Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
domenica 26 aprile 2020
Lottizzazione selvaggia a Mps. Nel cda pure il suo fornitore. - Giorgio Meletti e Carlo Tecce
Renzi piazza l’amico Bassilichi, che fa affari con Siena. Il Tesoro (azionista) lo sa?
La notte del 21 novembre 1986 il governo Craxi celebrò una porcheria destinata a passare proverbialmente alla storia come la “notte delle nomine”, in cui furono lottizzate 108 poltrone di vertice di 60 banche (allora erano quasi tutte pubbliche). Umiliando il governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi, i partitocrati imposero alla presidenza della Cariplo un parlamentare dc, Roberto Mazzotta. Ora viene il sospetto che lunedì scorso, nella concitata notte delle nomine in miniatura – allora si scontrarono Ciampi e Giuliano Amato, oggi i frontmen sono Riccardo Fraccaro e Roberto Gualtieri – sia stato battuto ogni record di irresponsabilità. E che gli stessi cacciatori di teste, profumatamente retribuiti per far finta di vagliare i curriculum, si siano adattati al clima da “un, due, tre, casino!” in cui sono state partorite le liste.
Solo così si spiega – ma è solo un esempio tra i tanti – la designazione per il cda del Monte dei Paschi di Siena di Marco Bassilichi, 54 anni, imprenditore fiorentino di solida tradizione familiare, con riconosciuta competenza nel settore bancario e un difetto stranamente sfuggito ai tenutari del suk: è uno dei principali fornitori della banca che l’azionista, il ministro dell’Economia Gualtieri, ha chiamato ad amministrare.
Lunedì allo scoccare della mezzanotte, i partiti di maggioranza hanno concordato col Tesoro le liste per i cda di Eni, Enel, Poste e Leonardo, a tempo quasi scaduto, e approvato una bozza per quella di Mps, da depositare invece giovedì. In due giorni lo schema ha retto, soltanto un nome è saltato: fuori l’ingegnere Salvatore Manzi, che fu indicato dal governo Renzi nel consiglio di sorveglianza di StMicroelectronics, una società mista italo-francese, dentro Marco Bassilichi, accolto negli elenchi da Pd e 5S senza fare troppe domande perché quella seggiola spettava a Iv, cioè a Matteo Renzi in persona.
Sia chiaro, la potenza della famiglia Bassilichi precede il renzismo e gli sopravvive. L’azienda prospera dagli anni 60, grazie all’iniziativa di Giovan Gualberto Bassilichi. Quando Renzi si affaccia alla ribalta della politica toscana, Leonardo e Marco Bassilichi, figli del fondatore, hanno in mano mezzo sistema bancario toscano e non solo. Il Monte dei Paschi è il loro feudo principale, forniscono tutto, i bancomat, i computer, la manutenzione dei sistemi, il trasporto valori. Sono loro a prendere Renzi sotto la loro ala protettiva e non viceversa. Finanziano la Fondazione Open e mal gliene incoglie: finiscono perquisiti (non indagati) nell’inchiesta dello scorso novembre condotta tra gli altri da Antonino Nastasi, uno dei magistrati che a Siena aveva bombardato il sistema di potere di Giuseppe Mussari.
All’onnipotente presidente, dalemiano prima e tremontiano poi, i Bassilichi sono così legati da vedersi attribuire un potere enorme su tutta Siena. Il gruppo Bassilichi vola. Poi Mussari cade, travolto dallo scandalo dei derivati, e la nuova gestione (Fabrizio Viola e Alessandro Profumo) taglia le unghie ai regi fornitori. Non fino in fondo però: gli affidano l’esternalizzazione di 1.100 persone per attività cosiddetti back office, i Bassilichi costituiscono appositamente la Fruendo, azienda con Accenture socio di minoranza al 40 per cento. Anche qui le cose vanno male: i lavoratori esternalizzati fanno causa in massa grazie a un pool di avvocati tra i quali si distingue Luigi De Mossi, futuro sindaco di Siena con il centrodestra. E vincono, cosicché oggi 450 di loro vengono riassunti dal Monte mentre gli affari di Fruendo languiscono. Sul punto il nuovo cda eredita un casino galattico. Nel frattempo Accenture è passata al 90 per cento di Fruendo, lasciando ai Bassilichi (con Marco che ha lasciato la presidenza solo a fine febbraio scorso) il 10 per cento delle azioni attraverso la B222 srl.
Ma il vero punto nevralgico della vicenda si chiama Abs Technologies. Nel 2017 i Bassilichi mollano tutto a Nexi, colosso dei servizi bancari, mantenendo però un piede nella scatola Ausilia nella quale finiscono alcuni pezzi dell’impero, tra cui Abs Technologies, di cui Leonardo Bassilichi è presidente. A fine febbraio, cioè due mesi fa, proprio mentre entrava nel vivo la partita delle nomine, Abs Technologies esce da Ausilia e finisce sotto Base Digitale, una holding di cui Leonardo e Marco Bassilichi hanno personalmente il 25 per cento del capitale ciascuno.
Nell’ultimo bilancio depositato, quello del 2018, Abs Technologies dichiara di aver “svolto attivita di fornitura, gestione e manutenzione di impianti di sicurezza per il Gruppo Monte dei Paschi di Siena su circa 1.500 filiali”, ottenendo da questo cliente principale 14 dei 21 milioni di fatturato dell’anno, due terzi pari pari.
Fermo restando che Marco Bassilichi per la sua storia di imprenditore sa di banca e, soprattutto, di Mps molto più di Guido Bastianini – designato come amministratore delegato a guidare una banca in profonda difficoltà; e fermo restando che il conflitto di interessi esiste a prescindere dalla moralità del portatore, resta ferma anche una domanda: ma al ministero dell’Economia, quando il politicante di turno fa arrivare il pizzino con il nome del lottizzato, non c’è uno che vada a vedere chi è quel signore?
Coronavirus, in Africa mancano terapie intensive, ventilatori e il lockdown è inapplicabile. Così i 30mila casi (ufficiali) fanno paura. - Giusy Baioni
I letti in intensiva vanno dai 3mila del Marocco, 2.500 dell’Algeria e mille del Sudafrica ai 15 di Burkina Faso e Somalia. In molti Paesi i macchinari per la respirazione assistita sono meno di dieci. I governi attuano la serrata, ma è una misura difficile da imporre con la maggior parte dell’economia che è informale, i lavori alla giornata e stipendi, contratti e tutele statali inesistenti.
Quasi 30mila casi, più di 1.300 morti: sono le cifre che provengono dall’Africa. O perlomeno le cifre ufficiali. Ben poca cosa rispetto ai numeri del resto del mondo. Tuttavia, qui più che altrove, non v’è certezza alcuna sui numeri reali della pandemia. Quello che è noto, invece, è la mancanza delle terapie intensive e dei ventilatori polmonari. Ma anche qui, senza certezze: i numeri sono aleatori, tanto che alcuni giorni fa la stessa direttrice dell’Oms per l’Africa, Matshidiso Moeti, ha lanciato l’allarme, deplorando la mancanza di informazioni attendibili.
La rivista Jeune Afrique ha tentato di calcolare i numeri delle terapie intensive e dei respiratori: c’è una grande disparità fra i pochi paesi che dispongono di un numero decente di presidi e i molti che invece non hanno quasi nulla. I letti di terapia intensiva vanno dai 3mila del Marocco, 2.500 dell’Algeria e mille del Sudafrica ai 15 di Burkina Faso e Somalia, con diversi altri Paesi che ne hanno sotto i 100. Ancora peggiore la situazione dei respiratori: 3 per tutta la Repubblica Centrafricana, 4 in Togo (ma ne sono stati ordinati 250), 5 in Niger, 10 in Congo Brazzaville, 11 in Burkina Faso, fra i 15 e i 20 in Camerun. In tutta la Sierra Leone, secondo il Financial Times, ce ne sarebbe uno solo. Qualche decina in altri Paesi, per poi trovarne 2.500 in Algeria, 3mila in Marocco e ben 6mila in Sudafrica, 4mila dei quali in mano però nella sanità privata.
I numeri sono ancora più drammatici se si considera che diversi di questi Paesi hanno focolai attivi piuttosto rilevanti. Nell’Africa settentrionale e nel Sud sono concentrate le situazioni peggiori: circa 4mila casi in Sudafrica, Egitto e Marocco, pochi meno in Algeria. Ma hanno superato i mille casi Camerun e Ghana. Oltre 900 contagi in Tunisia, più di mille in Costa d’Avorio e anche nella piccola Gibuti, dove potrebbe aver inciso la presenza di basi militari straniere, fra cui la prima base navale cinese nel continente.
In molti altri paesi i numeri restano sotto controllo, in genere qualche decina. Poche unità si segnalano in Mauritania, Burundi, Sao Tomè e Sud Sudan. Zero casi, per ora, solo nelle isole Comore e nel piccolo Lesotho, dove è stato comunque dichiarato lo stato di emergenza per due settimane, data la posizione geografica nel mezzo del Sudafrica.
Le misure intraprese dai vari governi sono quasi ovunque molto rigide e puntano sulla prevenzione. Il lockdown, unica prevenzione efficace, è stato dichiarato quasi ovunque, con la consapevolezza però che misure come quelle cinesi o europee non sono proponibili in un continente dove la maggior parte dell’economia è informale, i lavori alla giornata, stipendi e contratti inesistenti, tutele statali pure. Impensabile imporre di “restare a casa” nelle baraccopoli, dove la “casa” è solo un luogo coperto in cui dormire. Impensabile imporre di non uscire dove non esistono frigo per conservare gli alimenti e il cibo va comprato fresco ogni giorno. Vietate quasi ovunque invece le celebrazioni religiose, sia nei paesi a maggioranza cristiana che in quelli musulmani. Basti dire che l’unico luogo dove si è celebrata la Pasqua con messe affollate di fedeli è stato il Burundi, che ufficialmente è fermo a 8 casi.
Le forti restrizioni decise dal governo sudafricano, che ha imposto chiusure draconiane provocando lo stop del commercio informale, stanno già provocando problemi di ordine pubblico, saccheggi dei supermercati, rivolte sociali duramente represse. Ogni giorno, oltre al bollettino dei contagi, arriva quello degli arresti. Per evitare tali rischi, il governo del Senegal ha optato per un modello ibrido, con il coprifuoco dalle 20 al posto del lockdown: attività commerciali aperte, ma alla sera tutti a casa.
Diversi Paesi stanno adottando come farmaco la clorochina, antimalarico abbondantemente disponibile e a prezzo contenuto. Si sta inoltre estendendo l’obbligo di mascherine e laddove mancano i presidi supplisce il fai-da-te in coloratissimi wax (la tipica stoffa africana), ma anche in foglie o vimini intrecciati. Non manca chi raccoglie per strada le mascherine usate, le lava bene con acqua e sapone e le riutilizza o le rivende.
Di altro tenore l’impegno degli atenei africani: molti laboratori universitari hanno avviato la produzione di gel idroalcolici, mentre altri si sono dedicati alla produzione di mascherine e soprattutto visiere per il personale medico con le stampanti 3D. In Marocco e Tunisia diverse fabbriche si sono rapidamente riconvertite per produrre mascherine e respiratori.
E se diversi cantanti hanno lanciato nuovi brani di sensibilizzazione sul Covid-19, anche molti leader politici si stanno esponendo in prima persona sui social per sponsorizzare le misure di prevenzione: Alpha Condé, Félix Tshisekedi, Mohammed VI, Alassane Ouattara, Paul Kagame mostrano come lavarsi le mani e invitano a portare la mascherina in luoghi affollati. Di contro, il presidente malgascio Andry Rajoelina ha appena annunciato la creazione di una mistura a base di artemisia in grado di prevenire e sconfiggere il coronavirus: “È un rimedio a base di piante officinali locali. Dà risultati in 7 giorni”. Che il Madagascar sia terra unica per biodiversità è noto, ma l’Oms si è affrettata a dichiarare che ad oggi non esistono evidenze scientifiche che tale preparato sia efficace.
sabato 25 aprile 2020
Uguaglianze e disuguaglianze.
A leggere i titoli di alcuni giornali di tendenza destroide, si avverte un falso allarmismo oltremodo inusitato.
Il fatto che questo governo voglia fare pulizia della corruzione, fa scattare negli scribacchini la paura che tutto ciò che era, potrebbe non essere più possibile, quindi, si attiva in loro una molla che gli fa prendere lucciole per lanterne.
Per cui, se un male intenzionato attinge ad un tipo di aiuto statale, come i reddito di cittadinanza, o ai 600 euro di bonus messi a disposizione dal governo e, nel frattempo, ottiene anche un cospicuo bonifico sul c/c, e, se scoperto, rischia di essere sanzionato, per loro scatta l'abuso di potere da parte del fisco.
A me pare normale e naturale che ciò avvenga, ma ciò che per me e per la giustizia è normale e naturale, non lo è per chi è abituato ad abusare di ciò che non gli spetta, pur non avendone bisogno o diritto, poiché gli bastava avere le conoscenze giuste e allungare qualche mazzetta...per attingere alla manna che cola dagli alberi!
Bisognerebbe spiegare loro che, mentre il fisco prima controllava e sanzionava solo noi poveri mortali, ora controlla anche loro.
FINALMENTE, dico io!!!!
Io li sanzionerei anche per aver creato, in controtendenza a quanto sancito dalla Costituzione all'art. 3, 2° capoverso:
- "E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese." -
quelle differenze sociali e pecuniarie che hanno di fatto posto una barriera invalicabile tra le loro e noi in termini di diritti e doveri.
Cetta.
Lombardia: i pazienti ex Covid continuano a essere trasferiti oggi. - Maddalena Oliva, Valeria Pacelli e Natascia Ronchetti
Succede nel Bresciano come a Pavia: "Le Ats chiamano ogni giorno per capire se possiamo accogliere malati."
Al Santa Margherita di Pavia, istituto di riabilitazione e di cura geriatrica, nelle settimane scorse sono arrivati a contare fino a 20 contagiati, tra i circa 200 anziani ricoverati. La situazione ora sta piano piano rientrando, ma il telefono dell’istituto continua a squillare. “È l’Ats che chiama tutti i giorni”, racconta Maurizio Niutta, direttore amministrativo del Santa Margherita. “Monitorano le strutture del territorio per verificare se le nostre condizioni, essendo migliorate, sono idonee a ricevere pazienti Covid sulla base della delibera dell’8 marzo. Ma qui noi, voglio chiarirlo subito, non abbiamo avuto né ordini né pressioni…”. È Priamo, la piattaforma digitale della Regione che collega ospedali a territorio, che “smista” il traffico dei pazienti.
“Online è visibile tutto il percorso di un paziente, anche di quelli Covid: da quando è dimissionabile dall’ospedale a quando può tornare a casa”, spiega, a qualche centinaio di chilometri di distanza, nel Bresciano, Luca Magli, presidente della casa di riposo di Orzinuovi, Orzivecchi e Barbariga (tre sedi e 190 anziani). “I malati Covid noi non li abbiamo presi: mi sono sempre opposto. Ma – racconta – abbiamo dato piena disponibilità ad accogliere i pazienti ex Covid dimessi dagli ospedali, che non possono ancora rientrare a casa. Due giorni fa i militari russi hanno sanificato tutte le Rsa della zona, e così li abbiamo presi: sono già arrivati 4-5 pazienti”. I pazienti ex Covid dimessi dagli ospedali e che non possono ancora rientrare nelle proprie abitazioni continuano quindi a essere trasferiti nelle Rsa. Sono i cosiddetti “clinicamente guariti”, come indicati da delibera regionale del 23 marzo. “Per noi la condizione ovviamente – precisa Magli – è che tali pazienti abbiano il doppio tampone negativo, ma per noi è un dovere etico e morale accoglierli. Li ‘segregheremo’ in una struttura apposita, ma non possiamo girarci dall’altra parte…”.
Per la Regione restano sempre 147. Ma – come abbiamo raccontato ieri nella nostra inchiesta – i conti non tornano. Tanto più se, per quello che riguarda i pazienti ex Covid, i trasferimenti dagli ospedali alle Rsa stanno proseguendo. Dalla Regione non vogliono commentare. Anche se sono in molti a far notare, ultimamente, una certa ritrosia da parte dell’assessore al Welfare e Sanità, Giulio Gallera, attorniato da un cerchio ristretto di collaboratori che un po’ velenosamente qualcuno definisce “il giglio tragico”, e pressoché sparito dalle scene. Gallera stesso, due giorni fa, si era fatto sfuggire in un’intervista a 7Gold che “le Rsa sono enti gestiti da soggetti privati o da fondazioni, quindi che non avevano capacità di affrontare la gestione dei pazienti Covid”. Eppure, passano i giorni, ma la confusione – nel rimpallo generale di responsabilità, e tra le polemiche (e le indagini della magistratura) – aumenta. Ecco perché, visto quanto raccontato dal Fatto sulle Rsa dall’inizio dell’emergenza, abbiamo posto a Regione Lombardia 10 domande sul tema dei trasferimenti e della nostra inchiesta. Aspettiamo fiduciose.
1. È stata Regione Lombardia, con la delibera dell’8 marzo, a chiedere la facoltà a Rsa con determinate condizioni (strutture separate e personale dedicato) di accogliere i pazienti Covid “a bassa intensità”. A oggi di quanti pazienti si tratta?
2. È da inizio aprile che Regione Lombardia parla di “147 pazienti accolti in 15 strutture”. Abbiamo chiesto quotidianamente aggiornamenti alla Regione su questo numero. La risposta è sempre stata 147. Come è possibile che, a distanza di giorni, questo numero sia invariato?
3. Dei 147 pazienti che per Regione Lombardia sono stati trasferiti nelle Rsa, ve ne sono alcuni deceduti? Quanti?
4. Quanti pazienti ex Covid “clinicamente guariti”, ossia che non hanno più i sintomi ma che potrebbero continuare ad avere una carica virale, sono stati trasferiti negli hospice, in seguito alla delibera del 23 marzo?
5. I pazienti ex Covid sono sottoposti a doppio tampone prima di essere trasferiti? Se sì, quando è iniziata questa procedura?
6. Da quando i tamponi vengono effettuati, Ats per Ats, nelle Rsa a degenti e a operatori?
7. Regione Lombardia ha assicurato che il trasferimento dei pazienti nelle Rsa non è mai avvenuto in presenza di “contaminazioni”. Si è detto anche che “sono le Ats ad avere il compito di sorvegliare sulle condizioni delle strutture che hanno accolto pazienti”. C’è stata una verifica da parte della Regione sulle Ats per capire se questo è avvenuto?
8. Come hanno fatto le Ats a verificare che nelle Rsa ci fossero o meno già casi positivi al Covid, se i tamponi in molte Rsa ancora oggi non sono stati eseguiti?
9. Diverse Rsa denunciano di aver subito “pressioni”, “fino a venti telefonate al giorno dalle Ats” per accettare pazienti Covid o ex Covid dimessi. Regione Lombardia ne è a conoscenza? Come risponde?
10. Alla luce di quanto sta emergendo, Regione Lombardia ha intenzione di continuare a inviare pazienti alle Rsa?
Maledetto Antonio - Marco Travaglio
Caro Antonio (ma dovei dire maledetto Antonio, visto che questa condanna della direzione me l’hai inflitta tu, cinque anni fa, con tutte le pene accessorie), il tuo smarrimento è anche il mio. Anche se ti confesso che l’altra sera, preso com’ero a capire se nel vertice europeo avesse perso Conte (come sostenevano i patrioti Salvini&Meloni) o avesse vinto Macron (come sostenevano i patrioti Innominabile&Boschi), mi son perso l’imperdibile nota sul giro di direttori in casa Gedi, che peraltro mi ha sempre fatto pensare a un personaggio del bar di Guerre Stellari.
Sì, nel nostro piccolo siamo fortunati e lo sono anche i nostri lettori. Che ci conoscono da almeno 10 anni, o addirittura da prima, quando il Fatto non esisteva, ma noi già facevamo danni qua e là. E ci prendono per quello che siamo: una ciurma di bucanieri e gianburrasca che si divertono a scovare notizie e a rompere i coglioni a chiunque lo meriti, senza prendersi troppo sul serio anche quando conducono battaglie molto serie.
Sanno chi siamo, coi nostri pregi e i nostri difetti, i nostri meriti e i nostri errori, senza mai intravedere dietro di noi Qualcuno che – da palazzi o terrazze o salotti o logge o partiti o banche o cantieri o aziende o multinazionali o paradisi fiscali – ci dica cosa scrivere e cosa non scrivere. E senza mai temere che un giorno arrivi un nuovo padrone a imporci la sua “linea”. Snaturando la nostra.
Ed è un bel fardello di responsabilità, perché tutto quel che esce sul Fatto, nel bene e nel male, è farina del nostro sacco: merito nostro o colpa nostra. È il nostro modo – lo dico sottovoce per non indulgere alla retorica né perdere il senso della misura – di onorare quella Costituzione che abbiamo scelto come unica linea politica nell’editoriale che tu firmasti sul nostro primo numero, il 23 settembre 2009. Quella Costituzione di cui oggi, 25 Aprile, festeggiamo i genitori: i partigiani della Liberazione.
Io sono sempre stato un solista e non ho mai pensato di fare il direttore, né ho mai brigato per farlo. Ma riesco a farlo, da dilettante del ramo, soltanto grazie al fatto che il nostro editore siamo noi e i lettori: se ricevessi ordini da ectoplasmatiche “cornurbazioni di dividendi”, non ce la farei proprio a obbedire, portato come sono a fare l’esatto contrario di quel che mi viene detto. Quindi ringrazio i lettori e gli abbonati di averci mantenuti in salute e in grazia di Dio. E la cosiddetta “concorrenza” di spalancarci oceani di conformismo, censura e autocensura da solcare col nostro vascello corsaro.
Pensa, Antonio, che – te lo sussurro all’orecchio, per scaramanzia – in queste settimane di arresti domiciliari al 41-bis per tutti gli italiani, le nostre vendite in edicola sono persino aumentate, abbiamo raccolto 12 mila nuovi abbonamenti digitali e le lettere al Fatto si sono moltiplicate per dieci. Un premio a tutta la redazione e ai collaboratori che lavorano in condizioni difficili, spesso proibitive.
Fra pochi giorni annunceremo importanti novità in casa nostra, che riguardano il giornale, la sua veste grafica e una serie di nuove iniziative per affrontare il mondo nuovo post-Covid all’insegna di una vera normalità, cioè di un autentico cambiamento, onde evitare che qualcuno ci riporti alla falsa normalità di prima, quando di normale accadeva ben poco.
In questi momenti di disorientamento, mi capita spesso di immaginare che cosa direbbe Indro Montanelli se fosse vivo. Così apro a caso uno dei suoi libri, o vado sul sito della Fondazione Montanelli che ogni giorno distilla una sua perla, e trovo compagnia.
E, a proposito di cambi di direzione, mi sono imbattuto nel suo commiato a noi redattori del Giornale l’11 gennaio 1994, quando ci annunciò che se ne sarebbe andato a fondare La Voce per le intromissioni di B. prossimo alla discesa in campo: “È un po’ tardi, ma alla fine mi sono convinto che di padroni non bisogna averne. Perché, anche quando cominciano bene, finiscono male… La libertà, che non consiste nell’avere un padrone giusto, ma nel non averne alcuno”.
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