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lunedì 5 ottobre 2020

La Lega e i 49 milioni: i server del broker sono stati “ripuliti”. - Jacopo Ricca e Stefano Vergine

 



GdF - Dal Lussemburgo all’ex indirizzo dei commercialisti.

I server della lussemburghese Pharus Management Lux Sa, la società attraverso cui la Lega avrebbe riciclato una parte dei famosi 49 milioni di euro, sono stati ritrovati a Bergamo, in via Angelo Maj. Allo stesso indirizzo presso cui era domiciliato fino a poco tempo fa lo studio dei commercialisti del partito, Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni. La scoperta è stata fatta durante una perquisizione della Finanza di Genova, che indaga sul presunto riciclaggio del tesoro padano. Ma le Fiamme gialle hanno avuto sfortuna: quei server sono quasi inutilizzabili. Qualcuno, prima del loro arrivo, ha cancellato tutto. Questa storia inizia quando i magistrati della Procura di Genova avviano una rogatoria per mettere le mani su quella che potrebbe essere la scatola nera dell’inchiesta sulla Lega: i computer della Pharus, appunto, la società lussemburghese attraverso cui, secondo l’accusa, nel 2016 sarebbero stati esportati 10 milioni, quasi un quinto del tesoro leghista frutto della truffa ai danni dello Stato italiano. L’investimento sarebbe partito dalla Sparkasse di Bolzano. La banca ha sempre negato che fossero soldi del partito, spiegando che quell’operazione riguardava “la normale operatività del portafoglio di proprietà della banca stessa”. I 10 milioni partiti nel 2016 dalla Sparkasse sono arrivati sui conti della Pharus. E a gennaio del 2018, due mesi prima delle elezioni parlamentari, 3 milioni di euro sono tornati in Italia. Le autorità del Granducato segnalano l’operazione all’Antiriciclaggio di Bankitalia: il sospetto è che quei soldi siano un finanziamento elettorale alla Lega. Denaro uscito dalle casse del partito, alle prese con il sequestro ordinato dal Tribunale di Genova, e tornato indietro dopo essere stato ripulito.

Per verificare l’ipotesi gli inquirenti italiani cercano quindi i server della Pharus. Vogliono leggere le email e i documenti utili per capire se quel denaro è in qualche modo collegato ai 49 milioni della truffa leghista. I server dovrebbero essere in Lussemburgo, e invece vengono ritrovati a Bergamo, in un ufficio di via Angelo Maj. Come detto, a quell’indirizzo per anni, proprio quelli dei 10 milioni finiti in Lussemburgo, ha avuto sede lo Studio Dea Consulting, di proprietà di Di Rubba e Manzoni (arrestati per l’inchiesta sulla Lombardia Film Commission). Non solo. Presso il loro studio, nello stesso periodo, erano domiciliate anche 7 società italiane controllate, attraverso un sistema di scatole cinesi, dalla lussemburghese Ivad Sarl, una holding fondata nel 2008 da Angelo Lazzari. Secondo la GdF, Lazzari – che non risulta indagato – è sempre stato il dominus della Pharus. Per questo gli inquirenti lo reputano una figura centrale in questa storia. Bergamasco come Di Rubba e Manzoni, si descrive in Rete come ingegnere ed ex promotore finanziario, oggi manager con base in Lussemburgo. È indagato a Milano per truffa e autoriciclaggio in un’altra vicenda. La questione più importante, per i magistrati genovesi che indagano sul presunto riciclaggio dei 49 milioni, riguarda i suoi rapporti con Di Rubba, Manzoni e le sette società domiciliate presso il loro studio.

(foto da ilFQ)

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/04/la-lega-e-i-49-milioni-i-server-del-broker-sono-stati-ripuliti/5953608/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=oggi-in-edicola&utm_term=2020-10-04

sabato 8 agosto 2020

La scienza è disumana ma soffre d’Alzheimer. - Massimo Fini

FameLab: a Trieste, sfida a colpi di scienza con il talent show ...
La Scienza, che tempo fa definimmo “più pericolosa dell’Isis”, ma oggi potremmo anche dire del Covid-19, continua imperterrita, senza che nessuno possa e tantomeno voglia disturbarla, nella sua marcia trionfale verso la propria demenza senile.
Secondo uno studio di un gruppo di giovani ricercatori dell’Università di Bologna, premiati dal ministero della Salute, attraverso “la stimolazione magnetica transcranica (Tms)” si potrebbero rimuovere i ricordi spiacevoli, dolorosi, tormentosi, traumatici e la paura che ne è conseguita. Siamo in linea con la tendenza tutta moderna a eliminare dall’essere umano tutto ciò che è umano, per omologarlo a un normotipo astratto, “politicamente corretto”, diciamo così, dal punto di vista fisico, psichico, emotivo (la legge Mancino, oggi rafforzata dalla subnorma antiomofobia, ha già messo le manette all’odio che è un sentimento e, come tale, non può essere abolito per legge).
Non pensavamo però che i ricercatori di Bologna non capissero quello che anche la casalinga di Voghera sa. Noi non siamo fatti solo di ciò che abbiamo vissuto, ma anche del suo ricordo. Si chiama esperienza. E il dolore, la paura e i ricordi, buoni o cattivi che siano, fanno parte di ogni esperienza umana. Facciamo un esempio molto semplice. Un bambino avvicinandosi troppo a un fornello del gas o al fuoco che crepita allegramente in un camino ci mette la sua candida manina, si scotta e prova dolore. È chiaro che da lì in poi si guarderà bene dal ripetere quella brutta esperienza. E questo vale per ogni aspetto del vivere umano. Soprattutto la paura (e quindi il suo ricordo) è una componente essenziale della specie umana ma anche di animali di livello superiore (se un topo, attirato da un formaggio, resta secco in una trappola, i suoi compagni vedendo un appetitoso cacio lo avvicineranno con giudiziosa prudenza).
Se siamo sopravvissuti a tutto è proprio perché la specie umana è una delle più paurose del Creato. Se continueremo sulla linea dei giovani ricercatori di Bologna, tentando di rimuovere i ricordi, la paura e soprattutto la memoria sulla cui importanza fondamentale sono state scritte intere enciclopedie da parte di studiosi un po’ più accreditati (L’arte della memoria, Frances A. Yates, per tutti), finiremo in trappola. Sopravviveranno solo i topi.
Ma siccome gli scienziati, giovani o meno, sono inesausti, adesso abbiamo l’ultimo grido della medicina preventiva o, per meglio dire, del terrorismo diagnostico. La prestigiosa rivista Journal of American Medical Association ci informa che con un particolare test del sangue focalizzato sulla proteina Tau saremo presto in grado di prevedere l’insorgere dell’Alzheimer in una persona con vent’anni d’anticipo. Ma a che ci serve se contemporaneamente non ci sono, né si prevedono, cure per l’Alzheimer? A far vivere da malato un uomo sano con vent’anni d’anticipo.
La prestigiosa rivista Journal of American Medical Association stima anche che entro il 2050 i malati di Alzheimer saliranno dai 30 milioni attuali a 100 milioni. Su questo sarebbe interessante indagare, sulle cause, evidentemente ambientali e sociali, cioè sull’attuale modello di sviluppo (perché nelle Isole Andamane non c’è nessun aumento di Alzheimer, anzi l’Alzheimer non esiste proprio) a cui si deve il formidabile incremento di questa malattia. Ma di ciò gli scienziati non si occupano. Sono già malati di Alzheimer, sia pur in incubazione.

venerdì 5 giugno 2020

Memory non deve morire. - Marco Travaglio

È l'ipocrisia il vero motivo per cui le tecniche di memoria non ...
Se un giorno gli storici dovranno battezzare l’epoca che stiamo vivendo, la chiameranno l’Era del Mitomane e dello Smemorato. Del resto fra mitomania e smemoratezza c’è un preciso nesso causale: se conservassimo un po’ di memoria, non saremmo infestati da tanti mitomani di successo.
Prendete l’Innominabile. A 45 anni non si ricorda più chi era. Come Alberto Sordi nel film Troppo forte di Carlo Verdone, nei panni dell’avvocato Giangiacomo Pignacorelli in Selci, che un bel mattino si sveglia ballerino e coreografo, indossa una tutina aderente e improvvisa una danza sull’aria di Oci Ciornie davanti ai clienti disperati, mentre le anziane sorelle ricordano “quando faceva il dentista e cavò tre denti al fruttivendolo che gli fece causa perché erano tutti sani”. Ora l’Innominabile si crede garantista e, nel tentativo di promuovere quella ciofeca del suo nuovo libro, strilla contro Piercamillo Davigo, reo di ricordare che la responsabilità politica e morale, diversamente da quella penale, può essere accertata e sanzionata prima delle sentenze. “Parole gravissime, enormi, incredibili!”, bercia lo statista rignanese:
“Dire che non bisogna aspettare le sentenze va contro la civiltà giuridica europea! Mi sorprende che un membro del Csm non distingua giustizia e giustizialismo!”.
Eppure qualche anno fa c’era un presidente del Consiglio ipergiustizialista che, insensibile alla civiltà giuridica europea, predicava il dovere di non attendere le sentenze per licenziare i presunti assenteisti dalla PA. Dovevate sentirlo come ululava, lanciando la riforma Madia: “Per i furbetti del cartellino è finita la pacchia! È una legge cattiva ma giusta. D’ora in poi si va subito a casa!” (15.6.2016). “Chi fa il furbo col cartellino viene licenziato in 48 ore!” (29.11.2017). Cioè senza aspettare non solo le sentenze, ma pure le indagini. E molti gli diedero retta, pensando che prima non si potesse licenziare un assenteista dalla PA: invece si poteva, ma non in 48 ore, bensì in 4 mesi, per consentire all’accusato di difendersi. Infatti la Consulta rase al suolo la sua boiata e lui si rimise a strillare: “La Corte ci impedisce di licenziare i furbetti del cartellino”. Era una balla, ma molti se la bevvero perché lui era il capo del governo. E con la spensierata (in senso etimologico) Madia aveva lanciato il licenziamento in 48 ore al teatro Ariston di Sanremo per fare demagogia sul vigile lì filmato e arrestato perché timbrava in mutande o in tuta, additato al pubblico ludibrio e poi licenziato dal Comune senza uno straccio di condanna e né di rinvio a giudizio. Come voleva il premier giustizialista. La sentenza è poi arrivata sei mesi fa.
E ha assolto il vigile “perché il fatto non sussiste”: l’imputato spacciato per simbolo dell’assenteismo lavorava più degli altri e “la timbratura in abiti succinti non costituisce neppure un indizio di illiceità penale e ha una spiegazione logica” (una disposizione del comandante che imponeva al vigile incriminato, in funzione di custode, di timbrare il cartellino in abiti borghesi dopo aver aperto all’alba il mercato municipale). Resta da precisare il nome di quel premier giustizialista che non voleva attendere le sentenze e nemmeno le indagini: Matteo Pignacorelli in Renzi. Lo stesso che ora accusa Davigo di essere un aguzzino incivile per aver detto molto meno di quel che diceva lui.
Dicevamo della smemoratezza e mitomania. Ieri tal Bruno Astorre, nientemeno che senatore e segretario del Pd nel Lazio, ha molto rosicato perché Virginia Raggi ha vinto la sua battaglia solitaria per lo sgombero degli occupanti abusivi di Casa Pound dopo 17 anni e 4,5 milioni di danni erariali. Così ha pensato bene di negarla, ringraziando “la Procura di Roma” (non si sa mai) e “la Questura”, ma anche “i cittadini che hanno sempre portato avanti questa battaglia di legalità” e attaccando la sindaca “che al solito ha assistito dal balcone del suo Facebook”. In realtà la Raggi, dopo aver sollecitato infinite volte lo sgombero al Demanio (ministero dell’Economia) padrone dello stabile, contro i rinvii della Prefettura pidina e salviniana, si era recata personalmente lì sotto per far scalpellare l’insegna di Casa Pound e metterci la faccia, buscandosi qualche simpatica minaccia di morte, in aggiunta a quelle seguite all’abbattimento dei villini del clan Casamonica. Non sappiamo su quale balcone fosse quel giorno l’Astorre. Sappiamo però chi era sindaco nel 2003 quando Casa Pound occupò il Palazzo: Veltroni. Poi Alemanno e Marino, ma anche lì zero sgomberi (a parte quello di Marino per mano del Pd). Al Mef si susseguivano i ministri (anche il Pd Padoan), ma nessuno pareva interessato a riprendersi lo stabile. Quindi, per favore: astenersi smemorati e mitomani.
A proposito: leggiamo sul Corriere che Zingaretti dice sì a “un’anima patriottica” comune con B. e sul Foglio che il capo dei senatori Pd Marcucci iscrive B. e tutta FI in “un approdo liberale e fortemente europeista”. Parole pronunciate nel giorno dell’ennesimo arresto di Sergio De Gregorio, che una sentenza definitiva definisce “corrotto” da B. con 3 milioni in cambio del suo passaggio dall’Italia dei Valori a FI per rovesciare il governo Prodi-2. Ma lo sanno Zinga e Marcucci che il B. “patriota” e “liberale” è lo stesso corruttore che comprava senatori per rovesciare il loro ultimo governo? O serve un disegnino?

giovedì 4 giugno 2020

La memoria del pesce rosso. - Massimo Erbetti

Nessuna descrizione della foto disponibile.

Qualcosa non torna...
Ieri sera alle 19:42, subito dopo la conferenza stampa di Conte, Salvini pubblica un post su Facebook":
"Il presidente del Consiglio parla di taglio alla burocrazia e riforma fiscale? Bene, la Lega ha già presentato in Parlamento due progetti di legge su cui lo sfidiamo:

1) Modello Genova con burocrazia zero per terminare tutte le opere pubbliche sospese da troppo tempo.... "
Capite? Lo ha scritto davvero, lui vuole il modello Genova, per far ripartire l'Italia e lo mette anche al primo punto della sua ricetta di rinascita.
Ma se le cose stanno così qualcosa non torna:
ha seri problemi di memoria? Non si ricorda che il modello Genova è stato attuato quando al governo c'era lui, insieme al M5s?
Se la sua ricetta di rilancio passa proprio per quel modello, perché fece cadere il governo?
Ma niente, niente spera che i cittadini si siano dimenticati quanto accaduto?
La verità, come ho sempre sostenuto è che a Salvini non importa niente del benessere degli italiani, a lui importa solo raggiungere il potere e lo slogan "prima gli italiani", serve solo da specchietto per le allodole, perché se veramente avesse messo gli italiani al primo posto, quel governo non sarebbe mai caduto.
Il vero problema di questo paese è la memoria, o meglio la mancanza di memoria.
Perché se solo ricordassimo, se solo avessimo un briciolo di memoria, se solo fossimo in grado di collegare i fatti, gente come Salvini & C. non esisterebbe.

giovedì 1 giugno 2017

Non abbiamo memoria. - Luciano Scanzi

Risultati immagini per dominatori e dominati

Non abbiamo memoria. Nemmeno quella a breve termine, quella che servirebbe.
Ma c’è un motivo.
I libri ci raccontano che in Italia c’erano la fame e la miseria. Molti giovani se ne andavano per cercarsi una vita da qualche altra parte. Le persone sapevano a malapena leggere e scrivere e l’informazione, da sempre poco propensa all'autonomia di pensiero, raccontava loro quello che il Potere gli chiedeva di raccontare, avendo gioco facile, vista la diffusa ignoranza.
La gente non poteva curarsi e spesso si moriva per poco, anche delle malattie più stupide.
Il paese era gestito con un sistema che si diceva essere democratico, ma non lo era, controllato dai partiti politici, una specie di associazioni a delinquere i cui membri avevano per unico fine quello massimizzare i propri privilegi e soddisfare i propri cazzi. Di fatto, eravamo poco più di una colonia americana che aveva perso la guerra coi tedeschi. Due miserie in un colpo solo (semi-cit.)
La struttura organizzativa del Paese era quella prevista da una democrazia: Governo, Parlamento, cazzate così, alla quale facevano capo altre strutture, chiamate Regioni, Province e Comuni, tanti Comuni. Troppi Comuni.
Nei territori più complicati, poi, venivano utilizzate unità speciali, chiamate Mafie.
I ministri venivano scelti alla cazzo di cane, non per competenze, ma per amicizie, equilibri politici, fotogenie, quote rosa.
I Governi duravano mediamente il tempo di maturare i vitalizi previsti per lorsignori e lordame, poi tutti a casa.
Fra i suddetti partiti, il più potente era la Democrazia Cristiana, che, da sempre, ha avuto il controllo di quasi tutti i Governi, anche se a volte ha dovuto farlo cambiando il proprio nome e ricorrendo ad una genialata di strategia, chiamata Gattopardismo, che serviva a ripristinare il controllo del potere quando si faceva più forte la domanda di cambiamento da parte degli elettori. Consisteva nel rimescolare le carte, i programmi, i ministri, le alleanze, i nomi, cianciando di nuove promesse e facendo credere alla gente che tutto sarebbe cambiato, ma poi, in un "abbiamo scherzato", ritornava tutto come prima.
E la gente abboccava ancora. La gente abboccava sempre.
Il sistema si reggeva economicamente sulla tassazione dei cittadini, da prelevare in base ai loro redditi, ma alla fine pagavano solo quelli costretti a farlo. Gli altri erano liberi di sbattersene i coglioni. Era un tacito accordo, visto che "gli altri" erano anche i detentori delle ricchezze e dei capitali maggiori e, di fatto, i migliori amici di qualsiasi potente al governo, che quindi si doveva guardare bene dal disturbarli chiedendogli balzelli.
Per questo, per le tasse non pagate dagli amici, i servizi sono sempre costati molto più che altrove e il nostro paese è sempre stato indebitato fino agli occhi. Effetti collaterali.
La benzina aumentava continuamente. Pensate, allora comprendeva perfino la tassa per la guerra in Africa.
Poi c’erano i fondi per il Mezzogiorno, un sistema che prevedeva la raccolta di enormi quantità di denaro facendo credere che sarebbero servite per sviluppare attività nelle regioni più povere del Meridione; denaro che poi, come pianificato, sarebbe evaporato lungo il tragitto a vantaggio delle strutture suddette, soprattutto di quelle speciali: le mafie.
E poi c’erano gli Enti Merenda, una quantità enorme, ognuno col suo consiglio d’amministrazione, gettoni, ricchi premi e cotillon(s). Servivano per ospitare politici trombati, o a fine carriera, o altri figli di papà a richiesta dei potenti del momento.
C’era un tipo di capitalismo bizzarro, che prevedeva la privatizzazione degli utili e la statalizzazione delle perdite. C’era Alitalia, pozzo senza fine di risorse sprecate in inefficienze e manager strapagati, e mille casi come questo. Era pieno, di manager strapagati, nominati dalla politica e che venivano pagati due volte: la prima quando arrivavano e la seconda per togliersi dalle palle e smettere di fare danni. C’erano i montezemoli.
C’erano gli operai, i peggio pagati d’Europa, e i loro sindacalisti, dalle carriere luminose e dai super stipendi.
C’era il vaticano, vero titolare della sovranità del nostro Paese.
C’erano i segreti di stato, buoni per le ricorrenze e le celebrazioni, ma che rimanevano sempre tali.
C’erano i terremoti e le alluvioni, a portare morte e promesse, ma poi restava solo morte. E ancora morte.
E oggi? E’ tutto uguale a prima. Uguale a sempre. Perfettamente immutato e immutabile. Un cancro che si è fatto sistema.
Ecco perché non abbiamo memoria. Non ci serve.