I primi 2 mesi: I “ministri ombra” del Fatto Quotidiano giudicano, dicastero per dicastero, gli errori, le scelte fatte e quelle da fare dell’esecutivo 5S-Pd-Leu-Iv.
Un governo si giudica da quello che fa e non fa, in base a quello che può fare nelle condizioni date e in rapporto a quello che faceva chi c’era prima e da quello che potrebbe fare chi verrà dopo. Il Conte 2 – che in questo inserto i nostri “ministri ombra” giudicano dicastero per dicastero – è nato due mesi fa in 10 giorni fra tre forze politiche (poi diventate quattro) che si erano combattute e insultate fino al giorno prima. Ma collegate da alcuni esili fili comuni: la necessità di formare l’unica maggioranza parlamentare possibile per non darla vinta alla pretesa di Salvini di votare subito per prendere il potere, anzi i “pieni poteri”; l’esigenza di dare all’Italia una manovra di Bilancio per evitare l’esercizio provvisorio, neutralizzare l’aumento dell’Iva, placare gli speculatori e dunque lo spread; l’opportunità di sedere al tavolo della nuova Commissione Ue; la volontà di governare sino a fine legislatura, di rispondere all’ansia di novità più volte espressa dagli italiani con un cambiamento diverso da quello di una “destra” troglodita e sfasciatutto e, nel frattempo, di preservare il Quirinale da un B. o da una Casellati.
Viste le premesse, un livello minimo di litigiosità e renitenza fra i giallorosa era fisiologico. Ma, dopo l’arrivo del partitucolo renziano, le conseguenti convulsioni nel Pd e l’aggravarsi post-Umbria del marasma nei 5Stelle, quel livello è diventato patologico e cacofonico. Una rissa quotidiana che si manifesta più sui giornali e in tv che nei Consigli dei ministri, ma che sta oscurando le cose buone fatte o almeno impostate nei primi 60 giorni. Tant’è che è bastata la crisi dell’Ilva, chiaramente estranea a responsabilità del Conte 2, e anche del Conte 1 (nato quando il contratto con Arcelor Mittal era purtroppo irreversibile), per metterlo in pericolo. Ora i giallorosa sono a un bivio: o staccano la spina e vanno volontariamente al macello delle urne, consegnando i pieni poteri a Salvini; o la piantano di segare l’albero su cui sono (e siamo) seduti. Approvando senza stravolgerla la legge di Bilancio, la migliore con le poche risorse disponibili. E subito dopo riunendosi in conclave per mettere a punto un programma più dettagliato: un vero contratto come quello che tiene in piedi le Grosse Koalition tedesche, che vincoli i quattro partiti ad approvarlo nei termini e nei tempi previsti, senza consumarsi a ogni provvedimento in eterne discussioni a Palazzo Chigi e poi di nuovo sui media. Conte ha già dimostrato di essere non solo l’unico, ma anche il migliore premier possibile di questa maggioranza (chi si era scordato la sua lezione a Salvini del 20 agosto in Senato se l’è ricordata l’altroieri vedendolo a Taranto fra gli operai dell’ex Ilva). E Mattarella ha già fatto sapere che questo sarà l’ultimo governo della legislatura. Dopo ci sono soltanto le urne, cioè Salvini.
I giallorosa se ne facciano una ragione e comincino a comportarsi come i conducenti di un treno che deve viaggiare per tre anni e mezzo, accantonando i social e i sondaggi e ponendo le basi per quei risultati che, per essere veri, necessitano di una prospettiva di anni, non di giorni o settimane. Altrimenti, se hanno in mente altri mesi di lenta agonia, dicano subito chiaro e tondo che preferiscono finirla qui. Se il futuro che hanno in mente per l’Italia è un governo Salvini con pieni poteri, è inutile rimandarlo: prima arriva, prima ce ne liberiamo.