Matteo Renzi - Il nuovo libro del Signor Due Per Cento.
“Ero l’uomo più potente d’Italia, non lo sono più”. Sarebbe bastato lanciare questo epitaffio politico – o tweet, come lo chiamerebbe il suo autore – nel grande mare delle Lettere, e si sarebbe dato a esse lo stesso contributo; invece no: intorno a questa scabra ed esaustiva verità si sviluppano 214 pagine di “interventi concreti”, un vero “patto tra le generazioni”, anzi “un appello a non disperdere energie”. Le abbiamo lette tutte. Non saremo certo noi a negargli un seggio in Parnaso, ma siamo un po’ delusi da questo La Mossa del cavallo (Marsilio), titolo-calco del best-seller di Camilleri (hai visto mai i commessi delle librerie, opportunamente riaperte dopo il lockdown come l’autore chiedeva da tempo, rifilino questo ai clienti, invece dell’omonimo), nonché di un racconto di Viktor Šklovskij (che narra di quando, siccome a San Pietroburgo i gabinetti gelavano, nei giorni feriali le focacce si cuocevano su feci umane, la domenica, invece, su quelle di cavallo).
“Eppure ho fatto il presidente del Consiglio dei ministri a 39 anni, il più giovane nella storia d’Italia”. Sì, lo sappiamo, più giovane anche di Mussolini, che aveva 39 anni e 3 mesi, mentre il narratore li aveva compiuti da un mese soltanto (perciò #enricostaisereno, sennò gli scattava la quota Benito).
Stiamo temporeggiando. In realtà non si sa da dove cominciare. Il menù è quello turistico: un secondo Jobs Act, “perché il primo ha funzionato”; il “Piano Shock”, nome croccante per il vecchio Sblocca Italia; un nuovo “Rinascimento” affidato a Italia Viva (lui, Rosato e Marattin al posto di Lorenzo il Magnifico, Poliziano e Pico della Mirandola), ma stavolta c’è una pietanza in più: il condono sui contanti. Infatti, pare, l’Italia ha “cento miliardi di contante dormiente nelle cassette di sicurezza e sotto i materassi”, su cui si potrebbe agevolmente metter mano con una tassa del 10 o 15%. È un’idea geniale: finora, quando si parlava di condono sul nero, si pensava al rientro dei capitali esotici dall’estero (format di Berlusconi, Tremonti, lo stesso Renzi e l’anno scorso pure Salvini). Mai nessuno aveva pensato di regolarizzare “quei centomila euro che il nonno – carpentiere o ristoratore – ha lasciato in eredità al nipote e che sono stati frutto di pagamenti in nero”, nonno che magari è pure spirato sotto Covid. Ebbene, “sblocchiamoli. È inutile perseverare con i giudizi moralistici su ciò che è avvenuto magari vent’anni fa”, e qui si riconosce il marchio di fabbrica: la confusione tra moralismo e essere morali, e va da sé che nella nuova cashless society, in questa Italia senza contanti dove si paga tutto via smartphone mentre i materassi eiettano banconote (ministro delle Finanze sarà Fabrizio Corona?), bisogna essere garantisti, non giustizialisti. Ecco il conticino: “Cento miliardi di liquidità che finiscono direttamente nelle banche”, che poi naturalmente faranno i prestiti ai nipoti dei carpentieri, questo nel caso le mamme dei vostri amici non siano disposte a prestarvi 700 mila euro sull’unghia per comprarvi la villa. Questo Rinascimento voluntary disclosure è propagandato in forza di citazioni di Machiavelli, Seneca, Hannah Arendt, Shakespeare, Goethe e finanche del povero Kafka, che se fosse in vita riscriverebbe Il Processo intorno a un’accusa di fatture false.
Quindi: dalla pandemia e dalla crisi che ne segue, come non fossero disgrazie abbastanza grandi, nasce la mossa del cavallo (morente): l’autore, condottiero del 2%, si sente chiamato alla Rinascita d’Italia. A questo punto si registra un divertente cortocircuito epistemologico. Come alla Leopolda – che è per i renziani ciò che è la Sala del Regno per i testimoni di Geova – Renzi si “intesta” la Scienza, nelle persone dei virologi Burioni e Capua, vittime dei novaxcinquestellegiustizialisti, ma al contempo deve tenere accesa la fiamma sotto le terga del governo che in teoria sostiene e che si rifiutava di riaprire tutto quando diceva lui. Come conciliare il vitalismo dannunziano dalle sfumature bergsoniane con la prudenza del Comitato scientifico? Facile, attaccando gli epidemiologi, i nuovi professoroni: “Nel momento in cui scrivo il contagio è sceso sotto le mille unità in terapia intensiva (questa frase non vuol dire niente, ndr). Sostenere dunque (?,ndr) che in virtù di un’apertura generalizzata e senza protezioni… si possa arrivare a oltre 150 mila casi da terapia intensiva, è matematicamente falso. Ma serve perfettamente allo scopo: a diffondere ansia e paura” (come vedete, si passa da Goethe a una citazione apocrifa del generale Pappalardo).
Del resto, questo è “un libro di cuore, non è un libro del cavolo”, ha asserito l’autore, che con l’organo apposito disprezza il reddito di cittadinanza e tesse l’elogio di Berlusconi, “un grandissimo innovatore nel settore televisivo, nel calcio, nell’edilizia, persino nell’organizzazione politica” che aveva solo un difetto: “Ha sempre preferito una linea più di compromesso, perdendo una storica opportunità di rivoluzionare l’Italia”, ma proprio a volergliene trovare uno.
Infine, il topos letterario dell’opera omnia renziana, ciò che è la masturbazione per Philip Roth: la stigmatizzazione dell’“invidia per chi ha successo” (chi non desidera essere ultimo nei consensi dopo Crimi e Mattia Santori delle Sardine?), stante ovviamente la visione del mondo che la sostiene, quella neo-liberista (perpetrata dal suo governo) grazie alla quale quando arriva una pandemia ci si trova senza terapie intensive, senza medici, con otto milioni di poveri.
PS: siccome l’autore lamenta di essere vittima di “un’inedita ferocia”, tanto da chiedersi “quanta paura devo fare perché mi trattino così?”, ci teniamo a dire che il nostro giudizio non è ascrivibile alla paura che abbiamo di lui, ma alla fatica improba di prendere sul serio quello che scrive (anzi, stiamo vedendo con Travaglio se si può fare qualcosa affinché l’Inps, insieme ai lavori in galleria, cava, miniera, nelle fonderie di seconda fusione e nell’asportazione di amianto, riconosca la qualifica di “lavoro usurante” anche alla lettura dei nuovi libri di Matteo Renzi).
La dignità dov'è finita?
Usare una sede istituzionale per pubblicizzare un libro con un titolo scopiazzato da un best sellers, è di pessimo gusto.
Renzi non mi fa neanche pena;
- come pensavo, è un personaggio in cerca d'autore, senza idee, senza carattere, senza forma, emulo di chiunque sia riuscito ad ottenere un successo sia in senso positivo che negativo. E' un nulla assoluto. E chi lo scelse come presidente del consiglio lo fece perchè sapeva che avrebbe fatto tutto ciò che gli sarebbe stato richiesto di fare.
E non si può dire che sia finito come uomo politico, perché non è mai neanche esistito come tale.
Ritengo, però, che andrebbe accusato alla "Corte internazionale dei diritti dell'uomo" per incriminarlo definitivamente come distruttore dello "Statuto dei lavoratori", del quale, ne sono certa, non conosceva neanche l'esistenza.
Chi non ha mai lavorato nella sua vita, ma ha solo eseguito ordini dietro elargizioni di natura rappresentativa, peraltro ben remunerate, non può capire la discriminazione e sofferenza di chi lavora e non si vede riconosciuto il giusto compenso o il riconoscimento che meriterebbe.
Cetta