedeli si estende oltre il campo strettamente fiscale, per esempio alle agevolazioni o ai servizi sociali previsti per i meno abbienti. L’evasione insomma incide tanto sull’efficienza quanto sull’equità: ostacola il regolare funzionamento del mercato e altera i meccanismi redistributivi disegnati dalla legge. C’è, giustamente, ampio consenso sulla necessità di prendere misure efficaci per contrastarla.
Signorini però ha anche avvertito che serve “cautela” nella valutazione “dei risultati che si possono ottenere in un singolo anno nel contrasto all’evasione fiscale”da cui il governo conta di ricavare nel 2020 oltre 7 miliardi. “Gli effetti delle misure che si introducono e i loro tempi non possono essere quantificati in anticipo con certezza, ed è bene continuare a valutarne analiticamente, caso per caso, l’efficienza e l’efficacia, ed eventualmente fare le correzioni tecniche opportune”, ha spiegato Signorini. “In ultima analisi l’evolversi dei comportamenti dei contribuenti, che per lo più è graduale, ha un ruolo cruciale”.
D’accordo la Corte dei Conti secondo cui il ricorso “massiccio” per la copertura della manovra alla lotta all’evasione “rafforza le riserve su tale modalità di copertura”. “Sul fronte delle entrate, all’impegno per il riassorbimento di sacche di evasione ed elusione, dovrebbe necessariamente accompagnarsi un processo di riforma più complessivo, che risponda a criteri di equità e semplificazione del sistema e che restituisca un ambiente più favorevole alla crescita”. Considerate le dimensioni dell’evasione fiscale, stimata tra i 90 e oltre 100 miliardi, “sicuramente i margini d’intervento ci sono. Quello che noi abbiamo storicamente cercato di sottolineare è l’esigenza di una strategia coordinata, fatta di tante misure”, spiega il consigliere della Corte dei conti ed ex direttore dell’Agenzia delle entrate, Massimo Romano. “Non c’è uno strumento unico che risolve il problema ma una linea di interventi che devono avere una loro coerenza”.
L’auspicio è che si possano mettere in campo”, sottolinea Romano. L’utilizzo dei pagamenti elettronici “è un complemento, un pezzo di una strategia, non l’unica strategia possibile”.
Per quanto riguarda i dati macro della Nadef, l’Istat giudica “coerente” l’obiettivo di crescita programmatica fissato dal governo per il 2019, pari a +0,1%, “in assenza di perturbazioni derivanti da una significativa involuzione dello scenario internazionale”. Le previsioni complete sul 2020 verranno pubblicate il 4 dicembre. “Per un paese in cui il debito pubblico rappresenta uno dei principali fattori di fragilità, assicurare che la variazione abbia quanto meno il segno giusto è il minimo”, ha detto invece Signorini. “La situazione di questi anni è storicamente eccezionale. I tassi nominali sono i più bassi che si ricordino. Questa situazione va sfruttata per mettere il rapporto tra debito e prodotto su un sentiero di durevole discesa”. Per Signorini è necessaria una riforma fiscale complessiva e organica, fondata su un’attenta analisi che non può consistere nell’abbattere tutte le imposte. Nella definizione dei provvedimenti da adottare sarà opportuno prendere in considerazione in modo complessivo gli strumenti disponibili, incluse le imposte indirette”.
Quotazioni in borsa ed evasione fiscale non aiutano l'economia mondiale, ma contribuiscono a determinare una sostanziale differenza economica tra ricchi, sempre più ricchi perchè azionisti ed evasori fiscali, e poveri sempre più poveri perchè schiavi di chi non rispetta le regole. Cetta.

Germania, divario tra ricchi e poveri ai massimi storici. - Isabella Bufacchi

(Marka)

La disuguaglianza dei redditi è ai massimi storici in Germania. Nonostante dieci anni di crescita e un boom economico segnato dall’aumento dei salari, cresce il divario tra ricchi e poveri. Lo dice un rapporto uscito oggi della Fondazione Hans-Böckler.

La disuguaglianza dei redditi, il divario tra ricchi e poveri ha toccato un nuovo massimo storico in Germania. Dieci anni di crescita, un boom economico e l’aumento dei salari non sono riusciti ad arrestare la tendenza di una crescente disparità di reddito. Secondo un rapporto uscito oggi dell’Istituto Ricerca Economica e Sociale WSI della Fondazione Hans-Böckler vicina al mondo dei sindacati e della DGB (Deutscher Gewerkschaftsbund, la maggiore confederazione dei sindacati in Germania), la disparità di reddito disponibile ha continuato ad allargarsi tra il 2005 e il 2016: alla fine del 2016, il coefficiente di Gini, il noto metro per misurare la disuguaglianza, era superiore del 2% rispetto al 2005. Le famiglie povere sono sempre più al di sotto della soglia di povertà, si evidenzia inoltre nel rapporto. «Sempre più persone sono colpite dalla povertà in Germania», afferma WSI.

Due fattori spiegano il divario più ampio
Sono due i fattori principali, secondo i ricercatori, che hanno contribuito all’aumento della disuguaglianza negli ultimi anni: le persone ad alto reddito hanno tratto maggiore beneficio dai profitti aziendali e dai rialzi delle azioni in Borsa, «mentre la stragrande maggioranza delle famiglie in Germania è rimasta indietro». Il 40% delle famiglie con i redditi più bassi non è riuscito a tenere il passo con l’aumento della ricchezza delle famiglie più benestanti. Secondo il rapporto - che tiene conto del mercato del lavoro con una disoccupazione ai minimi storici e un’occupazione piena, della crescita economica dal 2010 e degli aumenti salariali - il reddito disponibile è salito per il ceto medio ma non per i più poveri, con grandi disparità di trattamento tra chi percepisce regolarmente lo stipendio e chi no.

Dorothee Spannagel, tra gli autori del rapporto WSI, riconosce che la disuguaglianza sta crescendo a un ritmo molto più lento rispetto all’inizio del 2000, perchè chi percepisce regolarmente uno stipendio ha avuto un aumento del reddito disponibile, al netto dell’inflazione. Ma anche il divario tra ceto medio e classi più povere sta aumentando. «Nonostante questa tendenza positiva, la polarizzazione in Germania continua - sostiene Spannagel.- Il settore delle retribuzioni molto basse continua ad essere molto ampio, mentre i super ricchi, cioè i multimilionari e miliardari, hanno tratto più beneficio dal boom della Borsa, dall’impennata dei prezzi nel mercato immobiliare, dagli alti profitti aziendali. La disuguaglianza riduce la partecipazione sociale e politica e compromette il funzionamento dell’economia sociale di mercato». La crescita economica degli ultimi anni non è dunque servita a ridurre la disparità tra ricchi e poveri: uno sviluppo macroeconomico positivo non è sufficiente per ridurre le disuguaglianze e la povertà, secondo Spannagel.

Ricchi più ricchi.
La stampa tedesca cita anche un recente studio dell'Istituto tedesco di ricerca economica DIW secondo il quale la ricchezza in Germania è distribuita in modo molto disomogeneo: l’1% dei tedeschi più ricchi ha quasi un quinto del patrimonio netto nazionale, il 10% ha il 56 per cento. Il 50% della popolazione è il ceto più povero, circa 40 milioni di persone. Tuttavia secondo DIW la disuguaglianza di ricchezza non è aumentata negli ultimi dieci anni in Germania.

Le soluzioni. Dorothee Spannagel della Fondazione Böckler indica tra le tante soluzioni, una tassazione più alta per la popolazione con i redditi più elevati e un aumento dei salari minimi.
Il coefficiente di Gini. La ricerca tiene conto del coefficiente di Gini, l’indicatore più comune della distribuzione del reddito con valori compresi tra zero (tutte le famiglie hanno lo stesso reddito) e uno (una singola famiglia ha l'intero reddito nel Paese). Alla fine del 2016, il coefficiente Gini del reddito familiare disponibile in Germania era di 0,295 con un aumento del 19% della disuguaglianza rispetto alla fine degli anni '90 quando il Gini era poco meno di 0,25 e comunque in aumento rispetto allo 0,289 del 2005. La disuguaglianza in Germania è aumentata molto rapidamente alla fine degli anni '90 e nella prima metà degli anni 2000.

Tangenti Lombardia, i verbali su Mascetti: “Finanziava la Lega. Nel Carroccio non c’è una persona che prende soldi direttamente”.

Tangenti Lombardia, i verbali su Mascetti: “Finanziava la Lega. Nel Carroccio non c’è una persona che prende soldi direttamente”

Agli atti dell'inchiesta della procura di Milano sono stati depositati alcuni verbali di Alberto Bilardo, ex segretario di Forza Italia a Gallarate: "Mascetti è una persona di fiducia dell’onorevole Giorgetti ed è sponsorizzato da quest’ultimo". Il riferimento è per Andrea Mascetti, consigliere di amministrazione indipendente nel board di Banca Intesa Russia. Laura Bordonaro, ex manager della società partecipata Accam: "E' il professionista maggiormente sponsorizzato da parte degli esponenti leghisti".
Nella Lega non c’è una persona che prende soldi direttamente, ma c’è una suddivisione degli incarichi, ad esempio quando Mascetti prende un incarico poi fa lavorare altri professionisti”. A sostenerlo Alberto Bilardo, ex segretario di Forza Italia a Gallarate , in provincia di Varese, e uno degli uomini più vicini a Nino Caianiello, il presunto burattinaio nella maxi indagine della Dda di Milano su un sistema di tangenti e nomine pilotate. Il Mascetti citato da Bilardo è Andrea Mascetti, avvocato varesino e consigliere di amministrazione indipendente nel board di Banca Intesa Russia. Arrestato e interrogato il 10 giugno scorso, il verbale di Bilardo è tra le migliaia di pagine di atti depositati dopo la chiusura dell’inchiesta per 71 indagati. Secondo Bilardo, Mascetti “è una persona di fiducia dell’onorevole Giorgetti ed è sponsorizzato da quest’ultimo”. Caianiello, ha spiegato Bilardo, “mi aveva detto del ruolo importante che Mascetti ricopriva nella provincia di Varese in quanto deteneva le leve economiche. Mascetti ha preso molti incarichi dal comune di Gallarate”. Informazioni già anticipate dal Fatto Quotidiano nel luglio del 2019.
“Nella Lega c’è suddivisione di incarichi” – In relazione agli incarichi in Accam, una società partecipata di Varese, “faccio presente – ha messo a verbale Bilardo – che vi era la necessità di nominare il il presidente dell’Odv (organismo di vigilanza, ndr), nomina che spettava alla Lega che nominò il predetto Mascetti per tale incarico. Per gli altri due posti di componenti dell’Odv – ha aggiunto – gli stessi spettavano a Forza Italia“. E ancora: “Verso la fine del 2017, Caianiello mi disse, a tal riguardo, che ‘bisognava fare il Natale, frase con la quale voleva dire che bisognava contattare i professionisti per recuperare del contante”, ossia le cosiddette “retrocessioni” da parte di coloro che avevano ottenuto gli incarichi. Bilardo ha raccontato ancora che “per la nomina di un legale presso il Comune di Gallarate”, in sostituzione di un altro avvocato, “c’era da fare i conti con la Lega” e “venne fatta una riunione verso la fine del 2016” e il Carroccio propose “l’Avv. Mascetti”. Il nome di Mascetti è stato citato più volte anche nel cosiddetto Russiagate. Durante la famosa conversazione all’hotel Metropol, uno degli italiani cita Banca Intesa e spiega ai russi che la Lega aveva “un uomo lì dentro chiamato Mascetti”. “Dopo questo incontro dobbiamo parlare con il tizio che inizia con Ma e finisce con etti in modo che si incontrino dopo che i fondamentali sono chiusi”.
“Mascetti finanziava la Lega” – A parlare di Mascetti, è anche Laura Bordonaro, ex manager della società partecipata Accam arrestata lo scorso maggio (ora è tornata in libertà). “Mascetti è il professionista maggiormente sponsorizzato da parte degli esponenti leghisti, ricoprendo plurimi incarichi presso società pubbliche. Da più parti viene indicato come una persona che significativamente finanziava il partito della Lega anche mediante associazioni che a lui facevano capo quali ad esempio Terra Insubre“, ha detto la donna, che interrogata dal pm Luigi Furno, ha spiegato di non essere a conoscenza se esistesse o meno anche in “area della Lega” un “sistema analogo a quello (…) degli incarichi pilotati nei confronti del professionisti” attribuito all’ex coordinatore di FI di Varese Gioacchino Caianiello. Bordonaro nel parlare di Mascetti al pm ha precisato che le era “stato presentato durante un incontro da Matteo Bianchi“, ex segretario leghista sempre di Varese e da Caianiello” con il quale, “pur essendo esponente della Lega, ha buoni rapporti (…) avendo personalmente constatato che durante le elezioni amministrative del 2019 si sentivano spesso per accordi sui vari candidati sindaci”. Nello stesso verbale la ex manager ha anche spiegato che Mascetti “è stato indicato in quota Lega” nell’organismo di vigilanza di Accam, la società che si occupa di smaltimento rifiuti per 27 comini tra l’Alto Milanese e il Varesotto, e che “la sua candidatura è stata caldeggiata anche dallo stesso Caianiello”. 
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lunedì 7 ottobre 2019

RENZI, CAROFIGLIO, MAZINGA E IL MONNI. - Andrea Scanzi

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Venerdì, a Otto e mezzo, Carofiglio ha ribadito il concetto antico (tra gli ex renziani) secondo cui Renzi “ha un gran talento, ma non sa gestirlo”. La solita analisi autoassolutoria. Renzi è sempre stato così, e in tutta onestà bastava guardarlo: un concentrato politicamente improponibile di provincialismo, faciloneria, insipienza, mestizia caricaturale, berlusconismo e bulimica tendenza alla bugia. Dire che Renzi “ha tanto talento” è come dire che Duarte piscia in testa a Nesta e Baresi. Avete preso una cantonata allucinante: ammettetelo e stop. Chi lo ha appoggiato per anni, peggio ancora se intellettuale, dovrebbe ammettere un errore così marchiano, che ha permesso a un tipo simile di devastare il centrosinistra. Nulla è stato politicamente peggiore di Renzi da Berlusconi in poi: gli anni renziani sono stati indecenti, e se il 4 dicembre 2016 avesse vinto il “sì”, avremmo vissuto anni tremendi. (Intendo più di questi).

Ora Renzi fa il “fenomeno” (cit. Conte) e cannoneggia il Mazinga. Era ovvio che lo facesse, da dentro o fuori il Pd nulla cambia. Ha creato il tremebondo ossimoro Italia Viva unicamente per farsi intervistare come leader di qualcosa. Anche solo di una conventicola accreditata se va bene (?) del 4%. La Diversamente Lince di Rignano è il più grande rischio del Mazinga: ha contribuito a farlo nascere e, se non lo farà (per ora) cadere, sarà solo per paura delle elezioni: non si vota neanche da solo ed è giustamente il “leader” più odiato dagli italiani. Quindi (per ora) aspetta, ma nel frattempo straparla, con quella mimica da Panariello minore comicamente convinto d’essere figo. In questi giorni prima si è accreditato il merito di non avere aumentato l’IVA (che nessuno voleva aumentare) e poi se l’è presa coi pochi soldi destinati alla riduzione del cuneo fiscale (che sono pochi perché Italia Viva e M5S si sono rifiutati di alzare dell’1% l’aliquota per chi usa contante e non moneta elettronica). Renzi è cioè riuscito a dire in due giorni due cose diametralmente opposte: come sempre. Nel frattempo il caso Consip va avanti, come aveva sempre vaticinato il Fatto, ma pochi ne parlano perché Il Cazzaro Rosè resta ancora amato (solo) da non pochi giornaloni e tivù, sempre più fuori dal mondo e dalla realtà.
Si potrebbe andare avanti a lungo, ma la sostanza è più o meno questa. 
1) Renzi e Salvini sono le due facce della stessa medaglia. 2) Renzi è la più grande iattura politica abbattutasi sulla sinistra italiana (con cui ovviamente nulla c’entra). 
3) La sbornia e la deferenza avuta da troppi italiani (anche “famosi”) per questo gazzilloro irricevibile resteranno nei secoli un’onta nazionale. 
4) Infine. Per dirla ironicamente - e si perdoni il francesismo - con una massima dell’amatissimo Monni, lui sì toscano vero e brutale come solo i migliori toscani sanno essere: “tu sei come la fava, sempre in mezzo ai coglioni”. Amen.

Fatture false, genitori Renzi condannati a 1 anno e 9 mesi. - Paolo Martini

Fatture false, genitori Renzi condannati a 1 anno e 9 mesi

Un anno e nove mesi di reclusione (pena sospesa) per Laura Bovoli e Tiziano Renzi, genitori dell'ex premier Matteo Renzi, e due anni per l'imprenditore Luigi Dagostino. E' questa la sentenza emessa oggi pomeriggio dal tribunale di Firenze al termine del processo per due fatture false emesse dalla Party srl (da 20mila euro più Iva) e alla Eventi 6 srl (140mila euro più Iva), società imprenditoriali gestite dai coniugi Renzi. Dagostino era accusato, oltre che di fatture false, anche di truffa aggravata, perché avrebbe pagato i coniugi di Rignano sull'Arno (Fi) per lavori inesistenti.

Il giudice Fabio Gugliotta ha accolto in piene le richieste del pm Christine Von Borries nei confronti dei Renzi. L'accusa aveva invece chiesto 2 anni e 3 mesi per Dagostino, che è stato condannato anche al pagamento dei danni alle parti civili e delle spese processuali. Renzi e Bovoli sono stati, inoltre, interdetti per sei mesi da incarichi direttivi nelle imprese e per un anno dai pubblici uffici e dal trattare con la pubblica amministrazione. Il giudice ha concesso la sospensione condizionale della pena.
"Abbiamo comunicato la notizia ai nostri assistiti, che sono molto sereni, molto tranquilli. Quello che dovevamo dire lo abbiamo detto e lo abbiamo scritto in una memoria consegnata al giudice. Aspettiamo le motivazione della sentenza e poi faremo assolutamente ricorso", ha commentato l'avvocato Lorenzo Pellegrini, uno dei difensori dei coniugi Renzi. Il difensore di Dagostino, l'avvocato Alessandro Traversi, ha detto dopo la sentenza: "Aspettiamo le motivazioni della sentenza per capire le ragioni per le quali le fatture sono state ritenute relative a operazioni non effettivamente esistenti. Ovviamente ricorreremo in appello".
Lo stesso Tiziano Renzi ha commentato: "Ho il dovere di credere nella giustizia italiana, oggi più che mai. E continuo a farlo anche se con grande amarezza. Perché i fatti sono evidenti: il lavoro che mi viene contestato è stato regolarmente svolto, regolarmente fatturato, regolarmente pagato. Nessuno può negare questo e sono certo che i prossimi gradi di giudizio lo dimostreranno. Nell’attesa presenteremo immediatamente l’appello. Almeno è stato appurato che non c’è un neanche un centesimo di evasione: passerò i prossimi anni nei tribunali ma dimostrerò la totale innocenza".
I fatti al centro delle indagini risalgono al 2015, quando l'imprenditore Luigi Dagostino, anch'egli a giudizio con l'accusa di false fatturazioni e, nel suo caso, anche truffa, era amministratore delegato della Tramor, società di gestione dell'outlet del lusso The Mall di Leccio di Reggello (Firenze), e avrebbe incaricato le società Party ed Eventi 6, entrambe facenti capo ai Renzi, di studi di fattibilità per lavori all'outlet.
Le fatture considerate false e oggetto del processo, perché secondo l'accusa non corrisponderebbero a prestazioni realmente effettuate, sono due: una da 20mila e l'altra da 140mila euro più Iva. Le fatture vennero pagate alla società Party srl (quella da 20mila euro) e alla Eventi 6 srl (quella da 140mila euro) nel luglio 2015.
Secondo la procura la fattura da 140 mila euro per progetti di fattibilità su aree ricreative e per la ristorazione all'outlet del lusso 'The Mall' sarebbe per consulenze pagate ma non realizzate L'altra fattura da 20 mila euro risulta emessa dalla Party srl (unica fattura emessa dalla Party nel 2015), società fondata da Tiziano Renzi (con il 40% della quote) e dalla Nikila Invest, srl amministrata da Ilaria Niccolai (60%), compagna dell'imprenditore Luigi Dagostino.
Durante il dibattimento in aula, un consulente tecnico citato dalla difesa, il commercialista Francesco Mancini, rispondendo alle domande di uno dei legali di Laura Bovoli, avvocato Francesco Pistolesi, aveva affermato che le due fatture oggetto del processo furono regolarmente contabilizzate e non provocarono alcun danno all'Erario.
D'Agostino, rilasciando dichiarazioni spontanee, aveva detto di non aver emesso "nessuna fattura falsa" e di non aver "truffato nessuno", sostenendo di essere rimasto perplesso per l'importo delle fatture ma di aver "subito la sudditanza psicologica" per il fatto che "i coniugi Renzi erano i genitori del presidente del Consiglio" e quindi "ho ritenuto di non contestarle". Il legale dei Renzi, l'avvocato Federico Bagattini, aveva replicato affermando che "se avesse ritenuto quelle fatture troppo alte per il lavoro svolto avrebbe dovuto non pagarle".
Il padre e la madre di Matteo Renzi avevano scelto, invece, di non presentarsi in aula ma, tramite i loro legali, hanno depositato due memorie scritte. Nelle memorie difensive "i coniugi Renzi - spiegò Bagattini - hanno sostenuto quello che i loro difensori hanno già anticipato, e cioè che le due fatture sono assolutamente vere, relative a prestazioni effettivamente eseguite, e che tutte le tasse e le imposte relative a questa fatturazione sono state regolarmente versate".
"Ho sempre lavorato e dato lavoro: non ho avuto bisogno di avere il figlio premier per lavorare" e "chi dice il contrario mente" scrisse Tiziano Renzi in un passaggio della memoria consegnata al tribunale. "Non c'è nessuna fattura falsa - proseguiva Tiziano Renzi - solo tante tasse vere, tutte pagate fino all'ultimo centesimo: questo è oggettivamente esistente". Mentre Laura Bovoli aveva scritto che "non sono abituata alle telecamere e vivo con profondo disagio tutto ciò che è accaduto negli ultimi mesi" in cui "sono passata da cittadina irreprensibile a criminale incallita" e "da nonna premurosa al 'lady truffa'".
Nel febbraio scorso Tiziano Renzi e Laura Bovoli, accusati di bancarotta fraudolenta e false fatture, erano finiti agli arresti domiciliari nell'ambito di un'altra inchiesta della procura fiorentina sul fallimento di alcune cooperative che facevano capo a loro. Misura poi revocata l'8 marzo dal tribunale del riesame.
Durante la requisitoria di oggi, il pm Von Borries ha puntualizzato , sollevando le riserve dei legali degli imputati, che la fattura di 20mila euro alla società Party fu pagata da Luigi Dagostino il 17 giugno 2015, lo stesso giorno in cui l’imprenditore pugliese fu ricevuto a Palazzo Chigi. Il pm ha citato un atto estraneo al processo fiorentino e relativo a un’inchiesta della Procura di Trani da cui emerge che nel 2015 Dagostino si era rivolto a Tiziano Renzi, che aveva conosciuto l'anno precedente, per chiedergli di fissare un appuntamento presso la Presidenza del Consiglio dei ministri con l'allora sottosegretario Luca Lotti, considerato il braccio destro di Matteo Renzi.
L'incontro a Palazzo Chigi avvenne il 17 giugno 2015 e durò, secondo la ricostruzione del pm fiorentino, circa 40 minuti. Nello stesso giorno Dagostino saldò la fattura a Bovoli. All’incontro nell’ufficio di Lotti a Palazzo Chigi, ha precisato il pm Von Borries, intervennero anche Antonio Savasta, all’epoca pm a Trani, e l’avvocato Ruggero Sfrecola. A sollecitare l’incontro a Dagostino con Lotti sarebbe stato il suo avvocato. In quel periodo Savasta indagava su un giro di fatture false in Puglia che coinvolgeva anche Dagostino. Il pm Von Borries ha anche ricostruito "i tanti incontri incastrati con l’emissione delle fatture false" tra Tiziano Renzi e Dagostino, avvenuti soprattutto a Roma con esponenti della politica e "anche con pubblici ufficiali".
L'incontro che il magistrato pugliese Antonio Savasta ebbe con Luca Lotti a Palazzo Chigi era annotato anche nell'agenda dell'imprenditore Dagostino, ha precisato Von Borries, Altri incontri, secondo la ricostruzione del pubblico ministero Von Borries, avvennero nell'estate 2015 e "si intersecarono" con la data del 22 luglio, quando venne pagata alla Eventi 6 la fattura da 140mila euro per una consulenza. Il pm ha citato, tra gli altri, gli incontri con il senatore Nicola Latorre e uno con il magistrato Cosimo Bottazzi, che sarebbero avvenuti alla presenza sia di Tiziano Renzi che di Dagostino.
L'incontro tra Dagostino e Lotti "non c'entra assolutamente nulla: è una coincidenza temporale, che non è esposta nel capo di imputazione e che quindi non ha il benché minimo riferimento e rilevanza rispetto a questa vicenda", ha commentato l'avvocato Federico Bagattini, difensore di Tiziano Renzi. "E' una coincidenza che crea una suggestione e che fa fare delle domande ma che ai fini del processo non vuol dire assolutamente nulla", ha aggiunto il legale. "D'altro canto il fatto di avere rapporti personali di amicizia, conoscenza e frequentazione tra Tiziano Renzi e Luigi Dagostino non fa sì che questo tipo di rapporto generi rapporti illeciti e fatture false", ha concluso Bagattini.
Sempre a proposito dell'incontro Dagostino-Lotti, il difensore dell'imprenditore, avvocato Alessandro Traversi, ha commentato dopo la sentenza: "E' oggetto di altri eventuali procedimenti. In questo processo non c'è nessun atto che faccia riferimento a quello di cui ha parlato la pm questa mattina. Infatti gli abbiamo contestato la non conferenza di questi richiami a palazzo Chigi, a Lotti, a Sfrecola a Savasta. Sono oggetto di altre indagini e altri procedimenti che qui assolutamente non hanno nessuna attinenza con questo processo".

sabato 5 ottobre 2019

Conte: “Se Renzi ha bisogno di rimarcare uno spazio ogni giorno, ci precluderà di andare avanti. E’ inaccettabile”.

Conte: “Se Renzi ha bisogno di rimarcare uno spazio ogni giorno, ci precluderà di andare avanti. E’ inaccettabile”

Il presidente del Consiglio, intervistato dal Corriere della sera, ha ribadito l'avvertimento all'ex premier Pd. Ma alla domanda se "così si torna a votare", commenta: "Siamo partiti adesso. Gli italiani vogliono una squadra che lavori per loro non per se stessi". La replica del leader di Italia viva: "Noi proponiamo idee, non siamo contro il governo".
“Se Renzi ha bisogno di rimarcare uno spazio politico e ogni giorno ripropone questa logica, questo ci precluderà di poter andare avanti. È inaccettabile”. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte non si è limitato a criticare le accuse di Matteo Renzi sui pochi soldi destinati al taglio del cuneo fiscale, ma, intervistato dal Corriere della sera ha dato un vero e proprio avvertimento arrivando a minacciare che, se dovessero continuare le tensioni, sarebbe l’esecutivo stesso a essere messo in pericolo. Però a proposito delle dichiarazioni di Zingaretti secondo il quale, così il governo dura poco e si torna a votare, Conte ha ricordato: “Cosa significa andare a votare? Siamo partiti adesso. C’è un mondo che aspetta lì fuori. Avete sentito cosa vogliono i cittadini? Vogliono la soluzione ai loro problemi”. Ma soprattutto “vogliono una squadra di governo che lavori per loro, non per se stessi”.
Lo scontro è iniziato ieri mattina, dopo che Renzi ha scritto una lettera al Corriere della sera lamentando che, rispetto a quando era lui a Palazzo Chigi, sono stati messi “spiccioli” per i lavoratori. Oggi l’ex premier e leader degli scissionisti dal Pd è intervenuto su Facebook: “Italia Viva studia le carte, lancia proposte, trova coperture. Propone idee insomma. Questa è la prima novità da quando c’è Italia Viva: si discute di tasse e asili nido, non di mojito e alleanze. Noi non siamo contro il governo, anzi: ma noi siamo contro l’aumento delle tasse. E lo abbiamo spiegato bene”.
Intervistato dal Corriere della sera, il premier ha ribadito quanto già dichiarato ieri davanti ai cronisti: “Non abbiamo bisogno di fenomeni”. Per Conte, Renzi sull’Iva “è scorretto, mistifica la realtà” e sul cuneo fiscale “non parlerei di pannicello caldo. Abbia rispetto per i lavoratori, sono 40 euro di beneficio medio. Se per lui, che ha uno stipendio consistente, sono pochi, allora per carità…”. La soluzione invocata è naturalmente quella di lavorare “con spirito di squadra”. Conte non pensa a “un patto singolo con Renzi, non è nella mia cultura”. Non ha difficoltà “a incontrare Renzi da leader di una forza politica. Ma al tavolo io parlo con i ministri e i capidelegazione, perché quella è la mia squadra”.
Venendo al Piano di Di Maio e Bonafede sui rimpatri, presentato proprio venerdì 4 ottobre, il presidente del Consiglio ha dichiarato che “il lavoro della Farnesina mi era stato anticipato, lo avevano comunicato alle forze politiche”. Per quanto riguarda infine l’interrogazione della Lega sui suoi presunti conflitti di interesse: “Mi auguro che Salvini, invece di dilettarsi andando a recuperare questioni superate, faccia opposizione offrendo proposte credibili e non annunciando la flat tax al 15% per tutti, oppure una manovra da 100 miliardi”. Rispetto al caso degli 007 e dei contatti con gli Usa, Conte ha detto di non aver ancora riferito al Copasir perché la commissione “deve sostituire un componente, quindi il collegio non può operare, sennò avrei chiesto io di andare a parlare”. Nel merito della questione, “non è stata commessa alcuna anomalia. Si sta speculando ingiustamente”. Infine un commento sull’alleanza M5s-Pd in Umbria: “Sarà un voto rilevante e abbiamo un ottimo candidato, ma è un po’ esagerato parlare di laboratori. C’è un progetto politico che va costruito”.

Santa Prescrizione. - Marco Travaglio FQ 5 ottobre


Vi chiedo un po’ di comprensione, perché sto per tentare di spiegare la posizione di Pd e (Forza) Italia Viva sulla prescrizione.
Antefatto: un anno fa la maggioranza M5S-Lega approva la Spazzacorrotti del ministro Bonafede, che contiene lo stop alla prescrizione alla sentenza di primo grado. La Lega tenta di opporre resistenza, ma poi deve arrendersi in ossequio al contratto di governo.
Salvini (cioè la Bongiorno, che ci capisce e di prescrizione campa dal processo Andreotti spacciato per assoluzione) ottiene solo che la norma valga per i reati commessi dal 1° gennaio 2020, così da avere un anno per vararne un’altra che fissi regole più precise sulla durata dei processi. Cioè la riforma della Giustizia che Bonafede presenta in luglio: lì però gli equilibri nella maggioranza si sono ribaltati, con la Lega che ha raddoppiato i voti e il M5S che li ha dimezzati alle Europee.
E Salvini (cioè la Bongiorno) ha altre priorità, tutte porcate di stampo berlusconiano: “Punire i giudici che sbagliano” (quelli che han beccato Savoini, Siri, Arata, Rixi, Fontana e altri compari col sorcio in bocca), spaventarli con la separazione delle carriere, depenalizzare l’abuso d’ufficio, imbavagliare i giornali sulle intercettazioni e soprattutto annullare la blocca-prescrizione.
I 5Stelle e Conte resistono e la riforma della giustizia si arena in un drammatico Consiglio dei ministri: l’ultimo prima delle vacanze e la crisi alcolica del Papeete. Proprio ai “no” del M5S sulla giustizia (cioè sull’ingiustizia) Salvini attribuirà la fine del governo. A quel punto prima Renzi e poi tutto il Pd si rimangiano un anno e mezzo di popcorn e convolano a giusto governo con i 5Stelle per chiudere – possibilmente – l’era Salvini.
Bonafede resta Guardasigilli e tira un sospiro di sollievo: ora finalmente potrà riformare la giustizia per abbreviare i processi senza il solito Salvini (cioè la Bongiorno) che rompe i coglioni per tornare all’Era B. sulla prescrizione. E invece, sorpresa: il Pd e Renzi iniziano a rompere i coglioni per tornare all’Era B. sulla prescrizione, con le stesse richieste e argomentazioni (si fa per dire) di Salvini (cioè della Bongiorno).
La richiesta ufficiale è quella di accorciare prima i processi per evitare che un imputato resti tale a vita, e solo dopo bloccare la prescrizione. Roba da Comma 22: la prescrizione bloccata è già da un anno legge dello Stato, dunque per modificarla ci vorrebbe una nuova legge (che Lega e FI sarebbero felici di approvare); invece la riforma del processo è un ddl mai approvato nemmeno in Consiglio dei ministri (nel Conte-1 per i no della Lega, nel Conte-2 per i no di Pd&Iv) Se Pd e Iv vogliono approvarlo, non hanno che da approvarlo: invece dicono che non lo approvano perché prima bisogna bloccare il blocco della prescrizione, che però è già legge.
Cioè pretendono che Bonafede e tutti i 5Stelle se la rimangino per farne una opposta a quella di un anno fa (approvata persino dalla Lega, che poi ci ripensò fuori tempo massimo). Cioè per fare ora ciò che non vollero fare tre mesi fa, a costo di far cadere il Conte-1 e dar vita al Conte-2 che doveva cancellare le vergogne salviniste e invece si ritrova ricattato da identiche vergogne piddin-renziste.
La situazione è talmente surreale che nessuno può credere a ciò che dicono il Pd e Renzi: i quali, diversamente da B. e Lega che la dimezzarono nel 2005 con l’ex Cirielli, hanno sempre tuonato contro la prescrizione. E sempre promesso di bloccarla alla sentenza di primo grado o addirittura al rinvio a giudizio.
Nel 2014 Renzi affidò al pm Nicola Gratteri la presidenza della Commissione per la riforma della giustizia (formata anche da Davigo e Di Matteo), che propose di fermare la prescrizione financo alla richiesta di rinvio a giudizio. E il 20 novembre, quando il processo Eternit finì col solito colpo di spugna per il fattore-tempo, Renzi tuonò: “Cambieremo le regole sulla prescrizione, perché non è possibile che le regole facciano saltare la domanda di giustizia. Non ci dev’essere modo di chiudere la partita velocemente perché tanto la domanda di giustizia viene meno: no, la domanda di giustizia non viene meno”. Parole sante, a cui però seguì il nulla, cioè un brodino del ministro Orlando.
Nel 2015-2016 il capogruppo Pd in commissione Giustizia, Lumia, e i relatori Cucca e Casson presentarono emendamenti per fermare la prescrizione al rinvio a giudizio o alla sentenza di primo grado. E i 5 Stelle, pur favorevoli alla prima opzione, si dissero disposti a votare la seconda. Ma poi il governo Renzi, agli ordini di Alfano e Verdini (ci siamo capiti), li fece ritirare.
Ora Alfano e Verdini non sono più al governo, e neppure Salvini e B. Così, non potendo più nascondersi dietro i trompe l’œil, Pd e renziani escono allo scoperto e dicono coram populo: il Partito della Prescrizione siamo noi. Senza Santa Prescrizione protettrice dei lestofanti, mezza classe dirigente sarebbe in galera e l’altra mezza ci finirebbe presto.
Una sola preghiera: non ci raccontino che lo fanno per difendere i poveri imputati assolti in primo grado (che, per la Costituzione, sono “presunti non colpevoli” esattamente come i condannati in primo grado, salvo che si abolisca il grado di appello); o per evitare che qualcuno resti imputato a vita. Lo sanno tutti che i processi sono eterni anche perché i colpevoli la tirano in lungo per strappare la prescrizione: senza quella malsana aspettativa, i colpevoli patteggerebbero pene scontate (in tutti i sensi) senza nemmeno iniziare i processi. Il che sveltirebbe ipso facto la giustizia per tutti: soprattutto per gli innocenti, gli unici che hanno interesse a fare in fretta.
Chi difende la prescrizione abbia il coraggio di confessare papale papale che lo fa per i colpevoli: i nomi, anche se non ce li dice, li conosciamo.